Inca

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Inca

Gli Incas

Il più esteso Stato indigeno dell'America, che ebbe probabilmente origine nel  XIIIsec. da un piccolo nucleo tribale stanziato nella vallata di Cuzco e che fu distrutto dai conquistadores spagnoli all'inizio del   XVI sec. Considerato in passato come l'esempio del primo Stato comunistico, viene oggi giudicato, più giustamente, come una nazione a economia statalizzata e a struttura fortemente centralizzata, retta da un'aristocrazia al cui vertice si trovava l'inca, sovrano autocratico, che riuniva in sé l'autorità politica, religiosa e militare. Il nome di Incas venne dato dagli Spagnoli; dalla popolazione e nei documenti ufficiali il paese era detto Tahuantisuyu (“i quattro quarti del mondo”); il paese, infatti, era diviso in quattro zone, dette suyu, e precisamente il Chinchasuyu o quarto nordorientale, il Cuntisuyu o quarto occidentale, il Collasuyu o quarto meridionale, e l'Antisuyu o quarto orientale.

 

La Storia

Secondo una tradizione leggendaria, all'inizio del XIII sec. il capo di un clan affine ai Quechua, il cui nome era Inca, condusse la sua gente, da un luogo detto “le grotte dell'Aurora”, posto nella regione montagnosa a SE di Cuzco, fino alla valle sottostante dove venne edificato il primo nucleo della città di Cuzco. Sotto questo capo leggendario, noto col nome di Manco Capac (capac significava grande, potente), che secondo alcune leggende discendeva dal dio Viracocha (il Creatore) e secondo altre direttamente dal dio Sole (lnti), gli Incas dovettero sostenere dure lotte con le genti vicine. Col tempo si distinsero due nuclei cittadini, l'Hurin Cuzco o città bassa, e l'Hanan Cuzco o città alta, in lotta fra loro per la supremazia nel paese; verso la metà del  XIII sec. l'inca Sinchi Roca, da alcuni indicato quale figlio di Manco e da altri quale capo della città alta, unificò la città e sottomise le tribù della vallata. A questo succedette il figlio, Lloque (Mancino) Yupanqui, il quale portò a termine l'opera del padre. Suo figlio, Mayta Capac, attaccò a più riprese con scarso successo il regno più antico che sorgeva nella regione del lago Titicaca; qualche successo fu ottenuto tra la fine del  XIII e l'inizio del  XIV sec. dal figlio di Mayta, Capac Yupanqui, e dal figlio di questo Inca Roca. A Inca Roca succedettero il figlio Yahuar Huacac e il fratello (o cugino) di questo, Viracocha Inca. Viracocha estese il regno a est e a sud gettando le basi del futuro Impero; egli combatté con successo contro gli Aymará, i Quechua e i Chanca. Gli succedette il figlio Inca Urcon che però non appare nella lista ufficiale degli imperatori perché il fratello, Cusi Inca Yupanqui, lo fece mettere a morte e ordinò di ignorarne il nome per sempre. Cusi Inca Yupanqui è il primo imperatore “storico”, noto col nome di Pachacuti (1438-1471); egli estese i confini dell'Impero e attuò numerose riforme sociali. Suo figlio Topa Inca Yupanqui (1471-1493) conquistò quasi tutti i territori fra i confini settentrionali del Cile e dell'Ecuador attuali e diede un notevole impulso al progresso del paese.
Gli succedette il figlio Huayna Capac (1493-1527) che portò l'Impero alla sua massima estensione, conducendo a termine ed estendendo, a settentrione, la conquista del regno di Quito. I due figli di questo, Huáscar e Atahualpa, furono impegnati in una lunga e sanguinosa guerra civile che si risolse con la vittoria di Atahualpa, il quale fece imprigionare Huáscar. Nel 1532, proprio quando Atahualpa si stava recando a Cuzco per essere incoronato inca, gli Spagnoli guidati da Francisco Pizarro sbarcarono a Tumbes e, dopo rapida marcia, giunsero nella città di Caxamarca (od. Cajamarca); fingendosi pacifici ambasciatori catturarono l'inca con un abile e audace stratagemma (16 novembre 1532). Lo tennero quindi prigioniero, facendogli pagare un immenso riscatto in oro, ma quando giunse loro la notizia che Huáscar era stato ucciso in carcere, gli Spagnoli accusarono Atahualpa di averne ordinata l'uccisione e, dopo averlo condannato a morte, lo giustiziarono (29 agosto 1533). La conquista dell'Impero da parte degli Spagnoli fu tuttavia più lunga e difficile di quanto il suo fulmineo inizio aveva lasciato prevedere: le scarse resistenze incontrate in principio erano dovute al fatto che la popolazione temeva la morte dell'inca, prigioniero di Pizarro, ma, dopo l'assassinio di Atahualpa nel 1533, i curaca, cioè i governatori dell'Impero, opposero fiera resistenza. Il 15 novembre 1533 Pizarro occupò Cuzco ricavando dal saccheggio immensi tesori; all'inizio del 1534 fece eleggere inca uno dei figli di Huayna Capac col nome di Manco Capac II; nella primavera del 1534 Pizarro occupò Quito mentre i suoi luogotenenti occupavano gli altri centri importanti del paese valendosi abilmente delle rivalità delle popolazioni soggette agli Incas. Nel 1535 Manco Capac II suscitò una violenta rivolta che fu domata solo con l'arrivo di un nuovo esercito spagnolo. Da tale data, le popolazioni del Perù tentarono di liberarsi dal giogo dei conquistadores approfittando della rivalità e delle lotte sorte prima fra Pizarro e Almagro (1535-1538) e conclusesi con l'esecuzione capitale di Almagro, poi fra Pizarro e il governo spagnolo (1535-1540). Dopo l'uccisione di Francisco Pizarro (26 giugno 1541) da parte di seguaci del figlio di Almagro, Diego el Mozo, le popolazioni locali cercarono di approfittare delle guerre civili fra il potere centrale della Corona spagnola e i coloni (1541-1544) ma la morte di Manco Capac fece fallire ogni tentativo. Fra il 1545 e il 1550 il paese subì le conseguenze delle violente lotte fra i viceré spagnoli (Vaca de Castro, Pedro de la Gasca) e Gonzalo Pizarro, autonominatosi governatore del Perù; ridotte allo stato di semischiavi dai coloni le popolazioni, soprattutto quechua e aymará, si ribellarono a più riprese sotto la guida di pretendenti al trono dell'inca; nel 1571, la decapitazione dell'ultimo pretendente pose fine a ogni sogno di libertà. (Per le vicende della conquista dell'Impero incaico da parte degli Spagnoli,  v. PIZARRO, P ERÙ e alle singole voci: ALMAGRO, A  TAHUALPA, ecc.)

