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La rivoluzione agraria nel ‘700
La rivoluzione agraria consiste in una profonda trasformazione dell’agricoltura verificatasi per la prima volta tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo in Inghilterra. Gli effetti economici più rilevanti della rivoluzione agraria sono la diminuzione (assoluta e relativa) della popolazione attiva occupata in agricoltura e il contemporaneo aumento della produzione. Il miglioramento della produttività che ha consentito il verificarsi di due fenomeni in apparenza contraddittori, ha svolto una funzione propulsiva fondamentale poichè
a) ha permesso di sostenere la crescita progressiva della popolazione e, in particolare, di alimentare le masse crescenti di popolazione urbana, favorendo con ciò, in una seconda fase, il processo di industrializzazione;
b) ha migliorato sensibilmente il benessere degli imprenditori agricoli, consentendo loro di aumentare la domanda di beni strumentali per l’agricoltura, di pagare maggiori imposte (utilizzabili dallo stato per costruire le infrastrutture) e di accumulare dei risparmi (utilizzabili dalle banche per finanziare lo sviluppo);
c) ha espulso manodopera dall’agricoltura, rendendola disponibile per lo sviluppo degli altri settori economici e specialmente dell’industria.
L’aumento della produttività agricola, effetto fondamentale della rivoluzione agraria, è stato ottenuto grazie alla trasformazione dei regimi agrari precedenti, d’impronta feudale e collettivistica, in regimi agrari di impronta capitalistica e individualistica, basati sul libero e pieno godimento della proprietà privata della terra.
I regimi agrari moderni, perciò, sono imperniati sull’individualismo agrario, ossia sulla massima libertà economica sul predominio della proprietà privata; nei confronti dell’agricoltura feudale i loro caratteri principali sono i seguenti:
a) libertà di circolazione degli uomini;
b) libertà di compra-vendita delle terre;
c) libertà d’uso delle terre;
d) predominio delle terre di proprietà individuale e drastico ridimensionamento delle terre collettive;
e) inesistenza di privilegi istituzionali a favore di singoli ceti.
Area geografica:
La rivoluzione agricola si verifica nell'Europa occidentale. Parte dai Paesi Bassi, dove già nel '500 e nel '600 fervevano numerose iniziative, e nel '700 si diffonde in Inghilterra dove ha un eccezionale sviluppo.
Fra le probabili cause di questa rapida diffusione va annoverata la struttura sociale inglese, meno rigida che in altri paesi europei, nella quale i grandi proprietari terrieri non costituiscono una casta ed assicurano una loro effettiva presenza sulle terre.
Nella prima fase (dal 1690 al 1730 circa) la rivoluzione agricola inglese imita i modelli fiamminghi, poi dal 1730 e fino alla metà del sec. XIX adotta varie innovazioni originali tanto da diventare modello al resto dell'Europa, particolarmente occidentale, ed agli Stati Uniti.
Da un punto di vista storico tale diffusione si realizza in rapporto diretto con la distanza di ogni paese dall'Inghilterra: i più vicini vengono raggiunti per primi e tra questi sono da annoverare anche gli Stati Uniti, dove il forte flusso migratorio dall'Inghilterra rappresenta una forma di vicinanza, indipendentemente da quella geografica.
Elementi che determinano la rivoluzione agricola:
1) Il maggese (terra coltivabile lasciata a riposo) è progressivamente soppresso.
La rigenerazione del suolo viene realizzata in modo graduale attraverso un alternarsi di colture che utilizzano elementi chimici del suolo diversi e situati a profondità variabili; inoltre il suolo viene concimato più abbondantemente grazie all'incremento dell'allevamento, favorito dalle piante foraggere introdotte nella rotazione delle colture (Il primo in Europa a consigliare la rotazione basata sulle piante foraggere era stato l'italiano Camillo Tarello autore nel 1556 di un manuale di agronomia).
2) Introduzione o estensione di colture nuove.
Rispondono all'esigenza della rotazione che impone l'introduzione nei cicli di piante diverse, alcune nuove, in specie americane, per la maggior parte d'Europa. Fra le altre ricordiamo la rapa, il trifoglio, il luppolo, il mais, la carota, il cavolo e, soprattutto, la patata. Rispetto ai cereali tradizionali, spesso si tratta di alimenti con scarso valore energetico che però consentono di fronteggiare le conseguenze dei periodici cattivi raccolti di cereali.
3) Estensione e miglioramento della superficie coltivata.
