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Quando il tiranno di Siracusa, Agatocle, morì nel 289 a.C., un gruppo di mercenari italici, rimasti senza lavoro, l'anno successivo conquistò Messina. Crearono una loro struttura statale e si autonominarono Mamertini (probabilmente dal nome di Marte - dio della guerra). Dalla base di Messina saccheggiavano il territorio circostante, diventando ben presto un serio problema per Siracusa. I siracusani si affidarono, allora, a Gerone che, riorganizzato l'esercito mercenario, dopo alterne vicende, riuscì a sconfiggere i Mamertini a Milazzo e pose Messina sotto assedio. Per questa azione bellica Gerone fu nominato re nel 265 a. C. I Mamertini, a quel punto, consapevoli di avere bisogno di aiuto, inviarono contemporaneamente due delegazioni, una a Roma e l’altra a Cartagine, le due sole potenze in grado di sostenere un attacco alla potente Siracusa. Se Cartagine era interessata a chiudere la partita con Siracusa per conquistare finalmente l'intera Sicilia, Roma, che ormai dominava su tutti i popoli italici, mirava a soccorrere e a porre sotto la propria tutela anche i Mamertini, che erano italici. All'inizio, tuttavia, Roma non gradiva l'idea di aiutare un gruppo di militari che perseguivano una guerra "ingiusta", poiché si erano impadroniti di una città che non apparteneva loro. Per queste ragioni fu Cartagine la prima a rispondere: inviò truppe che conquistarono Messina e allestì alcune navi pronte a salpare nel porto, a meno di tre miglia dalla costa italiana. Probabilmente fu questo il fattore che convinse i romani ad intervenire a propria volta: la presenza di forze cartaginesi in zone troppo vicine al territorio romano e per di più orientate al controllo totale della Sicilia che, a sua volta, controllava il passaggio fra le due parti del Mediterraneo, quella orientale e quella occidentale. Roma, allora, costituì un'alleanza con i Mamertini e l’anno seguente (264 a.C.) inviò truppe in Sicilia: era la prima volta che forze romane uscivano dalla penisola italiana. Gerone II, innaturalmente alleato a Cartagine, dovette fronteggiare le legioni di Valerio Messalla, ma perse. Venne stipulata una pace, le cui condizioni prevedevano che il tiranno di Siracusa versasse 100 talenti e divenisse un fedele alleato di Roma, a cui doveva fornire aiuti, soprattutto grano e macchine da guerra. A questo punto rimanevano in campo solo gli eserciti dei Romani e dei Cartaginesi, a contendersi il possesso della Sicilia, grande produttrice di grano e testa di ponte di entrambe le potenze per il controllo commerciale e militare del Mediterraneo centrale.
Ebbe dunque inizio la prima guerra punica, che infranse i trattati stipulati in passato dalle due città e pose fine ad una plurisecolare amicizia.
La guerra si combattè prevalentemente in Sicilia, regione dal territorio aspro e collinoso, con ostacoli geografici e dove è difficile mantenere le linee di comunicazione. La guerra terrestre, quindi, che Roma conosceva bene, giocò un ruolo secondario nella prima guerra punica. Le operazioni rimasero confinate ad alcune scaramucce fra le forze in campo, con solo qualche vera battaglia. In genere si assistette ad assedi e blocchi di comunicazioni che furono le sole operazioni degli eserciti. Lo sforzo maggiore fu posto nei tentativi di chiudere i porti principali, in quanto i due contendenti erano entrambi nella condizione di dover rifornire le truppe di viveri, materiali ed effettivi, non avendo nessuna delle due città vere e proprie basi militari in Sicilia.
Ciononostante, almeno due battaglie importanti furono combattute durante questa guerra. Nel 262 a.C. Roma assediò Agrigento in un'operazione che coinvolse entrambi gli eserciti consolari per un totale di quattro legioni (circa 20.000 legionari e 2.000 cavalieri) e che tenne campo per molti mesi. La guarnigione cartaginese di Agrigento riuscì, tuttavia, ad ottenere i rinforzi richiesti, guidati da Annone. I romani passarono quindi da assedianti ad assediati e, perso il supporto di Siracusa, dovettero costruire un vallo per difendersi dalle sopraggiungenti forze cartaginesi. Dopo alcune schermaglie si venne a una vera battaglia, vinta dai Romani, che conquistarono Agrigento.