 

LO STATO

Da molti definito erroneamente «socialista», lo Stato degli INCA aveva una struttura politica verticale: capo assoluto era l'imperatore, o inca, fonte primaria di tutti i poteri. Egli, venerato come figlio del Sole, assegnava i singoli incarichi di governo e li ripartiva secondo una rigida gerarchia di caste. I membri della famiglia imperiale costituivano l'aristocrazia dirigente e fra loro il sovrano sceglieva i più alti funzionari. Seguivano i curacas, ossia dignitari di rango inferiore, pur sempre importanti. L'impero era così amministrato nelle sue maggiori circoscrizioni territoriali: alla guida di ciascuna delle regioni del Tahuantinsuyo l'inca poneva un viceré (apo), generalmente designato fra i suoi parenti più stretti (fratelli o zii); le province erano affidate ai tukrikuk, o governatori. Non esistevano organi di rappresentanza popolare. Sacerdoti e militari collaboravano con i politici alla gestione del potere. L'unità di base della società incaica era l'ayllu, istituzione precedente alla formazione dell'impero e mantenuta dagli INCA, ma organizzata in modo da togliergli ogni tendenza autonomistica. Mentre l'ayllu preincaico era costituito da un gruppo umano apparentato o considerato tale, insediato in un determinato territorio e venerante un antenato comune di cui si conservava la tomba o la mummia, l'impero lo privò delle sue caratteristiche «etniche» e religiose e ne fece un'unità territoriale a livello amministrativo. Costituì nuovi ayllu, in tale funzione, affidandoli come feudi a personaggi importanti che, dopo morti, tenevano il luogo dell'antenato comune. Ogni imperatore inoltre iniziava un nuovo ayllu regale di cui venivano a far parte tutti i figli maschi, escluso il primogenito, destinato a diventare imperatore e come tale a fondare un proprio ayllu. Ogni ayllu era governato da un capo eletto dai suoi membri e da un Consiglio di anziani. I beni erano della comunità, non dei singoli. Quanto al diritto di proprietà, esso apparteneva all'inca, monarca assoluto di origine divina; egli, tuttavia, ne disponeva il godimento, dividendo i beni dello Stato in tre porzioni: la prima la cedeva al dio Sole, la seconda la riservava a se stesso, la terza la consegnava agli ayllu. La coltivazione delle terre del Sole e dell'inca spettava alla comunità. L'uomo comune era monogamo; poligamo poteva essere soltanto il nobile. L'inca aveva una moglie principale (coya) - che per purezza castale generalmente era una sua sorella - e varie mogli secondarie o concubine. Il villac umu, sommo sacerdote, apparteneva di diritto all'ayllu reale, a conferma dello spirito teocratico che informava l'impero. Non si hanno testimonianze di opere letterarie: bisogna perciò accontentarsi delle tradizioni orali, raccolte e tramandate dai cronisti spagnoli della conquista. Si ha notizia soprattutto di canti e ballate che esaltavano le imprese degli imperatori e che venivano eseguiti in occasione di speciali cerimonie. Aedi di corte composero anche poemi epici, detti o cantati dinanzi al sovrano. Nulla di scritto, comunque. L'unico strumento di cui si sa che in qualche modo potesse servire a «scrivere» o «registrare» era il quipe: una cordella principale da cui penzolavano spaghi più piccoli, che fissavano con il linguaggio dei nodi i rilievi compiuti da chi li maneggiava. E chi li maneggiava era il quipu-kamayoc, cioè una specie di scriba o di interprete ufficiale che serviva ai funzionari governativi per compiere calcoli e censimenti. Quanto alle comunicazioni, gli Inca ebbero un sistema viario abbastanza efficiente. Due furono le arterie principali: la strada regia o andina (Cápac-nan), lunga 5200 km, che dal limite sett. attraverso l'Ecuador, il Perú, la Bolivia, una fascia dell'Argentina e il Cile fino al Maule, correva lungo la Cordigliera e si concludeva a Purumauca, la stazione più a sud; e la strada costiera, lunga oltre 4000 km, che scendeva da Túmbes, a nord, anch'essa fino al Maule. Poiché non conoscevano la ruota, gli INCA non avevano bisogno di larghi fondi stradali: questi erano percorsi a piedi, sia dalle truppe, sia dai funzionari, sia dai corrieri.

