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Il processo di formazione e di consolidamento dello stato moderno è accompagnato da un'intensa riflessione teorica. Questa abbandona gradualmente il quadro medievale, caratterizzato dalla visione delle "due città" e del permanente problema del rapporto fra potere politico e potere religioso, per volgersi alle grandi questioni politiche della modernità: l'origine e il fondamento della sovranità, il rapporto fra diritto naturale e diritto positivo, la natura e i limiti dell'obbligo politico, la pace, la guerra e le relazioni fra stati sovrani. Attorno alla metà del Quattrocento, consumata la visione universalistica medievale, il dibattito politico nell'Umanesimo italiano si concentra dapprima sul repubblicanesimo, in particolare all'interno della città-stato italiana. Ma il declino di questa, il peso crescente di sistemi autocratici nel centro-nord e il riemergere dello stato feudale-monarchico al sud spostano l'attenzione sul principe. La descrizione del principe ideale, delle sue virtù e della sua educazione e formazione è retta da un ideale pacifista, che prescrive al principe di essere giusto e moderato, di ispirarsi a prudenza e liberalitas, di circondarsi di saggi consiglieri e mantenere la pace. L'attenzione alla figura del principe, con i suoi risvolti etici e le sue virtù peculiari, prepara la riflessione di Machiavelli che fa dell'individualità, della personalità di chi regge lo Stato, il fattore determinante della politica.
Niccolò Machiavelli inaugura una rivoluzione metodologica, oltre che culturale, che investe in pari misura la teoria politica, la storiografia e la filosofia della storia.
Non è un puro teorico, inteso a costruire freddamente una teoria politica per così dire "in laboratorio": le sue concezioni scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà storica, in cui egli è impegnato in prima persona grazie agli incarichi che ricopre nella repubblica fiorentina, e mirano a loro volta ad incidere in quella realtà, modificandola secondo determinate prospettive.
Il suo pensiero si presenta così come una stretta fusione di teoria e prassi: la teoria nasce dalla prassi e tende a risolversi in essa. Alla base di tutta la riflessione machiavelliana vi è la coscienza lucida e sofferta della crisi che l'Italia contemporanea sta attraversando: una crisi politica, in quanto l'Italia non presenta quei solidi organismi statali unitari che caratterizzano le maggiori potenze europee, e appare frammentata in una serie di Stati regionali e cittadini deboli e instabili; crisi militare, in quanto si fonda ancora su milizie mercenarie e compagnie di ventura, anziché su eserciti "cittadini", che soli possono garantire fedeltà, ubbidienza, serietà di impegno; ma anche crisi morale, perché sono scomparsi, o comunque si sono molto affievoliti, tutti quei valori che danno fondamento saldo ad un vivere civile, e che per Machiavelli sono rappresentati esemplarmente dall'antica Roma, l'amor di patria, il senso civico, lo spirito di sacrificio e lo slancio eroico, l'orgoglio e il senso dell'onore, e sono stati sostituiti da un atteggiamento scettico e rinunciatario, che induce ad abbandonarsi fatalisticamente al capriccio mutevole della fortuna, senza reagire e senza lottare. Per Machiavelli l'unica via d'uscita da una così straordinaria "gravità de' tempi " è un principe dalla straordinaria "virtù", capace di organizzare le energie che potenzialmente ancora sussistono nelle genti italiane e di costruire una compagine statale abbastanza forte da contrastare le mire espansionistiche degli Stati vicini.
A questo obiettivo storicamente concreto è indirizzata tutta la teorizzazione politica di Machiavelli, la quale si riempie del calore passionale e dello slancio di chi partecipa con fervore ad un momento decisivo della storia del proprio paese.
Inoltre, non bisogna dimenticare, che Machiavelli, concordemente, è stato indicato come il fondatore della moderna scienza politica. Egli rivendica l'autonomia del campo dell'azione politica: essa possiede delle proprie leggi specifiche, e l'agire degli uomini di Stato va studiato e valutato in base a tali leggi: occorre cioè, nell'analisi dell'operato di un principe, valutare esclusivamente se esso ha saputo raggiungere i fini che devono essere propri della politica, rafforzare e mantenere lo Stato, garantire il bene dei cittadini.
