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STORIA DEL GIORNALISMO di Gozzini
INTRODUZIONE
Il potere incarnato dal sistema dell’informazione è oggetto di una costante discussione civile. Fin dalla metà del XIX secolo i giornalisti mostrano una precoce ed orgogliosa coscienza del proprio ruolo pubblico. Alle spalle di questa consapevolezza stanno le battaglie che giornalisti ed intellettuali hanno combattuto per la conquista e la difesa della libertà di stampa.
La vicenda storica del giornalismo si accompagna all’emergere di una nuova categoria della realtà: l’opinione pubblica, intesa come l’insieme di cittadini che leggono i giornali e attraverso essi si informano degli avvenimenti capaci di condizionare le loro esistenze. Al tempo stesso la stampa rompe l’orizzonte privato della sfera familiare introducendo gli individui nella dimensione pubblica. Le rivoluzioni del XVII secolo in Gran Bretagna e quelle che, alla fine del secolo successivo, in America e in Francia mettono fine all’antico regime determinano una vera e propria esplosione del numero di giornali e giornalisti. L’opinione pubblica diventa così un soggetto attivo sulla scena della storia, in grado di esercitare un vincolo sull’azione dei governi. La stampa, che ne interpreta gli umori con uno spazio variabile di autonomia e di libertà (quindi di forzatura), si colloca accanto al parlamento, all’esecutivo e alla magistratura, come un quarto potere. Da versanti politici opposti si identifica il giornalismo con la democrazia.
In quasi tutti i paesi europei giornali e riviste hanno vissuto, prima della rivoluzione, in regime di privilegio monopolistico concesso dai monarchi a prezzo di una censura preventiva, che di fatto riduce la stampa a portavoce ufficiale delle istituzioni. Dopo la rivoluzione, invece, il tema dell’indipendenza dal potere politico contribuisce a fondare una nuova identità dal giornalista, la cui libertà di indagine e di espressione si pone a tutela del diritto all’informazione di ogni cittadino. Oltre che alla storia politica, quindi, la storia del giornalismo si collega alla storia del diritto (figure giuridiche del direttore responsabile, dei reati a mezzo stampa, del segreto professionale a proposito delle fonti utilizzate). Le normative che regolano la pubblicazione ed il contenuto dei giornali diventano la spia di orientamenti più generali (in senso democratico-liberale o centralistico-autoritario) dei diversi governi nazionali.
A metà del XV secolo l’invenzione del torchio e dei caratteri mobili ha mutato radicalmente modi e tempi di trasmissione della cultura, che diventa riproducibilee trasportabile. La tecnologia di Gutemberg fornisce poi le basi per le prime riviste e gazzette, che fanno la loro comparsa a partire dal XVII secolo, aggiungendo un’altra caratteristica discriminante della stampa moderna: la periodicità. Una classica ricostruzione della storia delle tecniche tipografiche divide il secolo creativo compreso tra il 1450 ed il 1550 dai 3 secoli successivi, definiti come una semplice e monotona era di consolidamento(la tecnologia rimane grosso modo la stessa, la circolazione di carta stampata non esce dai circoli ristretti delle classi colte, la grande maggioranza della popolazione versa in una condizione di analfabetismo, l’opinione pubblica ancora non esiste). È solo sotto la spinta poderosa della rivoluzione che questo circolo vizioso si rompe. Nei primi decenni dell’800 fanno la loro comparsa il torchio a vapore, il telegrafo, la rotativa; alla fine del secolo la linotype. Ognuno di questi avanzamenti tecnici corrisponde ad un salto di quantità e di qualità del mestiere del giornalista, che adesso è in grado di trasmettere le notizie in un tempo sempre minore e di raggiungere un numero sempre più ampio di individui. Ognuno di questi avanzamenti corrisponde ad un accrescimento dell’impresa giornalistica che acquista una dimensione industriale (nascono le agenzie di stampa, aumentano i costi di produzione, la pubblicità diventa una fonte insostituibile di finanziamento). Ma una volta svincolata dalla soggezione al potere politico, la stampa vede profilarsi il pericolo di una nuova subordinazione al potere economico di gruppi e interessi privati.
La sociologia coglie nel giornalismo una fonte insostituibile per lo studio della vita sociale. A partire dalla metà dell’800, a questa società civile in espansione, giornali e giornalisti garantiscono la circolazione di notizie e idee, l’omogeneizzazione crescente di linguaggi e categorie, la costruzione di un discorso pubblico condiviso che si rivela condizione decisiva per la costruzione e l’integrazione di ogni comunità nazionale. Attraverso la lettura dei giornali ci si sente cittadini di uno stato, investiti di diritti e doveri. In ogni paese le statistiche dei lettori di quotidiani e periodici disegnano i confini dell’opinione pubblica. Il numero delle testate e delle copie di tiratura diventa un indicatore del relativo grado di avanzamento del processo di modernizzazione. La crescita quantitativa della stampa corrisponde ad una maggiore complessità interna dei periodici (aumenta il numero delle pagine e delle rubriche, si definiscono formati e stili giornalistici degli articoli, compaiono illustrazioni e foto, si allegano supplementi).
Con questi sviluppi la professione giornalistica conquista maggiore autonomia. Si fa strada una cultura della notizia che concepisce l’informazione con un valore d’uso, utile e importante di per sé: il giornale non è più soltanto un contenitore di fatti e opinioni. La professione giornalistica cresce in complessità ad articolazione interne: si moltiplicano e si separano ruoli e funzioni (accanto ai redattori compaiono cronisti, reporter, inviati speciali). La corporazione dei giornalisti acquista dignità e potere ma anche responsabilità (deve difendere la stampa dai condizionamenti di governi ed imprenditori, fissare i criteri-base di una deontologia professionale che vincoli la libertà di stampa alla ricerca della verità e al rispetto della privacy.
La storia del giornalismo può anche essere vista come capitolo particolare di una storia più generale: quella della comunicazione umana. Si è cercato di costruire un modello teorico dell’azione di comunicazione, fondato sulla distinzione tra il soggetto comunicante (chi), l’oggetto della comunicazione (cosa), lo strumento utilizzato per comunicare (con quale mezzo), il pubblico cui è destinata la comunicazione (a chi), gli effetti provocati in quest’ultimo dalla comunicazione (con quali risultati). Al tempo stesso, la comunicazione è stata vista come chiave di lettura privilegiata dell’intera storia umana: l’evoluzione dei sistemi comunicativi rappresenta il vero motore della storia umana. Con Gutenberg la storia umana vive un processo di esplosione che frammenta e meccanizza le attività umane suddividendole per ruoli e funzioni: l’editore si separa dal giornalista, il tipografo dallo stampatore. Al contrario, la scoperta dell’energia elettrica e i nuovi media del XX secolo hanno prodotto un’implosione che riunifica il mondo alla stregua di un villaggio globale, entro il quale la comunicazione diviene un fatto centrale nella vita quotidiana. I computer stringono l’intero pianeta in una rete di comunicazioni che ormai avvengono in tempo reale. La diffusione su scala mondiale di internet apre la strada ad un nuovo giornalismo sempre più libero.
