Origini industrializzazione

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Le tesi  di Smith e di Marx sulle origini del capitalismo

Le tappe della crescita economica nell'età moderna e contemporanea sono segnate dallo sviluppo del capitalismo, attraverso le tre fasi del capitalismo commerciale, agricolo e industriale. Il capitale com­merciale aveva conosciuto una notevole crescita fin dal Medioevo. Il capitale agricolo cominciò invece a svilupparsi nell'età moderna, quando il proprietario di terre non trasse più da esse un reddito costi­tuito prevalentemente da diritti di origine feudale, ma le diede in affit­to a imprenditori o si trasformò lui stesso da redditiere in imprendito­re. Dal 1650 alla fine dell'Ottocento si ebbe infine la nascita e la gran­de affermazione del capitalismo manifatturiero e industriale. Ma ancora nell'Ottocento il termine «capitalismo» era poco diffuso e lo stesso Marx non lo impiegò, adoperando sempre quello di «capitale».
Il trionfo del capitalismo era stato preceduto da un lungo periodo di transizione, che era durato fino a tutto il Settecento e aveva visto il capitale industriale nascere lentamente da quello commerciale: era stato infatti l'impiego nell'industria dei capitali accumulati grazie al commercio a rendere possibile la «rivoluzione industriale». Questo processo di trasformazione del capitale commerciale in capitale indu­striale fu definito da Adam Smith «accumulazione del capitale» .
Smith illustrò la sua concezione in un paragrafo della sua fonda­mentale opera, La ricchezza delle nazioni, in cui dava un grande peso all'iniziativa individuale, perché. sosteneva che i capitali si erano for­mati e si erano accresciuti nelle mani degli imprenditori, grazie ai profitti che essi erano riusciti a ricavare dalle loro attività. La sua po­sizione rifletteva le idee dei nascenti imprenditori, che erano orgoglio­si delle loro capacità individuali, a cui attribuivano per intero il loro successo. Scriveva Smith:
Il rapporto fra capitale e reddito [...] sembra determinare ovunque il rap­porto fra operosità e ozio. Ovunque predomini il capitale prevale l'opero­sità, ovunque predomini il reddito prevale l'ozio [...]. I capitali vengono aumentati con la parsimonia e diminuiti con la prodigalità e la cattiva gestione. Tutto ciò che un individuo risparmia dal suo reddito lo aggiun­ge al suo capitale impiegandolo egli stesso per mantenere un numero ad­dizionale di lavoratori produttivi, oppure mettendo in grado di far ciò qualche altra persona, prestandoglielo per un interesse, cioè per una par­te dei suoi prodotti. Come il capitale di un singolo individuo può essere aumentato soltanto da quello che egli risparmia dal suo reddito annuo o dal suo guadagno annuo, così anche il capitale dell'intera società, che s'i­dentifica col capitale di tutti gli individui che la compongono, può essere aumentato solo in questo modo. La parsimonia, e non l'operosità, è la causa immediata dell'incremento del capitale. L'operosità, è vero, forni­sce l'oggetto che poi la parsimonia accumula. Ma qualunque cosa l'ope­rosità possa procurarsi, se la parsimonia non la risparmiasse e non la ac­cantonasse, il capitale non crescerebbe mai.
La tesi di Smith è radicalmente diversa da quella di Marx, che riprese la definizione di «accumulazione del capitale» data da Smith al pro­cesso di formazione dei capitali, ma diede a essa un significato diver­so: pur senza negare il contributo fondamentale che il capitalismo ha arrecato allo sviluppo dell'economia, Marx sosteneva che la sua na­scita era avvenuta essenzialmente grazie alla violenza e allo sfrutta­mento e non, come sosteneva Smith, grazie all'iniziativa individuale. Il commercio coloniale aveva reso disponibili gli ingenti capitali ne­cessari alla nascita dell'industria; l'espropriazione dei contadini e l'al­lontanamento dalle