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Gli storici, come sappiamo, parlano di "rivoluzione" non solo a proposito di eventi politici, ma anche economici, sociali, culturali. In tutti questi campi, il termine indica il verificarsi di trasformazioni relativamente rapide, ma soprattutto profonde e irreversibili, nella vita dell'uomo. Parlando di rivoluzione industriale si intende l'insieme dei mutamenti di carattere economico e sociale avvenuti in Inghilterra nei decenni a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento e che si diffusero successivamente nel resto d'Europa e negli Stati Uniti.
Secondo lo storico Eric John Hobsbawm, «il segno decisivo della rivoluzione industriale è l'improvvisa e decisa svolta verso l'alto di ogni curva degli indici economici; il fatto che dopo di ciò lo sviluppo continua con un ritmo nuovo e senza precedenti». Ci troviamo perciò di fronte, soprattutto a partire dal 1780, non a una crescita isolata e circoscritta nel tempo, quale l'economia europea aveva conosciuto altre volte, ma a un momento di decollo (take off )che avviò un processo cumulativo di crescita.
Aggiunge un altro storico, David S. Landes, che tre principali innovazioni caratterizzarono la rivoluzione industriale inglese: «La sostituzione delle macchine - rapide, regolari; precise, infaticabili - all'abilità e fatica umane; la sostituzione di fonti inanimate di energia a quelle animali, in particolare l'introduzione di macchine per la conversione del calore in lavoro; l'uso di nuove e assai più abbondanti materie prime».
Si trattò dunque di una crescita quantitativa accompagnata da una trasformazione qualitativa, che si basò sull'introduzione di nuovi fattori di produzione e su un nuovo modo di combinarli.
Questi due aspetti, la crescita quantitativa e le trasformazioni qualitative, non vanno disgiunti. Nel giro di un secolo, tra il 1750 e il 1850, il reddito nazionale della Gran Bretagna aumentò di sette volte, quello pro capiteraddoppiò, la popolazione triplicò, le importazioni aumentarono di dieci volte, le esportazioni di quattordici. Ma non ci fu solo un forte aumento della ricchezza prodotta, ma anche uno spostamento del contributo dato dai diversi settori economici alla formazione di tale ricchezza. Mentre nel 1770 la metà del reddito nazionale proveniva dall'agricoltura, nel 1846 questa percentuale era ridotta a un quarto; viceversa, il contributo delle attività industriali era quasi raddoppiato. Lo stesso fenomeno si riscontra nella struttura dell'occupazione, con la forte diminuzione degli addetti all'agricoltura sul totale della forza-lavoro. Dunque, nell'Inghilterra di metà Ottocento l'industria aveva ormai soppiantato l'agricoltura nella formazione del reddito nazionale, gli operai avevano in gran parte sostituito i contadini. A una società agricola (l'unica forma di società che l'uomo avesse conosciuto per millenni) si era sostituita una società industriale, cioè una società in cui:
Questi fenomeni si verificarono in Inghilterra a partire dagli ultimi venti anni del Settecento.
La ricerca storica ha messo in evidenza che non è possibile né opportuno isolare una causa unica del fenomeno: conviene piuttosto analizzare le condizioni che lo resero possibile e le loro relazioni.
In primo luogo, l'Inghilterra aveva un'alta disponibilità di capitali per l'investimento, assicurata dai profitti commerciali e dalle eccedenze prodotte dall'agricoltura. Proprio in quest'ultimo settore erano avvenute nel corso del Settecento trasformazioni importanti che avevano sensibilmente accresciuto la produzione. Nuove terre erano state messe a coltura e la produttività del suolo era aumentata grazie all'introduzione di nuove tecniche agronomiche (come i sistemi di rotazione più razionali che permettevano di non impoverire il suolo), di attrezzi più efficienti (come l'aratro in ferro), di concimazioni più abbondanti grazie all'aumento del numero dei bovini. All'antica agricoltura comunitaria di villaggio era subentrata una nuova agricoltura capitalistica gestita da un affittuario imprenditore attraverso l'impiego di manodopera salariata. Le terre comuni, sulle quali i contadini esercitavano da secoli i diritti di pascolo e di raccolta (legna, castagne, ghiande) vennero recintate e privatizzate: è il fenomeno delle recinzioni (enclosures).
