Illuminismo in Italia

Illuminismo in Italia

 

 

 

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Illuminismo in Italia

ILLUMINISMO

 

L'illuminismo è una corrente letteraria che si sviluppa tra neoclassicismo e preromanticisimo.
I maggiori esponenti italiani sono Giuseppe Parini, Vittorio Alfieri, Carlo Goldoni e Ugo Foscolo.

 

Il cittadino moderno

Una novità che influenzerà gran parte delle tematiche delle opere illuministiche è la nuova concezione di cittadino; esso è libero e si avvale dei principi diffusi dalla rivoluzione francese.
L'intellettuale diventa filosofo,  allarga i confini del suo sapere e cerca di diffondere le sue idee.
Nonostante questa tendenza all'onniscienza, ogni intellettuale cercherà di specializzarsi in un campo.
Gli intellettuali tendono anche ad aggregarsi in accademie o nei caffè, in cui discutono di tematiche ideali e di problematiche reali.

 

Letteratura

Durante l'illuminismo, in tutta Europa c'è uno sviluppo delle scienze e una diffusione delle macchine industriali; ormai l'uomo vive un una società che si sta automatizzando ed è sempre più dipendente dai prodotti industriali.
Nasce cosi il concetto di idealizzazione della natura selvaggia. I due modi di vivere sono così contrapposti, ed in essi nasce l'importanza del tempo; nel mondo artificiale è importante la quantità di tempo, perché tutto è frenetico ed importante, mentre nel mondo naturale è importante la qualità di tempo.
L'illuminismo è anche l'esaltazione dei lumi della ragione, saper riconoscere il carattere scientifico e oggettivo del mondo circostante.
Verrà mitizzata la figura del buon selvaggio ovvero quel tipo di uomo non contagiato dallo stile di vita moderno e che quindi ha sentimenti puri.
Si lascia spazio alla parte passionale e istintiva dell'uomo.
Il paesaggio diviene parte fondamentale dell'opera, ad ogni tipo di paesaggio rispecchierà una particolare emozione dell'artista.

 

Italia

La situazione politica dell'Italia rimane invariata: al sud regnano i Borbone, la Toscana (con i Lorena) è fortemente influenzata dagli Asburgo che regnano direttamente sul milanese; proprio in questi tre zone si diffonderà l'illuminismo.
La disgregazione dello stato fa si che l'economia non si sviluppi, creando una certa arretratezza culturale che impedirà lo sviluppo dell'illuminismo a livelli pari a Francia e Inghilterra.
Al sud l'illuminismo attecchirà poco data la grande presenza di vincoli feudali, nonostante ciò si tenteranno alcune riforme, la maggior parte delle quali non andrà però in porto.
In Toscana le riforme sono invece più legate al campo scientifico e giuridico.
Milano è la massima esponente dell'illuminismo italiano, a Milano ci si basa su un filone di pensiero neoclassico.
Esiste una tendenza anti-classica che chiamata preromanticismo.

 

Le tendenze illuministiche – il Neoclassicismo

La una corrente letteraria che posa le sua basi sugli ideali illuministici è il neoclassicismo.
In questo movimento l'arte si deve esprimere con razionalità ed equilibrio, rifacendosi quindi agli ideali classici, rivisti però con una chiave diversa; per i neoclassici l'arte deve avere una sua funzione comunicativa verso lo spettatore.
La corrente sviluppa principalmente in Francia e in Italia, dove i maggiori esponenti sono Giuseppe Parini e Ugo Foscolo; quest'ultimo creerà anche opere preromantiche.
Successivamente a questa corrente letteraria in Italia prevarrà il romanticismo di Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni.

 

Le tendenze illuministiche – il preromanticismo, ossianesimo, sturm und drang 

Il preromanticismo è un movimento letterario sorto in Europa nel corso del XVIII secolo e che si sviluppò durante gli ultimi decenni del secolo, in totale opposizione al neoclassicismo.
Nell'atteggiamento preromantico emergono alcuni caratteri distintivi:

  • l'affermazione del predominio del sentimento sulla ragione;
  • rifiuto di regole precostituite;
  • la preferenza (di contro alla natura tranquilla e ordinata tipica dei neoclassici) per ambientazioni esoteriche e misteriose, come cimiteri, scene notturne, temporali, apparizioni di fantasmi.

