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I disertori tedeschi che aderirono alla Resistenza
di Massimo Rendina
Ci sono molti vuoti da riempire nella storia della Guerra di Liberazione in Italia. Uno di questi riguarda la ricostruzione , oltremodo difficile, delle diserzioni di militari della Wehrmacht, soprattutto da parte di soldati e ufficiali che si unirono alle forze partigiane o, come accadde per il Freies Deutchland Bataillon -composto da disertori tedeschi, austriaci, cecoslovacchi-, formarono unità di guerriglia che combatterono contro le forze armate germaniche. (Il Freies Deutchland Bataillon operò assieme ai garibaldini delle divisioni Carnia e Val But a ridosso del confine con l' Austria in Alto Adige e nel Bellunese. Aveva la base logistica nei pressi del Passo del Giramondo e quando, ai primi di maggio 1945, l'armata tedesca ultimò la ritirata dall' Italia, premuta dagli Alleati e impegnata dai partigiani, prendendo la strada del Brennero, si spinse all' interno della Carinzia cooperando con i servizi segreti britannici alla cattura di criminali nazisti.) La difficoltà delle ricerche deriva soprattutto dal fatto che chi partecipava alla guerra partigiana celava la propria identità, assumendo un nome fittizio (di "battaglia"), regola dovuta al fondato timore delle rappresaglie nei confronti dei famigliari. Per i disertori della Wehrmacht c'è inoltre da considerare la loro situazione particolare che investiva l'onore del reparto di appartenenza, per via di un tradimento inconcepibile nella tradizione militare, ragione che induceva i loro superiori a registrare la scomparsa come se fosse stata causata da fattori bellici. Quando ad esempio Rudolf Jacob -capitano della Marina del Reich- lascia il comando delle batterie costiere di La Spezia per far parte della brigata Garibaldi " Ugo Muccini" (eroe della Guerra di Spagna), che ha il comando vicino a Sarzana, viene segnalato come disperso, non come disertore. La stessa famiglia, caduto lui eroicamente nel corso di un' azione partigiana, terrà nascosto il fatto per alcuni anni, accettandone il significato soltanto quando questo venne riconosciuto emblematico della Resistenza non solo italiana ma tedesca ed europea, e quindi tuttaltro che infamante, visto che la città natale di Jacobs, Brema, gli dedicherà una mostra documentaria , inaugurata il 9 febbraio 1990 nel centro civico "Gustav Heinemann" di Vegesack. D' altra parte la moglie di Jacob venne a sapere il 17 febbraio 1957, dopo quasi vent'anni come era morto, e per quale causa, rintracciato il suo' indirizzo ad Amburgo dall'allora sindaco di Sarzana (oggi presidente dell' ANPI della città) Paolino Ranieri, già commissario politico della brigata "Muccini", nella quale appunto era l' ufficiale tedesco, comandante di un distaccamento.
Figura davvero emblematica questa di Rudolf Jacob (rievocata nel 1985 da un lungo filmato di Ansano Giannarelli, per la RAI, sepolto nella cineteca e meritevole di riedizione). Nato a Brema il 26 aprile 1914, ufficiale della marina mercantile, era stato imbarcato per alcuni anni su navi da trasporto che collegavano tra loro i porti dell' Oceano Indiano. Rientrato in Germania nel 1938 si laurea in ingegneria diventando un esperto di fortificazioni costiere. Chiamato sotto le armi, è capitano della Marina militare (più precisamente del Genio della Marina), dall' autunno 1943 nell' Italia occupata dai nazifascisti, impegnato, dai primi del '44, a realizzare gli apprestamenti difensivi lungo la costa da La Spezia a Genova.( Kesserling temeva che in quella zona potessero avvenire sbarchi da parte degli angloamericani, nonostante le difficili condizioni orografiche e la scarsa dotazione di mezzi anfibi da parte del nemico, quasi tutti trasferiti dagli Alleati in Inghilterra per le operazioni in Normandia.)
L' opposizione al nazismo è in Jacobs maturata da tempo. A causa di reazioni emotive, secondo noi, dovute più a motivazioni morali che politiche. Gli ripugnano le persecuzioni razziali (in Germania gli riuscì di mettere in salvo un ebreo che la Gestapo stava per arrestare), non sopporta il regime oppressivo, condanna le guerre di aggressione di Hitler. Secondo Pietro Galantini, "Federico", comandante della "Muccini", l'ufficiale tedesco che con il suo attendente gli chiese di essere arruolato tra i partigiani, il 3 settembre 1944, era un "militante comunista". Secondo altri era solo un patriota, combattente per la libertà, senza connotazioni ideologiche, spinto a contrastare con ogni mezzo la brutalità dell' occupazione nazista e dei collaborazionisti, loro emuli in quanto a ferocia, i "marò" della X Mas - con una presenza consistente a La Spezia e nei comuni vicini- e i militi della Brigata Nera e della Guardia Nazionale Repoubblicana, acquartierati, questi, nell' ex albergo Laurina di Sarzana.
La diserzione di Jacob era stata preceduta da suoi contatti con esponenti del CLN di La Spezia e da una serie di atti caritatevoli disapprovati dai suoi diretti superiori, per sfamare la popolazione civile. Aveva , inoltre, scoperto imbrogli da parte di collaboratori dell' organizzazione Tot, preposta al reclutamento di lavoratori da adibire alle fortificazioni, e aveva denunciato i malfattori.
Una volta entrato a far parte dell' unità partigiana con il nome di battaglia "Primo", Jacobs partecipa ad alcune azioni di contrasto al rastrellamento nazifascista sulle alture di Sarzana, condurrà l' interrogatorio di un sottufficiale germanico caduto prigioniero, porterà a buon fine il trasferimento nella brigata di un gruppo di ex militari russi fuggiti da una campo di concentramento, organizzerà il colpo di mano contro i militi fascisti di Sarzana che gli costerà la vita. Con lui, l' attendente, Paul, di cui non si conosce il vero nome (ferito, riuscirà a salvarsi, passate le linee finirà in un campo di prigionia dell' esercito alleato, trattato alla pari di un nemico).