Questi ultimi, ossia gli uomini in generale, vengono considerati da Machiavelli come malvagi; egli, però, non indaga se lo siano per natura o in conseguenza di una colpa originaria da essi commessa, si limita a contrastarne empiricamente gli effetti nella realtà. Gli uomini sono per lui "ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de' pericoli, cupidi di guadagno". In un passo famoso del Principe afferma che dimenticano più facilmente l'uccisione del padre che la perdita del patrimonio, cioè che la molla che li spinge è l'interesse materiale ed egoistico, non sono i valori e i sentimenti disinteressati e nobili. L'uomo politico deve agire su questo terreno, non su un terreno ideale, per cui deve commisurare ad esso le sue azioni. Dovendo agire "in fra tanti che non sono buoni", non può fare "in tutte le parti la professione di buono", perché andrebbe sicuramente incontro alla rovina. Le leggi della convivenza umana sono dure e spietate, perciò il principe non può seguire sempre l'ideale e la virtù: deve sapere anche essere "non buono", dove lo richiedano le esigenze dello Stato, deve essere umano oppure feroce come una bestia, a seconda delle circostanze: per questo Machiavelli propone per il politico l'immagine del centauro, che è appunto mezzo uomo e mezza bestia. Solo lo Stato può costituire un rimedio alla malvagità dell'uomo, al suo egoismo che disgregherebbe ogni comunità in un caos di spinte individualistiche contrapposte le une alle altre. Questa congerie rissosa e violenta può essere ordinata in repubblica, cioè, come dice l'etimologia del termine, in una comunità in cui il fine delle azioni è la "cosa pubblica", il bene comune. La durezza e la violenza del principe devono sempre avere per fine questo bene comune, cioè la salvaguardia della convivenza civile dalle spinte bestiali alla disgregazione e alla violenza. Per mantenere lo Stato sono indispensabili certe virtù civili, l'amore di patria, per la libertà, la solidarietà, l'onestà, che costituiscono il cemento del vivere collettivo. Ma per radicare tali virtù, in uomini generalmente non buoni, sono necessarie precise istituzioni: la religione, le leggi e le milizie. Per quanto riguarda la religione, a Machiavelli non interessa nella sua dimensione concettuale, ma solo come instrumentum regni, come strumento di governo. La religione obbliga i cittadini rispettarsi gli uni agli altri. In secondo luogo, in ogni Stato bene ordinato sono le buone leggi il fondamento del vivere civile, perché disciplinano il comportamento dei cittadini, inibiscono i loro istinti bestiali, li indirizzano a fini superiori. Infine le milizie sono il fondamento della forza dello Stato. Devono essere composte di cittadini, da un lato perché solo così si possono avere truppe fedeli e valorose, dall'altro perché assumere le armi rinsalda i legami del cittadino con la sua patria, contribuisce a stimolare in lui le virtù civili. La forma di governo che meglio compendia in sé questa idea di Stato ordinato e sicuro, che argina e disciplina le forze anarchiche dell'uomo, è quella repubblicana. Il principato è per Machiavelli una forma d'eccezione e transitoria, indispensabili solo in determinate contingenze, come quella che l'Italia sta vivendo, per costruire uno Stato sufficientemente saldo. Ma lo Stato creato dalla "virtù" eccezionale del singolo, per mantenersi, deve darsi "buoni ordini", istituzioni che durino nel tempo; e la forma repubblicana è quella che meglio può garantire la continuità, perché non si fonda sulle doti di uno solo, che può venire meno in ogni momento, ma su istituzioni stabili, svincolate dai singoli individui, che possono rimanere inalterate anche se diverse personalità si avvicendano a dirigerle.