Gli autori principali del preromanticismo furono Thomas Gray e James Macpherson in Inghilterra, Gotthold Ephraim Lessing e i poeti dello Sturm und Drang in Germania, Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo e Alessandro Verri in Italia.
Nel Preromanticismo prevale una nuova sensibilità in cui l'uomo è in armonia con la natura e recupera un'ammirazione per la poesia popolare.
Secondo i preromantici, l'ispirazione poetica nasce dal cuore e dai sentimenti, piuttosto che dall'accademismo delle scuole di retorica.
La sensibilità artistica dei poeti li induce a descrivere nuove sensazioni dell'animo, ed a manifestare al lettore le personali angosce ed i loro profondi tormenti, come pure le gioie ed i piaceri, utilizzando versi liberi e nuove immagini.
Il Preromanticismo si sviluppa in Inghilterra, in Francia e in Germania oltre che in Italia.
Dalla letteratura inglese provengono le riflessioni sulla morte, sui cimiteri e le immagini tenebrose dei Canti di Ossian di James MacPherson (1736-1796).
In Francia gli scritti di Jean-Jacques Rousseau offrono un nuovo modello di Eroe, teso ad affermare i propri sentimenti e le proprie emozioni contro gli schemi aridi della ragione.
In Germania gli intellettuali del movimento "Sturm und drang", che vuol dire "Tempesta e Assalto", producono nuove forme poetiche e letterarie, in cui le caratteristiche umane, psicologiche ed intellettuali degli autori sono prevalenti rispetto alla "forma", considerata come modello, regola, schema.
In Germania, proprio da quest'ideale preromantico molto forte si svilupperà poi il senso nazionalistico.
La passionalità nelle opere fa nascere nell'autore un sentimento di titanismo: lo scrittore segue con grande passione e sentimento degli ideali difficili da raggiungere, e che quindi lo elevano dal resto della popolazione, .
Anche nel teatro le correnti di neoclassicismo e preromanticismo si manifestano.
Nel preromanticismo lo sceneggiatore principale è Johann Wolfang von Goethe, che scrive i dolori del giovane Werther, un opera nella quale il protagonista vive un amore impossibile e struggendosi per questo finisce per suicidarsi.

Le arti nel neoclassicismo 

Durante il 1700 la borghesia comincia ad espandersi, assiste agli spettacoli teatrali.
Ciò comporta la commercializzazione della musica che nel 1700 vede alcuni dei suoi migliori esponenti: Wolfgang Amadeus Mozart, che nelle sue opere esprime il neoclassicismo, data l'armonia delle sue composizioni, e Ludwig van Beethoven, che data la passione delle sue opere rappresenta il preromanticismo.
Per quanto riguarda la scultura, vi è una spaccatura definitiva con il Rococò, e un ritorno alle opere classiche come il David di Michelangelo.
Massimo esponente della scultura è Antonio Canova.
La rappresentazione della bellezza assume un ruolo civilizzante, che può quindi curare i mali della società moderna.

 

I generi letterari, lo stile e il pubblico

I committenti dei lavori sono sempre più borghesi, che danno così alle opere uno stampo prettamente illuministico; ciò comporta che la maggior parte dei testi sia in prosa, con prevalenza del romanzo epistolare e del Pumpet (un saggio, ma più corto e di più facile comprensione rispetto a a quelli classici), le opere sono caratterizzate dalla parodia.
Nel preromanticismo invece la forma d'opera privilegiata per esprimere al meglio la passionalità dell'autore è la lirica che porta come tema fondamentale il sentimento.

 

La questione della lingua

Il concetto illuministico della lingua è:

  • essa viene percepita come uno strumento vivo, regolato dall'uso e non da norme precostituite
  • la retorica non è più vista come un mezzo per abolire il discorso, ma come per potenziare l'efficacia e le possibilità espressive.
  • Viene rifiutata l'idea di una lingua originaria universale e affermata la concreta evoluzione storica e sociale di ogni lingua

 

Dal trattato al saggio

Il trattato è un componimento letterario di un certo peso, di una elevata complessità e comunque rivolto ad un pubblico di specialisti; ha una schema rigido e rimane chiuso, senza la possibilità di possibili ribattute.
Data l'idea illuministica di usare l'arte per insegnare, il trattato si evolve nel saggio, più corto, meno rigido, più aperto alle discussioni e rivolto ad un pubblico più ampio (borghesia).
Il saggio può essere strutturato in diversi modi, tra cui l'epistola e il pumpet.
I temi sono gli stessi del trattato; politica, società e scienza, visti però da un lato più calato sulla realtà rispetto all'astrattezza del trattato.

 

L'Illuminismo in Italia

Nel regno di Napoli i sovrani sono i Borbone, che esercitano una politica arcaica e fortemente impregnata di privilegi feudali; spesso il popolo insorge in piccole sommose, sempre sedate, e raccontate da Vincenzo Cuoco, storico illuminista, nelle sue opere.

IL milanese è la zona in cui l'illuminismo prende maggiormente piede.
Vengono create delle accademie in cui gli intellettuali si ritrovano per discutere, la più famosa delle quali è l'Accademia dei Pugni, così detta perché le discussioni erano così animante da finire ai pugni.
Le maggiori personalità dell'illuminismo italiano sono i fratelli Alessandro e Pietro Verri, che entrarono nell'entourage di letterati che assistettero Maria Teresa d'Austria nelle riforme illuminate; fondarono anche il primo periodico a stampo illuministico “Il Caffè”.
Altro esponente è Cesare Beccaria, autore di Dei Delitti e delle Pene, un saggio che rifletteva sulla pena di morte e le torture, non tanto dal punto di vista umanitario ma da un lato illuministico: la paura della pena di morte e  delle torture non fa sì che la criminalità cali.
Beccaria scrive questo saggio durante la sua reclusione e quando viene pubblicato  punta ad una riformazione del sistema giuridico.
[rifermento pp.179]

 