È normale che i periodici a stampa vengano utilizzati come fonte documentaria dagli storici per le loro ricerche di carattere generale, ma per lungo tempo la storia del giornalismo propriamente intesa si è invece ridotta ad un lungo, noioso e poco significativo catalogo di testate. È rimasta scarsa l’attenzione per il lavoro giornalistico, i suoi contenuti professionali, i suoi molteplici rapporti con il pubblico e con le istituzioni. Soprattutto nel caso italiano, del resto, la mancanza di autonomia e la subordinazione strumentale alla politica e alla cultura rimane uno dei tratti di lungo periodo del giornalismo: è quindi normale che si riverberi nel modo di farne la storia. Il giornalismo deve essere inteso come informazione di attualità rivolta al pubblico a frequenza periodica. Occorre indagarlo secondo un approccio sincronico e comparativo: le vicende dei diversi giornalismi nazionali comprese nello stesso arco di tempo vengono cioè raffrontate tra loro per mettere in evidenza analogie e differenze, ritardi e anticipazioni, modelli e imitazioni.
LA STAMPA (1450 – 1650)
Gutenberg nel 1456 stampa un’edizione in 2 volumi della Bibbia in latino. Fino a questo momento la tecnica di stampa è stata la xilografia: una matrice di legno in rilievo che riproduce un’intera pagina. Gutenberg ha invece ideato dei caratteri mobili: ogni singola lettera dell’alfabeto è stata incisa in rilievo e si sono così ricavate tante piccole matrici di ogni lettera, che possono essere composte insieme a formare una pagina per poi essere smontate e riutilizzate. L’innovazione di Gutenberg ha una portata epocale, sottolineata dal fatto che per più di 3 secoli la tecnologia della stampa rimarrà sostanzialmente identica. Prima di questa innovazione il modello di libro dominante, al quale anche Gutenberg si ispira, è quello manoscritto degli amanuensi. Fino a Gutenberg sia il processo di lavorazione sia i materiali utilizzati contribuiscono a fare del libro un prodotto raro e costoso, la cui circolazione è riservata ad ambienti estremamente ristretti. Quanto meno in Europa, perché l’Oriente, e particolarmente la civiltà cinese si dimostra in anticipo sulle altre non solo per i materiali ma anche per le tecniche; ma tale vantaggio storico non si traduce nell’avvio di un più generale processo di modernizzazione. Anche in Europa non sono mancati esempi di giornalismo ante litteram, ma essi erano sprovvisti dei requisiti di riproducibilità e trasportabilità.
È solo con il fiorire di un’economia monetaria, delle fiere commerciali e delle città che gli uomini tornano ad avvertire la necessità di informazioni. Inizialmente si tratta di manoscritti privati destinati alla circolazione nei vari uffici periferici, che contengono notizie di carattere commerciale, ma anche di natura più generale. Fin dal XIV secolo questi fogli di notizie diventano una consuetudine che accompagna le lettere private dei mercanti. L’esperimento di Gutenberg deve la propria fortuna al fatto di non essere privato e di essere riproducibile e trasportabile. Nel quindicennio successivo all’invenzione dei caratteri mobili si aprono delle stamperie in molte altre città del continente: non solo nei centri mercantili ma anche nelle sedi universitarie e nelle capitali amministrative. Ben presto anche il potere politico, superata la prima fase di diffidenza e repressione, riconosce l’utilità della nuova tecnologia. Si stampano soprattutto testi classici della cultura greca e latina, in piccolo formato e in tirature di qualche centinaio di copie. Aldo Manuzio, che apre a Venezia la sua stamperia, è il primo stampatore ad intuire la possibilità di un allargamento del pubblico di lettori e ad incrementare le tirature fino al migliaio di esemplari. Al carattere gotico di Gutenberg, egli sostituisce il carattere latino che presenta il vantaggio di poter essere stampato sia in tondo che in corsivo, stile che viene anche chiamato italico: grazie a questa maggiore versatilità il nuovo carattere si afferma rapidamente in gran parte d’Europa. I volumi editi fino alla fine del 400 vengono chiamati 'incunaboli'. L’apparizione e la diffusione del libro a stampa determinano diverse rivoluzioni che meritano di essere collocate all’origine dell’età moderna, accanto alla scoperta dell’America:
L’invenzione della stampa si colloca così all’interno di un passaggio tra oralità e scrittura che si rivela determinante.
L’innovazione di Gutenberg rivela così implicazioni profonde e sotterranee, non sempre immediatamente visibili ma potenti e radicali. L’individuo ritrova una certa libertà di scelta, ma, nello stesso tempo, con le strutture moderne dello stato, nasce un ordine nuovo che pine a tale processo limiti ristretti (i doveri dell’individuo verso lo stato, il rispetto dei privilegiati e dei privilegi). La rivoluzione della stampa rimane a lungo una rivoluzione inavvertita. L’invenzione della stampa precorre quindi i tempi dell’alfabetizzazione di massa e le ricadute sociali delle rivoluzioni del libro rimangono a lungo circoscritte alle élite colte. La stampa, insomma, è un medium prematuro: per più di 3 secoli il mancato incontro con un pubblico più largo ne congela ulteriori sviluppi tecnologici. Solo con l’800 la società civile si impadronisce del mondo delle comunicazioni ed il ritmo del progresso tecnico diventa vertiginoso.
Ciò non toglie che, pur negli ambiti ristretti dei ceti dominanti, l’innovazione di Gutenberg provochi sommovimenti decisivi. Accanto ai testi sacri e classici, si iniziano a stampare già negli ultimi anni del 400 l’equivalente degli Avvisi e dei fogli di notizie manoscritti circolanti tra banchieri e commercianti. Comunemente noti come canard, essi:
Ad essi si accompagnano almanacchi e calendari che:
Almanacchi e fogli di notizie costituiscono il primo terreno di incontro tra la tecnologia della stampa e un contenuto testuale che non si identifica più con la produzione passiva di una tradizionale cultura religiosa e classica. Compare così una nuova ed attiva cultura della notizia che coglie l’utilità sociale delle informazioni, il loro valore d’uso e quindi il loro valore di scambio: si affaccia l’idea che la notizia possa essere una merce appetibile dal pubblico e redditizia per chi la produce. Uno degli effetti più importanti di questa nuova cultura è quello di produrre una nuova attenzione per i gusti dei lettori effettivi o potenziali. A rafforzare le esigenze e le capacità della comunicazione interviene un ulteriore sviluppo: la rinascita sotto la tutela dello stato centrale di servizi ufficiali e regolari di posta. Grazie a questo servizio la rete delle comunicazioni seguita ad estendersi. A Venezia (per poi diffondersi) si sviluppa l’usanza dei broglietti: fogli manoscritti di piccolo formato con 4 o 8 facciate e cadenza settimanale, che vengono venduti a basso prezzo, dove compaiono notizie commerciali, finanziarie e politiche prive di titolo, che raggiungono una diffusione considerevole. A Colonia si stampa una Postrema Relatio Historica che con cadenza semestrale riassume gli avvenimenti memorabili del periodo appena trascorso; le sue uscite regolari coincidono con le prime fiere del libro; in Gran Bretagna, allo stesso modo, circola il Mercurius Gallobelgicus. Ogni numero è composto dalle 50 alle 100 pagine con notizie tratte dalla cronaca politico-istituzionale e viene distribuito dalla rete interurbana delle stazioni di posta. Questo condiziona la periodicità costringendo gli stampatori non solo al raddoppio dell’uscita annuale ma anche ad una maggiore regolarità.
