Italia - Età Giolittiana

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Italia - Età Giolittiana

ITALIA - LA SINISTRA STORICA E L’ETA’ GIOLITTIANA

 

1861 – 1876    Destra Storica
1873 – 1896    Grande Depressione
1876 – 1896    Sinistra Storica
1896 – 1900    Crisi sociale
1901 – 1914    Età giolittiana

 

  1. L’Italia dopo la Destra Storica

Difficile trasformazione dello Stato liberale italiano in senso democratico a causa di:

    • lento sviluppo della società italiana
    • squilibri regionali
    • ristrettezza classe politica

In conseguenza di questo i movimenti popolari - anarchici, socialisti, cattolici (per il papato lo Stato liberale è illegittimo: presa di Roma, 1870) – sono per abbattere lo stato liberale più che per sostenerlo.
Questa situazione porta la classe liberale a usare leggi speciali nell’ultima parte dell’Ottocento per affermare uno Stato forte (il culmine di tale linea si avrà con Crispi).
Solo con Giolitti lo stato liberale si aprirà in parte alle esigenze dei movimenti popolari.

 

  1. De Pretis (1876-1887)

Sinistra Storica: programma riformatore, ma scarsa azione politica, poiché la coalizione di forze raggruppate nella sinistra sono così eterogenee da essere divise da contrasti ideologici profondi che impediscono ogni efficace intervento di riforma.
Sostegno: borghesia del Sud (proprietari agricoli), borghesia del Nord (industriale, anticlericale), ceti industriali e finanziari

Dal bipartitismo si passa dunque:

  • al trasformismo (cambiamento di posizione a seconda degli interessi da assecondare e delle fazioni da sostenere)
  • al parlamentarismo (il parlamento degenera ad arena per le lotte tra individui e gruppi per affermare gli interessi dei singoli)
  • alla dittatura parlamentare (il capo di governo è in grado di ricattare i gruppi parlamentari imponendo la propria linea in modo dittatoriale: De Pretis, Crispi, Giolitti)

Tuttavia vengono attuate delle riforme da De Pretis:

  • legge Coppino sull’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione primaria (1877)
  • estensione del diritto di voto (dal 2% al 7%; 1881)
  • forte accentramento dell’amministrazione statale

Cui subentra però una svolta conservatrice dopo il 1882 per influenza dei latifondisti meridionali, degli ambienti finanziari, della corte reale.

  • Vittorio Emanuele II muore nel 1878, gli succede Umberto I (1878-1900)

 

In questo contesto, il governo De Pretis si trova di fronte a un duplice fattore di crisi:

  • la crisi agraria – denunciata dall’inchiesta Jacini (1886): latifondismo al Sud; l’Italia è un Paese agricolo (45% della produzione a fine Ottocento deriva dall’agricoltura); braccianti meridionali poveri e senza terra; risentono della crisi della grande depressione; mancanza di innovazione nel Meridione vs rivoluzione agraria al Nord (macchine, concimi chimici, rotazione delle colture)
  • la questione meridionale – denunciata dagli scritti di Sonnino e Villari: già presente con la Destra Storica, diviene il problema più urgente del dopo-unità, evidenziando come il Sud e il Nord viaggino a due velocità e come le disparità socio-economiche nelle due parti del Paese siano una forbice che va sempre più allargandosi.

La sinistra tenta qualche riforma (abolizione della tassa sul macinato) ma senza riuscire a incidere in maniera efficace nella crisi sempre più profonda.
Anzi, il protezionismo doganale (1887) adottato per tutelare i prodotti agricoli (soprattutto del Sud) provoca la reazione della Francia che inasprisce i dazi doganali colpendo duramente le importazioni di vino e agrumi dal Meridione. L’ostilità contro la Francia si trasforma da scelta economica a strategia politica, accrescendo lo spirito nazionalista in Italia (n.b. – le spese militari toccano quasi il 30% del bilancio statale)
Vista la crisi agraria, si tenta il rilancio dell’industria: impronta statalista al sistema industriale italiano, favoritismi a famiglie e gruppi imprenditoriali, legami con le banche (1895 – fondazione della Banca Commerciale Italiana).
1882 – Triplice Alleanza tra Italia, Germania e Austria: in Italia si diffonde la cultura filotedesca dello Stato forte, del nazionalismo e dell’imperialismo

 

  1. Crispi (1887-1896)

Crispi si presenta come il Bismarck italiano. Ex-repubblicano convertitosi alla monarchia, forte nazionalista.