Organizzazione sociale

Lo  Stato inca era basato sulla forza lavoro dei contadini (puric), i quali erano organizzati in gruppi di dieci (o multipli di dieci) famiglie, detti ayllu, diretti da un capo, sinchi, eletto dalla comunità; cento famiglie costituivano un pachaca, con a capo un ayar (nobile), mille (o multipli di cento) famiglie formavano un saya, con a capo un governatore di 2° o di 3° grado (curaca). I saya erano suddivisi in quattro suyu retti da un governatore scelto tra i fratelli dell'inca; ayar e curaca erano scelti sia nel clan dell'inca (ma non fra i suoi consanguinei) sia fra i nobili delle popolazioni soggette. Le terre, i prodotti dei campi, gli animali, i prodotti dell'artigianato e della metallurgia appartenevano all'inca, il quale assegnava a ciascun ayllu, in ragione del numero dei componenti, sia la terra da coltivare sia gli altri beni, in modo che fosse assicurato il minimo necessario. I cittadini avevano gli stessi obblighi, consistenti nel lavoro dei campi, nella tessitura degli indumenti e nelle mita regali (servizio militare, edificazione di strade, templi, fortezze, opere pubbliche). Artigiani e amministratori (quipucamayoc o custodi dei quipu) erano esonerati dalle mita; esonerati erano anche i giovani di nobile stirpe chiamati yanacona, la cui funzione era quella di imparare a conoscere l'organizzazione statale per divenire in seguito ayar e curaca. Le donne più belle e intelligenti venivano mandate in specie di conventi dove imparavano tutte le arti; tra esse (dette acllacunà) venivano designate le “vergini del Sole”, sorta di vestali che custodivano il sacro fuoco e fra le quali l'inca sceglieva le sue concubine. Le popolazioni da poco sottomesse venivano deportate in luoghi molto distanti da quelli di origine e qui educate alla cultura e tradizione inca; al loro posto venivano insediati contadini provenienti da zone politicamente sicure. Tale pratica, detta mitima o delle mitimaes, garantiva la pace nel paese, ma provocò la scomparsa delle culture e delle tradizioni di molte popolazioni preincaiche. Le famiglie dei curaca, dei notabili di Cuzco e del clan degli inca godevano di privilegi economici e sociali ma non avevano alcun potere politico; gli stessi curaca, i generali e i fratelli dell'inca dovevano presentarsi a questo scalzi e con un piccolo fardello sulle spalle in segno di assoluta sottomissione. L'inca, capo politico, religioso e militare, era ritenuto figlio del Sole; secondo altre leggende, di Viracocha; nelle funzioni religiose era coadiuvato da un sommo sacerdote (villac umu) e in quelle militari da generali; guidava personalmente l'esercito, girava il paese tenendo corti di giustizia, controllava l'amministrazione con la massima severità. Per mantenere inalterate le qualità morali, religiose e politiche dell'inca questi aveva l'obbligo di sposare una sorella che prendeva il titolo di coya; l'inca poteva avere un numero illimitato di concubine: i funzionari ne avevano qualcuna, mentre tutti gli altri cittadini dovevano rispettare la più rigorosa monogamia. Il controllo dell'economia era possibile per mezzo di “registri mnemonici”, originali oggetti detti quipu; grazie a questi, che venivano archiviati e conservati con cura a Cuzco, l'inca sapeva di continuo quale fosse la situazione economica e sociale del paese; con questi dava le necessarie disposizioni. I quipu consistevano in una serie di cordicelle, nelle quali venivano fatti un certo numero di nodi (quipu = nodo). Le cordicelle, lunghe da 50 a 60 cm, erano composte di fili di diversi colori attorcigliati insieme, da cui pendevano, come frangia, cordicelle più fini, pure di diversi colori e annodate. I nodi servivano a rappresentare numeri mentre i colori avevano carattere simbolico (bianco = pace; rosso = guerra; ecc.).

Le leggi
Il  controllo statale, svolto da funzionari dipendenti da Cuzco, era assai rigoroso: tutto ciò che veniva prodotto doveva essere immagazzinato, a eccezione di quanto assegnato a ciascun ayllu, nelle città e nei tambo, sorta di magazzini e di alloggi reali posti a distanze fisse (10-12 miglia) lungo le strade. Il sistema di comunicazioni era infatti assai ben sviluppato fra gli Incas: i corrieri (chasqui) percorrevano le strade col compito di portare o far proseguire i messaggi del governo centrale, e indossavano una speciale uniforme. Le leggi erano semplici, severe ma non pesanti; il massimo dei reati, punibile con la morte, era l'attentato ai beni dello Stato e alla religione in quanto considerato attentato alla stessa persona dell'inca. Non esistevano prigioni e la pena capitale era riservata agli alti funzionari e ai nobili secondo il principio che le punizioni più severe dovessero venire applicate in rapporto diretto col grado sociale; pene minori consistevano nella tortura, nella multa, nel rimprovero pubblico. Fin dall'infanzia, a ciascuno era assegnato un compito; i giovani erano educati ad assolvere tale compito e non potevano sperare di cambiare condizione sociale. I matrimoni erano celebrati con grande solennità, ma nessuno poteva scegliersi una moglie al di fuori della comunità cui apparteneva: le nozze erano obbligatorie, giunti a una data età, e la comunità assegnava agli sposi un pezzo di terra per loro e per ciascuno dei figli che man mano nascevano.