Singolari vicende quelle che contraddistinguono la guerra partigiana a Sarzana (ma simili ad altre svoltesi allo stesso modo in altri teatri della guerriglia). Militari tedeschi e militi fascisti si travestono da partigiani per ingannare e sopraffare i presidii dei patrioti, questi indossano i panni di fascisti e tedeschi per assaltare posti di blocco e apprestamenti nemici.
Lorenzo Vincenti ha ricostruito l'episodio in cui cadde Jacobs, mettendo anche a confronto il rapporto scritto sull' episodio dal comandante del distaccamento fascista (conservato nell' Archivio di Stato della Spezia) e la relazione del commissario politico della "Muccini" ( consultabile presso l' istituto Beghi). Nel primo si afferma che tra i morti (due militi e un partigiano, in effetti i militi morti furono tre) era stato rinvenuto il cadavere di uno "sconosciuto", nella seconda è scritto:" in questa audacissima azione cadeva da eroe il tenente (grado corrispondente a comandante di distaccamento) Rudolf Jacob, capo pattuglia e nostro ottimo patriota".
Il fatto si era svolto il 3 novembre (1944). Jacobs aveva progettato il colpo di mano per l' ora in cui i militi si sarebbero riuniti per il pasto serale. Aveva personalmente scelto gli uomini: l' attendente, un ex militare russo,uno jugoslavo, sei italiani, tutti in uniforme tedesca, lui vestito da sottufficiale, la machine-pistole spianata. Chiesto al piantone di parlare con il comandante del presidio, e presentatosi questo (era il vice comandante, l' altro a rapporto al comando della Guardia Repubblicana a La Spezia) appena fuori dalla porta d' ingresso, Jacobs lo colpì con una raffica, ma gli si inceppò l' arma. La reazione fu immediata. E' certo -dalla descrizione- che non vi fu la sorpresa su cui si era contato. I partigiani dovettero ripiegare sotto il fuoco. Alcuni erano feriti, tra questi, come abbiamo detto l'attendente Paul. Ma lo sganciamento potè avere successo per la copertura di altri partigiani, che avevano tale compito. Il capitano della Marina germanica Rufolf Jacob, se fosse vissuto qualche mese ancora, sino alla Liberazione, avrebbe compiuto, il 26 aprile, trentun anni.
Autore: Marco Astracedi
Ad esclusione dell’attentato contro Hitler del 20 luglio 1944, e dei tentativi precedenti ad opera degli stessi congiurati, si può dire che la resistenza in Germania ebbe quasi esclusivamente un carattere non violento.
Isolate azioni di propaganda politica ed intellettuale antinazista si ebbero negli anni precedenti il conflitto, già a partire dai primi anni del regime ed in particolare dal 1938, con l’evidenziarsi della politica pericolosamente aggressiva di Hitler e dell’antisemitismo sempre più violentemente attivo.
Alle parole di sapore antinazista, la cui diffusione andò incontro a difficoltà crescenti, durante gli anni di guerra, soprattutto dal 1942-43, quando la guerra aveva ormai preso un corso assai negativo per la Germania, l’opposizione al regime si manifestò anche con la resistenza passiva, ad esempio lavorando seguendo ritmi estremamente lenti o con piccolissimi sabotaggi simulati da incidenti o cose simili. Fu coinvolta una percentuale relativamente bassa della popolazione attiva, ma si tratta comunque di svariate decine di migliaia (ma si tratta di un numero difficilmente stimabile) le persone che si opposero al regime nazista in questo modo – creando sì qualche fastidio o ritardo nella produzione, ma assolutamente insignificante se confrontato con i problemi causati al Reich dai bombardamenti alleati.
Questo tipo di resistenza “non-violenta” (sia che si parli di sola propaganda che delle più attive, ma numericamente limitate, azioni di sabotaggio) risultò, però, sostanzialmente inefficace, essenzialmente per due motivi. In primo luogo, l’opera repressiva da parte della Gestapo nei confronti dei potenziali oppositori, già a partire dal 1933-34, fu molto più feroce ed efficace che in altri paesi con dittature fasciste (Italia, Ungheria, Portogallo, ecc.). Basti ricordare che i primissimi campi di concentramento erano stati aperti nel 1933, addirittura prima che il nazismo diventasse una dittatura, durante il breve periodo di “governo nazionale” di cui il NSDAP (Partito Nazional-Socialita dei Lavoratori Tedeschi, questa la dizione completa del partito Nazista) faceva parte insieme ad altri partiti della destra più legalitaria. Le carceri ed i nuovi campi di concentramento voluti dall’allora Ministro della Giustizia Hermann Goering, iniziarono ad “ospitare” migliaia oppositori e potenziali tali: comunisti, anarchici, attivisti cattolici e libertari in genere (gli ebrei, zingari, omosessuali, ecc.. per quanto subito soggetti a sopprusi, malvessazioni e limitazioni giuridiche, cominciarono ad essere sistematicamente raccolti nei läger solo più tardi).
In questo modo alcune migliaia di potenziali oppositori attivi non ebbero mai modo neanche di cominciare una qualsiasi attività contro il regime, e di questi molti che non erano morti negli anni tra il 1933 ed il ‘39, durante gli anni della guerra finirono praticamente tutti con l’essere giustiziati o col perire di stenti e lavoro coatto.
Al momento dello scoppio della guerra si trovano in carcere o nei campi di concentramento circa 30.000 tedeschi, mentre nei sei anni trascorsi dalla presa del potere dei nazisti, un totale di circa un milione di persone vi era transitato: E durante gli anni di guerra le maglie si infittirono, tanto che nei soli mesi di gennaio e febbraio del 1941 vennero internati oltre 11.000 “oppositori di sinistra”, mentre nell’aprile-giugno del 1944 vennero arrestati per motivi politici 177.000 persone, di cui 21.000 tedeschi. Alla fine della guerra, si era avuto un totale di 7.820.000 internati (di cui 6.000.000 erano ebrei) dei quali sopravvissero solo 700.000 persone.