La poesia nell'illuminismo

Nell'illuminismo le opere in prosa sono privilegiate, ma anche la lirica trova spazio.
La poetiche sono due, il neoclassicismo, che tende alla funzionalità dell'opera volta quindi ad insegnare qualcosa e il preromanticismo (che poi evolverà nel romanticismo) che tratta la passionalità e i sentimenti che il poeta mette nelle sue opere

 

Giuseppe Parini

Parini fu uno dei maggiori esponenti dell'illuminismo e del neoclassicismo italiano.
Nato in una modesta famiglia di commercianti nel 1729, venne affidato ad una zia che gli fece continuare gli studi a patto che diventasse prete; covrà comunque lavorare come precettore per Carlo Imbonati.
Morirà nel 1799.
Le sue opere sono di chiaro stampo illuminista dato che sono volte alla divulgazione della conoscenza.
Nonostante segua la corrente neoclassica, si preoccuperà anche dell'estetica delle sue opere.
Durante la Rivoluzione Francese, si schiera a metà perché crede negli ideali che la animano ma teme la rivoluzione stessa.

 

Ideologia e Poetica

Parini rappresenta il letterato illuminista, segue diverse tendenze; le sue opere sono scritte con un linguaggio colto, si presentano con una certa forma e sono anche curati nella forma.
Oltre all'utile parini aggiunge il bello nelle sue opere.
Rifiuta il fatto che la cultura debba essere completamente sottomessa alla scienza.
Le sue opere maggiori sono Le Odi e Il giorno.

 

Le Odi

Quest'opera sarà presa come canone in futuro per la stesura delle odi.
Trattano temi sociali e civili (educazione) ma in una fase sono anche autobiografiche e raccontano la sua vita e la sua crisi letteraria; L'ultima parte è quella più nostalgica.

 

Il giorno

"Il Giorno" è l'opera più importante di Parini, che però fu lasciata incompiuta dall'autore. 
Durante la sua vita pubblicò soltanto, anonimi, i due poemetti "Il Mattino" e "Il Mezzogiorno". Inizialmente pensava di farli seguire da un terzo poemetto dal titolo "La Sera", ma poi progettò di comporre un unico poema in endecasillabi sciolti, intitolato "Il Giorno", articolato in quattro parti: Il Mattino, il Meriggio, il Vespro e la Notte.
Il tema di tutto "il Giorno" è condizionato dalla vita "alla moda" di un nobile "giovin signore". Parini evita l'aggressione diretta e preferisce ricorrere all'ironia, fingendo di essere un "Precettor d'amabil Rito", che intende indicare al giovane aristocratico il modo migliore per organizzare la propria giornata.
Il finto insegnamento si risolve quindi in una descrizione particolareggiata dei momenti  e delle occupazioni quotidiane dello stesso signore e della nobiltà contemporanea.
Il suo intento ironico è rivelato dal tono quasi eroico e sublime: si tratta di un acutissimo sistema di rappresentazione indiretta, nel quale la realtà aristocratica viene avvolta in giri sintattici e sontuose figurazioni mitologiche.
Il Giorno appare così come un battagliero libello pieno di risentimento morale, contro la degenerazione della nobiltà contemporanea ma nasconde anche un risentimento in quanto Parini si sente escluso, dietro tutto c'è una sorta di nostalgica partecipazione.

Il Mattino delinea le occupazioni che seguono il risveglio del nobile ozioso, tutto si concentra in una monotona ripetizione; si ha la rappresentazione di un mattino impossibile, nel quale il protagonista non tira fuori nemmeno una parola, e appare come un'inerte marionetta.

Nel Mezzogiorno Parini tende a passare dalla posizione di precettore a quella di cantore, spostando l'attenzione su un ambiente più vasto, popolato dalle diverse presenze della mensa del Giovin signore; qui abbiamo anche la famosa digressione della "vergine cuccia".

Nella Notte lo stile di Parini si allontana sempre di più da quella complessità sintattica e da quella precisione troppo minuta e ricercata che caratterizzano il suo precedente lavoro; tutto è descritto in modo meno artificioso. Il poeta segue il signore e la dama  a un grande ricevimento, ma ormai ha del tutto abbandonato la sua funzione di precettore e si accontenta di fermarsi nelle anticamere, dove i servi lo informano a proposito delle nuove virtù di cui il signore dà prova nella notte.
Alcuni  tra i personaggi che popolano i saloni si mettono in luce per le loro sciocche manie: si presenta così una "galleria degli imbecilli" culminante in quello che ha l'hobby di disfare pazientemente sontuosi arazzi, riducendo in fili minutissimi i loro disegni.
Nella Notte Parini sa dare un ritratto negativo del dissolversi del mondo nobiliare, ridotto ormai a un balletto di inquietanti fantasmi.
Parini durante il suo poema inserisce digressioni, le favole, che sono brevi racconti di carattere mitologico, che servono a illustrare le origini di certi costumi sociali; fra queste spicca la favola di Amore e Imene.