Il suo governo si apre con la crisi economica per

  • la guerra doganale con la Francia
  • i tracolli bancari e i problemi finanziari

Malcontento e crisi sociali: si formano i fasci siciliani di resistenza (braccianti agricoli).
Nasce il Partito Operaio (1882)

Altro movimento popolare molto attivo sono i cattolici, divisi in:

  • Intransigenti: seguono alla lettera il “Non expedit” si Pio IX (1874), evitando di partecipare alla vita politica dello stato liberale, cui si oppongono fieramente; si riuniscono in una organizzazione nazionale detta “Opera dei Congressi” (1875).
  • Transigenti: sono i cattolici che sarebbero anche favorevoli a una alleanza con i liberali moderati, poiché ritengono possibile una conciliazione tra Stato e Chiesa. Con la salita al soglio pontificio di papa Leone XIII (1878) la Chiesa riduce la sua ostilità allo stato liberale; sono i cattolici che – soprattutto al nord – scelgono di impegnarsi nel sociale più che nel politico, dando vita ad associazioni di mutuo soccorso, casse rurali.

I cattolici si oppongono al governo (Crispi è massone, Zanardelli è anticlericale) e ne causano la crisi nel 1891: cade Crispi (tra gli altri, gli succede Giolitti).

 

1891 – “Rerum Novarum”, enciclica sociale di Leone XIII
1892 – A Genova nasce il PSI
La Democrazia Cristiana si pone come movimento sociale di riferimento per i cattolici (Toniolo)
I Fasci siciliani fanno sì che i Socialisti trovino un valido appoggio in tutti i ceti oppressi, dal Nord al Sud.
In questa situazione di tensioni dal basso (cattolici e socialisti) Crispi trova l’occasione per tornare al potere con una dura repressione dei moti popolari (1894).
Per accrescere il suo prestigio inaugura la politica coloniale italiana:

  • 1890, fondazione della colonia d’Eritrea (con il placet dell’Etiopia)
  • 1896, gravissima sconfitta di Adua, nel tentativo di conquistare l’Etiopia: Crispi è costretto a dimettersi e si apre una profonda crisi.

 

  1. Crisi dello Stato Liberale (1896–1900)

In questo momento di crisi “popolare”, i liberali si oppongono a ogni richiesta di riforme “dal basso”: Sonnino – “Torniamo allo Statuto” - vorrebbe conferire il potere esecutivo interamente al Re, riducendo il Parlamento a mera funzione consultiva (come inizialmente prevedeva lo Statuto Albertino del 1848), affermando l’idea dello Stato forte tramite un forte potere monarchico.

L’aumento dei prezzi di fine ‘800 porta ai moti popolari in tutta Italia.
1898 – il Gen. Bava Beccaris spara cannonate sulla folla per soffocare i moti di Milano
I movimenti popolari (repubblicani, socialisti e cattolici) vengono repressi con arresti e leggi speciali
La sinistra all’opposizione attua la politica dell’ostruzionismo (lunghissimi discorsi per paralizzare il parlamento) e costringe il governo a nuove elezioni nel 1900.
1900 – A Monza, l’anarchico Bresci uccide re Umberto I per vendicare i morti di Milano

Novità di fine secolo: i movimenti popolari (Socialisti in parlamento, DC al di fuori), tradizionalmente oppositori dello stato liberale, divengono i difensori delle libertà costituzionali (lese dalla dura repressione del governo).
I cattolici si dividono tra chi vorrebbe appoggiare il PSI e chi invece i liberali moderati. Emerge la figura di Don Sturzo.

 

  1. L’età giolittiana (1901-1914)

Sale al trono Vittorio Emanuele III (1900) che riconosce l’esito delle elezioni del 1900 e nomina primo ministro Giovanni Giolitti (1901-1914)

Giolitti sostiene un liberalismo riformista (vs Crispi)
Il suo successo è dovuto a:

  • buona congiuntura economica
  • debolezza della classe politica di massa (socialisti e cattolici)
  • trasformismo

Sostiene il principio del non-intervento dello Stato nelle lotte tra capitale e lavoro
Accoglie alcuni punti del programma socialista (libertà di stampa e associazione): il PSI si presenta come l’unica forza politica organizzata, mentre i partiti risorgimentali sono in crisi (Liberali e Repubblicani).
Il PSI si divide tra chi vuole il programma massimo (abbattimento dello stato liberale, rivoluzione) e chi il programma minimo (riforme graduali). Turati pensa invece che solo adottando prima il programma minimo si possa sperare di giungere poi al programma massimo.
In particolare, il PSI si divide in:

  • riformisti italiani (come Bernstein in Germania): auspicano un regime democratico per trasformare il parlamento in strumento di riforme popolari
  • sindacalisti rivoluzionari: non credono alla lotta parlamentare ma solo alla sciopero generale: questa strategia indebolisce però la sinistra al governo, rafforzando invece i riformisti.