In ogni caso, nonostante le strette maglie della Gestapo (Geheime Staats Polizei, Polizia segreta di Stato) e del servizio Segreto delle SS (SD, Sicherheitsdienst, ovvero Servizio di Sicurezza), nel 1942-43, non tutti gli oppositori civili erano ancora finiti nelle loro grinfie mentre pochi altri vennero per così dire “tollerati” in base al prestigio di cui godevano, almeno finché la loro antipatia per il nazismo non diventava vero antagonismo acclarato.
Un fattore importante di cui tener conto per spiegare l’inefficienza della resistenza tedesca, inoltre, è che durante il cruciale periodo immediatamente precedente allo scoppio del conflitto e nei primi anni di guerra, il patto di non-aggressione Ribbentrop-Molotov, tra Germania e Unione Sovietica, aveva messo i comunisti tedeschi, o simpatizzanti tali, in una situazione imbarazzate (così come quelli di tutte le altre nazioni europee, compresi i paesi nemici della Germania); secondo le direttive di Mosca, essendo la Germania “quasi alleata” dell’Unione Sovietica, il regime nazionalsocialista non era da contrastare in alcun modo. Le cose cambiarono solo con l’attacco tedesco all’Unione Sovietica del 1941; ma la Gestapo aveva ormai avuto comodamente modo di controllare efficacemente tutte le cellule nascoste dell’ex partito comunista-spartachista, salvo forse singole persone che, come già accennato, espressero il loro dissenso con piccoli e singoli boicottaggi nascosti.
E qui veniamo al secondo motivo dell’inefficacia del già debole movimento di resistenza tedesco: esso infatti non fu mai un vero movimento, rimanendo sempre frazionato in piccolissimi groppuscoli quasi sempre indipendenti l’uno dall’altro (si parla di circa 300 circoli e gruppi di varia estrazione e con diversi intenti). Il SOE britannico (l’Esecutivo Operazioni Speciali che operava e collaborava con i movimenti di resistenza di tutta Europa) fece alcuni tentativi infruttuosi per collegarsi con i vari gruppetti e circoli, al fine di creare un efficace coordinamento ed un vero movimento di resistenza attiva; tentativi falliti quasi regolarmente e quasi mai per opera del controspionaggio tedesca.
Tra questi piccoli groppuscoli furono assai rari quelli che si spinsero un po’ più in là facendo propaganda attiva anche al di fuori della cerchia degli affiliati. Tra questi il più noto è probabilmente quello della “Rosa Bianca”, attivo in Baviera e composto da sei giovani studenti o ex studenti universitari, attivisti cattolici, e da un loro professore (alcuni dei giovani avevano avuto esperienza diretta della guerra operando nei reparti medici). Tra il 1941 ed il ‘43 pubblicarono e distribuirono sei diversi opuscoli inneggianti al pacifismo e alla resistenza passiva. Nel 1943 cominciarono ad operare in maniera più attiva (ormai sui loro ultimi due opuscoli si leggeva “Il movimento di resistenza in Germania) e sempre più scoperta.
Infiammati da una piccola sommossa spontanea degli studenti dell’università di Monaco in seguito ad una sciovinista arringa del Gauleiter (più o meno “sindaco”), i membri della Rosa Bianca decisero di lasciare alcune migliaia di volanti all’interno dell’Università. Sophie Scholl con un gesto di grande coraggio e temerarietà decise addirittura di lanciare gli ultimi volantini dalle scale dell’università sui sottostanti studenti. Lei ed il fratello (iniziatore del gruppo) vennero subito arrestati e stessa sorte toccò immediatamente dopo a Christof Probst. Gli altri detenuti detenuti e i carcerieri, negli anni seguenti, raccontarono che i tre mantennero sempre una dignità straordinaria e morirono quasi col sorriso sulle labbra.
All’arresto e l’esecuzione (per decapitazione) dei fratelli Hans e Sophie Scholl e di Probst, seguirono gli altri giovanissimi componenti della Rosa Bianca: Alex Schmorell, Willi Graf ed il professor Kurt Huber (riuscì a salvarsi Jurgen Wittenstein che riuscì fortunosamente a sfuggire alle maglie della indagini della Gestapo ritornando nell’esercito a combattere sul fronte italiano); pesanti condanne vennero inferte a chi con essi aveva avuto anche semplici contatti: probabilmente fu la fine della guerra a salvare alcuni di quest’ultimi.
La vicenda della Rosa Bianca fece assai scalpore, negli ambienti dove se ne venne a conoscenza. Quando gli inglesi – che erano venuti a conoscenza dell’ultimo volantino grazie all’azione di Dietrich Bonhöffer (v. oltre) che riuscì a farne passare alcune copie in Svezia – fecero cadere milioni di copie dell’appello della Rosa Bianca su molte città tedesche, ne venne a conoscenza anche larga parte della popolazione tedesca, col probabile effetto di smuovere non poche coscienze.
Altro gruppo degno di nota è il cosiddetto “Circolo di Kreisau”, guidato da Helmut von Moltke, che elaborò una bozza di nuova Costituzione. Questo circolo di ispirazione social-democratica, come altri aborriva però la violenza e non riusciva a trovare una soluzione al problema fondamentale di eliminare Hitler.
In un documento anonimo del periodo si legge: «Dobbiamo affrontare le SS, attaccare i loro camion e liberare i nostri amici? Ma le SS sono armate e noi non lo siamo. Nessuno può darci un’arma; e se qualcuno lo facesse, non sapremmo come usarla. Non siamo degli assassini. Nutriamo venerazione per la vita umana. Questa è la nostra forza, e la nostra debolezza.» I tirannicidi non sono fatti di questa pasta….
Tra i circoli di ispirazione comunista, sopravvissuti per un certo tempo alle repressioni dei primi anni del regime, il più noto e praticamente unico è la cosiddetta “Orchestra Rossa” (Rote Kapelle). In realtà furono due i gruppi con questo nome; il primo era un circolo spionistico diretto dall’Unione Sovietica, il secondo era autonomo e completamente tedesco. L’attività di quest’ultimo consistette soprattutto nel tentare di far conoscere all’estero i crimini nazisti e in azioni di volantinaggio. Nel 1942 anche i gruppi “Rote Kapelle” erano stati distrutti dalla Gestapo.
