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Origini di Roma
Gli studiosi preferiscono distinguere la storia delle origini di Roma in due periodi:
La preistoria
Il periodo che va, nella tradizione orale e mitica, dalla distruzione di Troia (1200 a. C. circa) e del conseguente arrivo di Enea sulle coste del Lazio, fino alla cacciata di Tarquinio il Superbo (509 a. C.), deve essere considerata preistoria, perché non esistono documenti o testimonianze archeologiche che possono garantire la veridicità delle vicende tramandate per via orale e poi inserite nei testi storici di autori di molto posteriori (Livio, Diodoro, Dionigi di Alicarnasso, vissuti tra la repubblica e l’impero –I sec. a. C. / I sec. d. C.).
Si parla di preistoria anche perché solo dal V sec. a. C. si diffuse nelle città latine la conoscenza e l’uso della scrittura, con l’introduzione di un alfabeto derivato da quello greco attraverso l’etrusco, come ci testimonia un testo giuridico, le leggi delle XII tavole, databile intorno al 449 a. C., che si è conservato anche se ci è giunto frammentario.
Dei sette secoli che precedono la cacciata di Tarquinio il Superbo, e che definiamo preistoria, possiamo affermare con certezza solo due cose:
A ciò si aggiunge il fatto che è confermata l’esistenza di un governo monarchico nei primi 200/300 anni di vita della città fondata sulle rive del Tevere (VIII/VII sec. a. C.)
La fondazione di Roma
La fondazione di Roma risalirebbe al 753 a. C. e avrebbe avuto origine da una comunità latina che aveva sede sul colle Palatino. Durante i secoli VIII e VII a. C., il primitivo villaggio di pastori-agricoltori si fuse con i villaggi dei colli circostanti e vennero costruite le prime mura difensive (oppida). La lega cui diedero vita questi villaggi venne definita septimontium, che potrebbe derivare da septem montes oppure, come ritengono i più, da saepti montes (monti cintati).
Collocata nell’orlo più settentrionale della vasta pianura del Lazio antico (Latium vetus), regione che i primi coloni indoeuropei chiamarono così per il suo aspetto pianeggiante e aperto (latus = ampio, aperto, da cui venne a loro stessi il nome di Latini), Roma era situata in una zona particolarmente felice per i commerci. Si trovava infatti al centro degli scambi tra le regioni costiere e quelle dell’interno e permetteva i collegamenti tra le regioni del Nord e quelle del Sud, grazie al Tevere.
La vicinanza del mare permetteva inoltre alle navi di risalire il fiume e trasportarvi il sale, che allora era estremamente prezioso, perché consentiva la conservazione del cibo. Essa era dunque passaggio obbligato dei commerci e punto di congiunzione tra la navigazione fluviale e quella marittima.
I re di Roma
Prima dell’arrivo dei Tarquini a Roma (VIII se. a. C.) esisteva già la monarchia, che però non era ereditaria, ma elettiva.
Sappiamo, infatti, che in origine Roma era governata da un re che, in quanto investito a vita del potere, non rispondeva del suo operato al popolo. Non sappiamo con esattezza quanti furono i re che in questo periodo governarono la città; sicuramente furono più dei sette tramandati dalla tradizione orale. Di questi, sicuramente Romolo appartiene alla leggenda, come pure probabilmente Numa Pompilio; qualche tratto più storico sembrano averlo i due monarchi successivi, Tullo Ostilio e Anco Marzio: il primo legato alla conquista di Alba Longa, avvenuta secondo la leggenda con la vittoria definitiva degli Orazi, campioni romani, contro i Curiazi, campioni della città avversaria-, l’altro legato alla fondazione di una colonia romana, Ostia.
Gli ultimi tre re sono Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo (il primo e l’ultimo sicuramente etruschi, il secondo di origine incerta). Il primo avrebbe costruito il tempio di Giove Capitolino, il Circo Massimo e la Cloaca Maxima, il principale canale fognario di Roma; il secondo avrebbe edificato nuove mura (le Mura serviane) e istituito i comizi centuriati, una nuova assemblea popolare alla quale i cittadini partecipavano per ragioni di censo e non più, come in passato, per ragioni di nascita; l’ultimo, fu despota crudele, che avrebbe instaurato un regime tirannico insopportabile.
Le prime istituzioni
Il re (rex) veniva nominato dai capi (senes = anziani) delle famiglie più illustri (gentes, da cui l’espressione patres gentis per indicare i capifamiglia); essi componevano il senatus,un’assemblea ristretta, il cui compito era quello di coordinare il lavoro del re da loro eletto. Il re era sacerdote, giudice e detentore dell’imperium (il potere politico e militare).
