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La data d'inizio
La strada verso la prosperità passa attraverso una rivoluzione industriale, un processo continuo di sviluppo economico è possibile solo a quelle nazioni che si industrializzano. Seppure non esiste un processo ben definito che caratterizzi tale rivoluzione, si possono identificare dei mutamenti:
1. applicazione sistematica della scienza moderna al processo di produzione:
2. specializzazione dell'attività economica rivolta alla produzione per il mercato nazionale
ed internazionale;
3. trasferimento della popolazione dalle zone rurali a quelle urbane;
4. cambiamento dell'unità di produzione, dalla famiglia alla società per azioni o all'impresa;
5. spostamento del lavoro dalle attività per la produzione di beni primari a quella di beni
manufatti o di servizio;
6. impiego intensivo delle risorse di capitale;
7. nascita di nuove classi sociali.
Queste trasformazioni, connesse ad un aumento di popolazione e del volume dei beni pro capite, sono alla base della rivoluzione industriale. La prima congiuntura di questi eventi si ebbe in Gran Bretagna. Controverso è il momento in cui prese l'avvio: Toynbee, il primo storico economo che se ne interessò, assunse come data di inizio il 1760; l'americano Nef, sottolineando la continuità storica dell'evento, collocò invece nel XVI ed al principio del XVII secolo, gli inizi dell'industria su larga scala. Hoffmann, economista tedesco, concluse che l'anno 1780 è approssimativamente la data in cui l'incremento della produzione industriale superò il 2%, livello cui si mantiene per oltre un secolo. Si è quindi convenuto di far iniziare la prima rivoluzione industriale intorno al 1780, proprio in corrispondenza alla forte crescita del commercio internazionale inglese. E' innegabile che dalla metà del XVIII secolo avvennero mutamenti importanti nel tradizionale ritmo della vita economica della Gran Bretagna.
Cominciamo ad analizzare le caratteristiche dell'Inghilterra pre-industriale. Per questo vanno considerati alcuni fattori, i più importanti dei quali sono: povertà, stagnazione, prevalenza dell'attività agricola, mancanza di specializzazione e di integrazione regionale.
1. Povertà.
Un modo per misurare la povertà di una nazione è quella di esprimerlo in termini di reddito nazionale, cioè la somma di tutti i beni e servizi acquistati o prodotti dalla sua popolazione in un anno; se dividessimo il reddito per la popolazione avremmo il livello delle condizioni di vita o livello medio. Calcoli di questo tipo, basati su statistiche del XVIII secolo, risultano approssimativi, anche se esaminando i risultati di osservatori degni di fiducia vissuti in quel periodo, si può valutare l'ordine di grandezza del fenomeno. Questi dati indicano l'esistenza di un surplus economico, sia pure distribuito in maniera disuguale dal punto di vista sociale. Infatti l'aumento di mortalità durante l'inverno, le periodiche rivolte, le carestie, la miseria dei quartieri sovraffollati testimoniano un basso livello di vita per la massa. C'è comunque da tener presente che rapportati ai contemporanei degli altri paesi, gli Inglesi, gli Olandesi ed i Francesi erano i più ricchi d'Europa.
2. Stagnazione.
Caratteristica che distingue una società pre-industriale è il proprio grado di stagnazione, con cui si intende un livello di progresso inesistente o se esiste risulta troppo lento o discontinuo e reversibile. In particolare nella prima metà del XVIII secolo non si aveva motivo di aspettarsi uno sviluppo: infatti l'uomo comune vedeva pochi segni di un miglioramento economico nell'arco della propria vita e non vi era evoluzione che non potesse essere annullata in un anno (il saggio normale di crescita reale pro capite era al di sotto dello 0,5%). La probabilità che l'economia scivolasse verso il declino era pari alla probabilità che si sviluppasse. Il livello di vita delle comunità pre-industriali non è immutabile, ma le forze in favore di un aumento della produzione non sono più potenti di quelle che agiscono in senso contrario. Il carattere stagnante delle società pre-industriali si riflette nella sua struttura sociale ed istituzionale, struttura dipendente dai diritti della proprietà terriera.
3. Dipendenza dall'agricoltura.
Chiaramente in un'economia pre-industriale l'attività prevalente è la produzione agricola. Intorno al 1750 le famiglie che dipendevano principalmente dall'agricoltura erano il 60% del totale. L'unità tipica era la famiglia: le industrie più importanti erano organizzate su scala domestica e comunque subordinate all'agricoltura, coloro che erano occupati nella produzione tessile lavoravano nella propria casa. La maggior parte degli abitanti dell'Inghilterra del XVIII secolo vivevano in campagna, benché le città avessero già cominciato a svilupparsi.
4. Mancanza di specializzazione professionale.
In un'economia industriale un lavoratore occupato nell'industria svolge solo una parte del processo produttivo, mentre in un paese pre-industriale il lavoratore svolge più compiti, magari in più settori: molti lavorano nelle industrie ed anche nell'agricoltura nei periodi di raccolto o di semina, il personale domestico si occupava tanto dell'attività industriale del padrone, quanto della famiglia. Nell'Inghilterra del XVIII secolo si vedevano già gli inizi di un proletariato, cioè di una parte della popolazione priva di proprietà e la cui esistenza dipendeva dall'assunzione da parte di un possidente terriero o di un capitalista. Nel 1770 iniziano invece a crescere quelle fabbriche dove era applicata la divisione del lavoro, anche se ancora non si può definire il produttore tipico come un salariato. Ancor più significative della spartizione del settore di autoconsumo o della nascita del proletariato, sono le istituzioni economiche specializzate: il commercio è organizzato da società ufficialmente riconosciute che raccolgono gran parte dei loro capitali da azionisti non partecipanti, i rischi vengono coperti da agenti assicurativi come la Banca d'Inghilterra.
5. Scarso grado di integrazione geografica.
L'assenza di integrazione fra le diverse regioni dipende dalle carenze del sistema di comunicazione, per questa ragione l'ambito economico nazionale non è l'unità più opportuna per l'analisi dell'Inghilterra. Le decisioni economiche erano prese allora secondo le condizioni del mercato regionale: le differenze regionali di suolo e di clima oltre che di potere di acquisto e di costumi, davano luogo diversi modelli di consumo. Anche il livello dei consumi era diverso.
L'economia inglese presentava alcuni aspetti di un'economia pre-industriali: si trattava di una situazione in cui esisteva un limite oltre il quale non poteva salire il livello della produzione pro capite.
Gli inizi dell'industrializzazione erano però gia visibili verso la metà del XVIII secolo: la popolazione aveva già cominciato a crescere con continuità intorno al 1740. Se nelle sue fasi iniziali questa innegabile espansione economica non era più significativa di una delle frequenti impennate, è indubbio che la popolazione, i prezzi, la produzione ed i redditi tendevano ad aumentare costantemente a partire dal 1750.
La rivoluzione demografica
Verso la fine del XVIII secolo le variazioni del tasso di natalità e di mortalità erano tali da dar luogo ad una rivoluzione demografica, i cui meccanismi non sono stati completamente chiariti. Le stime che attualmente si utilizzano non si basano su statistiche demografiche o censimenti, incomplete o inesistenti, bensì sulle registrazioni dei battesimi, funerali e matrimoni.
La prima questione è se fu il tasso di mortalità o quello di natalità a far scattare la crescita. Il fenomeno potrebbe essere spiegato da un abbassamento dell'età del matrimonio dovuto alle nuove condizioni economiche: le condizioni di vita dei lavoratori poveri erano migliorate ed in questa fase vi era una carenza di mano d'opera. Il commercio d'oltremare era in espansione, al pari dell'industria tessile ed il periodo tra il 1730-50 fu caratterizzato dalla successione di buoni raccolti. Questi ultimi significavano grano a buon mercato e maggiore domanda di lavoro per la mietitura, mentre successivamente l'impulso a maggiori dimensioni familiari provenne dalla possibilità di impiegare i fanciulli nell'industria e dal sistema di assegni familiari.
Effettivamente non vi è alcuna prova che un abbassamento dell'età matrimoniale abbia sensibilmente influito sul numero di nuovi nati, come non vi sono prove che l'aumento della domanda di lavoro determinò un effetto sul tasso di natalità; ciò porta a pensare che ad incidere maggiormente sulla crescita demografica fu una diminuzione della mortalità, dovuta anche ad una reazione ad un periodo di elevata mortalità: chi sopravvive dopo un tale arco di tempo è infatti solitamente più resistente. Spinta alla crescita fu pure una diminuzione delle epidemie: una oscura rivoluzione ecologica tra i roditori liberò dalla peste, la bonifica di paludi ed una migliore igiene domestica portò ad una minore incidenza della malaria e la lenta evoluzione della medicina diminuì la mortalità per parto. E' chiaro che vi fu una complessa relazione di causa ed effetto che interessò popolazione da una parte e produzione dall'altra. Sembra ragionevole supporre che in assenza dello sviluppo produttivo il contemporaneo sviluppo della popolazione sarebbe stato ostacolato dall'aumento del tasso di mortalità dovuto al peggioramento delle condizioni di vita. Sembra ugualmente probabile che in assenza dello sviluppo della popolazione, la rivoluzione industriale sarebbe stata ritardata dalla mancanza di forza lavoro e se non fossero cresciuti la domanda ed i prezzi, i prodotti inglesi avrebbero avuto meno incentivi ad espandersi. Il fatto importante è che vennero introdotte nuove tecnologie in un paese che possedeva una riserva di risorse di lavoro, di terra e di capitale: gli industriali potevano contare sul reclutamento di masse di mano d'opera non specializzata; vi erano terre incolte e vi era capitale guadagnato col commercio estero.
La rivoluzione agraria
Rostow, un'economista statunitense, sostenne che "i mutamenti rivoluzionari della produttività agricola sono condizione essenziale per il decollo riuscito". E' ben noto che la rivoluzione industriale inglese fu affiancata da una rivoluzione dell'agricoltura, i cui fattori salienti furono:
1. esercizio dell'attività agricola in unità consolidate di ampie dimensioni, in luogo dei campi aperti;
2. estensioni della superficie arabile su terre incolte e comunali e l'adozione dell'allevamento intensivo di bestiame;
3. trasformazione dei semplici contadini in lavoratori agricoli il cui livello di vita cominciò a dipendere dalle condizioni del mercato nazionale ed internazionale;
4. forte aumento della produttività dell'agricoltura, cioè della quantità prodotta per unità di forza lavoro.
Questa evoluzione avvenne gradualmente in un lungo arco di tempo; è però possibile analizzare la questione della data esaminando tre sviluppi ad essa collegati e dai quali dipese ampiamente.
1. Le nuove tecniche produttive.
Le principali tecniche furono il dissodamento sistematico, le nuove rotazioni delle colture e un più stretto rapporto tra colture ed allevamento. La seminatrice si diffuse su larga scala nei primi del 1730. seguita dall'aratro triangolare, mentre negli anni '80 si cominciarono a costruire le prime trebbiatrici: tutte queste innovazioni contribuirono alla riduzione del lavoro manuale. L'abbandono delle vecchie forme di rotazione a favore della rotazione con legumi e foraggio estese l'area coltivata, oltre a fornire l'alimentazione invernale del bestiame: non era più necessario lasciare a riposo il terreno per salvaguardarne la fertilità. Gran parte dei nuovi metodi non poterono essere impiegati sui campi aperti ed essi inoltre dovettero essere adattati alle locali condizioni del terreno. Bisognò però arrivare fino al 1820 prima che l'aratro triangolare potesse funzionare ovunque: la maggior parte dei contadini non disponeva né di incentivi né di capitale ed i latifondisti evitavano di introdurre macchine che risparmiavano lavoro in zone rurali depresse da una cronica sottooccupazione, inoltre è dubbio che la maggior parte dei contadini venisse a conoscenza della nuova tecnologia prima di vederla applicata. Occorre poi ricordare che l'agricoltura era diversificata sia nelle caratteristiche che nell'esperienza storica da regione a regione, molte delle nuove tecniche erano adatte soltanto ai terreni leggeri e sabbiosi e non erano applicabili in regioni con terreni più pesanti: è necessario approfondire le ricerche al livello regionale prima di fare delle generalizzazioni definite.
2. Le "enclosures".
Queste erano recinzioni, siepi o altri segni di confine, che cingevano i campi aperti o le terre incolte comunali, trasformandole in proprietà privata. Il movimento aveva avuto corso per iniziativa personale già prima dei Tudor, poi imposta per legge parlamentare dalla metà del XVIII secolo per consolidare le proprietà terriere. Se essa rimosse gli ostacoli al mutamento tecnologico contemporaneamente gli agricoltori più modesti si impoverirono per gli elevati costi di recinzione e le loro condizioni peggiorarono per le ridotte possibilità di caccia e pesca. Non è possibile dire quanto le enclosures contribuirono alla rivoluzione delle tecniche, ma è significativo che quasi tutti i progressi avvennero su terreni già recintati o in via di recinzione. In definitiva la recinzione finiva con l'agire nell'interesse di tutti coloro che potevano vantare o acquisire un diritto sulla terre e rendere redditizie molte piccole proprietà, anche le più marginali che, grazie alle nuove tecniche di coltivazione, si trasformarono in ricche aree cerealicole.