 

 

Conclusioni

Il Giorno rientra nel genere della poesia didascalica.
Se l'atteggiamento del poeta verso il mondo nobiliare è di condanna, sia pur sotto il velo dell'ironia, è tuttavia ravvisabile in esso una sottile ambiguità.
Parini indugia sui vezzi della classe aristocratica ma mentre ciò dovrebbe dare un senso di futilità,  invece fa trasparire una sorta di compiacimento sensuale del poeta che sembra affascinato dall'eleganza di quel mondo.
Tuttavia questa ambiguità rende affascinante l'opera, che altrimenti parrebbe arida ed eccessivamente arcigna nella sua critica.
A livello formale si apre dunque l'ambiguità tra edonismo e moralismo ma non è affatto detto che questa ambiguità costituisca un difetto dell'opera, perché vale a rendere più ricco e mosso l'impianto espressivo, come rende più mobili i piani e le prospettive della visione del reale.

 

Carlo Goldoni

Vita

Carlo Goldoni nasce a Venezia nel 1707 dal medico Giulio e Margherita Salvioni.
Trascorso nella città natale il periodo della fanciullezza, nel 1719 Carlo segue nelle peregrinazioni il padre, trasferitosi a Perugia.
Nella città umbra, il giovane studia retorica e grammatica presso i gesuiti; nel 1720 viene inviato a Rimini dove si dedica alla filosofia.
L’anno successivo fugge dalla scuola approfittando del passaggio della Compagnia dei Comici Napoletani di Florido Maccheroni e al loro seguito torna via mare a Chioggia, dove risiede la madre.
Goldoni intraprende una vita vagabonda e itinerante sui palcoscenici di provincia; si spinge ad Udine e a Gorizia, poi ritorna a Chioggia dove ottiene di essere assunto all’interno della cancelleria criminale del Podestà.
In seguito alla morte improvvisa del padre, la famiglia si trasferisce a Venezia e a Padova.
Nel 1733 lo troviamo a Milano dove si rifugia per sfuggire a un matrimonio indesiderato e a creditori.
Riprende a calcare i palcoscenici dell’Italia settentrionale fino al 1734, anno in cui ritorna a Venezia.
Nel 1736 sposa Nicoletta Connio e la coppia si trasferisce a Venezia.
Comincia quindi nel 1748 la vita di professionista teatrale; Goldoni progetta e realizza sedici commedie a partire dal teatro comico che ha la funzione di un vero e proprio manifesto del proprio progetto teatrale e poetico: lo scrittore esprime il proprio programma che si propone di mettere in scena la realtà contemporanea e vicende verosimili.
Nel 1753 va in scena la commedia che da molti viene considerata  il capolavoro di Goldoni: la Locandiera, che incarna gli aspetti della riforma teatrale e la concezione filosofica ed estetica.
In seguito alla rottura dei rapporti con la compagnia teatrale Goldoni stipula un contratto con il teatro San Luca.
I primi cinque anni rappresentano un periodo di grande produttività creativa.
La commedie goldoniane di questo periodo si contraddistinguono per la comparsa di caratteri anche anomali e originali e per la ricerca dell’evasione soprattutto nell’esotico.
Fra il 1758 e il 1762 Goldoni attraversa uno dei periodi più travagliati della sua vita di artista.
Il veneziano Carlo Gozzi inaugura un’aspra polemica contro di lui.
Goldoni, sofferente di depressione, lascia Venezia per Roma.
Nell’anno 1762 l’autore parte con la moglie per Parigi.
Nella capitale francese l’ambiente teatrale è ancora dominato dalla Commedia dell’arte.
A partire dal 1784 lo scrittore si dedica alla stesura dei Memoires, documento autobiografico e testimonianza sulla realtà del teatro.
Goldoni muore a Parigi nel 1793.

 

La riforma goldoniana.

Venezia è la capitale del teatro. In questo periodo in Italia e sopratutto a Venezia prende piede la commedia dell'arte ovvero la rappresentazione della realtà tramite degli stereotipi fissi.
Tale tipo di rappresentazione attrae a teatro anche le fasce meno abbienti della borghesia.
La monotonia e la volgarità delle situazioni fa si che la commedia dell'arte cada presto in declino.
Proprio in questo periodo la riforma goldoniana prende piede: Goldoni difatti abbandona il canovaccio e adottando di nuovo un copione scritto, ridando così prestigio all'autore rispetto all'attore.
Molto importante per Goldoni è il rapporto con il pubblico.
Definisce anche la sua visione del mondo tramite due libri:  il libro del mondo, che rappresenta la realtà i cui l'autore vive, la società in cui e contestualizzato e le abitudini do allora, dopo avere studiato a fondo tale libro è possibile rappresentarlo tramite il libro del teatro.
Il teatro, per Goldoni, è anche uscire dagli schemi fissi, diffondere la realtà, tanto che i personaggi goldoniani hanno tutti una psicologia molto complessa.

 

Le fasi della riforma goldoniana

PRIMA FASE
Nella prima fase Goldoni, lavora come apprendista, accettando le strutture già esistenti.
L'esordio in come autore risale al 1730 con due intermezzi

SECONDA FASE
La seconda fase si apre nel 1738 con il Momolo cortesan, dove Goldoni sente già il bisogno di controllare l'opera, tanto che scrive il copione solo per il protagonista di quest'intermezzo.
Tra il 1742 e il 1743 scrive la su prima commedia, La donna di Garbo, scritturata nei minimi dettagli.

