Statuto albertino

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Statuto albertino

7. Lo Statuto albertino

L’unico Stato italiano dove non ferve una discussione pubblica sui destini della Penisola è il regno delle Due Sicilia, dove Ferdinando II di Borbone rifiuta qualsiasi tipo di innovazione. È proprio l’intransigenza del sovrano a determinare un diffuso malcontento, che sfocia in un’insurrezione separatista a Palermo. La rivolta raggiunge presto anche il continente e la stessa Napoli: Ferdinando, pertanto, concede una costituzione. Il suo gesto viene imitato da tutti gli altri principali sovrani: in rapida successione Leopoldo II in Toscana, Carlo Alberto in Piemonte, Pio IX nello Stato della Chiesa concedono ai loro sudditi gli statuti. Di essi è destinato a rimanere in vigore solo lo Statuto albertino, che diviene al compimento dell’unità d’Italia la legge fondamentale del regno. Il testo, frettolosamente redatto in poche sedute, riprende le costituzioni francesi emanate nel 1814 e nel 1830, pur con qualche differenza, soprattutto in materia di religione. Esso si apre riconoscendo grandi privilegi, anche se non un primato unico e assoluto, dato il rispetto del principio della tolleranza religiosa, alla Chiesa cattolica. Preminente è la figura del sovrano, il quale è considerato sacro e inviolabile (art. 4), ha interamente in sua mano il potere esecutivo e militare 8art. 5), partecipa al potere legislativo (artt. 3 e 10), può condizionare il potere giudiziario (art. 8), nomina i componenti di una delle due Camere (art. 33). Nel testo si trovano tutte le libertà tipiche del costituzionalismo ottocentesco: uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 24), libertà individuale (art. 26), inviolabilità del domicilio (art. 27), libertà di stampa, dato che la censura preventiva concessa agli ecclesiastici si esercita solo su testi sacri, catechismi, libri liturgici e di preghiere (art. 28), libertà di associazione (art. 32), diritto di proprietà (art. 29). Il potere legislativo si articola in due rami: il Senato, di nomina regia, in cui sono preminenti le ragioni del ceto e del censo (art. 33) e la Camera dei deputati, elettiva (art. 39). Per prevenire abusi dei poteri esecutivo e giudiziario la persona dei senatori e dei deputati è inviolabile (art. 39); per limitarne l’eleggibilità per senatori e deputati non sono previste retribuzioni o indennità di sorta (art. 50)

Lo Statuto albertino.
Art. 1. La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi.
Art. 2. Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la legge salica.
Art. 3. Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato, e quella dei Deputati.
Art. 4. La persona del Re è sacra e inviolabile.
Art. 5. Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra; fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l’assenso delle Camere.
Art. 6. Il Re nomina tutte le cariche dello Stato; e fa i decreti e regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza o dispensarne.
Art. 7. Il Re solo sanziona le leggi e le promulga.
Art. 8. Il Re può far grazia e commutare le pene.
Art. 9. Il Re convoca in ogni anno le due Camere: può prorogarne le sessioni, e disciogliere quella dei Deputati, ma in quest’ultimo caso ne convoca un’altra nel termine di quattro mesi.
Art. 10. La proposizione delle leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentanta prima alla Camera dei Deputati.
Art. 11. Il Re è maggiore all’età di diciotto anni compiti.
Art. 12. Durante la minorità del Re, il Principe suo più prossimo parente, nell’ordine della successione al trono, sarà Reggente del Regno, se ha compiti gli anni vent’uno.
[…]
Art. 14. In mancanza di parenti maschi, la Reggenza apparterrà alla Regina Madre.
Art. 15. Se manca anche la Madre, le Camere, convocate fra dieci giorni dai Ministri, nomineranno il Reggente.
Art. 16. Le disposizioni precedenti relative alla Reggenza sono applicabili al caso, in cui il Re maggiore si trovi nella fisica impossibilità di regnare. Però, se l’Erede presuntivo del trono ha compiuti diciotto anni, egli sarà in tal caso di pien diritto il Reggente.
[…]
Art. 22. Il Re, salendo al trono, presta in presenza delle Camere riunite il giuramento di osservare lealmente il presente Statuto.
Art. 23. Il Reggente, prima d’entrare in funzioni, presta il giuramento di essere fedele al Re, e di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato.

Dei diritti e dei doveri dei cittadini
Art. 24. Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi.
Art. 25. Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato.
Art. 26. La libertà individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme che essa prescrive.
Art. 27. Il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e nelle forme che essa prescrive.
Art. 28. La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo.
Art. 29. Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. Tuttavia, quando l’interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto o in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi.
Art. 30. Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re.
Art. 31. Il debito pubblico è guarentito. Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile.
Art. 32. È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia.