3. I mutamenti nell'atteggiamento degli imprenditori.
Ben più importanti furono i mutamenti nell'atteggiamento degli agricoltori verso la propria attività: lo sviluppo della popolazione, l'urbanizzazione e l'espansione industriale ampliarono nel tempo i mercati della produzione agricola creando un clima favorevole all'innovazione ed al consolidamento delle proprietà. I cambiamenti che avvenivano in agricoltura erano dello stesso tipo di quelli che stavano avvenendo nell'industria manifatturiera e nel commercio:
1. ampliarono degli orizzonti economici, in modo che gli imprenditori agricoli divennero sempre più interessati alla produzione per il mercato nazionale o internazionale invece che per il consumo domestico;
2. aumento della specializzazione economica con la nascita dell'agricoltore di professione o del bracciante senza terra;
3. applicazione delle scoperte scientifiche e dei metodi sperimentali.
L'aristocrazia, il clero, persino i proprietari che si occupavano di politica e gli industriali proprietari terrieri si interessarono del progresso agricolo. E' probabile però che il cambiamento sia stato perseguito con minore deliberazione dai piccoli proprietari, dagli affittuari e dai braccianti; divenne tuttavia palese verso la metà del XVIII secolo. E' ragionevole supporre che la successione di buoni raccolti ridusse i costi dell'industria britannica e aumentò la formazione di sovrappiù, il che consentì ai poveri che vivevano in campagna ed in città di fare qualche risparmio e spenderlo nei manufatti. Nella seconda metà del XVIII secolo l'interazione tra industria ed agricoltura assunse una forma diversa: il rialzo dei prezzi del grano, stimolato dall'urbanizzazione e dallo sviluppo economico, incoraggiò l'estensione dei terreni coltivati ed i migliori redditi dei proprietari costituirono sia l'incentivo, sia il finanziamento del progresso agricolo. L'industria agricola contribuì così ad alimentare il crescente numero di persone da cui venivano tratte le forze di lavoro industriali, superando quell'ostacolo che ancora oggi impedisce ai paesi sottosviluppati di perseguire un processo di industrializzazione e cioè l'incapacità di espandere il proprio prodotto interno ad un ritmo sufficiente a far fronte ad una crescita della popolazione.
La rivoluzione agraria ha contribuito alla prima rivoluzione industriale provvedendo al sostentamento della popolazione in aumento, creando il potere d'acquisto da destinare ai prodotti dell'industria britannica e partecipando in modo sostanziale alla formazione del capitale necessario per finanziare l'industrializzazione.
La rivoluzione commerciale
Uno dei modi con cui un'economia si evolve da uno stato pre-industriale ad uno stato industriale è quello di sfruttare le possibilità aperte dal commercio internazionale: mediante la vendita all'estero dei beni in eccedenza, in cambio di beni che invece scarseggiano, è possibile ampliare la gamma dei beni sul mercato interno, accrescendo il valore del prodotto nazionale e migliorando il livello di vita. Il mercato estero spinge i produttori a specializzarsi, sviluppando particolari attività e tecniche di organizzazione, realizzando le economie di produzione su larga scala.
Per ogni paese i limiti sono imposti dalla gamma dei beni che esso può indurre a far acquistare alla sua controparte. Per l'Europa pre-industriale il modo per raggiungere lo sviluppo economico era quello di estendere le proprie relazioni commerciali e di aprire dei mercati in altri continenti; l'Inghilterra si trovava in una posizione favorevole dal punto di vista strategico ed inoltre era incentivata dalle sue limitate risorse naturali. Essa era riuscita a creare una fiorente esportazione di lana e dei tessuti relativi, nel 1750 questo commercio rappresentava più della metà del valore delle esportazioni e nello stesso periodo si era aperto il commercio atlantico e le piantagioni delle Indie Occidentali avevano esteso la gamma dei beni che si potevano vendere in Europa. L'enorme importanza delle merci tropicali risiede nel fatto che esse accrebbero il potere d'acquisto dell'Inghilterra sul continente europeo, necessario per importare dall'Europa stessa materie prime. I beni coloniali dovevano essere troppo costosi per le Indie e l'Africa, così si andò creando una complessa rete di rapporti commerciali su scala mondiale facente capo a Londra: beni inglesi e cotone indiano venivano spediti in Africa e cambiati con schiavi, avorio ed oro; i primi mandati in India ed i preziosi in Oriente ed i coloniali venivano venduti in Europa (commercio triangolare). Le risorse interne che consentirono agli inglesi di ampliare il proprio commercio furono quattro: il capitale umano; il vantaggio commerciale sotto forma di una classe mercantile dotata di mezzi e disposta al rischio; una base organizzativa sotto forma di organizzazione creditizia con esperienza ed abilità finanziaria ed infine un governo sensibile alle aspirazioni di conquista della classe mercantile. Così verso la metà del XVIII secolo l'Europa assorbiva tre quarti di tutte le esportazioni provenienti dai porti inglesi, anche se assimilava solo la metà delle esportazioni nazionali dell'Inghilterra. Questa situazione continuò anche dopo la Guerra d'Indipendenza Americana poiché i nordamericani preferivano comunque i prodotti inglesi, dato che la maggioranza di loro era anglosassone: anche quando le colonie conquistarono l'indipendenza continuarono a scegliere le merci inglesi.
Questi sviluppi ebbero risonanza sul piano internazionale tanto che non solo facilitarono la rivoluzione industriale inglese, ma contribuirono ad estendere gli effetti su molti paesi sottosviluppati europei ed extraeuropei: non vi è dubbio che l'Impero coloniale britannico fu un veicolo di rapida diffusione dei benefici del progresso tecnico. Il contributo del commercio di riesportazione allo sviluppo economico ed all'industrializzazione consiste soprattutto nei suoi effetti indiretti sull'organizzazione e sulle opportunità produttive. L'espansione delle esportazioni dei manufatti di lana significava un mercato più ampio per la lana, un'occupazione più regolare ed un maggior rendimento del capitale investito; analogamente un maggior volume di esportazioni di altri manufatti incoraggiava nuovi investimenti. Ancora più significativa della variazione di volume dell'esportazione, fu la variazione della sua composizione. L'industria del cotone dipendeva più di ogni altra dal commercio internazionale: il cotone era la sola merce che poteva essere venduta subito in tutto il mondo. La vendita del cotone non dipendeva dall'abilità commerciale, bensì dalla rete di traffici già costruita dai mercanti inglesi sia per i suoi mercanti di sbocco che per quelli di approvvigionamento: questo è il primo esempio di come un'industria principale di grandi dimensioni era nata utilizzando una risorsa naturale che non poteva essere prodotta nel paese. La lavorazione del cotone si manifestò come la prima "industria dello sviluppo" dato che stimolò una serie cumulativa di innovazione e di sviluppo che divennero creatrici di reddito.
Essenzialmente il commercio internazionale contribuì ad accelerare la rivoluzione in sei modi:
1. creò la domanda per i prodotti dell'industria britannica; un paese piccolo e con scarsa popolazione ha poche possibilità di accelerare il tasso di sviluppo della produzione, mentre per la Gran Bretagna fu l'accesso al mercato mondiale che ruppe il circolo vizioso;
2. consentì di accedere a materie prime che ampliarono la gamma ed abbassarono il prezzo dei prodotti dell'industria;
3. consentì ai paesi poveri di acquisire il potere di acquisto necessario per comprare le merci inglesi;
4. permise di ottenere un surplus che contribuì a finanziare l'espansione dell'industria e le migliorie in agricoltura;
5. contribuì a creare una struttura istituzionale ed un'etica professionale che doveva dimostrarsi efficace anche nel promuovere il commercio interno;
6. partecipò nello sviluppo delle grandi città e dei centri industriali.
La rivoluzione dei trasporti
Prima che un'economia sottosviluppata possa espandere la sua produzione ad un tasso tale da determinare un sensibile aumento del reddito pro capite si rende necessario un certo "capitale fisso sociale". Questo è formato in maggior parte da attrezzature di trasporto di base: porti, strade, ponti, canali e, attualmente, ferrovie; senza questo genere di capitale le stesse risorse possono rimanere inaccessibili e sottoutilizzate. La caratteristica di tali investimenti è che essi richiedono impegni di capitale ben più grandi di quelli cui può accedere un singolo imprenditore, che hanno bisogno di lunghi periodi di costruzione e che i maggiori benefici ricadono indirettamente su tutta la comunità; ne deriva che il capitale fisso sociale deve essere fornito collettivamente. Nel XVI secolo venne istituito un ispettore di parrocchia ed ogni parrocchiano fu obbligato a fornire un certo numero di giornate lavorative per la manutenzione delle strade. Nel XVIII secolo le strade inglesi erano considerate fra le peggiori d'Europa, ma le numerose leggi che dal 1750 imponevano all'iniziativa privata l'obbligo di riparare le strade in cambio del diritto di esigere compensi dagli utenti; incentivando a costruire strade idonee ai continui movimenti di traffici pesanti ed furono di certo uno stimolo più pressante di quelle che erano state le autorità parrocchiali. Alcuni miglioramenti avvennero prima che la rivoluzione industriale avesse raggiunto un'intensità sufficiente ad incrementare il traffico interno delle merci e ciò fu in gran parte una conseguenza dello sviluppo delle città, con le loro crescenti richieste di derrate alimentari. Se l'Inghilterra fosse dipesa interamente dalle sue strade per trasportare prodotti pesanti, l'inizio della rivoluzione industriale si sarebbe spostata all'epoca delle ferrovie, ma essa partì con tali condizioni di vantaggio rispetto agli altri concorrenti dell'epoca da non poter essere uguagliata.
Il mezzo più economico di trasporto per prodotti voluminosi o pesanti era offerto dall'acqua e l'Inghilterra era avvantaggiata essendo un'isola ed avendo numerosi fiumi: l'itinerario costiero era la principale via di comunicazione delle isole britanniche ed esso richiedeva ben poca manutenzione. Non avvenne pertanto in questo periodo alcuna particolare innovazione nella navigazione costiera, mentre molto cambiò nella navigazione delle acque interne. Le industrie richiedevano un sistema di trasporto sicuro, capace ed a basso costo; i canali rappresentano la sintesi della rivoluzione: erano costruiti dall'uomo, costituivano un'applicazione delle conoscenze scientifiche, servivano a rifornire un mercato di massa e comportavano ingenti capitali. Alla base dello sviluppo dei canali è ancora l'accrescimento delle città, a cui fa seguito una maggiore richiesta di combustibile, indispensabile per l'uso domestico e per le piccole industrie. Il problema dell'approvvigionamento di carbone e legna doveva essere risolto affinché la rivoluzione industriale avesse luogo: eliminare questa strozzatura era determinante perché essa ostacolava l'urbanizzazione, sempre in rapporto causa-effetto con l'industrializzazione, e perché la rivoluzione si sviluppò sulla base del carbone e del ferro. I capitali necessari all'impresa venivano raccolti sul luogo, nella regione che il canale doveva servire; un proprietario terriero o un industriale a volte prendeva l'iniziativa utilizzando i propri capitali o dei prestiti, spesso le nuove vie d'acqua erano il prodotto di un'impresa promossa da uomini d'affari e sostenuta da azionisti, banchieri o corporazioni. Il contributo che i canali ebbero fu però ben più importante del rendimento degli azionisti: esso assicurò infatti che il carbone arrivasse a prezzi ragionevoli, che le fonderie potessero abbassare i costi, che i più poveri potessero tenere al caldo le famiglie e cuocere i propri cibi. In realtà il contributo essenziale fu quello di rendere possibili enormi risparmi di mano d'opera e di potenza, a fronte di spese d'impianto elevate. Altri investimenti nell'ambito del capitale fisso sociale si ebbero sui porti e le infrastrutture annesse, anche se in questo settore il privato non fu il vero protagonista. Fra tutte le attività la cui formazione diede luogo alla rivoluzione industriale, il trasporto sembrò possedere la forza d'innovazione più inesauribile.
L'industria del cotone
Ci furono due attività industriali che più di tutte le altre sperimentarono i mutamenti rivoluzionari nella tecnologia e nell'innovazione economica: l'industria del cotone e quella del ferro, anche se si è d'accordo sul fatto che il primo motore sia stato l'industria del cotone.
I manufatti tessili avevano sempre costituito una quota importante della produzione nazionale inglese, tuttavia era nella lavorazione della lana che l'Inghilterra eccelleva; le ragioni erano le seguenti: le pecore prosperavano e producevano lana di qualità, i prodotti finiti erano richiesti nelle regioni fredde e gli operai erano eccezionalmente abili; al contrario, l'industria del cotone era arretrata ed incapace di competere. Le prime importanti invenzioni si applicarono ad ambe due i tessuti (la spola volante e la cardatrice). Mentre aumentava la domanda con un consistente miglioramento nel mercato estero dei manufatti di cotone, anche la popolazione ed i redditi inglesi erano in fase di crescita e pertanto si può supporre che anche la domanda interna aumentasse gradualmente. L'effetto immediato delle innovazioni, in particolare della jenny di Hargreaves, fu quello di moltiplicare la qualità di filato, risparmiando proprio dove il lavoro era così scarso; mentre le grandi jennies erano affidate ad un uomo e molti bambini, le piccole jennies erano economiche e vennero così adottate rapidamente. L'invenzione che realmente gettò le basi della rivoluzione nel settore cotoniero fu il filatoio idraulico: una macchina capace di creare un tessuto molto resistente e progettata per lavorare con forza animale. Essa rappresentò l'effettivo inizio del distacco dall'industria domestica: si poteva produrre un filato migliore di quello indiano sfruttando anche la forza del vapore. La filatura cominciò ad essere concentrata in stabilimenti, furono migliorate le operazioni di candeggio e di tintura, nei decenni successivi si andò avanti con gli esperimenti di macchine facendo crollare velocemente i prezzi.