TERZA FASE
Nel 1748 si ha la svolta nella vicenda goldoniana, Goldoni ottiene un successo con “la vedova scaltra” che segna la prima realizzazione compiuta della commedia di carattere.
Si ha un periodo florido e attivo di cinque anni, Goldoni compone numerose commedie basate sui canoni della riforma esempio “il padre di famiglia”, “la famiglia dell'antiquario”.
Si afferma un personaggio caratteristico, il laborioso.
La famiglia è posta al centro della riflessione.
Nel 1750 viene rappresentata “il teatro comico”, racconta il teatro dentro il teatro.
“La bottega del caffè” e “i pettegolezzi delle donne”.
Viene messo in risalto l'effetto della battuta di spirito rapida e vivace.
Nel 1752 scrive “la locandiera”.
Inizia un periodo di crisi, attori e pubblico perdono la fiducia in Goldoni,

 

QUARTA FASE
il 1753 si presenta come un punto critico, Goldoni cerca di trovare nuove strade per stupire il pubblico, è in concorrenza con il rivale Chiari.
I personaggi assumono caratteri tormentati e non in armonia con l'ambientazione.
Goldoni è deluso dal ceto borghese, inizia a valorizzare il popolo e la sua lingua e critica la borghesia mercantile.
Aderendo alla società popolare Goldoni ritrova una situazione felice, in questo periodo scrive commedie di carattere popolare in dialetto come “il campiello”.
Tra il 1759 e il 1762 Goldoni scrive alcune delle commedie di maggior successo, i personaggi perdono la loro apertura e diventano statici nella loro realtà.
[pagina 287 – leggere sintesi delle commedie]
la quarta fase si conclude con la rappresentazione di “una delle ultime sere di carnovale”.

QUINTA FASE
E' la seconda fase parigina e gli ultimi anni di vita di Goldoni, che segnano una sorta di ritorno al passato, venendo a meno ai canoni che lui stesso aveva imposto con la riforma.

 

Testo scritto e verosimiglianza

Se a tali aspetti aggiungiamo il testo scritto che assicura la prevalenza dell’autore su capocomico e attori, l’equilibrata suddivisione in atti e scene e la sostituzione delle maschere con i personaggi o caratteri verosimili e tratti dalla vita quotidiana,abbiamo l’intero quadro della riforma.

 

Realismo e analisi dei costumi

Alla base delle commedie goldoniane c'è il curioso e profondo interesse dello scrittore verso gli avvenimenti della vita, la registrazione dei comportamenti quotidiani colti nella loro concretezza, l’analisi dei costumi e del modo di pensare.
Le sue opere si caratterizzano per un realismo che evita toni e tinte drammatiche e sono spesso ambientata nello spazio della società borghese, popolare e aristocratica veneziana.
Notevole è l’interesse per la psicologia sociale; attenta è la rappresentazione del mondo borghese ed ampio risalto è dato alla descrizione della forte individualità del mercante veneziano.
In Goldoni di volta in volta prevalgono temi specifici e universali; l’amore, la gelosia, l’avarizia, la sete di denaro, la furbizia, l’ambizione, l’onestà, la saggezza, lo scontro tra modi di pensare diversi.

 

La lingua

Le commedie di Goldoni sono caratterizzate da un forte plurilinguismo che talora è la lingua italiana, talora il dialetto veneziano.
Tale scelta è legata all’intento di rappresentazione realistica di ambienti e personaggi che esige l’adeguamento della lingua alla specificità delle situazioni messe in scena.
Il problema della lingua si pone nei termini di ricerca dell’espressione più adatta a rendere verosimile la rappresentazione del mondo borghese e popolano veneziano.
La lingua delle commedie goldoniane è ricalcata su un italiano medio o un veneziano medio arricchito spesso da espressioni popolari che vivacizzano il lessico, lo rendono concreto e creativo.

 

La Locandiera

E' la maggiore opera di Goldoni scritta durante il lavoro presso Medebach.
Dopo la stesura di quest'opera cambia teatro, andando  a lavorare per il San Luca, fino a trasferirsi poi a a Parigi.
La riforma goldoniana è particolarmente sentita in quest'opera, dato che la critica alla società è molto presente, ma non riesce tuttavia a farsi accettare dal grande pubblico.
La vicenda è ambientata in una locanda di Firenze, gestita da Mirandolina, una giovane e attraente borghese.
Dopo la morte del padre ha rilevato lei la locanda, che gestisce con grande maestria.
Personaggi fissi della locanda sono principalmente tre: il Marchese di Formipopoli, nobile decaduto che però vanta il suo titolo nobiliare, il conte di d'Albafiorita borghese arricchito che ha acquistato il titolo nobiliare e si comporta come un nobile ed infine il cavaliere di Ripafratta, un cavaliere che odia le donne (forse perché impaurito), che si è imposto di non amare più nessuna donna.
Sia il marchese che il conte sono innamorati di Mirandolina, alla quale piace civettarsi ed essere corteggiata.
Successivamente si impegnerà a far innamorare di se anche il Cavaliere, e quando riuscirà nel suo intento, sposerà Fabrizio, suo sottoposto.
Tale matrimonio simboleggia una caratteristica negativa dei borghesi, che si sposano tramite politiche di convenienza: sposando Fabrizio, Mirandolina metterà a tacere sia le cattive voci sul suo conto e potrà anche continuare a mantenere il pieno controllo della sua attività.