Del Senato
Art. 33. Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l’età di quarant’anni compiuti  e scelti nelle categorie seguenti:
1° Gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato;
2° Il Presidente della Camera dei Deputati;
3° I Deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio;
4° I Ministri di Stato;
5° I Ministri Segretari di Stato;
6° Gli Ambasciatori;
7° Gli Inviati straordinari, dopo tre anni di tali funzioni;
8° I Primi Presidenti e Presidenti del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti;
9° I Primi Presidenti dei Magistrati d’Appello;
10° L’Avvocato Generale presso il Magistrato di Cassazione, ed il Procuratore Generale, dopo cinque anni di funzioni;
11° I Presidenti di Classe dei Magistrati di appello, dopo tre anni di funzioni;
12° I Consiglieri del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti, dopo cinque anni di funzioni;
13° Gli Avvocati Generali o Fiscali Generali presso i Magistrati d’appello, dopo cinque anni di funzioni;
14° Gli Ufficiali Generali di terra e di mare. Tuttavia i Maggiori Generali e i Contr’Ammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado di attività;
15° I Consiglieri di Stato, dopo cinque anni di funzioni;
16° I Membri dei Consigli di Divisione, dopo tre elezioni alla loro presidenza;
17° Gli Intendenti Generali, dopo sette anni di esercizio;
18° I membri della Regia Accademia delle Scienze, dopo sette anni di nomina;
19° I Membri ordinati del Consiglio superiore d’Istruzione pubblica, dopo sette anni di servizio;
20° Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria;
21° Le persone che da tre anni pagano tremila lire d’imposizione diretta in ragione de’ loro beni, o della loro industria.
Art. 34. I Principi della Famiglia Reale fanno di pien diritto parte del Senato. Essi seggono immediatamente dopo il Presidente. Entrano in Senato a vent’un anno, ed hanno voto a venticinque.
Art. 35. Il Presidente e i Vice-Presidenti del Senato sono nominati dal Re. Il Senato nomina nel proprio seno i suoi Segretari.
Art. 36. Il Senato è costituito in Alta Corte di Giustizia con decreto del Re per giudicare dei crimini di alto tradimento, e di attentato alla sicurezza dello Stato, e per giudicare i Ministri accusati alla Camera dei Deputati. In questi casi il Senato non è capo politico. Esso non può occuparsi se non degli affari giudiziarii, per cui fu convocato, sotto pena di nullità.
Art. 37. Fuori dal caso di flagrante delitto, niun Senatore può essere arrestato se non in forza di un ordine del Senato. Esso è solo competente per giudicare dei reati imputati ai suoi membri.
[…]
Della Camera dei Deputati
Art. 39. La Camera elettiva è composta di Deputati scelti dai Collegi Elettorali conformemente alla legge.
Art. 40. Nessun Deputato può essere ammesso alla Camera, se non è suddito del Re, non ha compiuto l’età di trent’anni, non gode i diritti civili e politici e non riunisce in sé gli altri requisiti voluti dalla legge.
Art. 41. I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori.
Art. 42. I Deputati sono eletti per cinque anni: il loro mandato cessa di pien diritto alla spirazione di questo termine.
Art. 43. Il Presidente, i Vice-Presidenti e i Segretari della Camera dei Deputati sono da essa nominati nel proprio seno al principio d’ogni sessione per tutta la sua durata.
Art. 44. Se un Deputato cessa, per qualunque motivo, dalle sue funzioni, il Collegio che l’aveva eletto sarà tosto convocato per fare una nuova elezione.
Art. 45. Nessun Deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante delitto, nel tempo della sessione, né tradotto in giudizio in materia criminale, senza il previo consenso della Camera.
Art. 46. Non può eseguirsi alcun mandato di cattura per debiti contro un Deputato durante la sessione della Camera, come neppure nelle tre settimane precedenti e susseguenti alla medesima.
Art. 47. La Camera dei Deputati  ha il diritto di accusare i Ministri del Re, e di tradurli dinanzi all’Alta Corte di Giustizia.