Viene imposta per legge la recinzione di varie aree coltivabili in un'unica unità di produzione al fine di aumentare i seminativi, interessando anche zone precedentemente incolte; viene ricercata forza-lavoro salariata, necessaria per una agricoltura intensiva. Si delinea la formazione dell'azienda agraria di grandi dimensioni.
4) Miglioramento delle attrezzature tradizionali e introduzione di attrezzature nuove.
Si ha anzitutto il miglioramento dell'aratro che in alcune regioni sostituisce la zappa. Migliorano anche altri strumenti agricoli che con l'adozione sempre più diffusa del ferro consentono di lavorare il terreno in profondità. Si diffondono tecniche nuove nel modo di coltivare la terra. A quest'epoca risale anche l'introduzione o la diffusione del drenaggio.
5) Selezione delle sementi e degli animali da riproduzione.
La selezione delle sementi comincia con attenta valutazione e prosegue in modo metodico e così anche quella degli animali da riproduzione tanto che si verificano rapidi progressi con aumento del peso dei capi di bestiame e del rendimento nella produzione del latte. Ciò consente anche di migliorare l'alimentazione con conseguente crescita demografica.
6) Riduzione dei pascoli tradizionali.
Questo comporta una maggiore estensione della superficie coltivata. Tuttavia l'allevamento del bestiame aumenta anziché diminuire grazie alla maggiore coltivazione delle piante foraggere.
7) Estensione dell'impiego dei cavalli nei lavori agricoli.
La velocità di trazione dei cavalli è del 50% superiore a quella del bue, perciò l'estensione del suo impiego permette la coltivazione di superfici sempre più estese; aumenta così la produttività, ulteriormente incrementata dal miglioramento dell'aratro, (contraddicendo la teoria di Malthus il quale ipotizzerà nel 1798 che le risorse della terra sarebbero state insufficienti a soddisfare le richieste alimentari della popolazione in continuo aumento). Diminuisce invece la percentuale di persone occupate nell'agricoltura, costrette quindi a trovare un altro lavoro spesso in città, nelle fabbriche.
La rivoluzione agricola interessa le zone temperate perché le piante coltivate, gli animali allevati, le tecniche adottate sono particolarmente indicati a climi temperati. La diffusione della rivoluzione agricola in altri paesi, specie in quelli che chiamiamo del terzo mondo, viene ostacolata non solo dal clima, ma da altri fattori di carattere sociale o religioso o anche dalla diversa densità di popolazione.
Per concludere, alla fine del '700, non è più soltanto l'esperienza a guidare l'attività del contadino: infatti, sulla spinta delle istanze illuministiche, cominciano a diffondersi i testi di agronomia (nel 1753 sorge a Firenze l'Accademia dei Georgofili).
L'agricoltura diventa una scienza.
La rivoluzione agraria in Gran Bretagna
I cambiamenti strutturali del settore primario sopra accennati si manifestarono in Inghilterra in notevole anticipo rispetto al resto d’Europa.
1) La liquidazione del regime agrario feudale e dei diritti comunitari
La vendita delle terre ecclesiastiche, confiscate dalla corona dopo l’avvio della riforma protestante ad opera di Enrico VIII, fu il primo passo verso la liberalizzazione del mercato e diede origine a una forte concentrazione della proprietà terriera.
La concentrazione della proprietà, ovvero il progressivo accentramento della terra nelle mani di un ristretto numero di famiglie aristocratiche, favorì la modernizzazione. Solo i grandi proprietari, dotati di cospicui capitali, sarebbero stati in grado allorchè le circostanze lo avrebbero consentito di realizzare quelle trasformazioni tecniche che consentirono l’avvio della rivoluzione agraria. Inoltre la grande proprietà, a differenza della piccola dedita prevalentemente all’autoconsumo, prevalentemente orientata al mercato, cioè alla commercializzazione dei prodotti.
La progressiva e inarrestabile liquidazione dei vincoli feudali e comunitari sarebbe stata accentuata da modificazioni di carattere istituzionale: La Camera dei Comuni, l’antico Parlamento, a partire dal 1688, allorchè fu rovesciato con una rivoluzione quasi incruenta l’ultimo dei re Stuart, Giacomo II, cominciò a prevalere sulla Corona, arrogandosi, in particolare, il diritto di decidere in tema di provvedimenti giuridici, economici e sociali.