L'economia
A partire dal   XV sec. era molto florida: quando giunsero gli Spagnoli i magazzini erano pieni dei vari prodotti dell'Impero e il tenore di vita delle popolazioni era più che sufficiente. L'oro e l'argento, di proprietà esclusiva dell'inca, venivano lavorati da abili artigiani che usavano spesso leghe d'oro con l'argento, il rame, lo stagno; sconosciuti erano gli altri metalli sebbene il paese fosse ricco di giacimenti di ferro, piombo, zinco e altri elementi. La proprietà terriera era basata sul concetto che un terzo del territorio apparteneva al Sole, uno all'inca e uno alla popolazione: questa, pertanto, coltivando la terra, doveva dapprima coltivare la parte del Sole, poi quella dei vecchi, delle vedove e degli invalidi, cioè quella della comunità; quindi poteva occuparsi della propria e poi di quella dell'inca. Imponenti opere pubbliche furono realizzate in meno di cent'anni: strade, ponti, canali (anche sotterranei), estesissimi terrazzamenti agricoli, templi, fortezze, città; l'agricoltura era praticata con la zappa, le edificazioni fatte a secco con pietre squadrate. La tessitura, effettuata con telai a mano, utilizzava lana di lama, alpaca e vigogna e cotone; la ceramica, fatta a mano, era suddivisa in una produzione corrente (oggetti di uso comune) e una artistica. Tra gli oggetti d'arte, notevoli i vasi dai lunghi ed eleganti colli, le coppe, le brocche di ceramica, decorati con disegni geometrici e dipinti con colori vivaci; le coppe, i coltelli, le figurine, i pettorali, gli ornamenti per abiti, gli orecchini, le statue votive in oro puro, in argento e in leghe; le stoffe ricoperte da mosaici di piume e da decorazioni di placche d'oro e d'argento, con le quali si confezionavano mantelli e copricapi. L'allevamento era assai limitato in quanto si prestavano bene solo il lama e l'alpaca, il primo utilizzato pure come animale da soma (anche la lana di tali animali era depositata in magazzini pubblici, e quindi distribuita a cura della comunità); più estesa l'agricoltura che giunse alla domesticazione di molte piante (mais, patata, fagiolo, coca, avocado, arachidi, manioca, pomodoro, quinoa, ecc.) e al dissodamento dei versanti dei monti. Quasi sconosciuta fu la navigazione marina, per lo più effettuata con grosse zattere lungo la costa; nelle acque interne era impiegata la balsa. Le armi usate erano la fionda e la mazza, sconosciuti le armi da taglio e l'arco.

 