1906 – Nasce la Confederazioni Generali del Lavoro (CGL)

Rispetto ai cattolici, Giolitti vuole servirsene come

  • serbatoio di voti
  • supporto allo stato liberale

Convinto che Stato e Chiesa siano due parallele destinate a non incontrarsi mai, abbandona il tradizionale anticlericalismo della sinistra storica.

1903 – Diventa papa Pio X (1903-1914): vs modernismo (impegno politico diretto dei cattolici); scioglie l’Opera dei Congressi (1904) e i cattolici, privi di una propria realtà organizzativa autonoma, sono spinti ad appoggiare i liberali (è l’inizio delle alleanze clerico-moderate, che dal 1904 caratterizzano l’azione politica cattolica, culminando nel “Patto Gentiloni” del 1913).
Don Sturzo si distingue da questo orientamento, auspicando per la DC il ruolo di forza politica autonoma alternativa a quella liberale.

1905-1909 - Il governo Giolitti raccoglie i migliori risultati:
- 1905: nazionalizzazione delle Ferrovie
- riforme del lavoro (riposo festivo obbligatorio, abolizione turni notturni per donne e bambini)
- consolidamento della lira
- la produzione industriale cresce del 12% annuo (ma il 45% deriva dall’agricoltura)
- 1895: fondazione Banca Commerciale Italiana (sostegno statalista alle industrie italiane: lo sviluppi è viziato dai rapporti tra banche e aziende; nascono i grandi trust)
- boom delle grandi industrie: FIAT (1899, Torino, automobili), BREDA (Milano, ferroviaria), ANSALDO (Genova, navale-siderurgica), PIRELLI (Milano, chimica)

Però punti deboli e fattori di crisi non mancano:

  • mercato interno limitato e ceto contadino in condizioni di sottosviluppo

la migrazione è una via d’uscita: nel 1913 un milione di Italiani lascia la patria per l’America, privilegiando gli Usa (dopo che a fine ‘800 l’Argentina era la meta di riferimento per migrazioni stagionali dall’Italia). New York è la quarta città “italiana” dopo Torino, Milano, Napoli

  • protezionismo doganale e rapporti banche/industrie
  • concentrazione delle industrie al Nord (Triangolo TO-MI-GE) a discapito del Sud

Giolitti incontra l’opposizione di:

  • liberisti (si oppongono al protezionismo; liberali, come Einaudi, e socialisti, come Salvemini)
  • meridionalisti (sostengono la necessità di affrontare la questione meridionale come primo compito del governo; cattolici come don Sturzo e socialisti come Salvemini)

Giolitti si limiti ad approvare alcune leggi speciali per il Sud (statalismo), lasciando però intatta la situazione (latifondo)
1909 – Inizio della crisi di Giolitti: si rafforzano le posizioni dei socialisti e Giolitti si vede costretto ad accettare le pressioni dei nazionalisti in favore del colonialismo.
Nazionalisti: imperialisti, protezionisti, bellicisti, aristocratici (Futurismo: “La guerra è la sola igiene del mondo”)
1911-1912: Campagna di Libia. Dichiarata guerra alla Turchia, la Libia è conquistata al termine di una guerra lunga e faticosa.

(A1) Nazionalisti e
(A2) Socialisti rivoluzionari (corrente del PSI che prende piede opponendosi alla guerra in Libia; guidati da Benito Mussolini, direttore del giornale “Avanti!” del PSI: antimonarchico, anticlericale, antigiolittiano)
si oppongono a
(B1) Socialisti riformisti e
(B2) Liberalismo democratico (Giolitti)

Giolitti concede il suffragio maschile universale (1912): visto come regalo al PSI e minaccia per i liberali.
La posizione di Giolitti si indebolisce ulteriormente quando vede il suo governo “salvato” dall’appoggio dei cattolici in favore dei liberali in cambio di un accordo per una linea politica non anticlericale (“Patto Gentiloni” del 1913).
Giolitti cede il governo al conservatore Salandra (1914)

Giugno 1914: La CGL promuove scioperi nazionali, soprattutto in Romagna e Marche (“Settimana Rossa” di Ancona), guidati dal socialista Mussolini e dal repubblicano Nenni.
Repressi ferocemente i moti popolari seguiti agli scioperi, in meno di un mese scoppia la Prima Guerra Mondiale.

 

 

 

Il protezionismo non protegge niente, semmai procura danni
Da rivista on-line “l'Occidentale” articolo di Piercamillo Falasca - 18 Maggio 2009


Quando i governi chiudono i mercati interni imponendo dazi sull’importazione o inventandosi barriere di altra natura, il danno è enorme: per i consumatori finali, si rendono più costosi i beni importati (i più poveri dovranno rinunciare ad acquistarli); per le imprese che importano semilavorati, questo rappresenta un aumento dei costi di produzione.