La commedia è divisa in 3 atti.

I° ATTO
L'opera inizia con una presentazione del marchese e del conte, con entrambi che corteggiano Miarndolina, in due modalità diverse.
Successvamente arriva il cavaliere che disprezzando sia i nobili che la locandiera offende quest'ultima che si ripromette di farlo innamorare di lei.

II° ATTO
Il corteggiamento di Mirandolina è spietato e anche se il Cavaliere riesce a resistere, dopo una serie di accortezze anche il misogino cede, innamorandosi di lei.

III° ATTO
Mirandolina è ormai soddisfatta e decide di sposare così Fabrizio, gettando così nel più completo sconforto il cavaliere.
Tutti e tre i nobili bruciano di gelosia e arrivano quasi alle mani, ma la locandiera con un abile stratagemma riappacifica tutti e otterrà anche il massimo dal suo matrimonio, dato che Fabrizio rimarrà sempre un suo sottoposto.

 

Poetica della Locandiera

In un lettera indirizzato ad un nobile, appartenente alla famiglia dei Ruccellai, Goldoni motiva le scelta che l'hanno spinto a scrivere quest'opera: alcuni personaggi negativi sono di esempio, dato che essi hanno una funzione comunicativa dei mali della società di Venezia.
Ad esempio il cavaliere rappresenta la presunzione che viene poi sconfitta, mentre Mirandolina la furbizia e l'astuzia, ma visti sempre con una connotazione positiva.

 

Lingua e stile

Nella Locandiera il linguaggio usato dai personaggi rappresenta il ceto sociale a cui appartengono, creando così una sorta di realismo.
È importante sottolineare come Mirandolina basa i suoi rapporti sulla finzione, e sulla recitazione di comportamenti e tratti caratteriali che non gli appartengono.
Ciò sta a denunciare come la borghesia sia disposta a tutto pur di ottenere quello che desidera.

 

Vittorio Alfieri

Entriamo già in un clima pre-romantico, Alfieri si descrive nella propria autobiografia come un eroe appassionato, avverso a tutti i limiti imposti dalla società.
Nasce ad Asti nel 1742 in seno ad una famiglia aristocratica torinese, sin da bambino è inquieto e ribelle, parla anche di un tentativo di suicidio.
Tra il 1752 ed il 1758 studia all’elitaria Accademia militare di Torino, ma è insofferente alla disciplina ed all’ignoranza.
Nei sei anni successivi viaggia in tutta Europa.
Il viaggio è una forma di conoscenza e confronto con altri popoli, il ‘700 è il secolo del cosmopolitismo; lo spingono una scontentezza ed un’inquietudine costanti, è senza pace.
Intreccia passioni tempestose; gira da una città all’altra sempre insoddisfatto.
L’individuo romantico non sta bene con se stesso né con la società.
A Vienna si rifiuta di conoscere Metastasio perché egli s’inchinava davanti a Maria Teresa d’Austria, Alfieri vede ovunque servilismo, matura sin dalla giovinezza odio per la monarchia e la tirannide.
Nei suoi viaggi acquisisce una profonda conoscenza della politica assolutistica europea: è tiranno ogni re che agisce sopra le leggi.
Disgustato torna nel 1763 a Torino, dove la chiusa monarchia sabauda si spartisce il potere con l’oligarchia. Insofferente di tutto, rifiuta ogni carriera politica o militare e svolge una vita dissipata, immerso nel lusso più sfarzoso, quasi un “giovin signore”.
C’è la ricerca di un qualcosa che possa dare un senso alla sua esistenza, ma non lo trova.
Vive una passione tempestosa con una contessa torinese.
Nel 1775 ha un’illuminazione, che egli stesso definisce “conversione alla letteratura”, quando scopre analogie tra il suo amore e quello di Antonio e Cleopatra.
Scrive la prima tragedia (Antonio e Cleopatra) e vive una sorta di catarsi, l’arte è ciò che può dare un senso alla sua vita; nello stesso anno scrive anche Filippo e Polinice.
Constata i limiti della sua formazione letteraria, inizia a studiare i classici latini ed italiani, impara da solo il greco.
Si reca a Firenze per imparare l’italiano vero; qui nel 1777 conosce Maria Luisa Stolberg, una contessa sposata all’anziano Charles Stuart, pretendente  al trono d’Inghilterra; lo definisce un “degno amore”.
Nel ’78 decide di rompere ogni legame economico e sociale con la madre patria, di “spiemontizzarsi”: per lui il letterato deve essere assolutamente libero.
Lascia tutti i libri alla sorella in cambio di una pensione vitalizia e si butta a capofitto nell’otium letterario.
Sino al 1788 scrive due trattati, Della tirannide e Del principe e delle lettere, completa le sue diciannove tragedie, scrive gran parte delle Rime.
Segue la Stolberg dappertutto, nel 1786 i due decidono di trasferirsi a Parigi, nell’89 scoppia la Rivoluzione francese, accolta con entusiasmo da Alfieri che scriverà la poesia Parigi sbastigliato, ma ne è deluso e matura un odio feroce per il governo rivoluzionario ed i francesi.
Nel 1799 scrive un’opera contro i francesi, Misogallo.
Si rende conto che sta incominciando una nuova monarchia della borghesia, ammantata di finta libertà, e quindi ancora più balorda.
Disprezza la classe media, gretta, utilitarista, che non riesce a capire cosa sia la vera libertà.
Definisce il male minore la monarchia nobiliare, c’è in Alfieri un individualismo aristocratico che lo porta a disprezzare tutte le novità che provengono da plebe e borghesia.
Nel 1792, l’anno dell’assalto alle Tuleries, si stabilisce di nuovo a Firenze, dove vive da solitario, chiuso nel suo atteggiamento aristocratico, sprezzante di tutto.
Scrive il Misogallo e completa nel 1803 l’autobiografia; muore improvvisamente nello stesso anno.

