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IL CONGRESSO DI VIENNA E IL RISORGIMENTO
CONGRESSO DI VIENNA
Nel 1815 i rappresentanti delle maggiori potenze europee, vincitrici di Napoleone, si riuniscono a Vienna in congresso, per cancellare quella che era l'eredita' della rivoluzione e del periodo napoleonico e ripristinare, in questo modo, l'Ancien Regime'.
Essi basarono la loro azione su due principi fondamentali: il principio di legittimità, secondo cui su ogni trono doveva tornare il legittimo sovrano che era stato spodestato, e il principio di equilibrio, secondo cui si doveva bilanciare la grandezza territoriale dei vari stati e creare degli stati cuscinetto per favorire una duratura pace europea. Nascono, così, delle nuove alleanze come la Santa Alleanza che comprendeva Russia, Prussia e Austria, e la quadruplice alleanza fra Inghilterra, Austria, Prussia e Russia con lo scopo di contenere una possibile reazione francese.
Per la prima volta nella storia dell’Europa moderna, tutti i sovrani e i loro ministri partecipavano ai dibattiti di un grande congresso in prima persona. I protagonisti furono Talleyrand per la Francia, Robert Stewart per l’Inghilterra, Metternich per l’Austria, il barone von Hardenberg per la Prussia e lo zar Alessandro I per la Russia.
Il personaggio che più influenzava lo svolgersi del Congresso di Vienna, anche perché in rappresentanza della parte perdente, fu certamente Talleyrand. Suo obiettivo fu quello di tenere la Francia, pur sconfitta, nella cerchia delle grandi potenze. Il principale antagonista del Talleyrand fu Metternich, cancelliere austriaco e figura autorevole nel panorama politico europeo che elaborò tutte le clausole della nuova realtà politica sintetizzandole in 121 Articoli.
L'Italia con la Restaurazione perdette l'Unità acquisita e vide instaurarsi un forte predominio austriaco.
La penisola italiana fu divisa in 10 Stati:
il Regno di Sardegna, il Regno Lombardo-Veneto, il Ducato di Parma e Piacenza Ducato di Modena e Reggio, il Ducato di Massa e Carrara, il Granducato di Toscana, il Ducato di Lucca, lo Stato della Chiesa, la Repubblica di San Marino, il Regno di Napoli e di Sicilia e Regno delle Due Sicilie.
Il Trentino, il Sud Tirolo e la Venezia Giulia tornavano a far parte dell'Impero Austro-Ungarico.
Il Tricolore Cisalpino fu sostituito con le bandiere delle rispettive ripristinate Dinastie e Ducati.
Durante la Restaurazioni gli italiani si misero al lavoro per creare da soli uno Stato Nazionale e il Risorgimento fu una conquista degli italiani prima di tutto su se stessi.
Con il ritorno dei sovrani e del potere ecclesiastico, si mossero i primi movimenti patriottici organizzati in Società segrete.
La più famosa fu la Carboneria (1815) che promosse i moti rivoluzionari di Napoli e Torino (1820-1821) che furono però soffocati dalle baionette austriache, come pure le insurrezioni a Modena, Reggio, Parma, Bologna e Ancona. (1831)
IL RISORGIMENTO
Con il termine Risorgimento si indica la genesi e lo sviluppo del processo di unificazione realizzato con la nascita dello stato nazionale in Italia.
È possibile ripercorrere le vicende del Risorgimento, muovendo dai moti napoletani e piemontesi del 1820-21 e da quelli scoppiati a Modena e nelle Legazioni pontificie nel 1831: furono esperienze politiche di raccordo tra il passato napoleonico e massonico, a cui i rivoluzionari di quel decennio attinsero progetti d'azione e forme organizzative, e il futuro, al quale consegnavano l'esigenza di istituzioni liberali, svincolate dall'assolutismo e fondate sulle costituzioni.
Negli anni Trenta Giuseppe Mazzini fu il più tenace e convinto assertore della necessità dell'unificazione politica, da lui concepita come atto volontario, di uomini che sceglievano liberamente un destino comune nell'orizzonte della democrazia e della repubblica. Chi aderiva alla mazziniana Giovine Italia, un'organizzazione sorta nel 1831, sapeva di dover lottare per l'indipendenza nazionale: e fu questo il primo passo verso l'unità. Tale obiettivo non era condiviso dalla corrente moderata e monarchica, che si batteva per l'indipendenza dell'Italia, ma non per la sua unione politica, considerata un progetto irrealizzabile. Eppure tutti i rappresentanti del moderatismo ebbero una parte di rilievo nel formare la classe politica risorgimentale, che dopo il 1861 avrebbe governato l'Italia almeno fino alla fine del secolo.