Tra gli oppositori civili più in vista, si distinsero per decisione quelli che presero parte al complotto che portò all’attentato del 20 luglio 1944: Carl Goerdeler, ex borgomastro di Lipsia e commissario ai prezzi del Reich, Dietrich Bonhöffer, pastore evangelico ed eminente studioso (un membro della Rosa Bianca, Graf, tentò di prendere contatto con il suo circolo antinazista), Ulrich von Hassel, ex ambasciatore a Roma. Questi (e pochi altri) per quanto sorvegliati riuscirono a continuare a propagandare in privato le loro idee antinaziste e a prendere poi parte all’unico movimento di resistenza che ebbe qualche speranza di successo: il relativamente vasto gruppo di congiurati tutto interno all’esercito o all’Abwher (il servizio segreto militare) o ad essi legato.
I membri “civili” associati ai vari complotti nati negli ambienti militari, sia pure con idee poco “sinistrorse”, erano probabilmente mossi da intenti più o meno ideologici, sia che si trattasse di ex-nazisti “pentiti”, che avevano anche rivestito cariche importanti nel regime (come Goerdeler, Schacht, Popitz), che di oppositori della prima ora come Bonhoeffer, von Schlabendorff, i fratelli John ed altri.
I membri dell’esercito, invece, probabilmente non erano mossi da motivazioni ideologiche, se non come aspetto secondario. Gli alti gradi militari, in larga parte, pur non essendo nazisti convinti, non erano o non erano stati del tutto contrari alle idee propugnate dal Nazionalsocialismo; piuttosto erano coscienti che il Nazismo aveva spinto la Germania in una guerra che stava perdendo con conseguenze tragiche. Visto che HItler ed i suoi più fedeli sostenitori non avevano la minima intenzione di cercare una pace di compromesso, ma sembravano piuttosto favorevoli a portare i destini della Germania fino alle più tragiche conseguenze, i vincitori della Germania, questa volta avrebbero sradicato del tutto quella casta degli ufficiali che, grazie al mito della “pugnalata alle spalle” era sopravvissuta al primo conflitto mondiale e si era poi alleata, almeno sotto alcuni aspetti, al Nazismo. Diversi membri altolocati dell’esercito, assai pragmaticamente, decisero quindi che era necessario intervenire in modo diretto con l’arresto di Hitler (dopo l’invasione della Russia anche col suo assassinio) ed un colpo di stato al quale sarebbe immediatamente seguito il tentativo di raggiungere una pace onorevole, soprattutto con gli angloamericani. Anche gli alleati, sostenevano la volontà di accettare esclusivamente una resa incondizionata, almeno fino a quando fosse durato il Terzo Reich.
Nessuno o scarso antinazismo, quindi, quanto invece una sorta di semplice amor patrio, volto a risparmiare alla Germania le terribili sofferenze a cui fu invece sottoposta nel ‘44-’45; in alcuni casi, forse, si trattò anche di semplice amore di casta.
Il primo tentativo, di stampo ancora relativamente “idealistico”, di rovesciare Hitler si ebbe già nel 1938, alla vigilia dell’occupazione dei Sudeti. Alcuni membri dell’opposizione “civile” presero contatti con membri delle forze armate che divennero il primo anello di collegamento tra oppositori civili e militari: Goerdeler con il generale von Hammerstein, Schlabrendorff con il colonnello Oster, aiutante dell’ammiraglio Canaris. cioè il capo dell’Abwher (servizi segreti militari), una dei personaggi più misteriosi della Germania nazista, che da quel momento divenne anche una delle principali figure del complotto. Tutto questo quando Ludwig Beck si stava dimettendo dalla carica di capo di stato maggiore dell’esercito.
Beck, venuto a conoscenza dei piani di invasione dei Sudeti e del resto della Cecoslovacchia, aveva infatti protestato con il comandante in capo dell’esercito von Brauchitsch, temendo che l’invasione avrebbe causato la reazione armata di Francia, Gran Bretagna e Russia: e la Germania non era assolutamente in grado di vincere una eventuale guerra. Von Brauchitsch rimase fedele al concetto che doveva ubbidire al governo legale senza discutere; Beck invece si dimise e da quel momento passò alla resistenza.
Sebbene non facesse più parte dell’Esercito le sue conoscenze gli permisero di unire al complotto alti ufficiali capaci di sconfiggere, con le loro truppe, qualsiasi reazione delle SS di fronte ad un colpo di stato. Mentre si prendevano contatto con gli inglesi, in particolare Churchill (allora parlamentare indipendente), perché assicurassero la dichiarazione di guerra in caso di invasione della Cecoslovacchia e l’approvazione internazionale per il conseguente colpo di stato, i congiurati decisero che Hitler sarebbe stato arrestato il giorno stesso della diramazione dell’ordine di invasione. Portroppo per i congiurati (e a posteriori, per l’intera Europa) il primo ministro britannico Chamberlain era di più miti consigli rispetto alle aspettative di Churchill e assai più favorevole a salvare la pace ad ogni costo: alla conferenza di Monaco Hitler riuscì a portarsi a casa la “benedizione” per l’appropriazione dei Sudeti, e la certezza che le potenze avrebbero chiuso gli occhi anche di fronte alla successiva invasione del resto della Cecoslovacchia. Di fronte a questa vittoria politica, la maggior parte della Wermacht si schierò dalla parte di Hitler: i membri del complotto non avevano più nessuna carta da giocare.
Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, i congiurati civili (che già qualche mese prima avevano amplificati i loro sforzi per far conoscere all’estero le reali intenzioni di Hitler) e soprattutto quelli della cerchia militare, ebbero occasione di tentare un nuovo colpo di stato. Purtroppo, nonostante il fatto che le potenze occidentali avessero dichiarato che un attacco alla Polonia questa volta non sarebbe stato tollerato – minaccia confermata con la dichiarazione di guerra a pochi giorni dall’invasione – i militari mancarono di decisione. Molti alti ufficiali sposarono la tesi che, al di là di ogni crisi di coscienza, in tempo di guerra l’esercito doveva rimanere fedele al regime; von Rundstedt, ad esempio, disse: “All’esercito è stato affidato un compito. E questo compito deve essere assolto”. Questo nonostante il fatto che molti, già preoccupati per l’estendersi del conflitto, fossero assai poco fiduciosi nella riuscita dei piani di Hitler ad Occidente.