Disposizioni comuni alle due camere
[…]
Art. 49. I Senatori ed i Deputati prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni prestano il giuramento di essere fedeli al Re, di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato e di esercitare le loro funzioni col solo scopo del bene inseparabile del Re e della Patria.
Art. 50. Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità.
Art. 51. I Senatori ed i Deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere.
Art. 52. Le sedute delle Camere sono pubbliche. Ma, quando dieci membri ne facciano per iscritto la domanda, esse possono deliberare in segreto.
Art. 53. Le sedute e le deliberazioni delle Camere non sono legali né valide, se la maggiorità assoluta dei loro membri non è presente.
Art. 54. Le deliberazioni non possono essere prese se non alla maggiorità de’ voti.
Art. 55. Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re. Le discussioni si faranno articolo per articolo.
Art. 56. Se un progetto di legge è stato rigettato da uno dei tre poteri legislativi, non potrà essere più riprodotto nella stessa sessione.
Art. 57. Ognuno che sia maggiore di età ha il diritto di mandare petizioni alle Camere, le quali debbono farle esaminare da una Giunta, e, dopo la relazione della medesima, deliberare se debbano essere prese in considerazione, ed, in caso affermativo, mandarsi al Ministro competente, o depositarsi negli uffizii per gli opportuni riguardi.
Art. 58. Nessuna petizione può essere presentata personalmente alle Camere. Le Autorità costituite hanno solo il diritto di indirizzar petizioni in nome collettivo.
Art. 59. Le camere non possono ricevere alcuna deputazione, né sentire altri, fuori dei propri membri, dei Ministri, e dei Commissari del Governo.
Art. 60. Ognuna delle Camere è sola competente per giudicare della validità dei titoli di ammessione dei propri membri.
Art. 61. Così il Senato, come la Camera dei Deputati, determina per mezzo di un suo Regolamento interno, il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni.
Art. 62. La lingua italiana è la lingua officiale delle Camere. È però facoltativo di servirsi della francese ai membri, che appartengono ai paesi, in cui questa è in uso, od in risposta ai medesimi.
Art. 63. Le votazioni si fanno per alzata e seduta, per divisione e per isquittinio segreto. Quest’ultimo mezzo sarà sempre impiegato per la votazione del complesso di una legge, e per ciò che concerne al personale.
Art. 64. Nessuno può essere ad un tempo Senatore e Deputato.
Dei ministri.
Art. 65. Il Re nomina e revoca i suoi Ministri.
Art. 66. I Ministri non hanno voto deliberativo nell’una o nell’altra Camera se non quando ne sono membri. Essi vi hanno sempre l’ingresso, e debbono esser sentiti sempre che lo richieggano.
Art. 67. I Ministri sono responsabili. Le Leggi e gli Atti di Governo non hanno vigore, se non sono muniti della firma di un Ministro.

Dell’ordine giudiziario
Art. 68. La Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli istituisce.
Art. 69. I Giudici nominati dal Re, ad eccezione di quelli di mandamento, sono inamovibili dopo tre anni di esercizio.
Art. 70. I Magistrati, Tribunali, e Giudici attualmente esistenti sono conservati. Non si potrà derogare all’organizzazione giudiziaria se non in forza di una legge.
Art. 71. Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie.
Art. 72. Le udienze dei Tribunale in materia civile, e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle leggi.
Art. 73. L’interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo.

Disposizioni generali
Art. 74. Le istituzioni comunali e provinciali, e la circoscrizione dei comuni e delle provincie sono regolati dalla legge.
Art. 75. La Leva militare è regolata dalla legge.
Art. 76. È istituita una Milizia comunale sovra basi fissate dalla legge.
Art. 77. Lo Stato conserva la sua bandiera: la coccarda azzurra è la sola nazionale.
Art. 78. Gli Ordini Cavallereschi ora esistenti sono mantenuti con le loro dotazioni. Queste non possono essere impiegate in altro uso fuorché in quello prefisso dalla propria istituzione. Il Re può creare altri Ordini, e prescriverne gli statuti.
Art. 79. I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro, che vi hanno diritto. Il Re può conferirne dei nuovi.
Art. 80. Niuno può ricevere decorazioni, titoli o pensioni da una potenza estera senza l’autorizzazione del Re.
Art. 81. Ogni legge contraria al presente Statuto è abrogata.
(da Le costituzioni italiane, a cura di A. Aquarone, M. D’Addio, G. Negri, Milano, Comunità, 1958)  

Nel Piemonte sabaudo fino al 1850 la Chiesa detiene una posizione privilegiata. Con le leggi Siccardi, dal nome del ministro della Giustizia e degli Affari ecclesiastici Giuseppe Siccardi che ne prende l’iniziativa, il Parlamento sabaudo approva una legge che sottopone i sacerdoti, come tutti gli altri cittadini, alla legislazione comune, sopprimendo i tribunali ecclesiastici e il diritto di asilo nelle chiese per i ricercati e i malfattori nonché limitando le sanzioni penali per l’inosservanza di alcune festività religiose.