Negli stessi anni si diffondono a Roma i fogli scritti da menanti, cioè scrivani in brutta copia, sui quali si abbatte la censura del papa che condanna coloro che scrivevano e tenevano gli Avvisi; le motivazioni della censura si basano sul fatto che il potere continua a concepire la pubblicità dei propri atti come una minaccia. Quindi si inizia a delineare un sistema di comunicazioni laiche e popolari potenzialmente capace di sfuggire al controllo delle élite aristocratiche. Ma si viene affermando la prassi dei privilegi:
Sui libri a stampa compaiono i primi colophon, etichette che definiscono un sistema di copyright, di tutela dei diritti di esclusiva sulle pubblicazioni. Il clima della Controriforma allinea la Chiesa di Roma a questa generale tendenza ad una sorveglianza più stretta sulla stampa. Eppure, anche se costretto sotto quest’ombra protettiva e soffocante, il mestiere di stampatore conosce una fortuna ed un prestigio crescenti. Gli stampatori riassumono in sé la doppia figura dell’editore e dello stampatore, dell’intellettuale e dell’artigiano. Il mestiere di stampatore diventa un mestiere pericoloso se non si esercita sotto la protezione ed il controllo delle istituzioni e dei principi; quindi la censura schiaccia inevitabilmente le spinte all’innovazione e all’apertura. Ne consegue che per tutto il 500 la tipologia prevalente del prodotto tipografico rimane il libro. La cultura della notizia fatica ad affermarsi anche perché le informazioni sono sottoposte al vaglio preventivo delle autorità e quindi perdono in tempestività ed affidabilità. La libertà di informazione e la sua frequenza regolare si pagano con una regressione nella dimensione privata e un’involuzione tecnologica.
IL SETTIMANALE (1650 – 1700)
Nel 600 europeo il confronto tra persona e società viene riproposto: il Rinascimento e la Riforma hanno posto in primo piano le esigenze della libertà individuale, mentre i sovrani assoluti cercano con ogni mezzo di dare potenza di controllo allo stato centrale. Il giornalismo degli esordi si colloca in mezzo a questa contraddizione: rappresenta uno dei mezzi principali per legare gli individui fra loro, ma al tempo stesso il potere delle istituzioni ne ha intuito le potenzialità d’uso e si adopera per ricondurre la stampa sotto il proprio dominio. L’Olanda è l’unica realtà europea che rappresenta la forma istituzionale più innovativa e libera dell’intero continente: tolleranza religiosa e fioritura intellettuale marciano di pari passo, dando luogo ad una domanda crescente di prodotti della stampa. Si tratta anche di una supremazia tecnica: nel corso del secolo diventa famoso l’impasto olandese, una raffinazione della carta che gli olandesi realizzano per primi. Le origini di questa prolungata preminenza dell’Olanda corrispondono ad un processo più complessivo di spostamento del baricentro economico europeo dal Mediterraneo ai porti del nord Atlantico, crea quindi la necessità di informazioni costanti.
Ma anche in altre parti d’Europa dove il potere di controllo esercitato dai sovrani è più forte, gli editori avvertono l’esigenza di difendere la propria autonomia attraverso un rapporto più stretto e continuativo con il pubblico: emerge il problema della periodicità. In Svizzera compare un periodico mensile di dimensioni variabili tra le 6 e le 12 pagine, il cui formato è ancora simile al libro ed il cui contenuto è essenzialmente un riassunto degli avvenimenti più importanti del mese. Il mestiere di giornalista inizia ad acquistare una sua prima autonomia dalla figura dell’editore. Agli inizi del 600 compare il primo periodico settimanale ed altri settimanali compaiono in rapida successione in tutto il continente. La loro mappa di diffusione si sviluppa lungo un asse che segue la rete delle stamperie più antiche e dei servizi di posta più sviluppati. Sono tutti giornali in livrea:
In estremo Oriente la stampa periodica di corte non è una novità: le gazzette ufficiali di corte risalgono a diversi secoli prima; dopo il 1600 il sistema si perfeziona con la comparsa dei primi bollettini settimanali destinati alle province più lontane dell’impero ed assume per brevi periodi una frequenza addirittura quotidiana. Si diffondono fogli stampati venduti per strada da strilloni. Ma la natura frammentaria del sistema feudale giapponese riduce di molto le tirature e la diffusione di questi primi periodici. In Olanda iniziano a diffondersi i corantos:
Questo genere giornalistico arriva anche in Inghilterra: esce il Mercurius Britannicus, fogli di notizie settimanali che vanno dalle 8 alle 24 pagine e cambiano frequentemente testata ma conservano un interesse pressoché esclusivo per la politica internazionale. L’impresa giornalistica si presenta come economicamente appetibile: richiede bassi investimenti iniziali e promette di essere remunerativa in tempi relativamente brevi. La cultura della notizia registra un salto di qualità decisivo: l’informazione corrente prende il posto della curiosità per il fatto prodigioso, l’attualità ordinaria acquista la dignità di un valore d’uso e di scambio dotato di utilità, l’esistenza di un flusso regolare di notizie diventa un elemento necessario e normale della vita quotidiana di ristrette élite politiche ed economiche. La professione giornalistica acquista un crescente prestigio.
Emerge poi il problema dell’oggettività e dell’attendibilità delle notizie. In Inghilterra il sovrano, che ha sciolto il parlamento ed è impegnato in un’imposizione della Corona, sopprime i fogli di notizie. A partire da questo momento la questione della libertà di stampa si intreccia con la battaglia antiassolutistica delle forze raccolte attorno al parlamento. Questa battaglia si trasforma ben presto in una guerra civile. Viene così soppresso il sistema di permessi obbligatori e per il giornalismo inglese si apre una stagione di totale libertà, messa in risalto da un’esplosione di periodici. Vengono pubblicati i Diurnall:
Tra i direttori dei Diurnall si distingue Samuel Pecke, il primo giornalista a provenire dal mondo dei copisti e degli scrivani. Cambia il concetto di informazione politica, che si dilata al dibattito tra i partiti che anima le sedute delle camere inglesi. Si nota anche uno sforzo importante in direzione della regolarità. Birkenhead pubblica il Mercurius Aulicus, settimanale di idee realiste che attacca con toni veementi i leader del movimento parlamentare. Questo settimanale inaugura una rudimentale partizione interna in rubriche fisse. Alla propaganda realista di Birkenhead si contrappone il Mercurius Britanicus di Nedham, esponente della gentry (piccola e media nobiltà parlamentarista), che riflette lo sforzo di un approccio nazionale e di una lingua più diretta e popolare. Questa proliferazione di testate e la dilatazione della discussione politica non tardano a preoccupare anche lo schieramento antiassolutista, quindi le ordinanze del parlamento ripristinano la censura ed il controllo sulle pubblicazioni, l’importazione dei libri stranieri viene bloccata, il numero dei settimanali cala di molto. Contro la stretta repressiva delle camere si pronuncia apertamente Milton con la sua Areopagitica: per la prima volta la battaglia contro la censura e i privilegi nel mondo editoriale viene concepita come una battaglia di principio condotta per difendere il diritto dei cittadini dall’arbitrio delle istituzioni. In realtà la denuncia di Milton ottiene scarsi effetti pratici nella società inglese dell’epoca. Nell’Inghilterra del 600 la guerra civile combattuta tra la Corona ed il parlamento si intreccia con una grande espansione della stampa periodica ed una radicalizzazione delle sue vocazioni politiche. Il 600 può essere considerato come il secolo dei periodici.