Si progettò un’unica trappola: Hitler, sarebbe stato arrestato, prima dell’attacco ad Ovest, durante una visita al quartier generale del generale von Hammerstein. Qualcuno però fiutò il pericolo e Hammerstein fu dispensato dal servizio.
Il 10 maggio scattava l’offensiva sul fronte occidentale e, nonostante le previsioni pessimistiche di molti militari, si rivelò un trionfo per la Wermacht. Questo mise per un po’ tempo una pietra sopra ogni iniziativa complottistica, con i militari che si affidavano al genio militare del “caporale boemo”.
La “fronda” nello Stato Maggiore dell’esercito si risvegliò alla vigilia dell’attacco alla Russia, nel 1941. Le motivazioni del dissenso dei militari erano essenzialmente due. La prima, che la guerra su due fronti (e che fronte, quello delle immense distese russe) era sucuramente un errore strategico, che avrebbe portato a conseguenze disastrose per la Germania. La seconda motivazione era di carattere etico; Hitler era stato infatti chiaro: “La guerra contro la Russia non potrà essere combattuta in modo cavalleresco. Questa è una lotta di ideologie e di razze e dovrà essere condotta senza misericordia e senza soste”. Molti ufficiali erano però contrari a che l’esercito si compromettesse e si rendesse responsabile degli spaventosi comportamenti che fino ad allora erano stati prerogativa delle SS.
Il primo ordine diretto di Hitler era che i commissari politici dell’Armata Rossa dovevano essere immediatamente fucilati. Sebbene nessuno ebbe il coraggio di dichiarare al Führer il suo dissenso, e lo stesso comandante in capo dell’Esercito von Brauchitsch ed il suo capo di stato maggiore Halder sottoscrissero l’ordine, molti dissentirono in privato di questo modo di fare. Il comandante del Gruppo di Armate Centro, von Bock, però non diramò alle truppe gli ordini di Hitler; e fu nel quartier generale di von Bock che si installò il centro direttivo della cospirazione, guidato dal generale von Tresckow, primo ufficiale dello stato maggiore di Bock (il quale sarebbe salito sulla carrozza dei congiurati solo se questi avessero avuto successo).
Purtroppo per i congiurati la firma del Patto Atlantico tra Gran Bretagna ed USA smorzò molti entusiasmi. Nelle dichiarazioni degli Alleati, infatti, non solo non veniva fatta alcuna distinzione tra la nazione tedesca ed il regime nazista, ma veniva preventivato il totale smantellamento della potenza militare tedesca; la sconfitta della Germania avrebbe quindi significato anche la totale sparizione della casta militare, anche se questa avesse abbattuto il terzo Reich.
I generali dello Stato Maggiore tedesco, d’altronde, non erano nelle migliori condizione di spirito per approvare la congiura: dopotutto la Germania stava ancora vincendo…
Nell’inverno del 1942, però, con il mancato raggiungimento degli obiettivi dell’operazione “Barbarossa”, ovvero la mancata conquista di Mosca, dal punto di vista delle operazioni belliche vi era stato un generale scoramento nelle file dell’esercito, propenso ad una ritirata generale in vista del gelido inverno russo del ‘41-42. Hitler evitò lo sfaldamento obbligando i comandanti a difendere le posizioni raggiunte, obbligando gli uomini a resistere senza retrocedere. Con un senso di onnipotenza, credendosi il “salvatore” dell’esercito, Hitler assunse quindi direttamente il comando dell’esercito al posto di un Brauchitsch malato e con la coscienza a pezzi, ed iniziò la grande purga che vide l’esautoramento di 35 comandanti di divisione e di corpo d’armata, insieme a diversi Feldmarescialli.
Questo schiaffo diretto alla casta militare diede nuovo slancio alle file della resistenza, facendo avvicinare molti al gruppo di Beck. Un ostacolo era però rappresentato dall’esasperato senso dell’onore e della legalità degli ufficiali; questi si sentivano infatti legati al loro giuramento di fedeltà ad Hitler nella sua qualità di comandante supremo della Wermacht (cioè l’insieme delle tre forze armate: esercito, aviazione e marina), non erano però legati a nessun giuramento ad Hitler nella sua nuova carica autoassunta di comandante dell’esercito (Heer). Si poteva quindi disubbidire agli ordini di Hitler come comandante dell’esercito, senza ledere il proprio senso dell’onore. Basandosi su questo cavillo etico/giuridico si decise un nuovo piano per un colpo di stato: i comandanti dei due fronti avrebbero fatto un pronunciamento contrario agli ordini del Führer, mentre Beck, con l’appoggio dell’esercito territoriale, avrebbe deposto Hitler e proclamato un nuovo governo provvisorio. I congiurati avevano sondato il terreno trai vari comandanti al fronte e la cosa sembrava, almeno in linea teorica, fattibile.
In questi stessi giorni però, Hitler, volle rimaneggiare la distribuzione dei vari comandi ed i nuovi comandanti erano inavvicinabili dai congiurati perché forse fedeli al Führer, in altri si dimostrarono assai più tiepidi o indecisi. Von Kluge, nuovo comandante del settore Centro sul fronte russo, fu l’unico, sia pure un po’ pavidamente a collaborare con i congiurati von Tresckow e Goerdeler (quest’ultimo, civile e per di più sospetto, potè recarsi più volte al fronte grazie a lasciapassare falsi rilasciati da Canaris). Anche in questa occasione, però, il previsto arresto di Hitler in occasione di una visita al quartier generale di von Kluge, svanì perché il viaggio venne annullato, non si sa bene per quale ragione.