Nell’età monarchica la società romana era divisa in due gruppi: i patrizi (da patres = capifamiglia) e plebei (da plebs = plebe, popolo minuto; questa parola è connessa con il termine greco “plèthos” = moltitudine).
I patrizi appartenevano alle gentes, cioè a gruppi di famiglie discendenti da un capostipite comune, da cui prendevano il nome; essi si distinguevano socialmente, oltre che per la ricchezza, perché avevano gli auspicia, cioè era loro garantita la possibilità di entrare in contatto con gli dei attraverso appositi riti, e perché godevano dei pieni diritti politici.
I plebei, invece, erano esclusi da ogni partecipazione alla vita politica; i rapporti tra patrizi e i plebei erano regolati da un’antica istituzione, la clientela. I clienti (clientes) erano coloro che, per essere troppo deboli o soli, ricercavano la protezione di un cittadino potente (il patronus), che gli garantiva anche il mantenimento, attraverso la donazione quotidiana di cibo o denaro (la sportula). I rapporti tra patroni e clienti erano regolati dalla fides, ovvero dalla reciproca fiducia. Poiché il rispetto dei patti di fiducia era posto sotto la protezione divina, il cliente che veniva meno ai doveri verso il patrono offendeva la dea Fides e di conseguenza veniva punito con l’espulsione dal gruppo sociale e la perdita di ogni protezione, il che equivaleva ad una condanna a morte.
Inizialmente i plebei non ebbero la forza per opporsi allo strapotere dei patrizi; nel V secolo a. C., però, tale iniquità porterà allo scontro diretto tra i due gruppi sociali.
Tutti i cittadini erano poi raggruppati in tribù e curie: le tribù erano 3 (Ramnes, Tities e Luceres, forse rispondenti alle tre etnie che componevano il popolo romano: latini, sabini ed etruschi) e ciascuna comprendeva 10 curie (da co-viria “unione di uomini), di cui facevano parte solo i membri delle gentes, che servivano per il reclutamento dell’esercito, ordinato in legioni, ovvero unità militari di base dell’esercito romano. Ogni curia forniva, infatti, 100 fanti e 10 cavalieri (centuria). Le curie si riunivano in comizi curiati, corrispondenti ad assemblee popolari; i compiti dei comizi curiati erano diversi. Oltre che formare l’esercito, dovevano:
La storia: Roma all’indomani della monarchia etrusca (dopo il 509 a. C.)
Con i Tarquini Roma divenne la più grande città del Lazio sia per crescita interna della popolazione sia per l’afflusso di gruppi e individui provenienti dal Lazio e dall’Etruria.
Nel 509 a. C., però, la monarchia etrusca venne abbattuta per una rivolta dei patrizi a seguito dell’oltraggio e della violenza perpetrata da Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, ai danni di una virtuosa nobildonna romana, Lucrezia, moglie di Collatino, un patrizio in vista e benvoluto.
All’abolizione della monarchia seguì un regime di casta (oligarchia): ai patrizi vennero riservate le cariche pubbliche e le dignità religiose; ai plebei fu concesso di partecipare ai comizi curiati; il re scomparve e a capo della repubblica vennero posti due magistrati inizialmente chiamati praetores e poi, dal IV sec. a. C., consules, con poteri uguali a quelli del re, ma limitati ad un anno e da esercitarsi collegialmente.
Per tutta la durata della carica, essi godevano dei pieni poteri ed esercitavano la magistratura senza dover rendere conto dei propri atti agli elettori. Avevano una guardia del corpo (i littori) che li accompagnava portando le insegne del potere assoluto (imperium) e avevano il compito di
Il potere religioso venne affidato ad un’altra figura, il pontifex maximus, cioè il sommo sacerdote, posto a capo di un collegio di sacerdoti (pontifices).
I consoli venivano eletti e investiti del loro potere (imperium) dai comizi centuriati; avevano il supremo comando dell’esercito, il potere giurisdizionale e finanziario.
Accanto a loro vennero creati i quaestores, magistrati incaricati di amministrare il tesoro pubblico.
Venne poi creato anche un magistrato, eletto in circostanze straordinarie, il dictator, che veniva nominato da uno dei consoli dietro invito del senato, in caso di pericolo esterno. Restava in carica il tempo necessario e comunque non più di 6 mesi.
Da ultima venne istituita la carica di praetor, magistrato col compito di amministrare la giustizia.
Le magistrature repubblicane e il senato
Nel periodo che seguì la prima codificazione scritta, all’inizio del V sec. a. C., vennero a crearsi altre magistrature. La struttura romana, infatti, si faceva più complicata: le rivendicazioni politiche da parte dei plebei agiati rendevano necessaria la creazione di organi di governo diversi.