Diverse spiegazioni sono state avanzate su questa spettacolare esplosione dell'industria cotoniera. Si potrebbe affermare che il successo dipese dal fatto che la domanda dei suoi prodotti riguardava fattori di produzione che l'economia britannica era in grado di fornire; l'industria del cotone era infatti lavoro-intensiva, non già capitale-intensiva come quella dei trasporti, nella misura in cui aveva bisogno di personale specializzato questo era disponibile in quantità relativamente abbondante. Il prodotto finale non era poi così nuovo da doversi creare da solo la propria domanda attraverso il cambio dei gusti ed in questo modo quando gli industriali inglesi produssero una merce buona essa trovò un mercato bell'e pronto ed appena i prezzi diminuirono il mercato assunse dimensioni di massa. Un'altra caratteristica dell'industria cotoniera fu la sua forte concentrazione geografica. La tendenza alla concentrazione si può far risalire alla prima metà del secolo e la spiegazione tradizionale è che le condizioni geografiche fossero particolarmente favorevoli nella regione del Lancashire: il clima umido e l'assenza di calcio nell'acqua si dice facilitassero le operazioni di filatura e di lavaggio. Può essere stato rilevante anche il fatto che il lavoro era relativamente abbondante e di conseguenza a buon mercato ed il fatto poi che questa fosse una regione di produzione e di filatura di lino all'inizio del XVIII secolo rappresentò un'ulteriore ragione in un tempo in cui era necessario il filato di lino come ordito di tessuti misti. Più tardi, quando il filato idraulico fece la sua comparsa, nacque una domanda di energia, che i ruscelli del Lancashire e successivamente i bacini carboniferi potevano soddisfare. Ad un esame retrospettivo il progresso dell'industria cotoniera appare eccezionalmente rapido, anche se la trasformazione dell'industria fu piuttosto graduale; in parte ciò permise che l'espansione continuasse anche durante le guerre e le depressioni. Innanzitutto l'espansione era ottenuta assorbendo risorse disponibili in quanto sottoutilizzate piuttosto che distraendole dagli altri impieghi; si diede inizio ad una nuova era nell'organizzazione economica, poiché si richiedeva una mano d'opera docile che lavorasse nel clima della fabbrica. Dalle fabbriche proveniva solo una porzione dell'aumento di produzione, la maggior parte era prodotta da una moltitudine di lavoratori a domicilio: i filatoi a domicilio, cui il capitalista distribuiva il cotone greggio, ed i tessitori con telai a mano a cui forniva il filato adatto. Quando il commercio era fiacco la produzione poteva essere concentrata nelle fabbriche ed erano i filatori ed i tessitori a domicilio che sopportavano il peso della depressione, quando gli affari prosperavano era possibile attrarre nuovi filatori su telai manuali senza dover innalzare il livello dei salari poiché erano poche le alternative di occupazione; in questo modo il capitalista raccoglieva il maggior beneficio dall'espansione ed evitava gli effetti della depressione. L'aspetto interessante dell'industria cotoniera di questo periodo è che, nonostante la continua riduzione dei prezzi, i profitti non subirono variazioni. Ciò avvenne perché i produttori continuarono ad innovarsi. Infatti la meccanizzazione ridusse i costi di lavorazione, l'introduzione dell'illuminazione a gas rese possibile il funzionamento degli impianti sia di giorno che di notte e si potè disporre così di un'offerta quasi inesauribile di lavoro a basso costo. Una quota crescente dei redditi da essa prodotti andò agli imprenditori e questi erano pronti a reinvestire una forte quota dei loro guadagni in impianti e macchinari migliori. Questo reinvestimento significò che l'industria continuò ad espandersi e che continuò a migliorare le proprie attrezzature, anche se i mutamenti tecnologici non furono così rapidi.
Quando sul finire del 1840 ed oltre, l'offerta di mano d'opera divenne meno elastica, il tasso di sviluppo subì un rallentamento. Le ragioni furono numerose: alcune sacche di disoccupazione tecnologica, come i tessitori manuali, furono liquidate dalla depressione e dalla miseria totale; la coscienza sociale cominciò a rivoltarsi ai soprusi ed allo sfruttamento; altre attività industriali iniziarono a concorrere per l'acquisto di mano d'opera, in particolare quando il boom ferroviario sviluppò e stimolò il commercio. Il processo di trasformazione tecnologica di queste industrie servì inoltre a terminare il quadro più generale degli stimoli della rivoluzione industriale, dato che la considerevole espansione del ramo del cotone non fu causa sufficiente se presa da sola, anche se assunse un ruolo tutt'altro che secondario.
L'industria del ferro
Sotto certi aspetti le modifiche al sistema di lavorazione del ferro provocate dalla rivoluzione industriale furono meno radicali dei mutamenti che si verificarono nell'industria del cotone, ma il settore del ferro era già organizzato in forme capitalistiche. I lavoratori infatti erano dipendenti di un datore di lavoro e lavoravano insieme in officine. A distinguerlo dal ramo del cotone fu una espansione sostenuta da materie prime interne ed il successo finale dipese tanto da invenzioni esterne all'industria quanto da invenzioni specifiche. Tra le più importanti innovazioni vi è il coke per mezzo del quale fondere il ferro fu più conveniente. Anche quando i produttori impararono a selezionare i tipi di minerale di ferro e di carbone per produrre i migliori lingotti, la novità non era ancora sufficientemente redditizia per incoraggiare uno spostamento dai territori boschivi ai bacini carboniferi; in più il coke era un combustibile a fiamma lenta e quindi necessitava di una corrente d'aria forte e continua. Infine si poteva prevedere che l'industria del ferro avrebbe svolto un ruolo molto diverso da quello dell'industria cotoniera poiché produceva un bene intermedio, soggetto ad una domanda derivata: l'espansione di un'industria di beni intermedi dipende dalle condizioni economiche generali e dallo sviluppo delle attività che consumano i suoi prodotti. Quando i suoi prezzi diminuirono l’industria del ferro cominciò ad espandere il suo mercato, in particolare il ferro venne usato in lavori di costruzione, ma la domanda era troppo poco elastica da permettere un corrispondente aumento della quantità venduta; fu necessario qualche progresso nell'industrializzazione prima che potesse svilupparsi e subire una spinta di accelerazione paragonabile a quella dell'industria del cotone.
Alcune invenzioni appartengono a periodi precedenti, ma sono le innovazioni, cioè la diffusa adozione delle invenzioni, che contano; il complesso delle recenti innovazioni fu decisivo per tre principali ragioni:
1. perché si verificarono grosso modo nello stesso periodo;
2. perché avvennero quando la supremazia navale dell'Inghilterra ed i suoi contatti commerciali le permisero di avvantaggiarsi dell'aumento dei redditi sia in Europa che in Nord America;
3. perché si rafforzarono reciprocamente.
Le informazioni di cui si dispone indicano che l'industria del ferro inglese nella prima metà del XVIII secolo era dispersa, lavorava con intermittenza ed era in crisi; gran parte dei fucinati e dell'acciaio prodotti nel paese era ottenuta da lingotti importati. La ragione del suo stato di stagnazione dipendeva dal fatto che la materia prima scarseggiava, le risorse interne erano di qualità molto scadente, piene di impurità; inoltre il combustibile, il carbone di legna, era una risorsa in continua diminuzione e ciò costringeva l'industria ad una localizzazione dispersa ed a frequenti spostamenti. All'inizio del XVIII secolo infatti il primo requisito era quello di localizzarsi in un'ampia area boschiva, così che l'altoforno si trovasse in zone remote, isolato dalle altre industrie. La lavorazione del ferro con carbone di legna era perciò un'industria a costi elevati, mentre il ferro svedese era non solo migliore, ma anche più a buon mercato. E' stato affermato che il punto di svolta nella storia dell'industria del ferro può essere fissato nel 1775, quando la macchina a vapore di Watt rese possibile l'applicazione di una maggior potenza nella insufflazione degli alti forni e di energia meccanica per la forgiatura. Con il progressivo utilizzo di tale macchina, verso la fine del XVIII secolo l'industria del ferro perse il suo carattere migratorio e cominciò a concentrarsi in unità di produzione di grande dimensione, localizzate in regioni dove c'era un'ampia offerta di carbone, di ferro e di sistemi di trasporti via acqua. Il principale svantaggio dell'uso del coke nella fucinatura era che il carbone di miniera introduceva impurità che rendevano il prodotto finale poco idoneo, ma questo problema fu superato con l'impiego di un forno a riverbero. Fu soltanto nel 1783, però, che Cort brevettò un metodo di puddellatura e di laminazione che permise la produzione su larga scala di ferro in barre utilizzando come combustibile il carbone. Caratteristiche di questo processo erano:
1. utilizzo del carbone come unico combustibile;
2. trasformazione della ghisa nazionale in lingotti di valore pari a quelli stranieri;
3. riduzione in un singolo processo di una serie di operazioni.
L'applicazione non fu automatica: occorrevano capitalisti con fondi e l'inclinazione a rischiare, tecnici capaci ed operai qualificati che costruissero l'attrezzatura; tali fattori erano scarsi nell'Inghilterra del XVIII secolo.
La principale conseguenza delle innovazioni nell'industria del ferro fu quella di realizzare notevoli economie dei costi delle materie prime, le innovazioni fondamentali ne stimolarono altre che provocarono importanti risparmi di tempo e di lavoro; il risultato di questo complesso di innovazioni fu di mutare la struttura e le caratteristiche dell'industria. La produzione di ferro fornì all'economia inglese la materia prima per una nuova attività: l'ingegneria meccanica. Successivamente il progresso tecnico dell'industria non si arrestò: si ebbero anzi tre tendenze collegate:
1. continuo aumento nelle dimensioni delle unità di produzione;
2. economie nelle quantità di carbone consumato;
3. miglioramenti nella struttura degli impianti e dei macchinari.
Dopo l'impennata del 1780 l'industria siderurgica si espanse con maggiore lentezza, lo sviluppo degli anni '90 e dell'inizio del XIX secolo fu dovuto alla domanda eccezionalmente elevata di produzioni belliche, tant'è che alla fine del conflitto vi fu una forte depressione. L'industria siderurgica creava una domanda di risorse nazionali, valorizzava anche risorse minerarie di scarsa qualità; oltre al minerale di ferro, l'industria utilizzava notevoli quantità di calcare e di carbone di origine nazionale e fu una fortuna per l'Inghilterra che questi tre minerali spesso coesistessero nelle stesse regioni ed a volte nelle stesse miniere. Se definiamo l'industria moderna come un'industria con fabbriche di grandi dimensioni, a forte intensità di capitale e con un elevato grado di meccanizzazione, possiamo dire che l'industria siderurgica ne era il prototipo e richiedeva fattori di produzione adeguati ad un'industria di tipo moderno. Quest'industria forniva un materiale industriale pesante e a buon mercato che costituiva una necessità assoluta per un'economia industrializzata: era infatti indispensabile ferro di buona qualità e a buon prezzo per gli utensili e gli attrezzi di tutti i tipi. Sviluppando il proprio macchinario, l'industria metallurgica contribuì a far penetrare il progresso tecnico in molte altre industrie; le macchine ed i macchinari per la produzione di altre macchine si sono dimostrate capaci di una infinita sequenza di miglioramenti. La caratteristica dell'industria siderurgica che la rende un settore-chiave nello sviluppo economico moderno è il fatto di essere in larga misura un'industria di mezzi di produzione. Così una riduzione del prezzo del ferro significa la riduzione del costo di produzione di un'ampia gamma di altre industrie ed inoltre permette di sostituire con il ferro altri prodotti meno durevoli. Il fatto più importante fu la sostituzione del ferro al legno, ciò rese possibile la produzione di macchinario tessile; furono costruiti tubi in ferro per il gas e l'acqua e le travi di ferro accrebbero notevolmente la resistenza delle costruzioni pubbliche. Il settore che però fece la maggior richiesta all'industria siderurgica fu quello delle ferrovie, ma è chiaro che non si sarebbe potuto realizzare un fenomeno simile se non fosse esistita una industria siderurgica con un enorme potenziale di espansione. Anche i paesi sottosviluppati dei nostri giorni, alla ricerca di un mezzo per sfuggire alla stagnazione economica, sono inclini a considerare l'istallazione dell'industria siderurgica come il primo passo da compiere.