Le leggi Siccardi
I.
Art. 1. Le cause civili tra ecclesiastici e laici od anche tra soli ecclesiastici spettano alla giurisdizione civile, sia per le azioni personali, che per le reali e miste di qualunque sorta.
Art. 2. Tutte le cause concernenti il diritto di nomina attiva e passiva ai benefici ecclesiastici, od i beni di essi o di qualunque altro stabilimento ecclesiastico sono sottoposte alla giurisdizione civile.
Art. 3. Gli ecclesiastici sono soggetti come gli altri cittadini a tutte le leggi penali dello Stato. Per reati nelle dette leggi contemplati essi verranno giudicati nelle forme stabilite dalle leggi di procedura, dai tribunali laici senza distinzione tra crimini, delitti e contravvenzioni.
Art. 4. Le pene stabilite dalle leggi dello Stato non potranno applicarsi che dai tribunali civili, salvo sempre all’ecclesiastica autorità l’esercizio delle sue attribuzioni per l’applicazione delle pene spirituali a termini delle leggi ecclesiastiche.
Art. 5. Per le cause contemplate nei quattro articoli precedenti, come per tutte quelle che in ragione di persona o materia ecclesiastica si recavano in prima istanza alla cognizione dei Magistrati d’appello, si osserveranno d’or innanzi le regole generali di competenza stabilite dalle vigenti leggi [...].
Art. 6. Rifugiandosi nelle chiese ed in altri luoghi, sino ad ora considerati immuni, quale persona alla cui cattura si debba procedere, questa vi si dovrà immediatamente eseguire, e l’individuo arrestato verrà rimesso all’autorità giudiziaria per pronto e regolare compimento del processo, giusta le norme statuite dal Codice di procedura criminale. Si osserveranno però nell’arresto i riguardi dovuti alla qualità del luogo e le cautele necessarie affinché l’esercizio del culto non venga turbato. Se ne darà inoltre contemporaneamente o nel più breve termine possibile avviso al parroco od al rettore della chiesa in cui l’arresto viene eseguito. Le medesime disposizioni si applicheranno altresì al caso di perquisizione e sequestro di oggetti da eseguirsi nei suddetti luoghi.
Art. 7. Il Governo del re è incaricato di presentare al Parlamento un progetto di legge inteso a regolare il contratto di matrimonio nelle sue relazioni con la legge civile, la capacità dei contraenti, la forma e gli effetti di tale contratto.

II
Art. unico. le pene stabilite dalle vigenti leggi per la inosservanza delle feste religiose non si applicheranno che in ordine alle Domeniche, ed inoltre alle seguenti feste, in qualunque giorno ricorrono, cioè: di Natale, del Corpo del Signore, dell’Ascensione, della Natività di Maria Vergine, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e di Ognissanti.

            III
Art. unico. Gli stabilimenti e corpi morali, siano ecclesiastici o laicali, non potranno acquistare stabili, senza essere a ciò autorizzati con regio decreto, previo il parere del Consiglio di Stato. Le donazioni tra vivi e le donazioni testamentarie a loro favore non avranno effetto se essi non saranno nello stesso modo autorizzati ad accettarle.
(da Atti del parlamento subalpino. Discussioni della Camera dei Deputati, marzo 1850)

            Lo Statuto albertino diviene, dopo l’Unità, la legge fondamentale del Regno d’Italia. Al suo interno non vi sono presenti precise indicazioni per quanto riguarda la partecipazione politica dei sudditi. L’articolo 39 rimanda alle leggi vigenti per l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo. Nella pagina seguente, lo storico Roberto Martucci delinea e commenta la legge elettorale pubblicata contestualmente alla concessone dello Statuto. Rigide sono le norme che delimitano l’esercizio attivo del voto. Al contrario non vi sono regole per l’elettorato passivo. Tuttavia, il fatto che i deputati non ricevano alcuna indennità parlamentare restringe notevolmente il novero di coloro che possono ragionevolmente aspirare a un incarico politico.