A Parigi compare il Bureau d’adresses et des rencontres, il primo periodico interamente dedicato alla compravendita di beni e alle domande-offerte di lavoro: la stampa occupa così uno spazio quotidiano dell’attualità, lontano dai clamori della politica e vicino ai bisogni privati della popolazione. Il pubblico assume un ruolo più attivo, collaborando con i propri annunci alla confezione del foglio stampato. Grazie ad un allentamento della stretta repressiva e un’azione di recupero del consenso popolare, Richelieu concede a Renaudot il permesso di stampare la Gazette:
Gli esordi della stampa periodica francese sono quindi dominati dal regime del privilegio reale e della censura preventiva, in cui la libertà di stampa è sostituita da un monopolio informativo che mette a capo la volontà del sovrano. Renaudot pone per la prima volta il problema delle fonti informative e lo risolve affermando che per il giornalista esiste il problema della capacità critica di giudicare e scegliere le fonti secondo il loro grado di attendibilità. Anche alla corte dei Savoia a Torino, in questo periodo soggetta ad una forte influenza francese, le origini della stampa periodica ripercorrono lo stesso cammino: compaiono a Torino i Successi del Mondo e a Genova Il Sincero. A metà del secolo la rivoluzione del settimanale innescata dall’Olanda si scontra in tutta Europa con la volontà di controllo esercitata dal potere politico. Ma, con l’eccezione dell’Olanda, è sempre la seconda a prevalere sulla prima, anche dove, come in Inghilterra, i sovrani assoluti appaiono più deboli e minacciati. Il parlamento inglese rafforza ulteriormente i meccanismi di limitazione e controllo della libertà di stampa: la licenza viene vincolata al deposito di una somma in denaro molto alta. Alla guida delle forze antirealiste, Cromwell combatte una dura lotta contro le rivolte scoppiate in Scozia e Irlanda, che non lascia spazio alla libertà di stampa ma ha bisogno di un forte sostegno popolare. Ne deriva un incoraggiamento al fiorire di periodici schierati con il Commonwealth, la repubblica diretta sa Cromwell, come il Mercurius Politicus pubblicato da Nedham. Il giornale di Nedham è di continuo aperto da un editoriale che attacca le forze realiste e sostiene il potere dello stato. Cromwell scioglie ciò che resta del parlamento e l’Inghilterra diventa una dittatura militare, impegnata a chiudere la rivoluzione e a consolidare il potere della gentry. La stampa è sottoposta ad una nuova legge che assegna al Consiglio di stato le funzioni di controllo ed in pratica si mettono al bando tutti i periodici, con l’unica eccezione del settimanale dei Nedham. Egli quindi allontana prudentemente il proprio giornale dall’attualità politica nazionale e dedica più spazio ad un’informazione più leggera. Compare il primo periodico inglese che, nelle sue 16 pagine, ricalca il modello francese del Bureau di Renaudot (interamente riservato a questioni di compravendita).
Sia in Francia sia in Inghilterra, con gli annunci commerciali, la stampa viene occupando un nuovo spazio comunicativo diverso dall’informazione politica e collocato a metà fra la sfera pubblica e quella privata, che le apre un nuovo ruolo di servizio ai lettori e la possibilità di costruire con essi un rapporto più stabile e partecipato. A Londra esce il City Mercury, il primo settimanale gratuito ed interamente finanziato dagli inserzionisti privati che pagano per i loro annunci, cui l’editore aggiunge una pagina dedicata ai prezzi dei generi più venduti. Siamo ai primordi della pubblicità moderna e la stampa intravede una fonte supplementare di entrate, capace di arrotondare, se non addirittura sostituire, le entrate di vendite ed abbonamenti. I giornali sostenuti dalla pubblicità si ripagano prima di essere prodotti, a differenza di quelli sostenuti dalle vendite, che ritornano sotto forma di entrate di bilancio solo dopo l’uscita e talvolta a notevole distanza di tempo dalle spese iniziali. Compare poi il Mercurius Democritus, un settimanale in cui si rispolvera il gusto della notizia sensazionale accompagnandola a scritti di varietà e di intrattenimento, scadendo spesso sul terreno del pettegolezzo scandaloso se non apertamente osceno: è un genere di stampa che incontra immediata fortuna e suscita diverse imitazioni. In Inghilterra è ormai acquisita l’idea che le pubblicazioni monografiche e periodiche costituiscano un problema politico essenziale, degno della massima attenzione da parte delle autorità, quindi viene nominato una sorta di censore ufficiale del governo incaricato di controllare e autorizzato a sequestrare libri e riviste. Sul territorio inglese sono consentiti solo 2 settimanali in livrea, ma i controlli si fanno ancora più stretti e quindi questi 2 giornali vengono sostituiti da un bisettimanale, la London Gazette. A caratterizzare la Gazette sono 2 novità:
Ma i giornali ufficiali di corte non esauriscono il panorama della comunicazione pubblica inglese: si diffondono, infatti, newsletter:
Le coffee-house vengono ben presto soppresse e il governo proibisce ogni nuovo periodico, ma neanche questo fatto riesce ad arrestare la diffusione della stampa illegale. È grazie a questi fogli illegali che in questi anni prendono forma le grandi correnti whig e tory dell’opinione pubblica inglese. Con la proclamazione del re Guglielmo d’Orange il conflitto tra corona e parlamento perviene finalmente ad una soluzione negoziata, attraverso una forte limitazione delle prerogative reali in materia di sottomissione alle leggi e di rispetto delle libertà e dei diritti dei membri delle camere: l’Inghilterra diventa così la culla del pensiero politico moderno. In Francia la morte di Richelieu e del re aprono un periodo di relativa debolezza del potere centrale, accentuata dal crescente malcontento popolare per il prolungarsi della guerra con la Spagna. Il movimento antiassolutista assume i panni della Fronda e si diffondono le cosiddette mazarinades: un termine che dapprima indica pamphlet, opuscoli, manifesti di tono satirico contro il cardinale di corte, ma poi passa a significare tutte le pubblicazioni di ogni parte politica accomunate da un’estrema varietà degli stili adoperati. Esse testimoniano la vivacità del clima culturale e editoriale dell’epoca.