loro terre avevano messo a disposizione una grande quantità di manodopera, priva di mezzi di sussistenza e di­sposta a vendere la propria forza-lavoro. La tesi di Marx che l'industrializzazione sia avvenuta a spese della campagna ha avuto molta fortuna anche tra gli storici non marxisti, tanto da costituire ancora oggi una delle tesi più comunemente accettate. A lungo si sono sotto­lineati i sacrifici imposti al settore agricolo per consentire la crescita di quello industriale. Ma la convinzione che lo sviluppo industriale sia avvenuto a spese dell'agricoltura è fondata soltanto per quei pae­si dove esso è stato promosso soprattutto dallo Stato, che ha destina­to le risorse finanziarie disponibili all'industria, trascurando l'agricol­tura. In Inghilterra, invece, dove l'intervento statale è stato molto più limitato, non sembra che l'industria abbia tratto dall'agricoltura i ca­pitali indispensabili al suo sviluppo. Lo storico David S. Landes ha mostrato che in Inghilterra l'agricoltura non poté fornire capitali all'industria almeno fino al 1815: prima di quell'anno vi fu anzi, a causa dell'aumento del prezzo di cereali, un periodo in cui fu l'agricoltura a sottrarre risorse al resto del paese. Ha scritto Landes:
È un luogo comune della letteratura economica che uno degli aspetti o criteri principali di sviluppo è il trasferimento di risorse dall'agricoltura alla manifattura; e che condizione di un rapido sviluppo è l'aumento del­la produttività agricola, che genera il risparmio necessario a finanziare l'espansione industriale [...]. Inoltre, l'aumento della produzione agricola inglese fu dovuto in larga misura alle recinzioni e ai miglioramenti che queste resero possibili: concentrazione dei possedimenti, eliminazione degli incolti, più produttiva scelta e rotazione di colture, allevamento se­lettivo del bestiame, drenaggio e concimatura migliori, una coltivazione più intensiva. Con quanta rapidità queste nuove tecniche si diffondesse­ro, o quanto celermente seguissero alle recinzioni stesse, è tuttora in di­scussione. Ciò che è chiaro, è che sia la divisione delle terre [cioè la loro recinzione] sia i miglioramenti successivamente intervenuti nella loro utilizzazione costavano denaro: anzitutto per spese legali, strade, fossati e steccati di recinzione; e poi per gli edifici, l'attrezzatura, i canali di sco­lo e i materiali. Purtroppo non abbiamo dati circa l'area interessata da questo processo; ma le statistiche parziali disponibili - per esempio sulla recinzione per legge del Parlamento dei terreni comuni e di quelli incolti - fanno ritenere che fra il 1760 e il 1815 l'Inghilterra recintò milioni di acri con un costo iniziale di redistribuzione pari a fino una sterlina per acro, e con un costo ultimo che va dalle 5 alle 25 sterline per acro a seconda del­le condizioni originarie del suolo e del tipo di impiego. Furono investi­menti fruttiferi, come dimostra l'aumento dei raccolti e delle rendite dei terreni che avevano subito un processo di concentrazione. Ma è abba­stanza probabile che nei primi decenni di intense recinzioni, ossia pro­prio negli anni che videro la nascita dell'industria moderna, l'agricoltura inglese prelevasse capitali in quantità pari a quelli da essa forniti; men­tre nel periodo 1790-1814, quando i prezzi dei viveri salirono a livelli re­cord, il flusso delle risorse registrò probabilmente un saldo attivo a favo­re della terra. Il grande contributo dell'agricoltura all'industrializzazione venne dopo il 1815, quando il ritmo delle recinzioni e del dissodamento dei suoli marginali rallentò, e proprietari e fittavoli raccolsero il frutto degli sforzi precedenti.

 

Fonte: http://www.vitellaro.it/silvio/storia%20e%20filosofia/Appunti%20storia/Tesi_Smith_e_Marx.doc

Sito web da visitare: http://www.vitellaro.it

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