La seconda operazione terrestre significativa fu quella di Marco Attilio Regolo, che venne però combattuta in Africa. Fra il 256 a.C. e il 255 a.C., infatti, Roma tentò di portare la guerra direttamente sul territorio del nemico. Per l’occasione fu costruita una grande flotta che serviva sia per il trasporto delle truppe e dei rifornimenti sia per la protezione dei convogli. Cartagine cercò di fermare questa operazione, ma venne sconfitta nella Battaglia di Capo Ecnomo, in Sicilia (256 a. C.), la più grande battaglia navale dell’antichità, che aprì la strada ai Romani verso le coste africane. Le legioni di Attilio Regolo sbarcarono in Africa senza grosse difficoltà e iniziarono a saccheggiare il territorio per costringere l'esercito cartaginese ad entrare in azione. Questa campagna ebbe risultati contrastanti. All'inizio Regolo vinse l'esercito cartaginese nella battaglia di Adys (256 a. C.), forzando Cartagine a chiedere la pace. Tuttavia le condizioni di pace furono così dure che i negoziati fallirono e Cartagine riuscì a fermare l'avanzata romana. I Cartaginesi sconfissero Regolo nella battaglia di Tunisi (255 a. C.) e lo catturarono. L'invasione romana dell'Africa si concludeva, dunque, con un sostanziale insuccesso.
Fallito in tentativo da parte di Roma di spostare la guerra in Africa, nel 254 a. C. si tornò a combattere in Sicilia. Nel 249 a.C. Cartagine inviò sull’isola il generale Amilcare (il padre di Annibale), che riuscì a porre sotto il proprio controllo gran parte dell’entroterra. Poiché l’esercito romano non riuscì mai a sconfiggere definitivamente quello di Amilcare in campo aperto, la guerra doveva risolversi in mare.
A causa delle difficoltà di operare in Sicilia, la maggior parte della prima guerra punica, comprese le battaglie più decisive, fu combattuta in mare, uno spazio ben noto alle flotte cartaginesi che da secoli imponevano il loro predominio e che permetteva loro di bloccare i porti nemici con il conseguente mancato rinforzo per le truppe a terra. Entrambi i contendenti dovettero investire pesantemente nell'allestimento delle flotte e questo diede fondo alle finanze pubbliche sia di Roma che di Cartagine. Roma, però, all'inizio della prima guerra punica, non aveva alcuna esperienza di guerra navale. Dominando da secoli in terra italica con le sue legioni, non aveva mai avuto necessità di una flotta. In quella circostanza, però, il Senato capì immediatamente quanto fosse importante nel prosieguo del conflitto conseguire il controllo del Mediterraneo centrale. Perciò, dopo la battaglia di Agrigento del 261 a.C., vinta dai Romani, venne allestita la prima grande flotta romana. Poiché Roma non possedeva alcuna conoscenza della tecnologia navale, costruì la propria flotta prendendo a modello le triremi e le quinqueremi cartaginesi che aveva catturate. Per compensare la mancanza di esperienza nelle battaglie navali, Roma sviluppò, poi, una tecnica di combattimento che le permetteva di sfruttare la conoscenza delle tattiche di combattimento terrestri in cui era maestra. Le navi romane furono per questo equipaggiate di uno speciale congegno d'abbordaggio: il corvo. Si trattava di una specie di ponte levatoio girevole, che agganciava le navi nemiche e consentiva ai soldati di salire a bordo, permettendo così alla fanteria di combattere come se si trovasse sulla terraferma. L'efficienza dei corvi fu provata per la prima volta nella battaglia di Milazzo (260 a. C.), nella quale Roma superò il nemico.
Nonostante i Romani avessero conseguito diverse vittorie navali, furono costretti più volte a rinforzare o addirittura ricostruire la flotta a causa di gravi perdite, dovute soprattutto al maltempo. Alla fine, però, la battaglia che assegnò la vittoria ai Romani fu combattuta proprio per mare: le navi romane sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo, sbaragliarono la flotta cartaginese al largo delle isole Egadi (10 marzo 241 a. C.). Cartagine, persa la maggior parte delle navi, fu economicamente incapace di varare un'altra flotta o di trovare nuovi equipaggi. Senza navi che gli consentissero i collegamenti con la madrepatria, Amilcare fu costretto ad arrendersi.