Le rivoluzioni del 1848-49 introdussero un fattore nuovo, che venne sperimentato nel vivo delle insurrezioni antiaustriache e nel fuoco della prima guerra d'Indipendenza (1848-49), e delle altre imprese diplomatiche e militari che seguirono.
Il 17 marzo 1861, con la proclamazione di Vittorio Emanuele II a re d'Italia, si compiva la prima fase del Risorgimento: le successive tappe (terza guerra d'Indipendenza, 1866, e presa di Roma, 1870) aggiungeranno il Veneto e Roma; per le altre aree di cultura italiana, anche se non completamente, ossia il Trentino, l'Alto-Adige, il Friuli, sarà la prima guerra mondiale a concludere il processo di unificazione.
I MAGGIORI STATI ITALIANI NEL RISORGIMENTO
Nel 1831 Carlo Alberto salì sul trono, fondamentalmente antiaustriaco Carlo Alberto attuò una serie di riforme che resero il Piemonte la regione più evoluta della penisola e gli scritti di Gioberti, Balbo e d'Azeglio rafforzarono la tendenza filopiemontese nata in Italia. Nel 1848 Carlo Alberto entrò in guerra contro l'Austria, scossa dalle rivoluzioni di Vienna e di Milano, ma la campagna, dopo un inizio fortunato, prese un andamento sfavorevole, anche per le personali esitazioni del re, e si chiuse con la grave sconfitta di Custoza (25 luglio).
Carlo Alberto, temendo di vedere le idee repubblicane trionfare nel proprio Stato, chiamò dapprima al potere Gioberti (dicembre 1848) e successivamente (12 marzo 1849) ruppe l'armistizio con l'Austria anche per sottrarsi alla rinnovata accusa di tradimento che gli rivolgevano i patrioti. Ma la ripresa della guerra si concluse quasi subito con la disfatta di Novara (23 marzo 1849), che provocò la sua abdicazione a favore del figlio Vittorio Emanuele II. Carlo Alberto si recò allora in esilio in Portogallo, dove morì di dolore alcuni mesi più tardi (28 luglio).
Uomo importante del Piemonte fu Camillo Benso Conte di Cavour chiamato al governo da Massimo D’Azeglio che nel 1850 gli affidò il Ministero dell’agricoltura e del commercio e quindi quello delle finanze dove lo statista poté mettere alla prova le sue capacità di modernizzazione dell’apparato amministrativo dello stato piemontese. Era un liberale attento alle novità della scienza, lontano sia dall’assolutismo sia dal radicalismo, il suo progetto aveva al centro la realizzazione dell’unità d’Italia con a capo un monarca costituzionale e uno sviluppo economico basato sull’emergente borghesia. Cavour potenziò gli istituti bancari e ampliò la rete ferroviaria intuendone le potenzialità di sviluppo per il miglioramento dell’economia. In politica estera mirava a liberare l’Italia dalla presenza austriaca e colse l’occasione che gli veniva offerta dalla guerra di Crimea per far sedere i piemontesi al tavolo dei vincitori al congresso di pace che si tenne a Parigi nel 1856.
Alla morte di Ferdinando I, al trono del regno delle Due Sicilie, salì il figlio Francesco I, ma il suo regno durò solo cinque anni, e alla sua morte salì sul trono Ferdinando II. Il governo borbonico adottò una politica doganale di tipo protezionistico che non fu sufficiente per lo sviluppo dell’economia. Nell’industria le iniziative più rilevanti venivano prese da imprenditori stranieri, la borghesia commerciale era debole e il commercio di cereali era nelle mani di poche persone, gli stabilimenti metallurgici erano proprietà dello stato. Nel 1839 ci fu la prima ferrovia, ma questa servì soltanto a dare prestigio alla monarchia. Il regno delle Due Sicilie era ricco di zolfo e il governo borbonico intendeva venderlo ad una ditta francese, ma il governo inglese intervenne non solo minacciando di procurarsi lo zolfo in altri paesi ma anche attaccando la flotta. Di fronte ad un ultimatum il governo napoletano dovette cedere e lasciare il commercio dello zolfo al governo inglese.