Roberto Martucci, Il corpo  elettorale nel Piemonte sabaudo
Come veniva eletta la Camera dei deputati? Nella fase liberale furono applicate tre diverse leggi elettorali: a suffragio censitario (1848-1882), a suffragio allargato (1882-1913), a suffragio universale maschile (1913-1921). [...]
Nel silenzio dello Statuto albertino che non stabiliva alcun requisito per l’esercizio dell’elettorato attivo, [...] l’Editto sardo del 17 marzo 1848 – destinato a perpetuarsi nell’Italia unita con irrilevanti modifiche fino alla riforma elettorale del 1882 – attribuiva i diritti politici a una ristretta aliquota di sudditi maschi di età superiore ai 25 anni. [...]
I diritti politici venivano riconosciuti ai soli cittadini maschi ultraventicinquenni alfabetizzati (in grado di leggere e scrivere) e assoggettati a un’imposta diretta annua di almeno 40 lire (art. 1). Imposta dimezzata per gli abitanti di Nizza, Savoia e Liguria (art. 1), per laureati, notai, avvocati, ufficiali subalterni in pensione, impiegati civili a riposo con trattamento annuo di 600-1.200 lire (art. 4), capitani marittimi e direttori di stabilimenti industriali con almeno 30 operai (art. 6). Imprenditori e commercianti per l’ammissione all’esercizio del diritto di voto facevano valere il «valore locativo» (affitto) dei locali adibiti ad abitazione o esercizio commerciale (art. 5).
Risultavano, invece, ammessi all’elettorato, prescindendo dal censo, gli appartenenti a nove categorie privilegiate: membri di varie Accademie, professori di scuole regie, docenti universitari, membri delle Camere di commercio, ufficiali in pensione di grado superiore a quello di capitano, magistrati inamovibili, impiegati civili a riposo con pensione annua superiore alle 1.200 lire (art. 3). [...]
Nel 1848, erano in possesso dei diritti politici solo 77.366 cittadini maschi ultraventicinquenni, su una massa di cittadini maggiorenni di circa un milione; essi diventeranno 94.766 nel 1853.
Ai fini dell’elezione dei deputati gli elettori erano ripartiti in 204 collegi elettorali uninominali [...]. Astrattamente si potrebbe dire che in ognuno di quei collegi erano chiamati alle urne dai 379 (1848) ai 464 (1853) elettori in due turni; vi erano, tuttavia, nelle zone più arretrate dello Stato, collegi con appena una trentina di cittadini in grado di soddisfare le richieste condizioni di censo per poter essere elettori. [...]
Si consideri che alle elezioni del 17 aprile 1848 Garibaldi viene eletto dal collegio di Cicagna con diciotto voti e a quelle del 15 luglio 1849 il conte Gustavo Ponza di San Martino viene eletto dal collegio di Torriglia con sei voti.
Con l’occhio di oggi, appare discutibile la rappresentatività di un sistema politico che delegava la scelta dei deputati a pochi cittadini particolarmente agiati. Ma alla metà del XIX secolo, in una società arretrata tenuta insieme da secolari rapporti di deferenza mediati dalla periferia al centro dello Stato da notabili locali (proprietari, professionisti, magistrati, ufficiali), una comunità locale finiva con il ritenersi virtualmente rappresentata da un suo esponente, anche se all’atto pratico la sua investitura a deputato era stata decisa da poche schede. Rifuggendo da suggestioni modernizzanti (e anacronistiche), non è da escludere che alla competizione fosse interessato solo quel ristretto gruppo di cittadini che leggeva abitualmente i giornali, seguiva gli avvenimenti politici, frequentava i caffè. Con l’aggiunta degli studenti – che però non votavano, in quanto si presume avessero meno dei 25 anni richiesti – e dei pochi artigiani o impiegati raggiunti, anche se non necessariamente influenzati, dalla propaganda mazziniana.
(da R. Martucci, Storia costituzionale italiana. Dallo Statuto Albertino alla Repubblica (1848-2001), Roma, Carocci, 2002)

            Salvo i plebisciti, che sanciscono la raggiunta unità, nel neonato Stato italiano la normativa elettorale rimane improntata a criteri rigidamente censitari. Con la legge Zanardelli del 24 settembre 1882 vengono ammessi al voto i maschi di almeno 21 anni di età, in grado di saper leggere e scrivere o che paghino un’imposta pari almeno a 19,80 lire. Fra il 1912 e il 1913 si compie la riforma elettorale voluta da Giolitti, che amplia sostanzialmente il suffragio. Sono infatti ammessi al voto i maschi di almeno 21 anni alfabetizzati. Il diritto di voto è inoltre riconosciuto a quanti abbiano prestato il servizio militare. Infine possono votare tutti i cittadini maschi, anche analfabeti, al compimento del trentesimo anno di età. Malgrado in termini strettamente tecnici non risulti, la riforma Giolitti vara in Italia il suffragio elettorale maschile.

 

Fonte: http://bazzano.comunite.it/contenuti/dispense/istituzioni/7.doc

Sito web da visitare: http://bazzano.comunite.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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