Molti coltivatori così persero l'uso delle terre comuni e con esso anche le possibilità di sussistenza autonoma: erano perciò costretti a cedere il loro campo e ad entrare come salariati (braccianti) nelle grandi proprietà capitalistiche dove, grazie agli investimenti di capitale, la produttività era maggiore: si riusciva a produrre di più con minore impiego di forza-lavoro. Di conseguenza, si avviò un processo di espulsione dei contadini dalle campagne, fenomeno che garantì all'industria in fase di sviluppo la forza-lavoro necessaria. Una forza-lavoro abbondante e a basso costo, perché costretta a ricercare in qualsiasi modo la propria sopravvivenza.
Mercati, materie prime, infrastrutture
Anche il commercio internazionale giocò un ruolo primario nel decollo industriale inglese, perché garantì il rifornimento di materie prime, come il cotone grezzo, e aprì ampi mercati ai manufatti. inglesi. La crescita del commercio internazionale nel Settecento, alla quale l'Inghilterra partecipò con quote sempre crescenti, si affiancò all'incremento demografico nel garantire alla nascente industria inglese una crescente domanda interna ed estera. Quanto alle risorse naturali, l'Inghilterra era ben dotata di carbone e di ferro, ma tali risorse divennero realmente disponibili solo grazie ai grandi miglioramenti conosciuti dal sistema dei trasporti. Nella seconda metà del Settecento l'Inghilterra fece grandi passi avanti nella dotazione di infrastrutture, con la costruzione di una fitta rete di strade (realizzate da privati e gestite a pedaggio) e, soprattutto, di canali navigabili. Ben prima della ferrovia, furono dunque strade e canali che, in connessione con l'efficiente sistema portuale e la poderosa flotta mercantile, resero possibile il decollo industriale, collegando miniere, fabbriche e mercati anche lontani.
Innovazione tecnologica e sviluppo
La rivoluzione industriale inglese è solitamente associata alle macchine (dal telaio meccanico alla macchina a vapore) che ne costituiscono quasi il simbolo. [n realtà, abbiamo visto che il decollo industriale fu reso possibile da un insieme complesso di condizioni economico-sociali e non è dunque riducibile al solo effetto delle nuove macchine. Tuttavia, non vi è dubbio che l'innovazione tecnologica giocò un ruolo di primo piano nel processo di industrializzazione (come lo gioca ancora oggi), tanto che, volendo tracciare una periodizzazione della rivoluzione industriale, potremmo distinguere: una prima fase, gli anni 1760-90, caratterizzata dalla meccanizzazione della filatura e dall'introduzione di nuovi metodi in siderurgia; una seconda fase, dal 1790 al 182030, in cui si assistette all'esplosione della tessitura meccanica e della macchina a vapore; e infine una terza fase, sino al 1850, dominata dalla ferrovia.
Analizziamo ora il meccanismo della rivoluzione industriale, mettendo in luce il ruolo della tecnologia: scopriremo il tipico andamento che lo storico Landes ha chiamato a "botta e risposta", per cui la soluzione di un problema tecnologico crea squilibri e strozzature in un'altra fase del processo e richiede quindi nuove soluzioni.
Prendiamo in considerazione i tre settori industriali (tessile, siderurgico, estrattivo) dal cui rapporto si sviluppò l'intero processo.
Partiamo dal settore tessile, al cui interno si era da tempo sviluppata l'industria laniera, organizzata prevalentemente con il sistema del lavoro a domicilio. Ma i cambiamenti rivoluzionari avvennero nella produzione di filati e di tessuti di cotone, che nel giro di alcuni decenni eguagliò per importanza e poi superò nettamente quella della lana. II cotone, infatti, permetteva di soddisfare un bisogno primario, quello di vestirsi, a costi molto inferiori della lana e godeva perciò di una domanda potenziale molto più ampia. Inoltre, mentre la lana doveva essere filata a mano per ottenere un prodotto di buona qualità, la fibra del cotone si prestava assai meglio alla meccanizzazione della filatura.
Incontriamo qui un primo nodo tecnologico di importanza decisiva. Già nel 1733 John Kay aveva
introdotto nella tessitura della lana la "navetta volante", che permetteva di quadruplicare la produzione: ma questa innovazione si era diffusa con estrema lentezza nell'industria laniera. Quando venne applicata al cotone, non prima della metà del Settecento, la navetta volante mise in evidenza la lentezza delle operazioni dì filatura. Questa strozzatura a monte della tessitura incentivò una serie di innovazioni tecniche: il filatoio meccanico intermittente di Hargreaves, o jenny (1765); il filatoio idraulico di Arkwright (1769); il filatoio di Crompton, detto mule ("mula'), che riusciva a produrre un filo ritorto forte e fine al tempo stesso.