Nel 1814 tornò al trono di Toscana Federico II che aveva governato con una certa tolleranza. Nel 1824 gli succedette Leopoldo II che continuò ad attuare la politica tollerante del padre accogliendo nel suo granducato gli esuli costretti a fuggire dal regno di Napoli. La stampa contribuì a creare rapporti culturali unitari. A Firenze nacque la più importante rivista di quegli anni l’Antologia. Nel 1829 la rivista contava 520 abbonati. Ma la situazione economica della Toscana non era cambiata rispetto a quella del secolo precedente. Lo Stato pontificio era tra i più arretrati d’Italia. La rivoluzione promossa da Ciro Menotti a Modena aveva allarmato i governi europei. Ma l’equilibrio che esisteva nel granducato di Toscana consentiva un moderato progresso; nello Stato pontificio invece c’era soltanto stagnazione I territori sotto il controllo dello Stato Pontificio rimasero sotto la protezione delle truppe francesi; essi vennero attaccati solo nel 1870, dopo la sconfitta e cattura di Napoleone III a Sedan nella guerra Franco-Prussiana.
I MOTI DEL 1820-1821
Nel 1820-21 ci fu un ciclo di rivolte che investirono la Spagna, il Portogallo, il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Sardegna e di cui furono protagonisti perlopiù ufficiali di formazione napoleonica e patrioti liberali organizzati nelle società segrete.
All'origine del breve ciclo rivoluzionario di dimensioni europee del biennio 1820-21, si ritrova innanzitutto il malessere diffuso nei quadri intermedi dell'esercito, nell'amministrazione statale e nei ceti di professionisti, ossia in quei settori che dall'esperienza napoleonica avevano ricavato prestigio sociale.
Il 1° gennaio 1820 a Cadice le truppe spagnole del corpo di spedizione che doveva salpare per l'America si ammutinarono e seguirono, quindi, altre insurrezioni nell'esercito e nelle principali città: politici e ufficiali in rivolta costrinsero il re Ferdinando VII a ripristinare la Costituzione.
Dopo la Spagna furono i democratici di Napoli a ribellarsi al sovrano, costringendo il re Ferdinando I ad accettare una Costituzione simile a quella spagnola e a convocare le elezioni per il parlamento. In agosto conseguì un esito analogo la ribellione scaturita in Portogallo.
Il successo della rivoluzione napoletana suscitò speranze nei liberali italiani e diede impulso alle società segrete come la Carboneria.
Mentre la rivoluzione napoletana si stava spegnendo, la ribellione scoppiò in Piemonte per iniziativa di un gruppo di membri delle alte sfere dell'esercito e degli ambienti di corte. I ribelli speravano di convincere il re a concedere una Costituzione sull'esempio spagnolo e, soprattutto, a muovere guerra all'Austria, per sottrarle la Lombardia e dare vita a un regno sabaudo dell'Alta Italia. La risposta di Vittorio Emanuele I sconvolse i piani degli insorti: il sovrano abdicò a favore del fratello Carlo Felice, temporaneamente assente, e nominò reggente Carlo Alberto; questi, incerto sul da farsi, concesse la Costituzione spagnola sotto la pressione dei rivoltosi, riservandosi però di farla approvare dal re. Ma l'esercito costituzionale venne battuto a Novara l'8 aprile dalle forze piemontesi fedeli al re appoggiate da truppe austriache.
Sia in Spagna sia nel Regno delle Due Sicilie la rivoluzione fu contrastata dai sovrani, che si rivolsero alle potenze della Santa Alleanza perché intervenissero a ripristinare l'assolutismo. Nel febbraio del 1821 un esercito austriaco scese nel Sud d'Italia e travolse le truppe fedeli alla Costituzione, scarse di numero e male armate. In Spagna l'assolutismo fu restaurato nel 1823 con l'intervento dell'esercito francese.
In Italia il fallimento dei moti insurrezionali fu seguito da una serie di pesanti condanne contro i ribelli, alle quali molti patrioti si sottrassero esulando all'estero.
I MOTI RIVOLUZIONARI DEL 1831
I moti rivoluzionari del 1831 si manifestano in alcuni stati italiani a seguito del successo della rivoluzione del Luglio 1830 in Francia con l’ascesa della Monarchia liberale di Luigi Filippo d’Orleans. Questi giurò fedeltà alla Costituzione e proclamò il principio del non intervento che sconfessava la politica del suo predecessore Carlo X, e mirava la compattezza della Santa Alleanza. Il suo agire diede un segnale favorevole ai patrioti di diverse nazioni europee. Ma pur essendoci una partecipazione più attiva della borghesia, anche i moti del ’31 non riuscirono a modificare le condizioni politiche italiane. Il motivo era lo stesso dei moti del ’20-’21: l’incapacità di attirare nella lotta rivoluzionaria le masse contadine.