RELIGIONE

Il sistema religioso che edificava e sosteneva la struttura imperiale degli INCA si configura come un politeismo orientato dal culto del dio-Sole Inti, quasi una personificazione divina dell'Impero. A Inti si offrivano quotidianamente pasti e sacrifici di lama. Solstizi ed equinozi erano alla base di un calendario festivo tipicamente solare. In tutti i templi Inti aveva qualche forma di venerazione, tanto che ai primi cronisti spagnoli ogni tempio apparve come un «tempio del Sole» per antonomasia, e ogni sacerdote come «sacerdote del Sole». I cronisti spagnoli chiamarono anche «vergini del Sole» certe fanciulle adibite a varie funzioni sacrali pubbliche strettamente connesse con la regalità: denominazione che non traduceva né la denominazione indigena (acllacuna, «donne scelte», le «elette») né la concezione inca. A capitale dell'Impero sorgeva il più importante tempio del Sole, il cosiddetto Coricancha, dove ardeva un fuoco solare perenne. Il Coricancha era una specie di Pantheon che accoglieva tutte le divinità ufficialmente riconosciute, le tradizionali divinità inca, e quelle delle varie popolazioni sottomesse: Illapa («Tuono-Lampo»), un dio comune a tutta la regione andina; Pachacamac, una specie di Essere Supremo della costa centr., immesso dalla conquista inca nel novero degli dei governati da Inti; una serie di «madri» divine: Madre Luna (Mama Quilla) sposa di Inti, Madre Mare (Mama Cocha) evidentemente connessa con un'esperienza ignota agli INCA fino alla conquista della regione costiera, Madre Terra (Pacha Mama) importante dea pan-peruviana, e Madre Mais (Mama Sara) che, nel culto privato, poteva anche identificarsi con singole piante di mais eccezionalmente cresciute. Oltre agli dei veri e propri, il Coricancha accoglieva anche certi oggetti venerati, detti huaca, che, in un certo senso, avevano la capacità di concentrare in sé la sacralità dei territori conquistati, da cui essi provenivano. Si potrebbe dire che li rappresentavano sul piano della religione, confermando alla città di Cuzco che li ospitava il ruolo di capitale dell'impero. Genericamente col termine huaca si designavano cose (immagini, pietre, alberi, ecc.), luoghi (sorgenti, alture, ecc.) ed edifici (cappelle, tombe, ecc.) considerati «sacri» o sedi di manifestazioni del «sacro». Rispetto al culto delle innumerevoli huaca locali, che a livello religioso poteva compromettere l'unità dell'impero, si ebbero due atteggiamenti ufficiali: da un lato si cercò di assorbire le huaca più importanti, accogliendole materialmente o simbolicamente nel Coricancha, sotto la giurisdizione del dio Inti; dall'altro si cercò di distruggere le restanti, come fece il nono imperatore, Pachacútec («Riformatore del Mondo»), detto per questo «nemico delle huaca». All'edificazione religiosa dell'impero si opponevano, oltre allo huaca, anche i culti degli antenati locali, per la loro capacità di realizzare un gruppo umano vincolato dal culto di un antenato comune (ayllu), e perciò stesso svincolato, entro certi limiti, dalla più vasta comunità costituente l'impero. L'impero mantenne gli ayllu, ma li privò delle loro caratteristiche «etniche» e religiose. L'impero si suddivise in due metà, la «superiore» e la «inferiore», a loro volta suddivise in due sezioni: si ebbero così quattro seyu, determinati da due linee ideali intersecantesi a Cuzco, che diventava il centro culturale comune, un mondo aperto alla conquista