Cronologia dell'innovazione
Si ritiene in generale che le trasformazioni cruciali siano avvenute con una certa rapidità, sicuramente tra il 1750 ed il 1850. La cronologia della rivoluzione industriale è divenuta oggetto di polemiche: alcuni ne fanno risalire l'origine al tempo della prima organizzazione dell'industria manifatturiera, altri ritengono che essa sia ancora in svolgimento anche in paesi ad alto livello d'industrializzazione come l'Inghilterra stessa. Altri sono ugualmente convinti che occorre collocarla correttamente nel secondo quarto del XIX secolo invece che alla fine del XVIII. Più recentemente Rostow ha posto la prima rivoluzione industriale alla base della sua teoria degli stadi dello sviluppo economico, considerandola il prototipo del "decollo", "quell'intervallo decisivo nella storia di una società in cui lo sviluppo diventa la sua condizione normale". I suoi predecessori avevano proposto una definizione cronologica che potesse servire per analizzare le cause e le conseguenze del processo centrale; il tentativo di Rostow è quello di interpretare la storia economica con un'ottica che ha immediate implicazioni di politica economica, ciò lo porta a vedere la rivoluzione industriale come qualcosa di più simile ad un avvenimento che ad un processo, proponendo così un approccio nuovo alla storia economica. E' certamente importante per i politici dei nostri giorni capire il meccanismo che fu alla base di tale trasformazione, in particolare per quei cambiamenti che potrebbero essere realizzati oggigiorno nei paesi sottosviluppati.
Nel caso inglese è comprensibile che il periodo 1783-1802 venga scelto come il momento storico in cui il processo d'industrializzazione divenne in un certo senso irreversibile: questo periodo vide alcuni sviluppi significativi nell'industria cotoniera e siderurgica, un'intensa attività di costruzione dei canali, un'accelerazione del ritmo delle recinzioni, una crescente espansione demografica ed il rapido aumento del commercio d'oltremare. Ognuno di tali fenomeni apparteneva ad un continuum storico: recinzioni ed aumento demografico erano già cominciate in precedenza, come l'attività di costruzione dei canali, le industrie intorno al 1802 erano ancora una fetta troppo modesta dell'attività economica per dare da sole un impulso determinante ed il commercio d'oltremare era molto sensibile alle vicissitudini belliche. Sappiamo che alcuni paesi sottosviluppati dei nostri giorni hanno cominciato ad industrializzarsi, ma non sono poi riusciti e se conoscessimo più a fondo il meccanismo della rivoluzione industriale del passato, allora riusciremmo a capire meglio quali debbano essere le condizioni perché l'industrializzazione abbia successo. Ciò che sappiamo con certezza sullo sviluppo economico moderno è che esso dipende da un processo continuo di trasformazioni tecniche. Nelle economie pre-industriali il progresso tecnico tende ad essere intermittente, nell'economia dei paesi industrializzati esso fa parte dell'ordine normale delle cose. Ogni rivoluzione presuppone dei mutamenti, tra cui grande importanza hanno: il mutamento di mentalità del produttore tipo e delle condizioni di mercato ed il moltiplicarsi delle invenzioni.
1. L'evoluzione dell'atteggiamento degli imprenditori nei confronti delle innovazioni.
L'agricoltura era ancora l'attività principale del paese, ma i metodi tradizionali non davano più da vivere a sufficienza alle molte persone coinvolte nel processo delle recinzioni; esse erano costrette a sperimentare nuove colture o a dedicarsi ai lavori di artigianato domestico. E' ragionevole supporre che il processo di recinzione fece sentire i suoi effetti quando toccò il culmine la recinzione forzata, vale a dire la recinzione per legge del Parlamento, così verso il 1820 l'agricoltura del tipo "campi aperti" era una rarità. L'altra attività prevalente nell'Inghilterra pre-industriale era il commercio, nel cui ambito gli uomini d'affari sperimentarono attivamente nuove forme di organizzazione come le società per azioni o l'assicurazione contro l'incendio delle merci, che era divenuta un servizio professionale dal 1771. I progressi compiuti nel campo dei trasporti erano anch'essi rivelatori della nuova mentalità: i dirigenti dei consorzi di strade a pedaggio compresero subito il vantaggio del ricorso ad un ingegnere specializzato per la costruzione di buone strade. Fra le industrie manifatturiere, il progresso tecnico si manifestò soprattutto nel settore tessile. Anche nell'edilizia le tecniche produttive progredirono notevolmente: la scarsità di legna si faceva già molto sentire agli inizi del 1700, incoraggiando un maggiore impiego della pietra ed in seguito del mattone; vi furono sviluppi anche fra gli altri materiali da costruzione come l'intonaco, la calce ed il cemento. Nella maggior parte delle industrie manifatturiere il progresso tecnico più importante è costituito dall'adozione dell'energia termica al posto dell'energia idraulica e della forza animale. In realtà però si trattava solo di un inizio: i semi del progresso tecnico furono gettati da una generazione e raccolti da un'altra; la maggior parte degli imprenditori manifatturieri erano ancora degli artigiani agli inizi del XIX secolo, il macchinario era in legno, la mano d'opera generica non scarseggiava e pochi imprenditori avrebbero trovato conveniente sostituire gli uomini con le macchine. Solo quando il mercato fu abbastanza esteso e la domanda elastica, gli imprenditori abbandonarono le tecniche tradizionali e cominciarono a sfruttare le nuove possibilità tecniche che si presentavano.
2. I mutamenti del mercato.
Perché l'innovazione si potesse diffondere l'incentivo doveva essere forte e le possibilità tecniche accessibili e probabilmente l'incentivo più efficace è rappresentato dai mutamenti nell'ambito del mercato. Si deve considerare il mercato sotto due aspetti: quello nazionale e quello estero. Sembra che nella prima metà del secolo fossero avvenuti notevoli mutamenti nella distribuzione del reddito, dovuto all'andamento buono dei raccolti. Un buon raccolto significa la riduzione dei prezzi dei beni alimentari ed un aumento del costo della mano d'opera, quindi significa anche minori profitti per i produttori agricoli, una serie ininterrotta di buoni raccolti significa che i produttori ed i proprietari terrieri non avevano modo di recuperare le loro perdite; si trattava di un periodo di grave depressione per l'agricoltura. La situazione era esattamente l'opposta per il resto della popolazione: per i braccianti ed i lavoratori agricoli un buon raccolto significava maggior lavoro, paghe migliori e cibo più abbondante. Gli industriali che si rifornivano di materie prime provenienti dall'agricoltura vedevano i costi ridursi ed anche i loro clienti avevano soldi da spendere ed i mercati che vendevano i prodotti agricoli potevano abbassare i prezzi senza ridurre il profitto. Tutto questo rappresentò un forte stimolo per l'industria ed il commercio britannico. Negli anni 1750-60 si interruppe l'andamento favorevole dei raccolti e di conseguenza nella seconda metà del XVIII secolo il quadro economico mutò; in questo periodo due fattori stimolarono l'industria ed il commercio britannico. Il primo fu l'effetto dell'incremento demografico, che accrebbe il volume della spesa nazionale; il secondo è costituito dalle conseguenze delle recinzioni sul passaggio ad un'economia di scambio: l'allontanamento del piccolo coltivatore ebbe l'effetto di ridurre il numero di famiglie che producevano per l'autoconsumo. L'altra componente del mercato è il mercato estero: nella misura in cui diminuivano prezzi e costi nell'agricoltura e nell'industria britanniche, diventava più facile vendere all'estero le merci inglesi. I mercati potenziali britannici erano Europa occidentale ed America del Nord, in cui era in aumento la popolazione ed i redditi. Possiamo quindi concludere che vi furono due periodi, nel XVIII secolo ed agli inizi del XIX, in cui le prospettive economiche furono particolarmente favorevoli: il primo fra il 1715 ed il 1755 ed il secondo fra il 1783 ed il 1815.
3. I mutamenti nel ritmo delle invenzioni.
Affinché si realizzi un'innovazione non è sufficiente l'esistenza di buone prospettive economiche, ma occorrono anche le possibilità tecniche. Possiamo farci un'idea del ritmo con cui apparvero le invenzioni esaminando le registrazioni annuali dei brevetti, anche se purtroppo il numero di invenzioni brevettate è un indice poco significativo. Ovviamente il significato immediato per l'innovazione potenziale di una nuova innovazione dipende soprattutto dalla misura in cui essa elimina la strozzatura; alla vigilia della rivoluzione industriale le strozzature più gravi erano due: scarsità di legna e di energia. Il legno era il materiale universalmente adottato per costruire attrezzature di capitale ed era necessario anche come combustibile; le uniche forme di energia di cui disponeva l'economia pre-industriale erano l'energia muscolare, idraulica ed eolica, ma nessuna di esse aveva gli attributi per diventare il fondamento di una moderna economia industriale. Il risultato più importante della rivoluzione industriale britannica fu quello di trasformare l'economia sostituendo ai materiali base legno-acqua, i materiali base carbone-ferro. Le invenzioni fondamentali in tale processo furono la macchina a vapore ed il processo di puddellaggio di Cort. La macchina a vapore di Watt, costruita nel 1775, ebbe immediatamente una vasta gamma di applicazioni; il processo di puddellaggio e di laminazione, che risale agli anni '80, diede il tocco finale per il passaggio all'impiego del carbone minerale. Il fatto importante è che esse diedero luogo ad innovazioni tecniche radicali in seno alle industrie che producevano beni capitale e fu questa loro caratteristica a rendere profonda e continua l'influenza sul processo di industrializzazione. Attraverso l'effetto che tali innovazioni ebbero sul prezzo dei beni capitale, gli investimenti nazionali passarono da livelli pre-industriali ad industriali.
Le conclusioni che quindi si possono trarre circa la cronologia delle innovazioni tecniche che provocarono la rivoluzione industriale sono:
1. ambiente favorevole alle trasformazioni tecniche, l'innovazione era di moda e talvolta redditizia;
2. le innovazioni che superarono i limiti tecnici si diffusero con particolare rapidità;
3. entro i primi due decenni del XIX secolo i settori influenzati furono solo quello cotoniero e siderurgico;
4. introduzione del germe dell'industrializzazione continua, sviluppo della macchina a vapore e dell'industria siderurgica e loro effetti sulle industrie produttrici di beni capitale.
Il ruolo del lavoro
Un'offerta di lavoro crescente, mobile ed elastica è una delle condizioni indispensabili perché si realizzi lo sviluppo economico. Il tasso al quale ogni economia può espandere la propria produzione di beni e servizi dipende da quattro fattori fondamentali:
1. il tasso al quale può accrescere la propria dotazione di risorse naturali;
2. il progresso tecnico;
3. la quota di investimenti;
4. il tasso di espansione dell'offerta di lavoro.
Il solo modo per espandere la produzione è quello di occupare pienamente la forza lavoro; ne segue che un'offerta di lavoro elastica, cioè abbondante ad un prezzo relativamente basso, incoraggia fortemente gli investitori potenziali, che con il loro capitale assicurano un progresso tecnico; questo, consentendo di economizzare sia sul capitale che sul lavoro, generava un'espansione cumulativa ed autoalimentantesi. L'incremento di popolazione consisteva soprattutto di bambini, fino al 1821 le forze di lavoro attive crebbero un pò più lentamente della popolazione complessiva, d'altra parte non ci voleva molto tempo prima che i bambini iniziassero a lavorare.
Un altro fattore che favorì l'aumento dell'offerta di lavoro nel processo produttivo fu l'aumento del numero medio di ore giornaliere lavorate per operaio: le fabbriche impiegavano lavoratori a pieno tempo che stavano sulle macchine finché esse funzionavano, cioè finché vi era domanda di prodotti. Ciononostante, non c'è dubbio che più la gente abbandonava l'industria domestica, che costituiva un'attività extra stagionale dei contadini, e si inseriva nel lavoro industriale a pieno tempo nelle fabbriche e nelle officine, più cresceva il grado di utilizzazione della forza di lavoro. Non soltanto nell'industria manifatturiera si ebbe un aumento dell'input di lavoro; col crescere della resa per acro, con l'introduzione delle coltivazioni a forte uso di mano d'opera e col sistematico allevamento degli animali, anche i braccianti agricoli della fine del XVIII secolo si trovavano a passare più ore al giorno e più giorni l'anno in un posto di lavoro rimunerato.
Mentre nell'Inghilterra di questo secolo l'offerta di lavoro tendeva ad aumentare, è significativo notare come un economista di quel periodo, Adam Smith, abbia trattato anche la teoria della "inclinazione verso il basso della curva di offerta" per il lavoro, cui spesso oggi si ricorre per spiegare il comportamento delle forze di lavoro nelle regioni pre-industriali. Questa teoria dice che in alcune aree economiche arretrate la forza lavoro si comporta in maniera diversa da quanto ci si aspetterebbe: anziché essere disposta ad offrire una maggiore quantità di lavoro di fronte a maggiori salari, succede l'opposto. La ragione di ciò è che, in queste aree, i lavoratori hanno una domanda limitata di reddito monetario; dato che un salario più alto permette al lavoratore di raggiungere in minor tempo il guadagno che gli serve, egli lavora meno giorni alla settimana.