La fine del 1942 fu segnato dalla tragedia di Stalingrado, che segna un punto di svolta anche nelle opinioni generali dei soldati tedeschi. L’accerchiamento e l’ordine diramato alla VI Armata di Paulus di morire fino all’ultimo uomo, poteva essere un buon motivo perché i generali si ribellassero al regime. Al generale Paulus, accerchiato a Stalingrado, giunsero messaggi di von Beck che lo incitavano a lanciare un appello a tutti i militari affinché si ribellassero agli ordini assurdi di Hitler; Paulus però continuò a lanciare proclami di fedeltà al Führer e ai suoi soldati perché combattessero fino all’ultimo. Per assurdo, dopo la resa degli ultimi disperati difensori, Paulus, che era stato nominato Feldmaresciallo da Hitler negli ultimi giorni di resistenza, passò dalla parte dei sovietici, collaborando all’organizzazione di reparti tedeschi antinazisti che però non scesero mai sul campo.
Nel 1943 comunque, con le prime disfatte in Russia, Africa ed Italia, ed i bombardamenti sempre più intensi, era ormai chiaro a chiunque non volesse chiudere gli occhi di fronte alla realtà che la guerra era ormai persa. Attorno al nucleo originario di Beck e dei congiurati “civili” (primo fra tutti Goerdeler, che però ormai era sotto stretta sorveglianza della Gestapo ed estremamente limitato nei suoi movimenti) s’era unito un gruppo eterogeneo di alti ufficiali della Wermacht, ormai decisi a passare ai fatti.
Il gruppo diretto da Tresckow e Schlabrendorff riuscì a mettere una bomba di fabbricazione inglese, procurata dalll’Abehwer di Canaris, sull’aereo personale di Hitler, diretto ad ispezionare il fronte orientale. La bomba però non esplose.
Una nuova occasione venne in occasione della presentazione al Fürher di nuovi pastrani per l’esercito: un giovane ufficiale (Axel von dem Bussche) si era offerto di uccidersi in presenza del dittatore facendo esplodere due bombe a mano occultate nel cappotto della presentazione. Il fatale defileé, rimandato di volta in volta per impegni più urgenti, alla fine non si fece più.
Un’altro tentativo venne fatto durante una visita del Museo della vecchia Armeria di Berlino (la Zeughaus) da parte di Hitler ed altri importanti membri del suo enturage – Göring, Himmler, Dönitz, Keitel – cosa che rendeva l’occasione ancora più interessante, in quanto avrebbe eliminato anche altri possibili oppositori al progettato colpo di stato. Il colonnello GErsdorff, che doveva spiegare alcuni punti dell’esposizione, si offrì volontario per farsi saltare in aria durante la visita. Nel cappotto mise due bombe fornite dai servizi segreti di Canaris, regolate per esplodere a 10 minuti dall’innesco. Hitler però concluse la visita prima dei 10 minuti previsti e Gersdorff riusci a disinnescare le bombe in extremis.
I mesi tra la fine del ‘43 e l’inizio del 1944 furono segnati da un inasprimento dei controlli della Gestapo e della Polizia segreta dell SS, inasprimento che causò gravi colpi alla resistenza. Il “circolo di Kreisau” venne infatti disperso in seguito all’arresto del suo ispiratore Moltke; colpo forse più grave l’estromissione di Canaris dall’Abwehr, la cui struttura verrà incorporata nella SD (i servizi segreti delle SS). Canaris, già da tempo sospettato da Himmler, verrà poi arrestato subito dopo l’attentato del 20 luglio. Portato in campo di concentramento e torturato, verrà infine portato nudo al patibolo e strangolato nell’aprile del 1945, a pochi giorni dalla fine del conflitto. Anche altri membri della resistenza erano stati arrestati (Bonhöffer, tra i vari) o esonerati dal servizio (Oster) e strettamente sorvegliati (Goerdeler).
La fine del 1943 vede però anche nascere le premesse per l’attentato del 20 luglio 1944. Nel settembre del ‘43 in una riunione che vide protagonisti Beck, Goerdeler, ed i generali Kluge e Olbricht, vennero prese le prime direttive del piano che prese il nome convenzionale di operazione “Walküre” (Valchiria), la cui fattibilità era resa possibile da un personaggio particolarmente deciso e assegnato al posto giusto. Si trattava del colonnello conte Claus Schenk von Stauffenberg, pluridecorato e ferito in Africa (aveva perso un occhio, la mano destra e due dita della sinistra) ed era stato quindi assegnato all’Alto Comando della Wermacht (OKW), dove ne era in breve tempo diventato un membro importante ed influente (capo di stato maggiore dell’esercito territoriale) e allo stesso tempo uno dei più strenui oppositori di Hitler.
Secondo i piani, l’operazione Valchiria, definita nei minimi dettagli nei giorni immediatamente successivi allo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, sarebbe dovuta svolgersi nel seguente modo. L’attentato sarebbe avvenuto a Rastenburg, l’inavvicinabile sede del comando operativo di Hitler nella Prussia Orientale, noto anche come Wolfsschanze (tana del lupo); Stauffenberg, di recente, come membro dell’OKW aveva avuto accesso diretto alle riunioni che qui si tenevano e che vedevano spesso presenti anche altri importanti e pericolosi membri del Partito, quali Göring e Himmler. Stauffenberg, dotato di estremo sangue freddo e determinazione, era l’uomo adatto a far esplodere una bomba a tempo silenziosa di fabbricazione inglese (ne vennero procurate due dai membri dell’Abwehr, attingendo dalle prede belliche). Una volta ucciso il Furher – e possibilmente Göring e/o Himmler – un ufficiale presente a Rastenburg e appartenente al complotto, Fellgiebel, doveva comunicare a Berlino il risultato, dove sarebbe scattata l’occupazione militare della capitale da parte di truppe dell’esercito territoriale, il cui afflusso era stato presentato come una misura precauzionale in caso di ribellione da parte delle decine di migliaia dei lavoratori forzati. Il generale Olbricht, dell’alto comando delle truppe territoriali, insieme a diversi altri ufficiali avrebbe diretto le operazioni volte ad occupare i vari ministeri e prendere le leve del potere. Alcune ore dopo che si fosse stabilizzata la situazione nella capitale, Beck avrebbe assunto la carica di capo di stato provvisorio e poi avviato le trattative per l’armistizio con gli anglo-americani. L’altro polo della congiura sarebbe stato Parigi, dove il generale Stülpnagel, governatore militare di Parigi, aveva il compito di prendere il controllo della città e di altre aree del fronte bloccando ogni iniziativa delle SS e dell’SD e di convincere il sempre indeciso Kluge (da poco al comando del fronte occidentale) ad aprire le trattative con gli alleati. Il celebre Erwin Rommel, che aveva precedentemente dato la sua adesione alla congiura ed il cui prestigio sarebbe stato prezioso, era stato ferito poche settimane prima dell’attentato da un mitragliamento aereo.