o da recepire nello schema quadripartito dell'impero, detto «Terra delle Quattro Regioni» (Tahuantinsuyo). L'inca, l'imperatore, risiedente a Cuzco, era il «figlio del Sole» (Intip churin), un dio vivente. Della sua stessa famiglia era il sommo sacerdote, il villac umu. In questo processo unificatore va vista anche la riforma religiosa dell'ottavo imperatore Pachacútec, che introdusse il culto di Viracocha e ne assunse il nome. Viracocha era un eroe culturale delle popolazioni andine, o forse un «creatore ozioso», ricordato in vari miti ma mai fatto oggetto di culto. I suoi primi e unici templi furono appunto eretti da Pachacútec, che assegnò a Viracocha il carattere di «padre» universale, sostituendo i singoli «antenati» dei vari gruppi etnici. Con l'acquisizione di Viracocha nacquero complesse elaborazioni teologiche (tra cui si ricorda l'investitura della sovranità, trasmessa da Viracocha a Inti e da Inti all'imperatore e le formule per cui ogni sacrificio solare diventava un'offerta a Viracocha nel nome di Inti), che si espressero talvolta in preghiere-inni di elevato valore spirituale ed estetico.
Il  pantheon inca era assai limitato: il dio supremo era Viracocha, il creatore della Terra, del Sole, della Luna e di tutti gli esseri viventi: il suo culto era però poco diffuso, tanto che nel periodo finale del regno era divenuto una specie di filosofia seguita dai nobili. Più venerate furono le dee della Terra (Pachamama), del mais (Mamasara), della Luna (Mamaquilla), del Mare (Mamacocha), il Tuono (Illapa) e soprattutto il Sole (Inti), che era considerato il progenitore degli inca. Oltre a queste divinità erano ammessi gli dei delle popolazioni sottomesse, i cui culti erano però locali. Agli dei venivano dedicati luoghi sacri (huaca) e ai più importanti furono eretti templi; il culto era amministrato da una classe di sacerdoti diretti da un sommo sacerdote (villac umu) soggetto solo all'inca; costoro provenivano tutti solo dal clan dell'inca mentre i sacerdoti delle divinità minori locali erano tratti da gente di basso rango non mantenuta dallo Stato. Monaci e monache custodivano i templi e dovevano seguire una rigorosa castità, pena la morte. Agli dei, soprattutto al Sole, venivano offerti sacrifici di animali domestici; eccezionale era il sacrificio umano; cerimonie sacre segnavano l'inizio dell'anno agricolo mentre in ciascun mese ricorrevano feste legate per lo più con l'attività agricola (festività massima era quella del raymi, al solstizio d'estate). Diffusa era anche la previsione del futuro, fatta da sacerdoti che compivano la loro pratica invocando gli spiriti col fuoco o interpretando gli schemi suggeriti dalle viscere di animali. Esistevano indovini che pretendevano di interpretare la voce degli dei che secondo le leggende parlavano dagli huaca; stregoni, guaritori e medici erano addetti alla cura delle malattie, che si ritenevano fossero in parte causate da peccati commessi dall'individuo, in parte dovute a oggetti estranei immessi per magia nel corpo dell'ammalato, in parte prodotte da cause accidentali. La scienza medica, soprattutto la chirurgia, era prerogativa dei sacerdoti, che lasciavano agli altri la cura dei mali di origine magica; in ciò gli Incas si rivelarono più pratici degli altri popoli precolombiani ottenendo guarigioni con metodi e pratiche quasi scientifici (uso del chinino, degli alcaloidi, di erbe mediche, operazioni chirurgiche, ecc.).