Si delineano così due concezioni della "virtù": quella eccezionale del singolo, del politico - eroe, che brilla nei momenti di eccezionale gravità, e quella del buon cittadino, che opera entro stabili istituzioni dello Stato, e che non è meno eroica della prima. Come dimostrano i tanti esempi della storia di Roma. Machiavelli ha comunque una visione eroica dell'agire umano. In lui viene a confluire quella fiducia nella forza dell'uomo, che era stata patrimonio della civiltà comunale, ed era stata poi ereditata e consapevolmente teorizzata dalla civiltà umanistica. Ma proprio sulla scorta di questa tradizione di pensiero, Machiavelli sa bene che l'uomo nel suo agire ha precisi limiti, e deve fare i conti con una serie di fattori a lui esterni, che non dipendono dalla sua volontà. Questi limiti assumono il volto capriccioso e incostante della fortuna. È questo un altro grande tema della civiltà umanistico-rinascimentale; è da tale tradizione che Machiavelli eredita la convinzione che l'uomo può fronteggiare vittoriosamente la fortuna. Egli ritiene che essa sia arbitra solo della metà delle cose umane, e lasci regolare l'altra metà agli uomini. Sono vari i modi in cui l'uomo può contrapporsi con felice esito alla fortuna. In primo luogo essa può costituire l' "occasione" del suo agire, la "materia" su cui egli può imprimere la "forma" da lui voluta. La "virtù" del singolo e l' "occasione" si implicano a vicenda: le doti del politico restano puramente potenziali se egli non trova l'occasione per affermarle, e viceversa l'occasione resta pure potenzialità se un politico "virtuoso" non sa approfittarne. L'occasione può essere anche una condizione negativa, che serve di stimolo ad una virtù eccezionale. Scrive Machiavelli nel Principe che occorreva che gli Ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell'Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perché potesse rifulgere la "virtù" di grandi condottieri di popoli come Mosè, Teseo e Ciro. In secondo luogo la "virtù" umana si impone alla fortuna attraverso la capacità di previsione, il calcolo accorto. Nei momenti quieti l'abile politico deve prevedere i futuri rovesci, e predisporre i necessari riparti, come si costruiscono gli argini per contenere i fiumi in piena. Si fronteggiano così, nel pensiero machiavelliano, due forze gigantesche, la fortuna incostante, volubile, e la virtù umana, che è in grado di contrastarla, imbrigliarla, impedirle di far danni, piegarla ai propri fini. La "virtù" è quindi un complesso di varie qualità: in primo luogo la perfetta conoscenza delle leggi generali dell'agire politico, ricavate sia dall'esperienza diretta sia dalla "lezione" della storia passata; in secondo luogo la capacità di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari, prevedendo in base rapporti di forza, l'incidenza degli interessi dei singoli; infine la decisione, l'energia, il coraggio nel mettere in pratica ciò che si è disegnato: la "virtù" del politico è quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche che conferma come nel pensiero machiavelliano teoria e prassi non vadano mai disgiunte. Ma vi è ancora un terzo modo teorizzato da Machiavelli per opporsi alla fortuna, e quindi un'altra dote che concorre a determinare la "virtù" umana: il "riscontrarsi" con i tempi, cioè la duttilità nell'adattare il proprio comportamento alle varie esigenze oggettive che via via si presentano, alle varie situazioni, ai vari contesti in cui si è obbligati ad operare. Ad esempio in certe occasioni occorre agire con cautela e ponderatezza, in altre con impeto e ardimento, in certi casi occorre l'astuzia della volpe, in altri la forza del leone. E qui compare una nota pessimistica: questa duttilità è una dote altamente auspicabile, ma quasi mai si ritrova negli uomini, che non sanno adattarsi a ricorrere a moduli diversi; per cui i politici avranno buon esito solo se le circostanze saranno conformi alle loro doti naturali: cioè lo statista, se sarà cauto e prudente, avrà successo solo se si troverà ad agire in circostanze che esigono prudenza, ma se i tempi variassero, ed esigessero decisioni pronte e audaci, egli non saprebbe certamente adattarsi, ed andrebbe in rovina.
Fonte: http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/29536/7054/Il%20pensiero%20politico%20di%20Machiavelli.doc
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