Dire che il lavoro fosse relativamente "a buon mercato" in Inghilterra, non significa che esso fosse povero in confronto a quello degli altri paesi o rispetto al passato: nei primi settanta anni del XIX secolo era molto diffusa la convinzione che fosse in corso un miglioramento sensibile del guadagno reale delle classi operaie. Il fatto era che il lavoratore, diventando più legato ai proventi derivati da impieghi specifici anziché fare assegnamento sulle diverse possibili fonti di reddito, diventava assai più vulnerabile nel caso di crisi del raccolto e di depressioni dell'attività economica di quanto non lo fosse stato in passato. Ciononostante secondo l'interpretazione tradizionale, il sistema tendeva ad un universale pauperismo: si lasciava infatti che i salari crollassero al minimo, poiché il datore di lavoro poteva fare assegnamento sulla parrocchia per coprire la differenza. Questa visione è però oggi scartata poiché se il sistema avesse influito sull'offerta di mano d'opera, sarebbe stato più facile se lo avesse fatto mediante gli effetti sulla mobilità della mano d'opera stessa: la vecchia legge sul domicilio del 1662 aveva eretto delle barriere contro i movimenti migratori, decretando che i nuovi arrivati in una parrocchia potevano essere mandati via se essi avessero costituiyo un onere a carico della parrocchia stessa. Se non fosse stato per l'alto tasso di incremento naturale è dubbio che il processo di industrializzazione avrebbe avuto uno sviluppo così rapido. In favore degli industriali furono anche i movimenti della popolazione dall'Irlanda, il cui tasso di incremento fu almeno pari a quello inglese.
L'impiego del vapore cambiò completamente la situazione: si preferì costruire nuove fabbriche nelle città dove la riserva di mano d'opera era grande. Man mano che l'industria assumeva caratteristiche sempre più urbane, il paternalismo, che era stato il tratto dominante delle fabbriche ad energia idraulica, lasciava il posto ad un sistema più impersonale di reclutamento. Iniziò così ad emergere vero proletariato industriale, numeroso, capace di un'azione unitaria, conscio delle sue proteste ed operante in un ambiente sempre più malsano. In opposizione a forme organizzate di lavoratori non solo vi era la legge e l'opinione pubblica, allarmati dagli eccessi della rivoluzione francese, ma la stessa riserva di forza lavoro tanto ampia da permettere al datore di lavoro di liberarsi dei dipendenti scontenti. Inoltre una delle ragioni per le quali gli operai degli anni '30 e '40 non riuscirono a sfruttare il loro semplice peso numerico fu che essi erano quasi del tutto privi di istruzione. Quando la forza lavoro cominciò ad espandersi con minor rapidità e la domanda di lavoro divenne meno omogenea in seguito allo sviluppo delle professioni specializzate, si ebbe un notevole rallentamento del saggio di sviluppo dell'economia britannica.
Il ruolo del capitale
La ragione per cui gli abitanti di un paese industrializzato godono di un livello di vita più elevato degli abitanti di un paese pre-industriale è che essi producono una maggiore quantità di beni e servizi per ogni ora di lavoro prestata; ed una delle ragioni di questo vantaggio risiede nel fatto di disporre di un maggiore stock di capitale per lo svolgimento delle loro attività produttive. Per realizzare questo aumento dello stock e mantenerlo si esigono dei cambiamenti radicali nel comportamento economico della comunità: Rostow ha posto come quota del "decollo" il passaggio della quota nazionale di investimenti da circa il 5% del reddito nazionale a circa il 10%. Per capire quanto aumentò il capitale nel XVIII secolo bisogna considerare ad esempio tutti quegli elementi associati alle recinzioni, come le opere di sterro, di drenaggio e di trasformazione da campo incolto a coltivabile; l'urbanizzazione comportò investimenti nell'edilizia, nell'illuminazione e nella fornitura d'acqua; i miglioramenti delle comunicazioni imposero notevoli spese per le strade, i ponti e la navigazione sui fiumi.
All'inizio del XVIII secolo più della metà del capitale sembra fosse investita in terreni; anche se escludiamo la terra e ci limitiamo al capitale riproducibile o creato dall'uomo, meno della metà del totale consisteva di capitale industriale, commerciale, finanziario. Dopo l'avvento delle ferrovie si delineò un quadro diverso: la terra andava perdendo valore e nel 1885 costituiva meno di un quinto del totale, mentre si stima che intorno al 1865 il capitale riproducibile o creato dall'uomo avesse raggiunto un valore di circa 4,5 volte il reddito nazionale. E' dimostrato quindi che l'ascesa degli investimenti nazionali che accompagno la rivoluzione ebbe luogo in 30 o 40 anni a cominciare dalla seconda metà degli anni '30 per terminare verso la fine degli anni '60.
Gran parte delle ragioni di tale aumento è attribuibile al grande boom della ferrovia, ma anche altri settori registrarono un aumento, come l'industria del cotone, i cui investimenti coincisero con l'uso della macchina a vapore e dei telai meccanici, o le industrie estrattive e siderurgiche, chiaramente collegate con il boom delle ferrovie. Nei decenni di mezzo del XIX secolo, oltre ad un grande sviluppo delle già esistenti costruzioni ferroviarie, che nel primo quarto di secolo erano solo semplici strade ferrate, ci fu il vero trionfo delle locomotive a vapore. Ciò che spingeva gli imprenditori fuori dalle loro proprietà era una dipendenza dalle lontane miniere o dalle industrie pesanti. La costruzione di ferrovie precedette con una serie di balzi: il primo impulso coincise col boom del 1824-25, il secondo si svolse nel 1836-37 ed terzo nel 1844-47.
Negli anni '20 tanto per le ferrovie che per i canali, il grosso del capitale proveniva da uomini d'affari del luogo che erano particolarmente interessati al buon esito del progetto; questi successi indussero a costruire linee sempre più lontane, ed in quel momento vi era in effetti troppo capitale da investire, tanto che si fecero anche delle speculazioni e ciò provocò uno spreco di denaro e di conseguenza gli investitori diventarono più cauti.
Il secondo boom fu ancora più spettacolare e causò uno spreco ancor maggiore di capitale; fu caratterizzato dalla comparsa nel mercato azionario delle ferrovie di grossi capitali di speculazione. Spronati dal successo del primo boom, strati sempre più ampi di persone cominciarono a speculare sulle prospettive di rialzo dei titoli azionari: il disastro fu inevitabile. Nel periodo che va dagli anni '30 sino alla fine degli anni '60 è chiaro che divenne disponibile una grande quantità di capitale per l'industria ed il commercio, ma l'Inghilterra non era un paese ricco. Quello fu infatti un periodo di aspra miseria sociale, lo stesso che ispirò Marx circa le condizioni delle classi lavoratrici inglesi. Ciò che in parte permise ad un paese così povero di accumulare un tale stock di capitale, furono certamente le economie realizzate dallo slancio della rivoluzione industriale. Il governo aveva incoraggiato il risparmio delle classi lavoratrici fin dal 1793, con il consolidamento della legislazione sulle società di mutuo soccorso; la prima vera cassa di risparmio fu fondata nel 1804, chiamata Banca di Carità. Essa si dimostrò più caritatevole delle intenzioni originarie, dato che il tasso che essa pagava sui depositi procurò delle perdite ai suoi fondatori e finì col dover essere liquidata. Gradualmente però il movimento si estese e l'abitudine al risparmio si diffuse fra gli artigiani più ricchi. Investimenti di tali dimensioni non possono giustificare un sensibile aumento del capitale e sono da escludersi anche l'indebitamento con l'estero e gli investimenti pubblici, l'Inghilterra era infatti un paese esportatore ed il governo non era fonte di capitali nemmeno sotto forma di capitale fisso sociale. Un'altro modo di finanziare la formazione di capitale è quello di ricorrere all'inflazione come strumento per provocare il "risparmio forzato": l'inflazione è condizione comune nei paesi sottosviluppati, in condizioni di persistente inflazione i prezzi salgono più dei salari e poiché ci si aspetta che i profitti continuino a salire, gli industriali sono contenti di reinvestire; i risparmiatori in questo caso sono i salariati. La validità di questa tesi è nel fatto che i maggiori profitti andarono agli industriali, ma sembra non sia andata così in Inghilterra: l'inflazione, anche quella nel periodo bellico, sembra abbia fatto salire il costo dei prodotti agricoli e non quelli delle industrie innovatrici, come quella del cotone, i cui prezzi tendevano a calare. L'inflazione fece guadagnare agricoltori e mercanti, mentre i profitti reinvestiti dagli industriali inglesi provenivano dal margine fra i costi e la meno rapida riduzione dei prezzi.
Il problema di reperire fondi per la rivoluzione industriale era quello di far confluire denaro da chi ne aveva a chi aveva idee; in pratica gli innovatori ricorrevano alle proprie risorse o a quelle di amici o familiari e quando l'impresa cominciava a rendere la sua espansione veniva finanziata reinvestendo i profitti o rivolgendosi di nuovo ad amici. In effetti il mercato inglese fu caratterizzato da un alto tasso di imperfezione: i profitti guadagnati in agricoltura venivano reinvestiti in agricoltura e lo stesso accadeva per esempio nell'industria cotoniera. Questa imperfezione era anche dovuta ad un problema istituzionale: finché nel 1856 non si legalizzò la responsabilità limitata, la società per azioni era una forma di organizzazione poco diffusa, tanto più che era necessaria una legge parlamentare per approvarla e che l'impresa era di solito familiare.
In conclusione il modo più frequente per avviare un'impresa era di chiedere un prestito che sarebbe stato restituito entro breve, oppure nel caso di ferrovie o canali, che richiedevano investimenti maggiori con rese a lungo termine, si ricorreva ad imprese societarie e pubbliche emissioni di azioni.
Il ruolo del sistema bancario
Di fatto, anche se non sancito per legge, l'Inghilterra era passata alla base aurea; il riconoscimento legale si ebbe solo nel 1816. Oltre alle monete, verso la metà del XVIII secolo vi erano in circolazione altri tipi di denaro di uso comune: i primi assegni risalgono alla fine del XVII secolo, più importanti erano le banconote, vale a dire le promesse di pagare a vista al portatore. La Banca d'Inghilterra le aveva emesse a favore dei propri depositari ed erano utilizzate come contanti; anche le banche private emettevano dei biglietti, operazione terminata poi nel 1770.
La quantità di moneta circolante in un sistema economico è una questione di importanza fondamentale per il suo sviluppo: se l'offerta di moneta non sta al passo con lo sviluppo del commercio, cioè se la moneta diventa scarsa in rapporto ai beni, i prezzi tendono a cadere, i produttori vengono scoraggiati. Viceversa, se la moneta è emessa troppo liberamente, i prezzi cresceranno e l'investimento tenderà ad essere attratto in quei settori che sono più colpiti dall'aumento dei prezzi; in alcune economie sottosviluppate moderne l'inflazione tende a stimolare eccessivamente il flusso delle risorse di investimento nell'edilizia residenziale. Il volume di moneta in circolazione dipendeva dall'offerta di oro della Banca d'Inghilterra e questa dipendeva dalla domanda e dall'offerta mondiale di oro: se le esportazioni superavano le importazioni, si aveva un afflusso di oro e viceversa; di fatto l'oro era la moneta internazionale. I problemi di trasferimento rapido ed il pericolo di furti lungo le strade scoraggiavano i mercanti a trasportare grandi quantità di monete, trovando più conveniente trattare con le banche di provincia che emettevano biglietti di piccolo taglio pagabili in loco e sembra ragionevole pensare che il peso delle banconote emesse dalle banche di provincia fosse uguale a quello delle banconote emesse dalla Banca. Questo fatto complica la questione di stabilire chi determinava l'offerta di moneta: possiamo presumere che tanto le banche private quanto quella di Londra fornissero credito e quindi emettessero il volume di banconote che volevano. Se il commercio fosse stato fiorente e gli ordini emessi liberamente, molti sarebbero stati beneficiari di cambiali e di pagherò alla ricerca di denaro contante presso le banche; le banche si sarebbero affrettate ad accontentare il cliente se il credito fosse stato buono, osservati i limiti di prudenza che impongono di tenere sufficienti riserve liquide con cui soddisfare ogni richiesta. I banchieri del XVIII secolo non si consideravano degli strumenti di politica monetaria; essi concepivano le banche come istituzioni a scopo di lucro, i cui doveri riguardavano i propri azionisti più che il pubblico in generale. Essi mantenevano un rapporto di liquidità flessibile, basato su una propria valutazione dei pericoli; in fin dei conti la Banca d'Inghilterra non potevano concedere prestiti per un ammontare superiore ai depositi di cui i suoi depositari l'avevano provvista. In definitiva il limite all'espansione del credito era fissato dalla quantità di oro presente nel paese e le cose andarono così fino al 1797, quando furono sospesi i pagamenti in contanti, sollevando la Banca dall'obbligo di convertire in oro le proprie banconote. Non stupisce che un sistema basato sulla fiducia risultasse instabile e se la perturbazione era abbastanza generale, il peso maggiore ricadeva sulla Banca d'Inghilterra, depositaria ultima del solo vero contante. In particolare nel 1797 si prese la decisione di allentare la tensione rompendo il legame oro ed offerta di moneta: la prima causa fu il fatto che l'oro defluiva dal paese e non vi era nessuna prospettiva di arresto. Se la Banca si fosse trovata al centro di questa struttura creditizia, come lo è oggi, incaricata di sostenere qualsiasi altra banca, allora la solvibilità del sistema sarebbe dipesa dalla situazione e dalla politica della Banca stessa; ma nel XVIII secolo essa era solo uno degli enti che emettevano banconote. Appare quindi strano che il crollo non si sia verificato prima. Due possono essere le cause: la prima, la forza di molte banche di provincia, i cui gestori erano spesso cospicui uomini d'affari conosciuti come persone di sicura solidità; l'altra ragione risiedeva nel fatto che la rivoluzione industriale aveva già impresso un forte impulso ascendente al tasso di sviluppo economico e le prospettive era talmente buone che esistevano sempre persone che ispiravano fiducia. Nel 1797 però le cose andarono diversamente: il paese era in guerra di esito incerto; alcune speranze andarono deluse ed alcune banche avevano dovuto sospendere il pagamento dei loro biglietti. Vi erano inoltre alcune circostanze che accelerarono la crisi: cattivi raccolti; deflusso di oro; enormi spese di guerra. Il governo di fronte ai preparativi di una grossa guerra in Europa, non osò rischiare le proprie riserve auree e per questo nel 1797 venne proibito alla Banca di effettuare pagamenti in oro; l'oro sparì dalla circolazione e iniziò l'era delle banconote e dei titoli di credito. Molti datori di lavoro presero l'abitudine di pagare i dipendenti con dei pagherò cambiari o monete private da spendere in loco; era la necessita di soddisfare il pressante bisogno di contanti che spinse le banche di provincia a emettere banconote di piccolo taglio.