Compare il Journal des Savants, un settimanale di 12 pagine finanziato dall’Accademia delle scienze. Concepita come uno strumento di direzione della vita intellettuale francese, la rivista inaugura un nuovo genere di periodico interamente dedicato alle scienze e alle arti. Il giornalismo francese delle origini segue così un percorso diverso da quello inglese e contraddistinto da una maggiore vocazione culturale e letteraria, che si accompagna ad una presenza minore dell’informazione politica d’attualità. Anche su questo terreno meno immediatamente compromettente, però, non tarda a farsi sentire il peso della censura regia. Questo modello francese di giornalismo viene rapidamente raccolto in altre parti d’Europa: a Roma esce il Giornale de’ letterati, un mensile di 16 pagine di piccolo formato, molto simile a quello dei libri; spiccano nel periodico romano l’orizzonte europeo degli interessi ed il loro carattere laico, esplicitamente moderno. L’idea della repubblica delle lettere, legata a questo genere di giornalismo, assume la fisionomia preilluministica di stimolo al cambiamento e al progresso. A Venezia esce il Giornale dei letterati d’Italia, un trimestrale diretto da un eterogeneo gruppo di intellettuali, al cui interno si unisce anche un’esplicita ispirazione patriottica. Anche l’ambiente inglese si mostra vulnerabile al fascino della rivista per letterati, con una maggiore preoccupazione per l’accessibilità del linguaggio ed il grado di interesse popolare delle questioni dibattute. In questi stessi anni Lipsia si afferma come uno dei centri del giornalismo europeo: le strutture editoriali e i servizi postali rendono addirittura possibile la presentazione del primo giornale quotidiano, anche se con tirature limitate e in regime di privilegio. Per il momento, dunque, l’avvento del quotidiano rimane un fatto isolato e temporaneo. La spinta in direzione della stampa periodica si rivela talmente potente da varcare l’oceano: il centro del giornalismo americano delle origini è Boston, dove viene pubblicato un mensile di 4 pagine diretto da un giornalista inglese costretto all’esilio dalle sue idee whig. Il giornale viene presto soppresso per aver diffuso informazioni militari riservate: un esordio che sembra contenere la storia successiva del rapporto conflittuale tra la stampa americana ed il potere del governo centrale. In seguito viene pubblicato un nuovo settimanale:
IL QUOTIDIANO (1700 – 1800)
Tra il 600 ed il 700 il governo inglese abolisce di fatto la censura preventiva sulle pubblicazioni: il contenuto di giornali e libri è perseguibile dalla magistratura solo a posteriori in caso di violazioni della legge ordinaria. Si genera quindi una situazione di stallo che conserva il punto di vantaggio acquisito dalla stampa sul potere. Ma di fatto periodici e riviste rimangono soggetti ad un regime di tasse speciali, ad un’attenzione particolare dell’autorità giudiziaria, a forti ostacoli nella possibilità di informare sui lavori parlamentari. Il mestiere di giornalista continua a godere di una scarsa considerazione sociale se non di una vera e propria ostilità da parte delle élite dirigenti. Nel modello autoritario di rapporto tra stampa e potere sviluppato dalle monarchie assolute, fondato sul monopolio e sul controllo preventivo esercitati dallo stato, cominciano ad aprirsi delle crepe che lasciano intravedere gli inizi di un nuovo modello liberale, entro il quale la stampa non è più soggetta a regimi speciali ed è governata nei limiti della giurisdizione ordinaria dal sistema di tasse e sussidi imposto dai governi e dalle leggi del mercato economico. Nell’Inghilterra della fine del 600 si determina una situazione di vuoto legislativo che corrisponde ad una nuova età dell’oro della stampa inglese. Negli anni a cavallo tra i 2 secoli si stampano a Londra i Big Three, i 3 grandi: il Flying Post, il Post Boy ed il Post Man. La rapidità e l’attualità sono sempre più concepite come requisito indispensabile del giornalismo. Il ritmo di uscita dei Big Three è trisettimanale, il Post Boy e il Post Man presentano la novità di uscire la sera. Il loro formato ricalca il modello della London Gazette:
Questa gerarchizzazione delle notizie risponde ad un criterio economico piuttosto che politico-culturale: le informazioni provenienti dall’estero sono quelle più difficilmente reperibili e quindi quelle maggiormente richieste e consumate. L’origine del fenomeno pubblicitario non è contrassegnata dall’intervento di grandi poteri economici: per tutta una prima fase l’ambio spazio degli annunci commerciali risponde ad una necessità su ridotta scala cittadina. Questi giornali si distinguono per un’altra novità rispetto al passato: un’esplicita e costante posizione politica. Accanto ad una cultura della notizia che ne privilegia il valore commerciale, e quindi la tempestività e la completezza delle informazioni rispetto al commento, si affaccia un’altra cultura dell’informazione che sottolinea il ruolo e la vocazione politico-educativa del giornalismo.
Ma il frutto più vistoso di questa fortunata stagione della stampa inglese è senz’altro la pubblicazione del primo quotidiano: il Daily Courant. Questo salto di qualità decisivo è reso possibile dallo sviluppo dei sistemi postali. Il modello cui si ispira è ancora quello ufficiale e prestigioso della London Gazette, che però per effetto di questa nuova proliferazione della stampa periodica ha visto precipitare la propria tiratura. I canali informativi della Gazette sono quelli ufficiali dei circuiti diplomatici e immancabilmente si rivelano più lenti e incompleti degli agenti privati e commerciali, che invece rappresentano le fonti principali degli altri giornali. Nondimeno anche il Daily Courant è ben lontano da una tempestività informativa davvero giornaliera: siamo ancora ben lontani dal momento in cui il giornale quotidiano stabilisce il frame, l’arco di tempo delle 24 ore entro il quale viene valutata la novità o meno di un evento. Sul primo numero del Daily Courant il direttore Samuel Buckley proclama la sua ferma volontà di distinguersi dalle pubblicazione correnti. Credibilità ed imparzialità, credibility and fairness: la presentazione di Buckley corrisponde alla prima formulazione di una deontologia professionale del giornalista che nel tempo è stata poi tradotta con la formula di senso comune 'i fatti separati dalle opinioni'. Almeno nelle promesse la linea editoriale del Daily Courant si rivolge al senso critico del lettore. Si scorge così una consapevolezza del mestiere giornalistico destinata a rimanere uno dei tratti caratterizzanti della storia della stampa inglese. Il proposito di aderenza ai fatti implica un’ulteriore raffinazione dello stile giornalistico nel senso della sua concisione ed esattezza. Cominciano a delinearsi le fondamenta di una cultura della notizia ancorata alle cinque W: who (chi), where (dove), when (quando), what (cosa), why (perché). L’utilità e quindi il valore di ogni articolo viene connessa alla precisione e alla tempestività con le quali è in grado di rispondere a queste 5 domande. L’esempio di Buckley viene seguito dal primo quotidiano londinese della sera, il The Evening Post.
