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La definitiva sconfitta di Napoleone favorì il ritorno della pace sul continente Europeo. Le potenze alleate si adoperarono per ristabilire gli equilibri internazionali che prima la rivoluzione francese e poi la politica espansionistica di Napoleone avevano sconvolto. La restaurazione dell’ordine in Europa avvenne all’insegna del “principio di legittimità” che prevedeva il ritorno sul trono di tutti i sovrani spodestati. Annullare a ritroso il processo storico si rilevò tuttavia un’impresa impossibile, perché i principi liberali e democratici diffusi in tutto il continente dalla Rivoluzione francese non potevano essere cancellati dalla coscienza collettiva, mentre il complesso di riforme introdotte dal Codice civile napoleonico rimase un punto di riferimento. Il realismo politico indusse quindi in molti casi a derogare da una rigida applicazione del principio di legittimità, a vantaggio del “principio di equilibrio” tra le potenze europee. Le divergenze e le contraddizioni nell’azione restauratrice favorirono indirettamente i movimenti nazionalistici.
La nuova sistemazione geopolitica dell’Europa venne decisa nel congresso di Vienna dove, Dal 1° Novembre 1814 al 9 giugno 1815 si riunirono i rappresentanti delle potenze vincitrici. Talleyrand rappresentante della Francia sconfitta con grande abilità diplomatica si adoperò per salvare il proprio paese e, in base al trattato di pace firmato a Parigi nel novembre 1815, il regno di Francia venne riportato ai confini del 1792 e fu costretto a pagare 700 milioni di franchi come indennità. Inoltre intorno alla Francia si formarono i Paesi Bassi, la Confederazione Germanica, la Confederazione svizzera e il Regno di Sardegna. La Russia oltre a mantenere la sovranità sulla Finlandia e sulla Bessarabia ottenne il controllo su gran parte del Ducato di Varsavia, mentre la Prussia acquisiva parte della Sassonia, della Pomerania e la Rennania. La Gran Bretagna non avanzò richieste territoriali sul continente europeo ottenendo invece il riconoscimento di possedimenti strategici per i commerci quali Malta e le isole Mauritius. Il regno di Danimarca cedette alla Svizzera la Norvegia, ottenendo i ducati di Holstein e Lauenburg. Furono infine reintegrati gli immensi possedimenti coloniali della Spagna e del Portogallo. Alessandro I, zar di Russia, invitò quindi gli stati europei a unirsi in una santa Alleanza volta a difendere l’ordine interno e internazionale. Alla proposta aderirono Austria, Prussia, Francia e altre monarchie. Invece la Gran Bretagna fondò una quadruplice Alleanza firmata da Gran Bretagna, Austria, Prussia, e Russia che introduceva un nuovo “principio d’intervento”.
La Restaurazione sancì l’egemonia austriaca su gran parte dell’Italia. Solo il regno di Sardegna riuscì a mantenere una certa autonomia da Vienna, ma divenne comunque un sicuro baluardo della conservazione. In Toscana il Codice napoleonico fu abrogato e sostituito con quello leopoldino ma fu lasciato spazio al dibattito politico-culturale e si favorì lo sviluppo dell’agricoltura, basato sul sistema della mezzadria. Nel regno delle due Sicilie rimanevano invece condizioni di grande arretratezza economica e totale era il controllo della Chiesa sul piano culturale.