La Camera, eletta per censo ristretto, e al cui interno sedevano nella quasi totalità rappresentanti delle grandi famiglie aristocratiche (i pari) e della media nobiltà rurale (la gentry), fu fin d’allora estremamente sensibile agli interessi dei grandi e medi agricoltori. Tale sensibilità fu assi evidente soprattutto nel caso delle famose “enclosures”, le recinzioni, tramite siepi o recinti dei campi.
Le “enclosures” furono un fattore decisivo nell’avviare la modernizzazione dell’agricoltura, contribuendo in misura decisiva a smantellare le ultime vestigia del sistema comunitario e a indirizzarla in senso capitalistico.
Nel corso del ‘700 la crescita imperiosa della popolazione britannica determinò un aumento della domanda dei prodotti alimentari e aumentò la redditività degli investimenti nel settore agricolo. Tuttavia gli agricoltori più intraprendenti erano frenati nei loro tentativi di innovare le tecniche di produzione, al fine di aumentare la produttività e il raccolto totale dai tradizionali vincoli comunitari (spigolatura, diritto di pascolo libero, legnatico, acquatico, ecc.), che imponevano a tutti i membri di una determinata comunità di adottare le medesime tecniche tradizionale e di coltivare gli stessi prodotti.
Le “enclosures”, ovvero la privatizzazione delle terre, agevolate da alcuni provvedimenti legislativi del governo (a differenza della monarchia assoluta che le frenava per timore di causare malesseri sociali, poichè esse andavano a detrimento dei contadini più poveri), registrarono un boom nel corso del XVIII secolo e avviarono il cosiddetto individualismo agrario, ovvero il libero e pieno diritto di godere e disporre della proprietà privata senza alcun vincolo o tutela di sorta.
Un esempio può chiarire efficacemente l’effetto delle recinzioni: uno dei diritti comuni più antichi era quello della spigolatura, ovvero la possibilità per gli abitanti della comunità in genere i più poveri di potere raccogliere all’indomani del raccolto le spighe rimaste sul terreno. Tutti, contadini ricchi e poveri, dovevano sottostare a questa tradizione. E’ evidente che in tal modo tutti dovevano osservare le medesime tecniche di coltura coltivare gli stessi prodotti, in caso contrario, nell’ipotesi di tempi del raccolto differenti, sarebbe stato impossibile ottemperare alle regole.
Ciò, però, impediva agli agricoltori più ricchi e intraprendenti la possibilità di innovare le tecniche o di modificare i prodotti (per esempio sostituendo fibre tessili o altro ai cereali) e li costringeva a utilizzare le tradizionali rotazioni biennali o triennali. Solo con l’avvento dell’individualismo agrario essi avrebbero potuto finalmente sperimentare quelle innovazioni tecniche che avrebbero consentito l’avvio della rivoluzione agraria.
Le recinzioni richiedevano cospicui capitali e solo gli agricoltori più ricchi potevano utilizzarle. Con ciò si divaricò ulteriormente la forbice tra grandi e piccoli proprietari, i quali progressivamente si indebolirono economicamente e furono spesso costretti a vendere i propri appezzamenti e a trasformarsi in braccianti salariati o a emigrare nelle città, trasformandosi in operai delle nascenti manifatture o, addirittura, nel corso del XIX secolo, a emigrare nelle colonie oltreoceano (Australia, Nuova Zelanda e Canada).
Le recinzioni, dunque, trasformarono l’agricoltura inglese in senso capitalistico, operando cioè la trasformazione dei contadini in agricoltori capitalisti che investivano i propri capitali in misura crescente nella terra e orientavano la produzione al mercato. I grandi proprietari terrieri, non interessati alla diretta conduzione delle loro proprietà, generalmente le affittavano a canoni in denaro e a lungo termine (generalmente nove anni) a un ceto di fittavoli dotati di ragguardevoli capitali accumulati tramite il commercio o le professioni, che erano attratti dagli investimenti fondiari per il prestigio sociale che ne ritraevano.
2) Le innovazioni tecniche
La trasformazione delle strutture agricole in senso capitalistico consentì un enorme aumento della produttività, sia in termini di produttività specifica del prodotto (raccolto per ettaro seminato o per chicco di semente) sia di numero di addetti per quantità di raccolto.
Un’innovazione fondamentale fu rappresentata dalla sostituzione del maggese con le colture foraggiere (erba medica, ravizzone, lupinella, ecc.). Le foraggiere hanno la peculiarità di liberare azoto nel terreno tramite le radici, rigenerando la dotazione di sostanze fertili nei campi. Un secondo vantaggio costituito dal fatto che rappresentano un eccellente alimento per il bestiame.