Accanto a questa progressiva affermazione della cultura della notizia, la stampa inglese dei primi del 700 vive un secondo processo, il cosiddetto nuovo giornalismo: un approccio più lontano dall’informazione di attualità e più ispirato al genere del saggio culturale con intenzioni moralistiche e pedagogiche. Daniel Defoe fonda The Little Review, mentre Jonathan Swift crea il settimanale Examiner, ma comune ad entrambi è:
Richard Steele fonda The Spectator che, rispetto ai precedenti periodici, enfatizza la parte letteraria dell’impresa giornalistica. Ogni fascicolo è infatti tendenzialmente monografico e ruota attorno alla finzione di un dialogo sulle vicende dell’attualità artistica, letteraria, politica che si svolge in un club con scenario e personaggi fissi, fra cui emerge il muto spettatore che li mette tutti in soggezione obbligandoli ad una riflessione meno animata e superficiale. La rappresentazione della vita quotidiana e la satira di costume si esprimono così in una forma più vivace ed articolata attraverso il discorso diretto. La forma del commento d’attualità espresso in modo informale per lettera o durante una conversazione assume una valenza antiaccademica. Questo genere giornalistico incontra subito i gusti del pubblico. Nonostante la sua vita duri poco, The Spectator rappresenta uno dei periodici più imitati dell’intera storia del giornalismo: esso rappresenta un vero e proprio nuovo genere di testata, a metà tra giornalismo e letteratura, animato da una forte vena democratica che tuttavia evita di ricorrere alle tradizionali formule della polemica politica tra whigs e tories. Questa seconda età dell’oro della stampa inglese vede un incremento senza precedenti del numero di copie in circolazione. Si tratta di un volume di affari rispetto al quale il potere delle istituzioni non può rimanere indifferente: dismesse le ambizioni politiche di censura e monopolio del secolo precedente, il parlamento approva lo Stamp Act, una legge che istituisce le cosiddette 'tasse sulla conoscenza'. Ogni foglio stampato deve essere timbrato da un bollo da pagare allo stato, mentre ogni avviso pubblicitario è gravato da un importo ancora maggiore; solo i periodici politici sono sottoposti all’obbligo di versare una cauzione. Si tratta di un regime fiscale destinato a durare molto a lungo che testimonia il tentativo di spoliticizzare la questione della stampa e di ridurla a mera questione economica. Per la prima volta lo Stamp Act afferma il principio della libertà d’impresa, rispetto al quale il potere esecutivo non può esercitare facoltà di sospensione o di censura preventiva che non rientrino nel quadro della magistratura ordinaria e cioè dell’accertamento a posteriori di un reato.
Spesso però lo Stamp Act viene applicato a discrezione delle autorità con particolare severità nei confronti dei giornali scomodi mentre prosegue l’uso di sovvenzioni segrete alle testate filogovernative. L’imposizione fiscale serve quindi anche a mantenere un controllo politico mascherato. Il numero delle testate periodiche inizia quindi ad avere un altro calo. Fiorisce di nuovo, invece, il mercato dei periodici illegali, privi di bollo governativo: i cosiddetti unstamped papers. Per le casse dello stato i guadagni provenienti dalla tassa sugli annunci pubblicitari (Stamp Act) sono comunque un affare. Nonostante gli alti costi fiscali, dunque, la pratica delle inserzioni a pagamento conosce una notevole espansione. Nasce il Daily Advertiser, il primo quotidiano ad essere composto esclusivamente da annunci a pagamento. La penetrazione della logica commerciale nella stampa periodica è testimoniata anche dalla ricerca di nuove formule di vendita (es: offrire il giornale gratis per qualche giorno). Nonostante le 'tasse sulla conoscenza', il quotidiano commerciale dimostra sul campo di essere una formula vincente, anche senza una grandissima platea di lettori. La pubblicità diventa un affare serio con riflessi sulla cultura e sullo spirito del tempo. È a Samuel Johnson che si devono le cronache dei dibattiti che avvengono nel Parlamento di Lilliput: grazie a questa finzione letteraria, egli può aggirare il ferreo divieto di pubblicazione dei resoconti parlamentari. Ben presto il divieto di assistere ai lavori parlamentari diventa materia di scontro tra i giornalisti londinesi ed il governo che continua ad opporre un fermo rifiuto. Sarà proprio su questo elemento simbolico della presenza dei giornalisti in parlamento che, un secolo dopo, verrà coniato l’immagine del quarto stato. Contro la concessione dei pieni poteri al re si scagliano i giornali più radicali: tra questi figura in prima linea The North Briton, settimanale diretto da John Wilkes. Egli riprende ed approfondisce l’ideologia giornalistica già formulata mezzo secolo prima da Buckley: rispetto a Buckley, Wilkes sottolinea il ruolo di parte e la vocazione politica del giornalista, ma paradossalmente proprio questa ammissione di parzialità (contrapposta all’imparzialità di Buckley) si sposa con il postulato di un’oggettività assoluta dei fatti che esclude la mediazione delle fonti (su cui invece richiama l’attenzione Buckley) e che costituisce le salde fondamenta del giornalismo politico. L’opinione è più importante del fatto, il commento prevale sull’informazione, le preoccupazioni di completezza ed imparzialità rimangono sullo sfondo. Per effetto del suo scritto Wilkes viene accusato dal parlamento, ma per l’occasione si raduna una folla che porta Wilkes and Liberty in trionfo: per la prima volta si manifesta un asse politico concreto ed efficace tra stampa ed opinione pubblica in funzione antigovernativa. Wilkes viene comunque arrestato, ma in processo vince la causa, anche se in seguito verrà costretto all’esilio in Francia. In seguito viene enunciata la dottrina Mansfield che conferma l’abolizione della censura preventiva: la libertà d’espressione trova il suo unico limite a posteriori nell’applicazione della common law, della giurisprudenza ordinaria. Ma in pratica conferma anche l’esercizio di un potere di controllo esclusivo ed élitario, riservato ai magistrati, i quali godono di margini assai ampi di potere decisionale nell’individuazione dei reati commessi attraverso la stampa. Sir James Mansfield riconosce poi alla stampa il diritto di informare sull’andamento dei dibattiti parlamentari, ma ci vorrà ancora un ventennio perché il Libel Act annulli la dottrina Mansfield e riconosca alle giurie popolari pari dignità nei processi contro editori e giornalisti.
Nel panorama internazionale della storia del giornalismo il caso inglese rimane singolare per 2 motivi:
I riflessi di queste dinamiche raggiungono anche le zone dell’India aperte alla penetrazione economica e commerciale inglese. Prima di allora, la stampa si è limitata a fogli di notizie sporadici e circolari governative a periodicità molto irregolare, ma dopo la metà del 700 cominciano a fiorire settimanali stampati nelle maggiori città indiane e diffusi esclusivamente presso i cittadini inglesi. Quanto sia peculiare il caso inglese risalta ancor più da un raffronto con la situazione francese, dove la tradizione assolutistica si è ulteriormente rafforzata. Il circuito della stampa periodica francese è quindi rigorosamente delimitato alla parte più ricca della società e sottoposto ad un crescente regime censorio. Eppure anche in Francia la situazione culturale sta mutando rapidamente (es: l’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert) e mal si adatta al grigio e nascosto monopolio informativo del potere assoluto. Ma anche gli stessi pensatori illuministi mantengono un pregiudizio negativo sulla stampa periodica: anziché un esempio di pluralismo e democrazia, i periodici inglesi vengono considerati un fenomeno scadente di concessione e disinformazione, antitetico al vero sapere raccolto dai libri. L’ostilità manifesta e condivisa dei maggiori pensatori illuministi esprime un pregiudizio intellettualistico diffuso, destinato a lunga vita, secondo il quale la tempestività del giornalismo mal si accorda con la profondità e l’accuratezza della conoscenza: il giornale non può aspirare ad essere strumento di formazione del pubblico. Ma il cambiamento di clima è reso evidente dal fiorire della stampa illegale, che aggira il regime di privilegio concesso dalle autorità, ricorrendo a lingue straniere o pubblicando in francese fuori dei confini nazionali. Anche tra le maglie della censura ufficiale comincia a passare qualcosa e nel corso del 700 il panorama della stampa francese si diversifica gradualmente (es: Le Spectateur Français, Le Pour et le Contre, ..). Rimane indietro, invece, la stampa di informazione, penalizzata dal monopolio dei flussi di notizie esercitato dal centralismo assolutistico. L’editore olandese Charles-Joseph Panckoucke, grazie alla sua intraprendenza commerciale unita alla situazione di forte controllo governativo, apre una nuova porta al giornalismo: quella del proprietario di più testate. Egli infatti acquista il Mercure de France e la Gazette de France, che in seguito cambia nome in Gazette nazionale de France e diventa quotidiano. La Gazette trasformata da Panckoucke però non è il primo quotidiano francese, la precedono infatti altre 2 testate. L’attenzione non episodica del giornale per i fatti della scienza testimonia la penetrazione dei Lumi anche negli ambienti più ufficiali della cultura francese, ma nonostante questi giornali stiano bene attenti a tenersi lontani dalla politica, non sfuggono alla sorveglianza della polizia. Anche dal punto di vista della stampa e della sua libertà la rivoluzione giunge quindi improvvisa. Individui come Panckoucke rappresentano figure professionali ormai definite con precisione, cresciute all’interno di un circuito editoriale separato, che intrecciano stabilmente un doppio profilo sia imprenditoriale che intellettuale. Il mestiere di giornalista acquista in autonomia e dignità. D’altra parte sono molti gli stati dell’Europa continentale dove gli esordi della stampa periodica avvengono sotto diretto impulso del potere assoluto dei sovrani. È il caso, tra gli altri, della Prussia, dove il monopolio statale degli annunci commerciali rimarrà in vigore fino a metà dell’800. Il forte controllo governativo e la non mascherata ostilità del re per i gazzettieri non impediscono la fioritura di numerose riviste a carattere scientifico e letterario. Alla centralizzazione della vita economica (testimoniata dalla chiusura dei settimanali locali di annunci commerciali) corrisponde un decentramento della vita culturale, che tuttavia non esclude un regime di attenta censura politica. La Prussia è inoltre una delle poche nazioni che rimangono abbastanza estranee al ciclo imitativo del modello Spectator.