Favorite dalla rinnovata collaborazione fra il “trono e l’altare”, le forze della Restaurazione più radicale passarono all’offensiva in tutto il Vecchio continente. In Russia e in Prussia i sovrani inaugurarono una politica spiccatamente reazionaria, contando sull’appoggio dell’aristocrazia terriera e di un apparato burocratico repressivo mentre gran parte della popolazione versava in condizioni miserevoli. Burocrazia centralizzata e controllo poliziesco costituirono i pilastri della politica promossa nell’Impero asburgico. Particolarmente duro fu il nuovo corso impresso in Spagna da Ferdinando VII che abolì la costituzione del 1812 e instaurò un regime violentemente repressivo. Improntata a un relativo moderatismo fu invece la restaurazione della monarchia in Francia. Il sovrano concesse una Carta costituzionale che, se da un lato riconosceva alcune conquiste fondamentali della Rivoluzione nonché alcune riforme napoleoniche, dall’altro ribadiva l’origine divina della monarchia. Questa Carta riconosceva ampi poteri al sovrano a discapito del parlamento i cui membri erano in parte nominati dal re e in parte eletti da tra una minoranza di cittadini con un reddito elevato. La linea di restaurazione moderata adottata da Luigi XVIII fu comunque contestata dagli ultras –gruppi monarchici estremisti- che si opposero alle riforme. La ventata conservatrice non risparmiò neppure la Gran Bretagna dove il partito dei tory, espressione della potente oligarchia terriera, si impose alla guida del paese proteggendo gli interessi agrari con un dazio. Il governo reagì con durezza alle proteste popolari: nel 1817 fu sospeso temporaneamente l’Habeas Corpus e venne impiegata la forza pubblica contro le manifestazioni. Nel 1819 in una manifestazione morirono 11 vittime (massacro di Peterloo). Nel Regno dei Paesi Bassi e in quello di Svezia riuscirono a imporsi forze moderate. La nuova costituzione svedese sancì la separazione tra i poteri dello Stato e allargò il diritto di voto ai ceti medi.
Già nel 1790 nelle Riflessioni sulla rivoluzione francese, pubblicate in Inghilterra, lo scrittore politico Burke aveva citato il razionalismo astratto. La storia di ciascun popolo ha ritmi naturali di sviluppo analogo a quelli di un organismo vivente, che non si possono lacerare senza generare violenza ed effetti ingovernabili. Secondo Burke era quindi arrogante e insensato il progetto di un’assemblea rivoluzionaria che, in Francia, pretendeva di fare in pochi mesi l’opera di secoli, trattando il proprio paese come una carta su cui scarabocchiare. Nettamente reazionaria e molto più violenta era invece la critica della rivoluzione negli scritti di Joseph de Maistre. La sua opera pose le basi teoriche del pensiero controrivoluzionario cattolico dell’età della Restaurazione. Le sue considerazioni sulla Francia interpretavano la rivoluzione come orrendo bagno di sangue e punizione divina per “l’empietà” dell’Illuminismo. Nella sua concezione teocratica uomini e popoli sono soltanto strumenti del volere onnipotente e imperscrutabile. Un caso emblematico è l’idea romantica di nazione che, contrapposta al cosmopolitismo settecentesco e illuministico, era intesa come genio o spirito del popolo, come identità collettiva profonda, radicata nella storia e nella tradizione. L’ottocento fu il secolo della storia per eccellenza: Hegel ne fu uno degli esponenti.
Durante la restaurazione, l’opposizione all’ordine costituito potè organizzarsi solo clandestinamente. In tutta Europa proliferarono sette e associazioni segrete. La struttura gerarchica delle società segrete e il loro carattere elitario erano necessari per condurre l’attività clandestina che avrebbe dovuto preparare moti insurrezionali. La setta dei Sublimi maestri perfetti per esempio aveva come obbiettivo l’instaurazione di una democrazia egualitaria e la comunanza dei beni. Altre associazioni, come i comun eros spagnoli avevano un programma moderato. Altre ancora come l’eteria greca o la federazione italiana miravano all’indipendenza nazionale. Tra tutte la più diffusa era la carboneria che svolse un ruolo importante nei moti insurrezionali della prima metà dell’Ottocento.
Riassunto dal libro “Piani e Percorsi della STORIA” di Riccardo Marchese
Fonte: http://www.sz.uni-erlangen.de/intern/templates/course1/gadondol/download/course3/Restaurazione.doc
Sito web da visitare: http://www.sz.uni-erlangen.de
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