Durante il mese di luglio del ‘44, per due volte l’attentato era stato rimandato per Himmler e Göring non erano presenti alle conferenze di guerra, sicché per quella del 20 si decise di procedere in ogni caso.Alla riunione del 20 luglio non erano infatti nel Göring, né Himmler, ma Stauffenberg decise comunque di procedere, visto i precedenti rinvii e non sapendo se e quando sarebbe stato nuovamente invitato a conferenze alla presenza del Fuhrer, e considerandole prossime offensive degli alleati che avrebbero costretto i comandanti al fronte a lasciare momentaneamente da parte qualsiasi idea di complotto. Per questi stessi motivi Stauffenberg proseguì anche quando venne a sapere che la conferenza, per via del gran caldo, non sarebbe stata tenuta nel solito bunker in cemento armato, ma in una baracca di legno usata nei giorni di calura; da ex-ufficiale di artiglieria sapeva bene che l’esplosione, in un ambiente che offriva meno resistenza, sarebbe stata meno efficace, ma deve aver ritenuto la cosa un problema secondario.
Prima di entrare nel recinto della baracca, con l’aiuto di una piccola tenaglia ruppe la capsula contenente l’acido dell’innesco a tempo (si era a lungo allenato a compiere quest’operazione con le sole tre dita rimaste) della bomba contenuta nella sua valigetta 24ore, quindi stringendosi la borsa al petto raggiunse il feldmaresciallo Keitel e gli altri ufficiali ed entrò nella baracca dove Hitler stava già ascoltando i rapporti dai vari fronti. Appoggiò la valigetta abbastanza vicino ad Hitler, contro uno dei massicci zoccoli di legno che sorreggevano il pesante piano del tavolo; dopo qualche minuto comunicò la scusa che stata attendendo una importante telefonata di servizio da Berlino a Keitel, il quale gli diede il permesso di allontanarsi. Dal momento dell’accensione dell’innesco aveva dieci minuti di tempo che gli consentirono di uscire dal recinto attorno alla baracca e raggiungere l’auto dove il suo attendente (anch’egli facente parte della congiura) lo stava aspettando col motore acceso; qui attesero alcuni istanti l’esplosione (avvenuta alle 12:42) e subito dopo partirono in macchina superando i due posti di blocco dei recinti esterni grazie al fatto che le SS di guardia credettero in un primo momento ad una bomba d’aereo, e soprattutto grazie al sangue freddo e alla faccia tosta di Stauffenberg; raggiunsero quindi il vicino aeroporto dove era in attesa l’aereo di servizio e raggiunsero Berlino.
Fellgiebel, che doveva comunicare a Berlino l’esito dell’attentato vide però comparire Hitler vivo, sebbene leggermente ferito, il quale diede subito ordine di interrompere tutte le comunicazioni non autorizzate da Rastenburg.
Era successo che ad un ufficiale la borsa posata da Stauffenberg vicino al Führer dava fastidio e la allontanò con un calcio; a proteggere Hitler fu la distanza dall’ordigno, ora al di là dello zoccolo, il pesante tavolo di legno e la scarsa resistenza della baracca di legno: dei 24 presenti nella sala, i morti furono solo quattro, e nessuno di essi era una figura importante del regime.
A Berlino, nel frattempo, alcuni membri del complotto, ed in particolare il generale intendente delle truppe territoriali Olbricht, che aveva il compito di sostituirsi a Fromm (il comandante in capo dei territoriali) se questi non fosse stato disposto a collaborare, si erano recati al Ministero della Guerra, in attesa di comunicazioni, che però non arrivavano. Dopo tre ore di attesa, una breve comunicazione da Rastenburg comunicò al Ministero che c’era stato un attentato, ma la telefonata si interruppe prima che si capisse se Hitler era rimasto ucciso o meno. Pur nell’incertezza, Olbricht decise comunque di prendere in mano la situazione e diede il via, a nome del suo diretto comandante Fromm, all’operazione “Walküre”.
Stauffenberg arrivò poco dopo al Ministero della guerra, quasi contemporaneamente a Beck, il quale non ce la faceva più ad aspettare senza notizie. La notizia della morte di Hitler stava trapelando in tutto il Ministero, con reazioni che andavano dallo sgomento all’apparente indifferenza, quando Stauffenberg, stupito per il ritardo di oltre tre ore con cui l’operazione Valchiria era partita (perdendo cioè tempo prezioso in quelle prime fasi di smarrimento e confusione), confermò che Hitler era sicuramente morto nell’esplosione.
In realtà, in quel momento, un Hitler scosso ma sostanzialmente illeso, stava mostrando le macerie della baracca a Mussolini, la cui visita a Rastenburg era già prevista, mentre poco dopo si affollarono alla presenza del Führer tutti i più importanti capi nazisti – Himmler, Göring, Ribbentrop, Dönitz, Bormann – accorsi sul posto a ribadire la loro assoluta fedeltà. Le SS avevano anch’esse cominciato le loro indagini e non c’era voluto molto a fare due più due tra l’attentato e la precipitosa partenza da Rastenburg di Stauffenberg.
Al Ministero, Olbricht si recò da Fromm, comandante in capo delle truppe territoriali, sostenendo che Hitler era morto. Fromm però si attaccò al telefono e si mise in contatto con Keitel a Rastenburg, il quale disse invece che il Führer era ancora vivo. Olbricht, al colmo della perplessità, si ritirò per tornare poco dopo con un decisissimo Stauffenberg ed alcuni uomini armati legati al complotto. Stauffenberg raccontò a Fromm di quanto aveva fatto e disse che Keitel stava sicuramente mentendo: quella per Fromm era l’ultima occasione per salire sul carro del colpo di stato. Fromm però rifiutò, al che venne arrestato. Stessa sorte subirono alcuni uomini della Gestapo inviati da Goebbels (l’unico importante capo nazista presente in quel momento a Berlino) ad indagare su quanto stava accadendo al Ministero.