Tali moti si svilupparono soprattutto nei ducati padani dove il patriota Ciro Menotti assunse la direzione dell’ iniziativa rivoluzionaria, cercando di coinvolgere il duca Francesco IV, che sembrava favorevole a candidarsi al governo di un regno dell’ Alta Italia libero dall’egemonia austriaca.
Su indicazione degli esuli italiani a Parigi che avevano formato un comitato, Ciro Menotti diede inizio all’ insurrezione. Il re di Francia Luigi Filippo assicurò agli italiani a pochi giorni dall’ insurrezione, il suo intervento, qualora gli austriaci avessero avuto intenzione di stroncarla. Al “non intervento” Luigi Filippo al fianco delle potenze per reprimere moti indipendentisti contrappose un intervento contro chiunque avrebbe varcato i confini di un paese che lottava per la sua indipendenza.
Menotti era riuscito ad organizzare una serie di comitati insurrezionali contemporanei a Bologna, Firenze, Parma e Mantova. Aveva anche lui deciso di accelerare i tempi convinto di avere l’appoggio del duca di Modena Francesco IV. Ma il duca fece il doppio gioco, anticipò e stroncò sul nascere le rivoluzioni.
A poche ore dall’inizio della ribellione, Francesco IV rivelò le sue vere intenzioni: fece circondare la sede operativa di Menotti riunito con i capi rivoluzionari, mobilitò l’esercito nei punti strategici della città per prevenire i moti in altri quartieri. Dopo l’assedio, Menotti con altri compagni furono processati con rito sommario. Francesco IV rientrato in città cercò di far ricadere la colpa del mancato successo su Menotti e i suoi amici per mettere a soqquadro tutte le sette segrete.
A Cesena, Rimini e Ravenna i rivoluzionari disarmarono i soldati inviati dal Papa e misero in fuga i delegati, a Bologna i rivoluzionari si erano già sbarazzati con un conflitto a fuoco dei soldati del Papa. Anche Bologna visse tre giorni di rivolta sanguinosa,con morti e feriti e con il legato pontificio che fuggì dalla città. I bolognesi in tripudio innalzarono sulle torri la bandiera tricolore. Papa Gregorio XVI, appena eletto pontefice, questi chiese aiuto all’Austria e desiderò l’intervento dell’esercito per reprimere la rivolta. Le autorità austriache presero subito drastici provvedimenti.
Giunta in Francia la notizia dei moti rivoluzionari in Italia gli esuli italiani tentarono un’invasione in Piemonte. Furono poi fermati ai confini della Savoia dalle guardie francesi. Gli austriaci,invasero il Ducato di Monaco seminando morte e distruzione. Francesco IV poté rientrare nella città riconquistata accolto dalla nobiltà e dal vescovo. Si ripristinò il governo e furono emanate severe pene contro i rivoluzionari dell’ultima rivolta. Anche le rivolte nelle altre città furono fermate con l’aiuto dell’esercito austriaco
LE RIVOLUZIONI DEL ’48
Le rivolte dei primi dell’800 avevano visto una scarsissima partecipazione dei ceti popolari, i quali non credevano che gli obiettivi dei liberali, una volta raggiunti, avrebbero migliorato le loro condizioni di vita.
I moti che scoppiarono in tutta Europa tra il ’48 e il ’49 segnarono invece una parziale svolta nella partecipazione delle classi popolari agli eventi politici. Il malessere era quindi ovunque assai più forte. In Italia si ebbero le prime insurrezioni popolari a Palermo e pochi giorni dopo a Napoli; la protesta convinse il re a promettere la Costituzione.
Richieste analoghe trovarono ascolto in Piemonte, in Toscana e nello Stato della Chiesa. Tra febbraio e marzo la rivoluzione si estese in Francia con l’insurrezione antimonarchica del popolo di Parigi che ottenne l’abdicazione di Luigi Filippo e la rinascita della repubblica.
Nella primavera, a Vienna e a Berlino analoghe proteste popolari costrinsero i sovrani ad accattare la Costituzione e la nascita di governi liberali.
La reazione dei ceti conservatori non si fece attendere: la cosiddetta “primavera dei popoli” sfiorì ben presto, infatti l’imperatore Francesco Giuseppe cominciò a contrastare le richieste dei liberali.
Nel giugno del 1848 ordinò che Praga fosse ripresa dall’esercito.