I banchieri spesso provenivano dall'industria o dal commercio: la localizzazione degli stabilimenti e delle fonderie, nei primi tempi della rivoluzione industriale, era determinata dalla vicinanza alle materie prime, quindi spesso confinata in distretti remoti dove non esistevano dei servizi bancari; l'imprenditore doveva così crearsi da solo tali servizi. Una delle conseguenze di questo sistema bancario eterogeneo fu il fatto che si poteva contare su dei banchieri privati che avevano non solo conoscenze sul mutuatario, ma anche abbastanza esperienza personale del commercio o dell'industria da riuscire ad assumere dei rischi che un banchiere meno informato avrebbe giudicato al di fuori delle proprie possibilità.
Gli effetti potenziali di questa situazione divennero più pericolosi quando l'economia si sviluppò: era ben poco quello che la Banca d'Inghilterra poteva fare per allargare o ridurre il credito, quando esistevano tante altre istituzioni. Fu così che il governo intraprese una rapida azione: la legislazione del 1826 ridusse l'influenza delle banche provinciali proibendo loro l'emissione di biglietti di piccolo taglio, autorizzò la costituzione di banche per azioni ed autorizzò la Banca ad aprire filiali. Fu, però, solo nel 1844, con il Bank Charter Act, che attribuiva solo alla Banca d'Inghilterra di emettere banconote, che si decretò la sua supremazia nella struttura creditizia nazionale. Era evidente che il sistema esigeva una riforma, benché non fosse chiaro come procedere; si aprì un dibattito tra economisti, banchieri e tutti gli interessati di politica economica. La disputa si cristallizzava nell'opposizione di due scuole di pensiero: quella "monetaria e quella "bancaria"; quello che entrambe le correnti davano per scontato era che l'ideale da raggiungere consisteva in un sistema monetario "automatico", in cui il valore della moneta fosse saldamente ancorato all'oro. Questa opinione è in netto contrasto con l'opinione moderna, secondo cui il valore della moneta deve essere controllato dal governo ed adattato ai fabbisogni interni. Il fondamento della scuola monetaria era lo stretto rapporto tra gli scambi e l'emissione di banconote all'interno del sistema: essa sosteneva che il solo modo per proteggere l'economia da eccessive emissioni era quello di far funzionare la moneta cartacea allo stesso modo di quella metallica. Se le banche avessero continuato a perseguire i propri fini di profitto si sarebbe andati incontro ad una crisi monetaria quando le aspettative degli imprenditori si fossero dimostrate troppo ottimistiche. Da parte sua, la scuola "bancaria" sosteneva che lo sfavorevole andamento degli scambi con l'estero era dovuto in genere a cause avverse, che una volta passate avrebbero riportato alla normalità la situazione. Alla fine nel Bank Charter Act prevalse l'opinione della scuola monetaria. Peel cercò di introdurre questo meccanismo automatico nella convinzione che l'attività creditizia dovesse essere separata dal controllo del circolante, data la differenza di obbiettivi, la prima doveva provvedere al credito, l'altro regolare il livello dei prezzi, egli separò le due funzioni. I trent'anni successivi furono tra i più travagliati nella storia delle banche: vi furono grosse crisi; in questa dura scuola d'esperienza la banche che riuscirono a sopravvivere impararono un nuovo tipo di prudenza, cominciando a comprendere l'importanza della liquidità in ogni momento e dell'evitare investimenti a lungo termine. Il banchiere moderno, abituato a costruirsi un portafoglio sicuro, sarebbe colpito dal grado di rischiosità del portafoglio del banchiere del XIX secolo, ma gli investimenti di allora erano produttivi ed essi diedero un importante contributo al finanziamento delle attività commerciali ed industriali.
L'adozione del libero scambio
L'avvio del processo di industrializzazione offre l'opportunità di espansione ed incoraggia l'adozione di una politica commerciale più aperta. Le lunghe guerre incominciate nel 1793, tuttavia, provocarono un rovesciamento della tendenza ed introdussero molte incertezze, costringendo il governo ad aumentare le tariffe per finanziare le imprese belliche. Negli anni '20 fu possibile intraprendere un'azione più decisa: il commercio attraversò una fase di espansione e gli industriali incominciarono a riaquistare un pò di fiducia; nel 1824-25 il governo si trovò un'avanzo e si riuscì ad abolire i proibitivi dazi ed i divieti di importazione ed i premi all'esportazione e si liberalizzò le Navigation Laws. Negli anni '40 Peel tornò ad occuparsi del problema di razionalizzare le finanze pubbliche. Il primo bilancio di Peel non presentava modifiche sostanziali, ma la caratteristica più importante fu la reintroduzione dell'imposta sul reddito: tale riforma, fornendo al governo una fonte alternativa di entrate, aprì effettivamente la strada verso un regime di libero scambio, che divenne però totale solo dopo l'abrogazione della Corn Laws.
L'abrogazione delle Corn Laws è il simbolo del mutamento della politica commerciale, che a sua volta è la causa preponderante della tendenza del processo d'industrializzazione a trasformare il ruolo dell'agricoltura da principale a subordinato, ruolo appunto tipico in un paese industrializzato.
Durante il periodo di aumento dell'esportazione di grano, che durò fino agli anni '50, le Corn Laws prevedevano la concessione di premi all'esportazione, mentre il fatto che anche le importazioni fossero regolamentate assumeva poca importanza in un paese con una popolazione quasi stagnante e con una produzione agricola in aumento. Solo quando l'ammontare dovuto divenne così elevato che i fondi dei dazi locali risultavano insufficienti a coprili ed i pagherò non furono onorati, sorsero proteste; ma l'impossibilità di pagare rappresentò un problema temporaneo. Fu verso il 1790 che il problema cominciò a rispecchiare una lotta di classe e nel clima teso creato dagli eccessi della Rivoluzione Francese, queste sommosse assunsero un significato più profondo: il sempre più folto numero di braccianti e di lavoratori dell'industria diventava più consapevole del fatto che i suoi interessi divergevano da quelli dell'aristocrazia terriera. Alla fine della guerra gli interessi agrari si trincerarono dietro un alto muro di protezionismo: i premi erano stati aboliti e la scala mobile dei dazi abbandonata in favore del protezionismo più assoluto. In questo periodo le Corn Laws furono uno dei punti fermi della politica economica: esse mantenevano elevati i prezzi dei prodotti agricoli riducendo così il potere di acquisto dei salari, costituendo una valida protezione per quella che era la principale industria britannica. Negli anni successivi alla fine della guerra la situazione mutò: i prezzi crollarono ed il capitale investito si svalutò; fu questa profonda miseria, più che le recinzioni, che allontanò dalla terra il piccolo agricoltore e che gettò nella disperazione il settore. Bisogna inoltre ricordare che l'agricoltura verso il 1850 era ancora la principale industria del paese e che qualunque evento influisse su di essa influiva direttamente su più di un terzo della popolazione; si può ben capire come sarebbe stato arduo per un governo responsabile abbandonare le Corn Laws.
Gli industriali erano però contrari a queste leggi poiché le ritenevano causa d'inflazione e di riduzione del potere di acquisto, l'effetto di tali leggi fu infatti quello di far salire il prezzo dei cereali, rendendone l'importazione una cosa rischiosa e a carattere speculativo, scoraggiando gli agricoltori attraverso delle fluttuazioni imprevedibili. Nella seconda metà degli anni '30 i presupposti sembrarono mutare, soprattutto perché l'agricoltura sembrava riprendersi, anche se non è facile stabilirne le cause: aumento dell'impiego di fertilizzanti e di attrezzi e macchine agricole migliorate. Un elemento abbastanza decisivo fu il fatto che la nuova legge per l'assistenza ai poveri migliorasse la sua posizione nel sistema fiscale, sollevandola dall'onere dell'imposta per intervanti assistenziali. Una seconda serie di motivi ne attribuisce l'origine ad un aumento dell'efficienza: si sostiene che gli agricoltori abbiano reagito alle avversità ricorrendo all'adozione di innovazioni che riducevano i costi e coloro che rimasero furono per definizione i più preparati a sopravvivere; in terzo luogo è evidente che l'accresciuto tasso di industrializzazione rafforzava la domanda di prodotti agricoli. Sul finire degli anni '30 una serie di raccolti scarsi riportarono le Corn Laws al centro dell'arena politica e nel 1838 fu fondata la Anti-Corn Laws Association. La Lega era sostanzialmente un'organizzazione di classi medie, organizzata in sintonia con l'idea che la politica dev'essere guidata da coloro che rappresentano la proprietà; l'ideologia della Lega contrastava con quella del Cartismo, l'altro grande movimento riformatore. Il secondo era il movimento delle classi lavoratrici che cercava di raggiungere la giustizia in campo economico e sociale, le cui tesi erano state scritte in una Carta del Popolo. La Lega disponeva di ingenti somme e di un'efficiente amministrazione, essa era inoltre la forza politica che accentrava in sé le aspirazioni degli economisti, degli industriali e dei liberali; essi sostenevano che i loro avversari erano i ricchi proprietari terrieri e gli aristocratici, di fatto però le più forti opposizioni alla revoca delle Corn Laws venivano dai piccoli contadini.
I risultati della Lega furono incerti fin quando il raccolto di patate andò male sia in Irlanda che in Inghilterra e così le Corn Laws furono abrogate senza introdurre sostitutivi ed il risultato immediato fu la rottura della tensione sociale. L'agricoltura non si trovò a dover affrontare i presagiti disastri, anche se è vero che si verificò un certo panico per la caduta dei prezzi, ma tal fatto era da impuutarsi a speculazioni incoraggiate dal protezionismo. Sul mercato interno la domanda dei prodotti agricoli e dei metodi di coltivazione cresceva incessantemente, vi fu una forte corrente migratoria tra le campagne e le città che finì col ridurre il numero di persone che producevano derrate alimentari, aumentando nel frattempo il numero di bocche da sfamare.
Forse furono proprio il brusco sconvolgimento dell'abrogazione del protezionismo e gli sfortunati anni della caduta dei prezzi, a porre in pieno risalto le possibilità ed i limiti degli agricoltori britannici. Di fatto dal 1853 la prospettiva dell'agricoltura britannica mutò in meglio e la causa fu rappresentata dal miglioramento tecnologico e dalle condizioni della domanda.