Stauffenberg mostrava una spavalda sicurezza ma diversi altri membri del complotto presenti mostrarono segni di preoccupazione. In effetti non avevano tutti i torti perché, oltre al fatto che Hitler era ancora vivo, l’operazione “Walküre” non era stata progettata bene nei suoi particolari e non stava affatto procedendo come avrebbe dovuto. Le truppe che dovevano occupare la città ed arrestare i comandanti delle SS e della Gestapo non stavano affluendo a Berlino con la rapidità prevista ma, soprattutto, nessuno aveva previsto di occupare le stazioni radiotrasmittenti. Inoltre ad arrestare Goebbels era stato mandato il reparto comandato da un maggiore che non solo non aderiva al complotto, ma era un fanatico nazista. Goebbels, che era in contatto diretto con Rastenburg lo fece parlare direttamente con Hitler che lo promosse al grado di colonnello e lo incaricò direttamente di prendere le contromisure per neutralizzare i traditori: il giovane ufficiale nazista non si sarebbe mai immaginato un tale onore e Goebbels non ebbe mai ufficiale a lui più fedele e zelante.
Alle 18 e 45 Goebbels fece trasmettere alla radio l’annuncio che il Führer era sopravvissuto ad un attentato, e questo dileguò le ultime speranze dei cospiratori chiusi nel Ministero della Guerra, quando i vari comandanti che venivano da qui contattati per prendere i vari ordini legati al tentativo di colpo di stato cominciarono a rifiutare di obbedire, e quando le truppe convocate a Berlino cominciarono ad essere disperse.
Anche a Parigi, l’altro centro del complotto, le cose non stavano andando bene. Gli ordini relativi all’operazione erano stati diramati, ma i rivoltosi, arrestando 1200 uomini tra SS e Gestapo, avevano il controllo solo della città, mentre per il resto della Francia occorreva la collaborazione del comandante in capo del Fronte Occidentale Kluge, il quale aveva tergiversato alle proposte del capo della cospirazione in Francia, Stüllpnagel (comandante della piazza di Parigi). La trasmissione radio ordinata da Goebbels mise fine agli indugi di Kluge che voltò le spalle a Stüllpnagel.
Ulteriori messaggi radio annunciarono che Hitler avrebbe parlato alla radio quella stessa notte, togliendo così le ultime speranze ai membri della resistenza (avrebbe poi parlato all’una del 21 luglio, quando la rivolta era ormai stroncata).
Fromm, nel frattempo, con la collaborazione di un gruppo di nazisti fedeli, era stato liberato e procuratisi delle armi, verso le 23 essaltarono il complesso degli uffici dove si erano asseragliati i congiurati. Beck, Olbricht, Stauffenberg e gli altri venenro arrestati.
Con il timore che la Gestapo risalisse ai precedenti collegamenti da lui avuti con i congiurati, Fromm istituì una frettolosissima corte marziale per il processo sommario e l’immediata esecuzione degli uomini da lui accusati di tradimento.
Beck scelse di uccidersi, mentre Stauffenberg, Olbricht altri due vennero immediatamente fucilati. Un attimo dopo arrivò la Gestapo che condusse indagini rigorosissime tra i rivoltosi catturati e non ancora uccisi, indagini dal cui risultato Fromm non riuscì comunque a salvarsi.
I membri della resistenza, già penalizzati dalla mancata uccisione del principale bersaglio, si erano mossi troppo lentamente e con disorganizzazione e scarso impeto: in quasi tutti i comandi della Wermacht in Germania o sui fronti le telefonate provenienti dai golpisti del Ministero della Guerra erano state precedute dagli ordini provenienti dal quartier generale del Führer.
Già dal giorno dopo il maglio della vendetta di Hitler piombò sui congiurati (durante la visita di Mussolini aveva urlato come un forsennato. “Massacrateli! Massacrateli tutti!”, tanto che il maresciallo Graziani sussurò all’orecchio del Duce chiedendosi se non fosse impazzito.)
La maggior parte dei congiurati vennero uccisi dopo un processo farsa miranti a umiliare e screditare i membri del movimento, il più importante dei quali, con la regia del Ministero della Propaganda, iniziò il 7 agosto del 1944 con 8 imputati (tra cui il Feldmaresciallo von Witzleben, che avrebbe dovuto assumere il comando della Wermacht dopo il golpe), tutti giustiziati impiccandoli con dei sottili fili metallici a ganci da macellaio. A questo processo ne seguirono altri. In totale furono circa 170 persone che morirono in seguito al fallito golpe – militari, ma anche civili di ogni settore della società –, la maggior parte di essi venne giustiziata, altri si suicidarono; Stülpnagell venne giustiziato dopo che era riuscito solo a ferirsi con un tentativo di suicidio; Erwin Rommel venne “invitato” a suicidarsi – dovendo scegliere tra questa soluzione e l’umiliante processo, e la sua morte “in seguito a ferite” venne cinicamente celebrata dal regime nazista come un grave lutto nazionale; Treskow scelse il suo supplizio avanzando da solo nella terra di nessuno ed offrendosi ai proiettili russi.
L’attentato del 20 luglio fu l’ultimo e forse uno dei meno fulgidi episodi della resistenza tedesca. Sicuramente segnò la fine di ogni tentativo di resistenza organizzata; alcuni tedeschi forse continuarono quella sotterranea opera di boicottaggio silenzioso che, sia pure inefficace, risolleva almeno in parte il giudizio etico sulla popolazione tedesca durante gli anni del Terzo Reich.
http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenza.html
http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenza9a.htm
Fonte: http://www.mlbianchi.altervista.org/resistenza_tedesca.doc
Sito web da visitare: http://www.mlbianchi.altervista.org/
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