Se c’è una regola in economia in cui credere fermamente, è quella secondo cui nelle fasi recessive aumenta la domanda di protezionismo.

La “paura del prodotto straniero” striscia costantemente nella società, crisi o non crisi, ed è una variante della paura dello straniero. Ma è durante i periodi di difficoltà economica, quando sono a rischio i posti di lavoro e la sopravvivenza stessa di aziende e interi comparti industriali, che la paura si esaspera ed alimenta la caccia agli untori, attività in cui la politica solitamente eccelle. Ben sapendo – perché ormai è un dato acquisito, incontrovertibile, non confutabile – che il protezionismo non protegge assolutamente nulla.

Quando i governi chiudono i mercati interni imponendo dazi sull’importazione o inventandosi barriere di altra natura, il danno è enorme: per i consumatori finali, si rendono più costosi i beni importati (i più poveri dovranno rinunciare ad acquistarli); per le imprese che importano semilavorati, questo rappresenta un aumento dei costi di produzione. Più in generale, inibendo la pressione competitiva internazionale, il protezionismo contribuisce a far calare l’efficienza, la creatività e l’innovazione di un sistema economico, lasciando in vita aziende e comparti ormai decotti e “bloccando” risorse che andrebbero invece orientate verso impieghi più produttivi.

Insomma, si toglie la libertà agli individui di scegliere tra il burro italiano e quello neozelandese, ma soprattutto si distorce l’evoluzione del sistema produttivo: sarà un caso che le grandi dittature del secolo scorso sono state, anzitutto, protezioniste?

In giro per il mondo, e soprattutto negli Stati Uniti obamiani scossi dalla crisi economica, cresce la domanda di protezionismo, ma soprattutto aumenta la tentazione della politica di assecondarne il sentimento. Anche se questo, come sempre è accaduto, dovesse provocare una guerra commerciale, perché a protezionismo i governi solgono rispondere con protezionismo.

Pochi credono ad un ritorno ai dazi punitivi della Grande Depressione, ma in tanti temono che possa avvenire su scala globale ciò che una decina di anni fa è accaduto durante la crisi del sud-est asiatico, quando alcuni paesi dell’area risposero alla recessione con misure protettive e i paesi più avanzati reagirono inasprendo le norme anti-dumping. Questa volta potrebbe essere anche peggio: India e Russia hanno già alzato alcune barriere regolatorie, il numero di contenziosi anti-dumping cresce costantemente, in giro per gli Stati Uniti amministrazioni statali e locali chiedono a fornitori canadesi di sottoscrivere l’impegno ad utilizzare solo materiale made in USA. E, come dicevamo poc’anzi, le reazioni non tardano ad arrivare: in teoria dei giochi si parla di “tit for tat”, colpetto per colpetto.

La Banca Mondiale ha recentemente evidenziato che 17 dei 20 membri del G-20 hanno adottato misure restrittive sul commercio, nonostante i proclami di difesa del libero scambio lanciati duranti gli incontri ufficiali del gruppo. Più che di dazi, in particolare, il nuovo protezionismo pare vivere di regulation: standard sanitari e di sicurezza, barriere tecniche, licenze, requisiti di ogni genere. E poi, aiuti di Stato condizionati al rispetto della “nazionalità”. Interventismo chiama protezionismo e viceversa.

Il principio del “buy American” porta il protezionismo nel cuore del mondo libero. Per salvare o creare qualche migliaio di posti di lavoro, gli Stati Uniti innescano la miccia di una guerra commerciale estremamente pericolosa e stupida proprio dal punto di vista occupazionale: come hanno calcolato gli analisti del Peterson Institute for International Economics, per ogni punto percentuale in meno di esportazioni, gli Stati Uniti rischiano 6500 posti di lavoro. Dal cuore del grande impero dell’integrazione, dell’apertura e della libertà di scelta, rischia di arrivare un segnale cupo di miope irresponsabilità degno della peggiore Europa ante-guerra. E in pochi mesi, si rischia di vanificare uno straordinario processo pluridecennale di sempre maggiore apertura e condivisione del benessere.

Proprio ora che avremmo bisogno dell’abbattimento delle barriere e di un ciclo di liberalizzazione economica per incoraggiare la ripresa economica e l’uscita dalla crisi.

Il protezionismo, dicevamo, è una costante dei regimi autoritari. Oggi in Occidente non c’è fascismo, nazismo o comunismo, ma c’è un “ismo” spettrale altrettanto letale che si aggira per il mondo: il populismo.

 

 

Fonte: https://calamandreicorsoct.files.wordpress.com/2009/10/la-sinistra-storica-giolitti-il-protezionismo-oggi.doc

Sito web da visitare: https://calamandreicorsoct.files.wordpress.com/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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