ARTE

 

Gli Iinca lasciarono tracce notevoli della loro presenza in tutte le aree in cui si diffusero. Restano ovunque molte costruzioni, in adobes sulla costa e in pietra sull'altopiano, che presentano sempre caratteristiche aperture trapezoidali. Nella zona di Cuzco si costruiva con grandi blocchi di pietre poligonali (bastioni, muri di sostegno) oppure con blocchi di pietra rettangolari (edifici). L'architettura incaica è visibile in tutta la sua mole e bellezza a Machu Picchu, città riscoperta nel 1911 da Hiram Bingham. La ceramica incaica lucida e policroma produsse vasi e altri recipienti di eccellente fattura. Per quanto riguarda la metallurgia, l'innovazione più importante fu la diffusione dell'uso del bronzo in tutto l'impero, ma gli oggetti più belli (figurine, ornamenti, oreficerie varie) sono in oro e in argento; la produzione dovette essere abbondantissima e di valore inestimabile (si pensi al famoso giardino annesso al Tempio del Sole di Cuzco, con riproduzioni in oro di figure di divinità, di animali e di piante), ma venne in gran parte distrutta dagli Spagnoli. Opere pregevolissime furono realizzate dagli artigiani di corte non solo nel campo dell'oreficeria e della ceramica, ma anche in quello della tessitura e della glittica.

 

LA CULTURA

Gli Incas non elaborarono alcun metodo di scrittura, sebbene possedessero un ricco patrimonio di letteratura orale. Esistevano due mezzi di diffusione della cultura: quello popolare era costituito da bardi tradizionali, gli haranec, che istruivano collettivamente i giovani del villaggio e cantavano al popolo le gesta degli inca e i grandi avvenimenti del paese; quello ufficiale era costituito dagli amauta, letterati stipendiati dallo Stato i quali si limitavano a istruire e preparare i figli dei nobili e dei curaca; il “maestro” di questi letterati presiedeva all'educazione del futuro inca. A costoro si devono, forse, le opere posteriormente trascritte in lingua quechua, fra le quali alcuni drammi destinati alla recitazione all'aperto; fra questi, il più significativo è l'Ollantay (che per la presenza del coro ricorda il dramma greco), drammatica storia d'amore nella quale viene ricordata la creazione del mondo e degli Incas a opera di Viracocha. Poco noto è il calendario usato dagli Incas; si sa che contemplava la suddivisione dell'anno in dodici mesi corrispondenti ciascuno a una lunazione; ogni tre anni sembra che venisse inserito un mese supplementare per compensare lo scarto in meno rispetto all'anno tropico. Ogni mese aveva un nome particolare riferito ai riti religiosi e alle pratiche agricole.
Opera fondamentale sulla civiltà incaica e soprattutto sulla conquista dell'Impero inca da parte degli Spagnoli rimane ancora oggi quella di W. H. Prescott (Conquest of Peru, 1847), che si basò a sua volta su alcune opere tuttora preziose sull'argomento: Relación de la sucesión y gobierno de los Yngas di Juan de Sarmiento, presidente del Consiglio delle Indie (seconda metà del   XVI sec.); Relaciones di Polo de Ondegardo (1561-1571); Comentarios reales di Garcilaso de la Vega (Lisbona, 1609); Relaciones del descubrimiento y conquista de los Reynos del Peru di Pedro Pizarro (1571); ecc.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/biglele85/materiale/3a%20Elettronica/ricerca%20%CCnca.doc

Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/biglele85/

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