Il ruolo del potere pubblico
L'inettitudine o la competenza dei governi è stata un fattore importante nel ritardare o accelerare lo sviluppo economico; uno dei miti che è stato creato riguardo la rivoluzione industriale inglese è stato che essa avvenne più in assenza di interventi pubblici che per effetto degli stessi. Adam Smith utilizzò la teoria della "mano invisibile" per giustificare il libero scambio. Egli sosteneva che ogni individuo cerca di impiegare il suo capitale nel sostegno dell'industria nazionale ed ogni individuo opera necessariamente a rendere il reddito della società quanto più grande possibile. In realtà non è che egli voglia perseguirlo, ma semplicemente mira alla propria sicurezza. I suoi seguaci svilupparono ulteriormente la filosofia del laissez-faire, la teoria secondo cui il compito del governo consiste nel lasciar andare le cose per conto loro, senza creare restrizioni alle imprese. Non c'è dubbio che tra il 1760 ed il 1850 un certo numero di leggi imposte dallo stato furono spazzate vie. Erano leggi che limitavano la mobilità e l'impiego del capitale, che regolavano l'organizzazione del capitale e dell'impresa, che proibivano le importazioni da certi paesi se non erano effettuate con navi britanniche. Naturalmente l'esistenza di una quantità di restrizioni medioevali non implica che esse venissero applicate, neppure il Bubble Act impedì la formazione di società per azioni in settori industriali in cui l'entità dell'attività le avrebbe rese particolarmente funzionali. Anche le leggi sull'usura è difficile credere che non fossero spesso eluse. Allo stesso modo si potevano eludere le restrizioni al commercio con l'estero: la proibizione di esportare lana era regolarmente elusa inviandola in Olanda o in Francia via Scozia o portandola fuori di contrabbando. Il contrabbandiere era un membro rispettato della comunità; Adam Smith né parlò come di un uomo il quale, benché biasimabile per aver violato le leggi del suo paese, sarebbe stato un cittadino eccellente, se le leggi non avessero reso un delitto ciò che la natura non avrebbe mai inteso come tale. In effetti molte delle restrizioni all'attività economica erano più nominali che effettive; d'altronde i politici stavano cominciando ad accorgersi che una regolamentazione mite, fatta effettivamente rispettare, era molto più utile di una restrizione severa ma non rispettata da nessuno. Ciò che avvenne secondo la tradizionale interpretazione fu che i governi ispirati dagli esponenti dalla teoria della "mano invisibile", ridussero il peso delle restrizioni legislative e verso il 1850 avvenne il trionfo della filosofia del lassez-faire. Il massimo successo di tale teoria si verificò nel commercio: era in questa sfera che Smith era sicuro di sé e stava per avere la meglio, ma la guerra cancellò il suo progresso e nel periodo successivo non fu facile perseguire una politica di liberalizzazione.
Quest'interpretazione tradizionale sembra però troppo semplicistica, appare infatti più credibile che il governo assunse un ruolo sempre più attivo nell'economia, dando avvio alla macchina amministrativa, disfacendosi delle regolamentazioni che non riusciva a far rispettare ed accentuando il proprio potere nei settori in cui voleva esercitare una maggiore influenza. In realtà, col procedere dell'industrializzazione, lo stato interveniva nell'economia sempre più a fondo e con maggiore efficacia di prima. Ciò che appare strano è il fatto che una rivoluzione del ruolo pubblico si sia verificata in una comunità i cui pregiudizi politici erano in contrasto con tale tipo di sviluppo. Questo accadde grazie all'esistenza di forti pressioni latenti che si dimostrarono irresistibili: vi erano le pressioni ideologiche collegate al diffondersi di dottrine utilitaristiche fra la classi colte ed anche il propagarsi dell'umanesimo fu un fattore concomitante che colpiva il sentimento umanitario trasformandolo in un impulso riformistico. Il punto di irreversibilità del processo sembra sia stato raggiunto negli anni '30, anni che videro l'inizio della disfatta della laissez-faire, ma che non videro ancora conseguenze rivoluzionarie. L'intervento pubblico nell'economia fu diretto alla sfera sociale, al sistema di controllo monetario "automatico", all'ambito del commercio estero ed alla riduzione dei privilegi del clero. In questo modo non si stava solo rafforzando il potere del governo centrale, quelli locali infatti cominciavano ad assumere sotto questo aspetto più ampie responsabilità: i problemi sociali tendevano infatti a presentarsi nel loro aspetto più acuto a livello locale. In particolare il cambiamento avvenne più rapidamente in certe zone, per esempio per quel genere di interventi che erano richiesti in materia d'igiene e di sviluppo urbanistico. Lo stato andava assumendo con fermezza la responsabilità di un controllo sempre più ampio sull'attività imprenditoriale privata nell'interesse sociale; per far rispettare la normativa dei controlli si stava creando una nuova divisione del governo: il potere esecutivo, che assicurava la piena efficacia dell'intervento pubblico e che aveva una specie di effetto cumulativo, nel senso che l'esperienza acquisita veniva applicata per formulare nuovi tipi d'intervento e per creare funzionari più efficienti che la facessero rispettare. Senza dubbio ora i limiti dell'attività dello Stato erano imposti dalla scarsità delle risorse umane e fisiche a disposizione dell'esecutivo.
Sviluppo economico e cicli economici
In seguito alle rivoluzioni dell'organizzazione economica, la continua trasformazione del sistema economico venne ad essere parte integrante dell'ordine delle cose. Pare che verso la metà del XVIII secolo il prodotto nazionale avesse cominciato a crescere, come anche la popolazione, ma non si è sicuri se fosse la produzione a svilupparsi più rapidamente della popolazione. La probabilità di un aumento del reddito pro capite verso l'ultimo quarto del secolo è maggiore: in quegli anni la popolazione, i prezzi, la produzione, i redditi ed il commercio si svilupparono come non mai. Se per valutare il saggio di sviluppo economico assumiamo come punto di partenza le statistiche del commercio, partendo dal presupposto che il commercio estero avesse un ruolo molto importante nell'economia, troviamo prove non solo dello sviluppo della produzione nazionale, ma anche della produttività e del livello di vita. I risultati sono i seguenti: dopo un periodo di stagnazione nella prima parte del XVIII secolo, si ebbe un’impennata della produzione press'a poco dalla metà del secolo; la popolazione cresceva tanto rapidamente da compensare la produzione, ma negli anni 1780-90 si ebbe un più deciso aumento del reddito. Sembra che proprio in quegli anni il saggio di sviluppo della produzione nazionale abbia superato quello della popolazione, allontanando la spettro della stagnazione pronosticato da Malthus. Con ciò non si intende negare che i decenni 1830-40 fossero anni di diffusa miseria sociale o che le condizioni di larghi strati sociali fossero spesso cattive. Questo era uno dei costi dell'industrializzazione: nell'era pre-industriale in caso di crisi il lavoratore medio non moriva di fame, dato che poteva sempre prestare la sua opera come bracciante o coltivare la sua terra; se i raccolti erano scarsi, la famiglia poteva sopportare l'andamento dei prezzi lavorando di più al filatoio. In un sistema in cui ogni famiglia o regione è abituata a produrre per sé, la crisi di un settore produce solo effetti limitati sugli altri settori; per un'economia industrializzata è vero invece il contrario.
Il fatto è che sul processo di sviluppo economico grava l'ombra di fluttuazioni. Esistono molti tipi di fluttuazioni cicliche: nell'arco di un anno si possono distinguere le fluttuazioni di origine stagionale; in un'economia pre-industriale tali crisi sono solitamente più accentuate, poiché l'industrializzazione tende ad adottare metodi ed attrezzature che consentano un'utilizzazione più costante. Meno regolari sono i cicli chiamati economici e che sono caratterizzati da una precisa successione di fasi: prosperità, boom, recessione e crollo. Ci sono due elementi significativi che determinano un ciclo economico: una causa iniziale che imprime una spinta o crea una crisi di sfiducia e la catena di effetti che tale perturbazione produce sugli altri settori; più il sistema economico è interdipendente, maggiore sarà l'effetto della perturbazione sul complesso dell'attività economica nazionale. Gli economisti classici consideravano le fasi di contrazione e di espansione dovute a cause esterne al campo dell'economia, gli storici dell'economia sono quasi tutti d'accordo oggi nel dare credito alle teorie che sottolineano gli effetti dell'andamento dei raccolti sul livello dell'attività economica. Quando l'andamento dei raccolti era tale da determinare una scarsità di prodotti agricoli, le ripercussioni erano tante: aumento del costo delle materie prime; rialzo dei prezzi dei generi alimentari e disoccupazione dei lavoratori agricoli; minor potere di acquisto; deficit di bilancio dovuto al calo della produzione di merci soggette ad imposta; disavanzo della bilancia commerciale ed aumento delle importazioni. Naturalmente vi erano anche altre ragioni che spiegano le fluttuazioni, ad esempio la guerra era un fattore importantissimo sul commercio estero.
La principale conclusione raggiunta da Gayer, Rostow e Schwartz è che i cicli individuabili nel periodo 1790-1850 dipesero da due fattori principali che agivano dal lato della domanda: la fluttuaziona della domanda di esportazioni e la fluttuazione degli investimenti interni. In effetti i tre ricercatori sostengono che l'espansione della domanda dei beni d'esportazione produceva tre effetti: pieno impiego della capacità produttiva in alcuni settori, l'aspettativa di un continuo aumento della produzione ed aumento dei profitti; ciascuno di questi tendeva a stimolare l'espansione dell'investimento interno. Le fluttuazioni di breve periodo non sono i soli movimenti periodici: l'economista russo Kondratieff sviluppò la teoria delle "onde lunghe", cioè grandi fluttuazioni che si sovrappongano ai consueti cicli economici, le "onde brevi". Toccò a Schumpeter dare una spiegazione delle grandi fluttuazioni ed interpretarle in un contesto storico: egli sostenne che la natura ciclica dello sviluppo economico è intrinseca al sistema capitalistico. L'interpretazione si fonda sulla teoria dell'innovazione: un'innovazione importante stimola sempre una catena di innovazioni ad essa collegate e muta completamente le prospettive. Quando gli imprenditori si avvantaggiano di tali innovazioni e si adattano ai mutamenti della situazione economica da essi provocati, l'economia tende ad essere prospera ed in espansione. Prima che si raggiunga il punto più alto dell' "onda lunga", può accadere che gli imprenditori tendano ad oltrepassare i limiti e che l'eccessiva speculazione provochi crisi e recessione temporanea; poi con l'andar del tempo le ripercussioni di un'innovazione tendono a smorzarsi.
Mentre i proprietari terrieri, i capitalisti e le classi borghesi potevano risparmiare durante la fasi espansive per mantenere immutato il loro tenore di vita anche in quelle depressive, il proletariato oscillava senza speranza tra la miseria e lo stretto necessario. Finché la produttività media non crebbe abbastanza da portare la massa così al di sopra del livello di sussistenza, che neppure le fluttuazioni riuscivano a spingerla sotto la soglia della povertà. L'industrializzazione rappresentò per la maggior parte della gente un livello di vita instabile, anche se crescente.
Il tenore di vita
Uno dei modi con cui di possono valutare i risultati di una rivoluzione industriale è quello di misurare gli effetti provocati sul tenore di vita, poiché la rivoluzione fa diminuire lo sforzo umano necessario per produrre un'unità di prodotto e quindi fa aumentare il flusso dei beni, si potrebbe ragionevolmente supporre che essa provochi un miglioramento delle condizioni di vita del lavoratore. Diventa sempre più evidente nei paesi in via di sviluppo dei nostri giorni che anche in presenza di un tasso di progresso tecnologico nell'industria abbastanza sostenuto, è molto facile che il numero di bocche da sfamare si moltiplichi più rapidamente della produttività per occupato e che quindi diminuisca il livello medio di consumo. In realtà è stato dimostrato che alcuni paesi hanno sperimentato un periodo, chiamato "il formicolare", in cui la popolazione aumenta in misura maggiore della produttività ed il flusso dei beni di consumo pro capite diminuisce. Risulta perciò di interesse vedere se l'Inghilterra ha sperimentato un periodo del genere e quando ciò è avvenuto.
Su questo punto si sono formate due scuole di pensiero: l'opinione pessimistica, sostenuta da osservatori che vanno dai contemporanei ai moderni, è che i primi stadi della industrializzazione provocarono un netto deterioramento delle condizioni di vita dei poveri appartenenti alla classe lavoratrice; l'opinione ottimistica è che lo sviluppo economico, pur lasciando alcuni lavoratori in completa miseria, permise alla maggioranza di godere di migliori condizioni. Ancora una volta i dubbi nascono perché la documentazione storica è insufficiente. Può darsi che tutto l'incremento della produzione nazionale toccò alle classi di reddito superiore, mentre i cittadini furono scacciati dai piccoli appezzamenti; è possibile che la produzione crebbe più rapidamente della popolazione ma che contemporaneamente peggiorano le condizioni di vita della massa, poichè poche persone monopolizzarono i risultati degli aumenti. La decisa riduzione della mortalità alla fine del 1700 potrebbe essere la prova del miglioramento delle condizioni di vita, ricordando che la riduzione di tale mortalità non è dovuta all'aumento dei consumi annui, ma alla maggior regolarità dell'offerta. A questo progresso del flusso temporale dei redditi, gli investimenti nelle comunicazioni e lo scambio regolare delle derrate agricole sul mercato probabilmente contribuirono in maggior misura dell'aumento della produttività nell'industria o dell'aumento di produzione per acro.
Per approfondire bisogna anche esaminare i dati relativi ai salari. In genere i salari dei lavoratori dell'industria erano superiori a quelli dell'agricoltura; così al crescere della quota di popolazione occupata nell'industria, il salario monetario medio probabilmente aumentò. E' chiaro che i dati salariali relativi a specifiche mansioni o industrie non possono gettare molta luce sul movimento dei salari in ampie zone dell'economia. La caratteristica saliente della storia dei salari del XVIII secolo fu l'esistenza di ampie differenze regionali sia di livello sia di andamento. Il secondo problema fondamentale di interpretazione è quello delle variazioni del valore della moneta; quanto detto a proposito delle variazioni regionali del prezzo della mano d'opera vale anche per il prezzo dei beni.