LA LIBERTÀ DI STAMPA (1700 – 1800)
Sull’altra sponda dell’Atlantico la rivolta contro il regime della censura preventiva ha modo di manifestarsi già agli inizi del 700. James Franklin decide di sfidare l’ordine costituito fondando un nuovo giornale senza il permesso delle autorità di Boston: il New England Courant, che sembra riprendere il modello dello Spectator. In realtà esso ha una vocazione politica molto più spiccata e diretta dei suoi omologhi europei. L’evidente caratterizzazione democratica del nuovo settimanale rompe la noiosa atmosfera ufficiale della gazzette americane e rivela una funzione pubblica della stampa in modo simile, e anzi anticipatorio, rispetto alla Gran Bretagna. Benjamin Franklin compra la Pennsylvania Gazette e ne mette in luce il carattere enciclopedico che ricalca la formula dei settimanali inglesi, con annunci commerciali, notizie nazionali ed internazionali. Ma in effetti questo è il primo settimanale apertamente schierato contro la dominazione coloniale inglese. Benjamin Franklin è una delle prime figure professionali della storia del giornalismo ad integrazione verticale: capaci cioè di essere nel contempo scrittore, editore, inventore di nuove tecniche per la stampa, fornitore di servizi tipografici, direttore dei servizi postali della colonie britanniche. Giornalismo ed imprenditoria percorrono strade sempre più vicine tra loro. Anche la città di New York si apre alla stampa settimanale. Il tipografo John Peter Zenger, immigrato tedesco, fonda un settimanale a 2 pagine al cui interno scatena una dura campagna contro il governatore inglese William Cosby, ripetutamente accusato di abuso di potere. Zenger viene perciò arrestato e incarcerato, ma al processo viene brillantemente difeso. L’arringa del suo avvocato rappresenta il punto di partenza della battaglia per la libertà di stampa in America. La vittoria di Zenger al processo segna l’acquisizione di 2 principi, per vedere consacrati i quali l’Inghilterra dovrà attendere fino alla fine del 700:
Gli effetti di questa sentenza non tardano a farsi sentire: aumenta il numero dei settimanali, i quali, per le informazioni, dipendono in misura quasi completa da Londra, il che comporta un ritardo nella loro pubblicazione. Cresce così la parte riservata dai periodici americani all’intrattenimento e agli annunci privati, che sono messi in vendita a prezzi differenziati a seconda della loro collocazione. Il numero di copie di periodici in circolazione è assai lontano dal numero di copie diffuse in Gran Bretagna alla stessa data. Su di esse si applicano le nuove tasse previste dallo Stamp Act inglese, ma, a differenza di quanto accade nella madrepatria, in America l’imposizione fiscale suscita accesi sentimenti di rivolta. D’altra parte Londra impone anche il monopolio di tutto il materiale necessario per la stampa che penalizza l’industria locale e innalza i costi di produzione di libri e riviste. Quindi la stampa americana partecipa in prima fila alla lotta per l’indipendenza e contro il regime di sfruttamento coloniale. Il conflitto con l’Inghilterra vede una crescita esponenziale della circolazione di carta stampata: si tratta soprattutto di opuscoli e non periodici regolari. La stampa periodica invece rimane su cifre molto contenute e, anche se durante la guerra il numero dei settimanali sale, dopo la fine delle ostilità solo pochi sopravviveranno. Il più noto e diffuso tra i periodici rivoluzionari è il Massachusetts Spy. Il Pennsylvania Evening Post è un settimanale che presto si trasforma nel primo quotidiano della storia americana.
A differenza di quanto accade in Europa, in America l’esempio del primo giornale viene diffusamente raccolto. Di lì a pochi anni i quotidiani aumentano di numero. La struttura della nuova nazione facilita questo processo di contagio: ogni capitale degli Stati Uniti ambisce ad avere il proprio organo di stampa giornaliero. D’altra parte il tema della libertà di stampa è al centro del dibattito costituente americano. La libertà di stampa non figura tra gli articoli della Costituzione del 1787, ma è al centro del primo emendamento che compare nel Bill of Rights che vieta al Congresso di approvare leggi che la limitino. Si tratta però di una soluzione apparente perché presto i reati a mezzo stampa di diffamazione del governo e di incitamento alla rivolta verranno puniti con la reclusione fino a 2 anni. L’esito della discussione americana mette bene in luce la natura contraddittoria del rapporto tra stampa e potere. È infatti ormai acquisita la consapevolezza della posizione di forze che il giornalismo ha raggiunto nella sua opera di formazione e indirizzo di un’opinione pubblica. La stampa contribuisce ad identificare una sfera delle relazioni umane non direttamente controllata dallo stato e non direttamente regolata dai rapporti economici di mercato. Questa sfera pubblica rompe l’isolamento degli individui e delle famiglie per costruire una società civile, entro la quale la mediazione della stampa serve a definire un discorso pubblico più o meno condiviso attraverso la circolazione di notizie, informazioni, cultura, il cui stadio culminante è l’articolazione di una volontà politica collettiva. Nel moto indipendentista americano il nuovo concetto di opinione pubblica ha assunto un’indubbia valenza rivoluzionaria e la stampa ne è, insieme, strumento e portavoce.