Anche in Prussia il re riacquistò l’assoluto controllo sui territori, sciogliendo il parlamento.
Nel 1849, invece, in Toscana si formò un governo popolare, mentre a Venezia e a Roma fu proclamata la repubblica.
A Roma, dopo l’attacco delle truppe francesi inviate da Luigi Napoleone su richiesta del papa Pio IX, i volontari repubblicani comandati da Garibaldi si arresero. A Venezia, assediata dagli austriaci, il capo dell’insurrezione, Daniele Manin, accettò la capitolazione nell’agosto del 1849.
GUERRE D'INDIPENDENZA ITALIANE
Guerre combattute negli anni 1848-49, 1859 e 1866 contro l'impero asburgico dal Regno di Sardegna (le prime due) e dal Regno d'Italia (la terza). Ebbero esiti diversi: la prima, che si svolse in due fasi, si concluse con la sconfitta dei piemontesi; la seconda, combattuta da una forza militare franco-piemontese, fu decisiva per la formazione dello stato unitario; la terza, nella quale l'Italia si unì alla Prussia in un'alleanza antiaustriaca, portò all'acquisizione del Veneto, ottenuto in virtù delle vittorie prussiane.
La Prima guerra d'indipendenza (1848-49) contro l'Austria, intrapresa dal re sabaudo Carlo Alberto il 23 marzo 1848, fu il risultato dell'ondata rivoluzionaria che travolse l'Europa nella primavera del 1848 e fu sollecitata dall'esito vittorioso delle insurrezioni patriottiche di Milano (Cinque giornate, 18-22 marzo) e di Venezia. L'armistizio di Novara, però, pose fine alla prima guerra d’indipendenza. Travolto dalla sconfitta, Carlo Alberto abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Le premesse del secondo conflitto sono racchiuse nella politica che Cavour, primo ministro del governo piemontese dal 1854, attuò per restituire allo stato sabaudo un ruolo di primo piano in Italia, dopo che le sconfitte del 1848-49 ne avevano minato la credibilità. Con la partecipazione alla guerra di Crimea, il Regno di Sardegna poté tornare a inserirsi nelle relazioni internazionali, condizione necessaria al rilancio del progetto di unificazione italiana.
Nella prospettiva di rafforzare il fronte antiaustriaco, Cavour con gli accordi di Plombières del 1858 strinse un'alleanza con l'imperatore francese Napoleone III, il quale si impegnò a combattere a fianco dell'esercito piemontese, ma solo in caso di aggressione austriaca e in cambio della cessione di Nizza e della Savoia. Il progetto prevedeva una sistemazione dell'Italia in quattro stati (il Regno sardo, il Ducato di Parma con la Toscana, lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie), funzionale a impedire la nascita di una nuova grande potenza territoriale e a garantire al Papa e alla Francia il ruolo di garanti dei nuovi equilibri. Anche questa guerra non portò gli esiti sperati.
Il progetto unitario venne poi rilanciato per iniziativa dei democratici e portato a compimento con la spedizione dei Mille di Garibaldi, che nel 1860 avrebbe portato alla liberazione del Sud dalla dominazione borbonica. I plebisciti per l'annessione al regno sabaudo e l'intervento di quest'ultimo con l'occupazione di parte dello Stato Pontificio sfociarono nella costituzione del Regno d'Italia, proclamato il 17 marzo 1861 dal Parlamento unitario, eletto nel gennaio dello stesso anno.
L'ultimo conflitto combattuto nel XIX secolo per l'unificazione italiana scaturì da una svolta nella politica internazionale. Il Regno d'Italia, da poco formatosi, si alleò con la Prussia allo scopo di trarre vantaggio dalla competizione austro-prussiana per la supremazia in Germania, anch'essa interessata da un processo di unificazione nazionale. Fu il cancelliere prussiano Bismarck a offrire al governo italiano un'alleanza militare, tale che tenesse impegnata sul versante sud una parte dell'esercito austriaco e lasciasse sguarnito il fronte tedesco. Il vantaggio sarebbe consistito nell'acquisizione del Veneto e di altri territori di nazionalità italiana sotto dominio austriaco. L'unificazione italiana, però, non fu raggiunta. Si realizzò, infatti, tra il 1870, con la presa di Roma, e la prima guerra mondiale, con l'acquisizione dei territori di Trento, Bolzano, Trieste e dell'Istria.
Fonte: http://classe4ba.altervista.org/CapitoloVIII.doc
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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