 

Alfieri e l’Illuminismo: un pre-romantico in Italia

La sua formazione è illuminista, legge Voltaire, Rousseau e le Vite parallele di Plutarco, appassionandosi alle gesta grandiose degli eroi tuttavia sviluppa una vera insofferenza per questa cultura, per il culto della scienza e per il razionalismo scientifico, che spegne “il forte sentire”, la passionalità e l’emotività che per Alfieri costituiscono l’essenza dell’uomo.
Da questo “forte sentire” scaturisce l’immaginazione e nasce la poesia.
E’ vero che Rousseau aveva esaltato la sensiblerie, ma pur sempre guidata dal concetto di ragione. Alfieri non condivide il freno razionale, ma celebra una passionalità sfrenata ed illimitata.
Critica le posizioni atee, materialiste e deiste dell’Illuminismo francese, sebbene non approdi a nessuna religione precisa: avverte, infatti, in sé un profondo senso dell’infinito, e questa accentuata spiritualità già lo proietta nel Romanticismo.
La data convenzionale di nascita del Romanticismo in Italia è il 1816, quando venne pubblicato un articolo di Madame De Stael che criticava gli intellettuali italiani ma già negli ultimi decenni del ‘700 una sensibilità pre-romantica si diffonde in tutta Europa: è il caso dello Sturm und Drang tedesco e della poesia sepolcrale inglese; in Italia esso si accavalla al neo-classicismo del Monti.
In politica il nucleo ideologico di Alfieri è l’odio per la tirannide, sia l’Ancien Regime francese sia il dispotismo illuminato degli Asburgo; ma disprezza anche le nuove forze politiche borghesi, sino all’odio per la Rivoluzione francese come più squallida espressione della nuova tirannide della classe media.
Tuttavia la critica dell’Alfieri non è concreta ma astratta, alla monarchia come metafora del potere che limita l’individuo, così come astratta è l’esaltazione della libertà che non lo porta all’elaborazione di un progetto politico; quasi come se parlasse di entità metafisiche o concetti astratti che vivono in lui.

 

Il Titanismo

Nella vita e nelle opere Alfieri è espressione del titanismo (i Titani avevano sfidato l’Olimpo di Zeus pur sapendosi in partenza destinati alla sconfitta), una forma di ribellione affascinante e valida in sé e per sé, anche se votata alla sconfitta.
Il ribelle è vinto solo fisicamente, mai spiritualmente: è indomabile anche nella morte.
Le opere dell’Alfieri hanno per protagonisti eroi titanici che sfidano i più forti tiranni benché destinati alla sconfitta.
Atteggiamenti titanici si ritrovano anche nel Masnadieri di Schiller, ne I turbamenti del giovane Werther di Goethe e ne Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo.
Il gesto del suicidio appare dunque affascinante e bello, estremo atto di ribellione.

 

Della tirannide e Del principe e delle lettere

Il trattato Della tirannide, in due libri, esamina prima le caratteristiche della tirannide e delle forze che la appoggiano (il consenso dell’aristocrazia, l’esercito, la casta sacerdotale), così rievoca il pensiero machiavelliano; poi si occupa di quali comportamenti debba tenere un uomo libero dalla tirannide: o si isola e vive sdegnosamente appartato, o si uccide come gesto estremo di libertà, o tenta l’impresa coraggiosa e titanica del tirannicidio.
E’ un gesto grandioso e affascinante seppur destinato alla sconfitta.
Il trattato è astratto e non rientra nel vivo dibattito politico del ‘700 poiché tutta la lotta politica si riduce all’antitesi tra due superuomini: l’individuo ed il tiranno, opposti ma simili in quando entrambi tendono ad una smisurata affermazione del proprio Io.
Il primo tende ad una libertà assoluta ed il secondo ad un potere assoluto.
Alfieri non analizza una tirannide concreta ma un potere soffocante in senso astratto, così come sono astratte la sua critica e l’esaltazione della libertà.
Si tira indietro davanti alla progettualità politica.