La meccanizzazione della filatura portò con sé un sensibile aumento della produttività per ora di lavoro (un operaio muoveva simultaneamente 8 fusi nel 1770, 16 nel 1784, 100 alla fine del secolo) e consentì nonostante il forte aumento dell'investimento di capitali, una netta diminuzione dei costi di produzione e dei prezzi . Di qui un ulteriore stimolo alla domanda, interna ed estera, e uno sviluppo delle esportazioni: in capo al 1816 il cotone lavorato costituiva ormai il 40 per cento delle esportazioni inglesi e aveva soppiantato definitivamente le cotonine indiane sui mercati internazionali. A valle del processo produttivo, fu ora la tessitura a rivelarsi inadeguata a fronteggiare l'enorme aumento di produzione di filati; e fu ancora un'innovazione tecnologica, il telaio meccanico di Cartwright (1787) a risolvere questa strozzatura, anche se in tempi piuttosto lunghi, perché ebbe bisogno di molti perfezionamenti per divenire competitivo con quello a mano e per le resistenze degli artigiani tessitori indipendenti nei confronti della nuova macchina. Solo negli anni trenta/quaranta dell'Ottocento la concorrenza del telaio meccanico costrinse i tessitori a i mano alla resa definitiva.
II NODO FERRO-CARBONE .
La crescita continua della domanda di prodotti tessili spingeva a intensificare il processo di industrializzazione e di meccanizzazione: si era innescato un processo circolare di sviluppo. Ma dobbiamo ora mettere in relazione questo fenomeno con le trasformazioni registrate da un altro settore, quello siderurgico ed estrattivo, e in particolare da quel rapporto ferro-carbone che costituì il centro della rivoluzione industriale inglese.
Benché non fosse povera di miniere di ferro, l’Inghilterra, ancora per buona parte del Settecento, fu costretta a importare ghisa in barre dalla Svezia. La fusione del ferro avveniva in altiforni alimentati con carbone di legna: ma il rapido esaurimento delle riserve di legname, l'alto costo dei trasporti e la scarsa purezza della ghisa prodotta rendevano poco economica la siderurgia nazionale. La svolta si ebbe a partire dal 1784, quando Henry Cort mise a punto una tecnica che permetteva di produrre ghisa di buona qualità in altiforni alimentati a coke, carbon fossile sottoposto a una speciale cottura che ne riduceva le impurità. La siderurgia inglese si metteva così in condizione di soddisfare la crescente domanda di prodotti ferrosi che proveniva dall’agricoltura e dal settore tessile, raddoppiando, in meno di vent'anni, la produzione di lingotti di ghisa. Si venne creando un circolo economicamente propulsivo fra il carbone; di cui la Gran Bretagna era ricca, e il ferro: una produzione stimolava l'altra,-e la rete dei trasporti veniva incessantemente migliorata in modo da sostenere tale sviluppo.
Tuttavia si presentò una nuova strozzatura: per soddisfare la crescente domanda di carbon fossile (che veniva impiegato anche per usi domestici) la profondità dei pozzi venne aumentata sino al punto in cui l'acqua impediva di proseguire. Si trattava dunque di trovare un modo per prosciugare i pozzi.
La soluzione fu trovata dopo che James Watt, nel 1775, ebbe brevettato una macchina a vapore che consentiva di azionare pompe capaci di prosciugare i pozzi in profondità. La macchina a vapore non solo risolse il problema dell'estrazione del carbone, permettendo di accrescere in misura esponenziale la produzione di ghisa, ma fornì all'industria tessile, e poi all'intera industria, una forza motrice molto più potente, costante e flessibile di quella umana o idraulica: l'intero processo di meccanizzazione ne ricevette un enorme impulso. La più straordinaria applicazione della macchina a vapore fu certamente la ferrovia, sin da quando (nel 1814) il minatore George Stephenson costruì la prima locomotiva montandone una su un carrello da miniera. Se ancora nel 1830 la rete ferroviaria inglese contava 60 miglia, trent'anni dopo aveva raggiunto le 10000 miglia. Con la ferrovia, l'economia inglese trovò non solo un mezzo che riduceva drasticamente i - tempi e i costi del trasporto, ma un nuovo potente stimolo alla domanda interna: il fabbisogno di locomotive, vagoni, rotaie diede infatti uno straordinario impulso alla meccanica e alla siderurgia. Nel giro di qualche decennio, l'industria ferroviaria si sostituì alla produzione tessile quale settore trainante dell'intera economia.
Fonte: https://sociologiaunipi.files.wordpress.com/2013/03/riassunti-storia-contemporanea-sabbatucci-vidotto.doc
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