Caratteristiche di tutte le magistrature saranno sempre
Accanto al consolato, che rimaneva la massima carica dello stato, le altre magistrature erano, in ordine di importanza:
(Per approfondire, cfr. Il cursus honorum)
I luoghi della partecipazione popolare restavano, invece, le assemblee popolari, che in età repubblicana erano tre:
I comizi centuriati, che avrebbero sostituito nei compiti i comizi curiati, sarebbero stati istituiti da Servio Tullio. Si fondavano sulla divisione della popolazione in 5 classi di censo (cioè in base alla ricchezza); Appio Claudio Cieco, censore nel 310 a. C., stabilì che l’iscrizione ad una classe venisse effettuata in base ad una certa quantità di denaro, equiparata ad una certa misura di terra. Al di fuori di queste classi c’erano i proletari o capite censi, cioè coloro che erano censiti in base alla sola persona perché non possedevano altro. Ogni classe era organizzata in gruppi, detti centurie, perché ciascuna doveva fornire un contingente all’esercito; la prima classe doveva garantire 80 centurie di fanti e 18 di cavalieri; la seconda, la terza e la quarta fornivano 20 centurie di fanti ciascuna; la quinta 30 centurie di fanti e i proletari 5 centurie di uomini non armati. Su un totale di 193 centurie (ognuna delle quali poteva esprimere un solo voto), 98 appartenevano alla prima classe, che aveva in tal modo sempre la maggioranza assoluta; di conseguenza, il potere legislativo era nelle mani dei ricchi.
Da un punto di vista politico, si venne a creare una coalizione di patrizi e plebei ricchi, quindi alla tradizionale contrapposizione patrizi-plebei, si sostituiva quella tra ricchi e poveri.
I comizi si riunivano annualmente per eleggere i consoli e i pretori dell’anno successivo, e ogni 5 anni per eleggere i censori; si riunivano anche per giudicare casi di alto tradimento (perduellio).
I comizi tributi avevano il compito di eleggere le magistrature minori (edili e questori). Essi comprendevano sia patrizi che plebei, distribuiti in trentacinque tribù, nelle quali tutti i cittadini romani venivano collocati per scopi elettorali e amministrativi. Il voto, uno per tribù, era indiretto e pesantemente sbilanciato a favore delle trentuno tribù rurali.
Il concilium Plebis (assemblea della plebe) era anch’esso un’assemblea tribale, ma escludeva tutti i patrizi, cui era vietato prendere parte ai raduni. Solo i tribuni della plebe (tribuni plebis) potevano convocare il concilio della plebe. Inizialmente le deliberazioni adottate dai concilia plebis (chiamate plebis scita, ovvero “decisioni della plebe”) avevano valore per i soli plebei. Solo successivamente, in seguito all’approvazione della Lex Hortensia nel 287 a.C., si affermò il principio secondo cui le decisioni assunte nei concilia plebis avrebbero vincolato tutti i cittadini.
In età repubblicana il senato fu costituito dal consiglio degli anziani e dagli ex magistrati, vale a dire gli ex consoli e gli ex pretori, ai quali si unirono poi altri magistrati minori, sino agli ex questori, ammessi all’epoca di Silla (I sec. a. C.). Non tutti coloro che avevano rivestito una carica diventavano, però, senatori; a decidere chi era degno o meno di tale onore erano dapprima i supremi magistrati, cioè i consoli, poi, dopo il 312 a. C., i censori.
Come in età regia, le funzioni del senato erano
Livio, Ab Urbe condita libri I ,58 (« Alla vista dei congiunti, scoppia a piangere. Il marito allora le chiede: "Tutto bene?" Lei gli risponde: "Come fa ad andare tutto bene a una donna che ha perduto l'onore? Nel tuo letto, Collatino, ci son le tracce di un altro uomo: solo il mio corpo è stato violato, il mio cuore è puro e te lo proverò con la mia morte. Ma giuratemi che l'adultero non rimarrà impunito. Si tratta di Sesto Tarquinio: è lui che ieri notte è venuto qui e, restituendo ostilità in cambio di ospitalità, armato e con la forza ha abusato di me. Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui." Uno dopo l'altro giurano tutti. Cercano quindi di consolarla con questi argomenti: in primo luogo la colpa ricadeva solo sull'autore di quell'azione abominevole e non su di lei che ne era stata la vittima; poi non è il corpo che pecca ma la mente e quindi, se manca l'intenzione, non si può parlare di colpa. Ma lei replica: "Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l'esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!" Afferrato il coltello che teneva nascosto sotto la veste, se lo piantò nel cuore e, piegandosi sulla ferita, cadde a terra esanime tra le urla del marito e del padre.»)
Fonte: http://www.diversamentesocial.it/pluginfile.php/156/mod_folder/content/0/origini_roma_magistrature_assemblee.doc?forcedownload=1
Sito web da visitare: http://www.diversamentesocial.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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