Il secondo trattato, Del principe e delle lettere, esamina il rapporto tra potere ed intellettuale, riproponendo lo schema tiranno-antitiranno con una variante.
Il letterato è amante della libertà assoluta per impulso naturale, essenza innata, e si pone in uno scontro totale con il potere.
L’elemento fondante della letteratura è la contestazione del potere.
Il tiranno vuole tenere i suoi sudditi nell’ignoranza, il letterato vuole insegnare il significato di libertà al popolo.
Condanna l’intellettuale cortigiano che è schiavo del potere, e quello di mestiere: il vero letterato deve essere libero da condizionamenti sociali ed economici.
In realtà è profondamente aristocratico e reazionario ed esalta i pochi eletti che di fatto sono i nobili.
Se nel primo trattato l’azione sublime è superiore allo scrivere, qui sostiene che dire grandi cose è in parte anche farle, e che Omero più di Achille ha contribuito a dare forma immortale al Pelide.
Si affaccia l’idea della poesia come dispensatrice di gloria eterna, concetto che sarà ripreso da Foscolo.

 

Le tragedie

Ritiene la tragedia il genere letterario più elevato: all’epoca in Italia si lamentava la mancanza di un tragediografo ed Alfieri si sente chiamato a questo compito sublime.
E’ un genere che si adatta alla sua visione della vita basata sullo scontro di passioni.
Tiranno ed anti-tiranno sono personificazioni di due concetti astratti: l’aspirazione all’assoluto e l’insofferenza per tutto ciò che limita l’uomo.
Le tragedie devono essere divise in cinque atti, avere pochi personaggi, rispettare le unità aristoteliche di tempo, luogo ed azione.
Alfieri accentua l’essenzialità dell’azione e riduce al minimo i personaggi che sono sempre due, protagonista ed antagonista.
Elimina digressioni ed episodi minori per aumentare la tensione tragica, riduce al minimo i riferimenti storici, ambientali e spaziali, sicché lo scontro di passioni si svolge su uno sfondo astorico per cui il Filippo (nel ‘600 spagnolo) e l’Antigone (nell’antica Grecia) potrebbero avere uguale ambientazione.
La tensione è fortissima sin dall’inizio, tragica e violenta, sensibilmente destinata all’esplosione nel sangue.
Pur scrivendo le proprie tragedie per il teatro, Alfieri le rappresentò sempre in saloni nobiliari per un pubblico ristretto, perché il gusto delle masse era ancora grossolano e non poteva comprendere il suo slancio libertario.
Scrive piuttosto per un pubblico futuro, di una lontana Italia libera ed indipendente.
Scrisse diciannove tragedie, fondate sul conflitto tiranno-antitiranno, con un finale violento e sanguinoso.
I personaggi sono dominati da desideri incontrollabili; l’essenza dell’uomo è “il forte sentire”.
Le trame sono tratte dalla storia greca, romana, medievale, rinascimentale e dalla Bibbia.

Nel Filippo lo scontro è tra Filippo II di Spagna ed il figlio Don Carlos, che ha un carattere orgoglioso e si oppone ad alcune decisioni del padre, che ne avverte l’opposizione come una ferita al proprio orgoglio.
Il contrasto scoppia per motivi amorosi, quando la promessa di Don Carlos, Elisabetta di Valois, sposa, invece, Filippo II; la donna intrattiene una relazione amorosa con Don Carlos, per cui il despota costringe il figlio a suicidarsi.
Anche Verdi scrisse il melodramma Don Carlos.

L’Antigone propone lo scontro tra Creonte e l’eroina, la medesima materia dell’omonima tragedia sofoclea.
Le tragedie dell’ultimo periodo sono le più belle perché spostano il conflitto su un piano interiore. Il protagonista deve combattere contro forze oscure ed indomabili: l’anti-tiranno è in lui.
Il Saul fu composto nel 1782 ed è di argomento biblico, la Mirra risale al 1786.

Saul non accetta che un altro possa sostituirlo sul trono e prova ira ed invidia per David, il nuovo re voluto da Dio; inoltre il protagonista è vecchio e malato, vicino alla morte, il suo successore giovane e bello. Saul si suicida come estremo tentativo di ribellione a Dio, dopo la morte dei figli.

La Mirra è ispirata ad un episodio delle Metamorfosi di Ovidio.
E’ la storia di un amore incestuoso, in cui la passione incontrollabile si scontra con il tentativo di nasconderla.
La protagonista rifiuta le nozze con Pereo, che in preda alla disperazione si uccide.
Mirra confessa al padre la passione che prova per lui e poi di suicida.
Il male è una passione empia ed indomabile, contro la quale nulla può la ragione.
Saul si uccide da titano per affermare il proprio potere, Mirra, invece, è solo sconfitta.
Lo stile è sublime ed aulico, formale, ricco di inversioni ed anastrofi, di figure retoriche, ed è estremamente pausato. Ricerca la pausa drammatica, lo scontro di suoni aspri e cupi, il pathos è tanto esasperato da sfiorare il ridicolo.

 

Il Misogallo

Ritratta le proprie idee sulla nobiltà: preferisce la tirannide degli aristocratici a quella mascherata di libertà della borghesia.
Partito da premesse illuministiche si fa reazionario, si chiude nell’esaltazione dei privilegi morali della nobiltà, nel conservatorismo più cupo.

 

Fonte: http://newstone.altervista.org/cms/italiano/illuminismo.doc

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