A favore del miglioramento delle condizioni di vita vi sono tre ragioni: con il diffondersi dell'industrializzazione l'occupazione diventava più regolare; è probabile che i beni solitamente esclusi dagli indici dei prezzi, soprattutto manufatti, diminuissero di prezzo; la riduzione dell'onere fiscale, in un periodo in cui quasi tutte le imposte erano indirette, fu di grande sollievo per le classi lavoratrici. La convinzione degli ottimisti si fa più forte per gli anni finali del periodo critico che per gli anni vicini all'inizio, ma neppure essi hanno sostenuto che il tenore di vita della classe lavoratrice migliorò durante le guerre francesi o nel periodo successivo. D'altro canto anche i pessimisti dovranno ammettere che verso gli anni '40 si cominciarono a vedere sensibili miglioramenti.
La prima conclusione è che non abbiamo alcuna prova sicura di un miglioramento generale delle condizioni di vita delle classi lavoratrici tra il 1780 ed il 1820, anzi se teniamo conto del cattivi raccolti, della crescita della popolazione e delle privazioni dovute alla guerra, possiamo concludere che il tenore medio di vita peggiorò. I lavoratori agricoli generalmente guadagnavano meno dei lavoratori di fabbrica, pertanto la variazione della composizione della forza di lavoro farebbe salire il livello generale dei guadagni pro capite anche se i salariali rimanessero immutati per ogni occupazione, è questo il processo che sembra si sia accelerato negli anni '40, provocando sensibili miglioramenti nelle condizioni materiali. E' indubbiamente vero che vi fu una variazione nella distribuzione dei redditi a favore dei profitti e una variazione della composizione della produzione in favore dei beni capitale e servizi consumati dalle classi superiori. Le nuove fabbriche non producevano unicamente per l'esportazione o per il commercio di lusso, le classi lavoratrici guadagnavano come consumatori quello che non guadagnavano come percettori di salari. In effetti lo sviluppo sostenuto del prodotto nazionale tendeva ad esercitare una spinta positiva sulle condizioni di vita della classe lavoratrice in tre modi: creando occasioni di impiego più stabile, creando maggiori occasioni di specializzazione del lavoro e quindi maggiori guadagni impliciti nel lavoro specializzato, riduzione dei prezzi dei beni ed ampliamento della loro gamma.
Il risultato finale
Vi sono tre aspetti sotto i quali si può distinguere un sistema economico che ha sperimentato la rivoluzione industriale da un sistema pre-industriale. Esso differisce: nella struttura industriale e sociale; nella produttività e nei livelli di vita associati ad una più elevata produttività; nel tasso di sviluppo economico.
1. La struttura industriale e sociale.
Intorno al 1850 l'Inghilterra era sicuramente industrializzata in quanto la sua popolazione era occupata più nell'industria manifatturiera che in agricoltura. Si deve però ricordare che in primo luogo il termine "manifattura" o "industria manifatturiera" copre un ampia gamma di attività; in realtà la maggioranza della gente lavorava o in casa propria come artigiano indipendente o lavoratore a domicilio, o in piccole botteghe, più che nelle fabbriche dell'industria. L'altro grande gruppo occupazionale del 1850 è quello eterogeneo addetto alle attività commerciali: di questi solo i ferrovieri appartenevano a un'industria che era tipicamente "moderna" in quanto rivoluzionata dagli sviluppi tecnologici.
Probabilmente però la differenza più rivelante della forza lavoro in confronto a quella di un secolo prima era il suo maggior grado di specializzazione: nell'era pre-industriale gli addetti all'industria manifatturiera erano lavoratori industriali a tempo parziale la cui attività principale era agricola o commerciale. Verso il 1850 l'artigiano indipendente diventò più raro e la distinzione fra addetto manifatturiero e negoziante risultava meno confusa, ma il commercio era ancora un'occupazione specializzata. In effetti la distribuzione era una delle ultime roccaforti dell'economia tradizionale pre-industriale e continuò ad esserlo anche nel XIX secolo, seppur dovette adattarsi alla nuova forma dell'economia industrializzata. Verso la metà del 1700 molti beni erano fabbricati in famiglia o acquistati dai produttori di zona, i prodotti di zone più lontane venivano di solito venduti durante delle fiere; all'espandersi delle città, col miglioramento delle vie di comunicazione, vi fu un declino dell'autosufficienza famigliare e di conseguenza crebbero di importanza i negozi fissi al dettaglio. La struttura fondamentale e le caratteristiche dell'attività distributiva non erano fondamentalmente mutati, ancora verso la metà del 1800 molte persone effettuavano i propri acquisti in mercati all'aperto, anche in città le classi superiori acquistavano direttamente dagli artigiani produttori. Quel che era successo intorno al 1850 era che la gamma dei beni disponibile si era ampliata e la catena degli intermediari si era allungata, in larga misura si trattava delle conseguenze del miglioramento delle comunicazioni.
Il processo di trasformazione creò da sé le proprie contraddizioni: per esempio, i mutamenti demografici sollevarono numerosi problemi di ordine sociale: l'enorme sviluppo della popolazione significava addensamento nelle aree urbane, i cui servizi erano inadeguati. Ogni rivoluzione provoca dei cambiamenti di ordine sociale ed economico e la prima rivoluzione industriale trovò la società impreparata ad affrontare i problemi che emergevano; Mill descrisse come la caratteristica discriminante della vita moderna il fatto che l'uomo non nasce più nel posto che egli occuperà per tutta la vita, ma è libero di impiegare le sue facoltà e le circostanze favorevoli per formare il suo destino.
Le persone "importanti", quelle che prendevano le decisioni fondamentali, erano forse cambiate meno di tutti: le classi borghesi erano sì rappresentate e considerate in Parlamento, ma non controllavano le decisioni politiche; l'elenco dei ministri era una fila quasi ininterrotta di grandi proprietari terrieri o di individui strettamente legati per nascita o matrimonio ad essi. Al livello micro-economico ,però, erano le classi borghesi quelle che prendevano le decisioni economiche, erano le loro iniziative che facevano aumentare la produzione nazionale, i loro progressi nelle condizioni di vita a creare la domanda dei manufatti nazionali e la loro morale puritana che informava l'atteggiamento mentale tipico dell'età vittoriana. In una stime basata sui censimenti del 1851, pare che il numero di maschi adulti che ricadevano in questa classe fosse circa il 18% della forza lavoro: circa la metà addetta ad attività commerciali di vario genere, un quarto erano agricoltori e l'altro quarto erano professionisti, amministratori e datori di lavoro. Quasi tutti i borghesi erano forniti di istruzione al livello di scuole locali, mentre ben pochi uomini d'affari facevano proseguire i propri figli negli studi superiori; ciò significa che i dirigenti dell'industria britannica acquisivano la propria formazione sul posto di lavoro; nell'industria siderurgica e meccanica era diffuso un corso di apprendistato della durata di alcuni anni.
Verso la metà del secolo, l'industria inglese stava diventando altamente specializzata, in stridente contrasto con la situazione di un secolo prima, quando un solo imprenditore poteva occuparsi di diverse attività manifatturiere. L'industria inglese che aveva avuto successo si distingueva più per la sua abilità commerciale che per le sue capacità tecniche, in parte perché erano i profitti guadagnati nelle operazioni commerciali ben riuscite che davano ad una persona la capacità di resistenza necessaria per riuscire a superare le depressioni cicliche.
2. Le condizioni di vita e la produttività.
Si stima che nel corso del secolo terminato verso il 1850 il reddito pro capite sia cresciuto in Gran Bretagna di 2,5 volte, facendo progredire di oltre il doppio il tenore di vita nazionale, anche se non tutte le industrie né tutti i membri della comunità si avvantaggiarono in egual misura di tale progresso.
Durante le fasi di espansione del ciclo la gran massa dei lavoratori stava sicuramente meglio dei predecessori; ma la situazione mutava quando la depressione economica provocava disoccupazione e miseria, fenomeni che creavano un'autentica paura anche per quelli che conservavano l'impiego. D'altro canto è dubbio se l'orario degli operai dell'era pre-industriale fosse così lungo come quello che vigeva nella metà del 1800; la legge sulle 10 ore del 1847 non diede buoni risultati in quanto la durata del giorno legale superava le 10 ore e facilitava l'evasione, dato che gli operai lavoravano a turno; il Factory Act del 1850 fece cessare gli abusi, introducendo la settimana legale di 60 ore per le donne. 10 ore al giorno vicino ad una macchina richiedevano al singolo operatore un maggiore sforzo in confronto agli orari molto più lunghi dei processi pre-industriali, dove il ritmo di lavoro poteva essere adattato all'umore o all'inclinazione del lavoratore. Vi era una perdita di tempo libero e un accumulo di tensione in questa accelerazione del ritmo della vita economica, non sorprende perciò l'aumento della percentuale di suicidi. Per molti lavoratori la vita in quelle condizioni era accettabile solo se si tenevano su con liquori forti; e l'ubriachezza, insieme alla degradazione e alla crudeltà che ne derivano, era uno degli elementi caratteristici della scena inglese alla metà dell'800, come lo era stata cento anni prima, nell'era del gin. In una società pre-industriale l'orario di lavoro è ritmato dalle stagioni, dal tempo e dalle ore di luce, il loro tempo libero non è mai una libera scelta; in una società industriale il lavoro può continuare nel corso dell'anno e della notte, finché la produzione trova un mercato e vi sono molte mansioni retribuite per braccia priva di specializzazione e relativamente deboli.
3. I saggi di sviluppo.
Il terzo aspetto sotto il quale l'economia industriale si differenziava dall'economia pre-industriale era il tasso al quale si espandeva e si trasformava; la popolazione, la produzione nazionale ed i redditi pro capite si sviluppavano tutti molto più rapidamente di quanto avvenisse nell'era pre-industriale ed inoltre continuava a crescere.
Prima della metà del secolo il processo di industrializzazione era andato tanto avanti da imprimere all'economia britannica un'intrinseca tendenza allo sviluppo economico continuo, sviluppo che però non fu né costante e né rapido, in confronto ai paesi che si sono industrializzati più tardi. Per gran parte del XIX secolo sembra che l'economia sia cresciuta ad un tasso annuo compreso tra il 2% ed il 3%, mentre negli Stati Uniti il tasso fu del 4-5% nel periodo 1839-1913. In parte la lentezza del saggio di sviluppo era un'inevitabile conseguenza del fatto che si trattava della prima rivoluzione industriale; per aprire una strada occorre del tempo e le economie che seguirono le tracce godettero del vantaggio di vedere rimosse dal loro cammino alcune incertezze. D'altra parte vi sono svantaggi e vantaggi nel fatto di essere i primi: per il paese che si è industrializzato per primo è stato più facile, in assenza di concorrenza, aprire nuovi mercati. Tre sono i fattori da cui dipende il saggio di sviluppo di un sistema economico: il saggio di sviluppo della forza lavoro, il tasso di accumulazione del capitale ed il saggio di progresso tecnico. La popolazione aumentò con un tasso annuo del 1,25%, mentre in molti paesi esso era del 2% ed in paesi a forte immigrazione come l'America del Nord raggiunse anche il 2,5%; il ritmo di formazione del capitale non fu mai tale da diventare una forte aliquota del reddito nazionale; anche il progresso tecnico procedette ad un ritmo di tutto riposo, sempre in confronto alle industrializzazioni successive. Sotto molti riguardi la Gran Bretagna si distingueva più per la lentezza con cui si modernizzava che per la rapidità dei suoi mutamenti.
L'inventività degli americani aveva cominciato a proporsi all'attenzione dei contemporanei ancora prima che i loro manufatti cominciassero a competere con quelli inglesi. Gli americani, data la scarsità di manodopera e le attitudini intraprendenti caratteristiche di una società di immigrati, erano quanto mai ricettivi ai miglioramenti che consentivano di risparmiare lavoro. Essi si dimostrarono più rapidi nel meccanizzarsi, in quanto avevano forti incentivi e perché erano relativamente liberi dal radicato conservatorismo tipico di una lunga tradizione industriale. I tedeschi si dimostrarono, invece, più rapidi nello sviluppo di nuove tecnologie, dato che la politica scolastica della Prussia aveva favorito la formazione dei ricercatori scientifici richieste dalle nuove industrie, come quelle chimiche ed elettriche.
Il corollario di un tasso modesto di sviluppo tecnico è un basso saggio di sviluppo della produttività nel sistema economico; il fatto è che esistevano ancora ampie zone della vita economica che non erano state ancora sfiorate dalla rivoluzione, il numero di persone dedite ai servizi domestici, per esempio, continuò a crescere in valore assoluto ed il fatto che esso rappresentava quasi un quinto della forza lavoro, riflette la relativa abbondanza di manodopera, che a sua volta riduceva per gli imprenditori l'incentivo all'innovazione ed all'aumento del capitale nazionale. Molti decenni di facile successo indussero gli imprenditori inglesi a credere di poter evitare i cambiamenti rapidi; presto i rivali che si sviluppavano più rapidamente, più propensi ad investire, avrebbero cominciato a superarla nel ridurre i costi e così a minacciarne il virtuale monopolio. Quando i suoi rivali trovarono dei governi disposti ad assistere attivamente il processo di industrializzazione, anche se si trattava soltanto di sfruttare la politica doganale nell'interesse dei produttori nazionali, fu definitivamente segnata la fine della supremazia britannica.
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