In tal modo fu possibile incrementare l’allevamento (con gli ovvi vantaggi in termini di concimazione delle terre, energie per svolgere i lavori agricoli, aumento della produzione di carne, latte e pelli) e trasformarlo in stabulare (ubicato cioè in loco, eliminando la transumanza).
L’introduzione delle foraggiere e l’incremento dell’allevamento avviarono una sorta di circolo virtuoso che consentì un eccezionale aumento della produttività agricola e quindi della produzione totale.
Per merito delle doti rigeneratrici le foraggiere agevolarono l’abbandono del maggese e delle rotazioni biennali e triennali e consentirono l’introduzione di rotazioni più evolute e raffinate, basate su cicli pluriennali che registravano l’avvicendamento di numerose specie vegetali.
L’allevamento stabulare determinò un notevole miglioramento del bestiame in termini di peso, qualità delle carni e del pellame, nonchè quantità del latte. Ciò favorì lo sviluppo dell’industria conciaria e dei latticini, oltre a consentire un miglioramento della dieta alimentare della popolazione caratterizzata da un più alto contenuto proteico.
Nel corso del ‘700 furono perfezionati anche gli attrezzi agricoli, gli aratri (costruiti totalmente in ferro), e perfezionate alcune macchine a funzionamento meccanico e trainate da animali, che avrebbero velocizzato e migliorato alcune operazioni di lavoro, come l’erpice meccanico, la seminatrice di Jethro Tull e la trebbiatrice.
Un altro miglioramento fu determinato dall’utilizzo prevalente dei cavalli come animali da traino. Il cavallo più veloce e più potente rispetto al bue. L’aumento dei cavalli da lavoro fu agevolato dalla possibilità, determinata dall’aumento della produttività agricola, di elevare le coltivazioni di avena senza andare a scapito delle colture destinate all’alimentazione degli uomini.
Nel corso dei secoli XIX e XX la produttività agricola sarebbe ulteriormente aumentata grazie al miglioramento delle scoperte scientifiche, all’incremento della meccanizzazione e al crescente utilizzo di concimi chimici naturali (i perfosfati) e artificiali (i concimi azotati).
3) La liberalizzazione del mercato
In Inghilterra, più precocemente che nel resto d’Europa, venne progressivamente smantellato il mercato regolato dalle autorità pubbliche, conseguendo la liberalizzazione degli scambi su scala geografica e dei prezzi, passando con ciò dal cosiddetto “public market” a un “private market”.
La crescita degli scambi e la progressiva integrazione di un mercato nazionale furono favoriti da un eccellente sistema viario costituito da strade terrestri (di gran lunga più efficienti rispetto a quelle del continente), fiumi e canali navigabili, nonchè dal forte incremento registrato dalla popolazione urbana.
Nel resto d’Europa il processo di liberalizzazione fu assai più lento. In alcune aree qualche progresso si registrò nella seconda metà del ‘700 grazie alle riforme giurisdizionalistiche compiute da alcuni monarchi illuminati, riguardanti il progressivo abbattimento di alcuni vincoli feudali (maggiorasco, fedecommesso, manomorta ecclesiasitca, ecc.), in modo da creare le basi per la libera contrattazione delle terre.
In alcuni casi la formazione dei catasti geometrico-particellari (basati cioè su precise misurazioni compiuti da tecnici statali), che delineavano con grande precisione gli appezzamenti di terra e ne valutavano altresì la redditività a seconda della destinazione d’uso, coltura per coltura (a frumento, arborato, frutteto, ecc.), incentivò una migliore gestione del patrimonio fondiario. I proprietari, infatti, per pagare le tasse erano incentivati a migliorare la redditività delle terre oppure a venderle o ad affittarle a conduttori più intraprendenti.
Da più parti si reclamava la soppressione del sistema annonario e dei dazi interni. A tal fine, in Francia sorse una dottrina detta “Fisiocrazia” che riteneva l’abbattimento dei dazi interni e la libera circolazione delle derrate agricole elementi imprescindibili per elevare la ricchezza del Paese.
Fonte rielaborata: http://www.irre.toscana.it/700/rivoluzioni-agricola.htm>, 7 Febbraio 2012
Fonte: http://www.cucinapadovana.it/as2011_2012_lezioni/documenti/storia_4/700/rivoluzione_agricola_2012.doc
Sito web da visitare: http://www.cucinapadovana.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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