Benché sia quasi impossibile determinare le perdite per i due contendenti, si consideri che:
La conclusione a cui si giunge è che entrambe le parti persero moltissimi uomini. Lo storico Polibio sostiene che la prima guerra punica fu la peggiore fra le guerre fino ad allora combattute, perché in essa morirono migliaia di uomini. Considerando i dati del censimento romano del terzo secolo, possiamo ipotizzare che durante il conflitto Roma abbia perso circa 50.000 cittadini, senza contare le truppe ausiliarie e ogni altro partecipante al conflitto che non avesse avuto il rango di civis romanus, poiché di questi ultimi le perdite non sono determinabili.
Le condizioni poste da Roma a Cartagine furono particolarmente dure. Cartagine doveva:
Altre clausole specificavano che:
Questo impediva ai Cartaginesi, che facevano largo uso di mercenari, di accedere, attraverso le forze mercenarie arruolate dai Romani, alla tecnologia e alla superiore tecnica militare romana.
Forse il risultato politico più immediato e rilevante della prima guerra punica fu la perdita del primato marittimo da parte di Cartagine. Le condizioni poste da Roma ne compromisero la situazione economica e impedirono la rinascita della città. Le indennità richieste dai vincitori causarono, infatti, un aggravio ulteriore per le finanze dello Stato e spinsero i Cartaginesi a cercare altre aree economiche nelle quali reperire i fondi da versare a Roma. La regione iberica fu quella più sanzionata dai Cartaginesi, che sfruttarono le sue miniere d'argento.
Per Roma, invece, la fine della prima guerra punica segnò l'inizio dell'espansione fuori dalla penisola italiana. La Sicilia, tranne Siracusa, divenne la prima Provincia romana, cui si aggiunsero nel 238 a.C. Sardegna e Corsica.
Tra Roma e Cartagine erano stati stipulati dei trattati di non belligeranza e di sostanziale amicizia fin dalla cacciata di Tarquinio il Superbo, nel 509 a. C. Così riporta lo storico Polibio: «A queste condizioni ci sia amicizia fra i Romani e gli alleati dei Romani e i Cartaginesi e gli alleati dei Cartaginesi: né i Romani né gli alleati dei Romani navighino al di là del promontorio Bello, a meno che non vi siano costretti da una tempesta o da nemici. Qualora uno vi sia trasportato a forza, non gli sia permesso di comprare né prendere nulla tranne quanto gli occorre per riparare l'imbarcazione o per compiere sacrifici, e si allontani entro cinque giorni. A quelli che giungono per commercio non sia possibile portare a termine nessuna transazione se non in presenza di un araldo o di un cancelliere. Quanto sia venduto alla presenza di costoro, se venduto in Libia o in Sardegna sia dovuto al venditore sotto la garanzia della stato. Qualora un Romano giunga in Sicilia, nella parte controllata dai Cartaginesi, siano uguali tutti i diritti dei Romani. I Cartaginesi non commettano torti ai danni degli abitanti di Ardea, Anzio, Laurento, Circei, Terracina, né di alcun altro dei Latini, quanti sono soggetti; nel caso che quelli non soggetti si tengano lontani dalle loro città: ciò che prendano, restituiscano ai Romani intatto. Non costruiscano fortezze nel Lazio. Qualora penetrino da nemici nella regione, non passino la notte nella regione.» Vennero poi stipulati altri tre trattati: nel 348 a. C., con poche varianti rispetto al primo; nel 306 a. C., in cui Roma accetta di non entrare più in Sicilia, mentre Cartagine si impegna a non porre piede nella penisola; nel 279 a, C. , in cui i due contraenti stringono una vera e propria alleanza in caso di attacco nei rispettivi territori da parte di Pirro, benché siano liberi di trattare separatamente col re epirota.
Si trova nell’attuale Tunisia.
Ogni equipaggio era composto mediamente da 100 uomini.
Fonte: http://www.diversamentesocial.it/pluginfile.php/156/mod_folder/content/0/Prima%20guerra%20punica.doc?forcedownload=1 e
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