La nazione americana, borghese ed ugualitaria, si configura come il laboratorio sperimentale di questi processi, radicalizzando dinamiche che in Gran Bretagna rimangono costrette entro una rigida gerarchia sociale divisa in ceti. Nelle altre nazioni governate dall’assolutismo monarchico la stampa si trova ancora più indietro, sottoposta al regime del privilegio concesso dal sovrano e dalla censura preventiva. Oltre alla Francia è anche il caso della Russia. È agli inizi del 700 che la contrastata introduzione dell’arte tipografica compie i maggiori progressi. A quest’epoca risale la prima gazzetta russa: si tratta di un tipico giornale in livrea, organo ufficiale della corte zarista a periodicità irregolare, il cui spazio è occupato sia dagli atti governativi sia da materiale ricavato da riviste straniere. Lo sforzo di apertura al mondo esterno è testimoniato anche dalla ripresa del modello francese del Journal des Savants. Nasce poi la prima rivista culturale non accademica. Infine arriva anche l’eco del modello Spectator: a farsene interprete è un settimanale irregolare al quale la stessa imperatrice Caterina II collabora in forma anonima prendendo in giro gli aspetti più conservatori della vita di corte. Nonostante la censura, negli anni seguenti fiorisce tutta una serie di settimanali satirici. Ma l’aspetto più importante di questo esordio del giornalismo russo è un altro: con la sua ricerca di una lingua più diretta e popolare, la stampa periodica assolve infatti una funzione importante nella fondazione di una letteratura nazionale, autonoma. Il nome-chiave in questa battaglia è quello di Nicolaj Ivanovic Novikov, che pubblica un nuovo settimanale a 8 pagine, Truten. Si tratta della prima rivista a manifestare una preoccupazione sociale per la diffusione della cultura tra i ceti popolari e contro la degenerazione dei costumi delle classi sociali aristocratiche. Ben presto questo settimanale verrà soppresso e, per sfuggire ad una situazione che rischia di farsi pesante, Novikov fonda un nuovo settimanale e riprende in forma ancora più radicale la sua critica. La fronda di Novikov nei confronti della classe dirigente si nutre di temi diffusi in Russia dalla massoneria ed è parte di un clima più generale. Con l’involuzione autoritaria degli ultimi anni del regno di Caterina, Novikov viene arrestato e condannato a morte, pena commutata nel carcere a vita, che in seguito gli verrà tolta, restituendogli la libertà. È difficile classificare questa preistoria della stampa periodica russa, così profondamente legata ai temi della cultura e della letteratura nazionale, sotto l’etichetta del giornalismo moderno: non vi si trova infatti una cultura della notizia paragonabile a quella europea o nordamericana. È chiaro che su queste differenze influiscono gli spazi di manovra molto minori che l’assolutismo zarista è disposto a concedere alla stampa.
Non a caso in Italia uno dei centri editoriali più vivaci è localizzato nella repubblica di Venezia., il cui clima di relativa maggiore libertà favorisce la fioritura di giornali e riviste. Anche qui arriva il ciclo Spectator: a farsene interprete è la Gazzetta Veneta, un periodico bisettimanale 'economico', il cui tono è allegro e disimpegnato e al cui interno si trovano cronache mondane, ma in cui manca la carica critica. Un tramite diretto della cultura inglese è Giuseppe Baretti, che ha vissuto a Londra e che stampa a Venezia La Frusta Letteraria di Aristarco Scannabue, un quindicinale con il quale Baretti, nascosto dallo pseudonimo riportato nella testata, combatte una battaglia frontale nei confronti della modernità, dell’Illuminismo e dell’Arcadia. Se il punto di vista di Baretti e della sua Frusta è quello di un conservatore tradizionalista e chiesastico, esattamente opposta è la linea editoriale de Il Caffè, che esce a Milano ogni 10 giorni ad opera di uno dei gruppi più agguerriti dell’illuminismo italiano: quello raccolto attorno a Pietro Verri e Cesare Beccaria. A prima vista anche Il Caffè sembra appartenere al ciclo Spectator, di cui riprende nel titolo la finzione del club di conversazione, ma in realtà la rivista spazia su tutti i temi del riformismo illuminato (diritto, economia, medicina, agricoltura) con una peculiare volontà di approfondimento. Questa pronunciata consapevolezza politica ricorre a termini (pubblica utilità, patria, cittadini) che nella situazione italiana assumono una precisa valenza di parte. Dello Spectator si imita l’intenzione divulgativa e popolare, lo stile dialogato e la lingua semplice, ma anche quest’ultima è una scelta formale che nel contesto italiano assume un significato politico. Minori vocazioni politiche presenta la stampa di un’altra situazione italiana, quella del Granducato di Toscana, che pure ha anticipato gli sviluppi veneti e lombardi. È l’ascesa al trono del riformatore Pietro Leopoldo a conferire un diretto impulso statale alla stampa periodica: escono la Gazzetta Toscana e la Gazzetta Universale che, sul doppio piano della politica interna ed internazionale, provvedono ad informare i sudditi del Granduca. Come in molti altri stati europei (ad eccezione della Francia e dell’Inghilterra) anche in Toscana vige un doppio regime di censura laico ed ecclesiastico che impedisce l’importazione di libri stranieri: la stampa periodica assolve così una funzione insostituibile di apertura. Il clima liberale di Pietro Leopoldo incoraggia anche gli imprenditori privati disposti a cimentarsi nel settore: compaiono Notizie del mondo, Magazzino Toscano e Annali ecclesiastici. Il panorama della stampa toscana dopo la metà del 700 si presenta quindi come uno dei più articolati, mettendo in luce il ruolo propulsivo di un sovrano particolarmente illuminato. In tale contesto l’informazione e la cultura della notizia (e quindi la formula giornalistica della gazzetta) assumono sempre maggiore importanza accanto al modello del giornale dei letterati, che invece appare ancora largamente dominante in Veneto e Lombardia. La figura dell’editore-stampatore tende ormai a separarsi stabilmente da quelle del direttore e del giornalista, mentre questi ultimi vedono nella stampa uno strumento accessorio e secondario rispetto alla loro professione principale. Anche nel secolo successivo il giornalismo italiano manterrà questo carattere di secondo mestiere svolto da letterati e politici che vedono nella stampa uno strumento di volgarizzazione del sapere ed una tribuna per la vocazione educativa e didascalica dei ceti dirigenti: ne deriverà non solo una limitata autonomia della professione giornalistica, ma anche una scarsa cultura della notizia e dell’informazione come servizio e valore.
Prima di vivere la Rivoluzione francese, il 700 che si avvia alla fine può essere definito come il secolo del giornalismo quotidiano soltanto in un numero molto ristretto di paesi: Inghilterra, Francia, Stati Uniti. È significativo che il secolo aperto dal Daily Courant si chiuda con il varo di un’altra impresa editoriale destinata a segnare in profondità la storia del giornalismo. John Walter fonda una nuovo quotidiano che utilizza un inedito metodo di impaginazione: ogni colonna viene spezzettata in tanti piccoli paragrafi, ciascuno dei quali separato da una linea continua. Lo stile di scrittura del giornale si differenzia così da quello in uso per i libri adottando una ridotta unità di misurazione dello spazio che articola e velocizza la lettura. Presto il quotidiano cambierà testata in The Times. John Walter non è un editore nel senso classico del termine: è uno di quegli uomini d’affari che hanno fatto strada nel commercio o nell’industria e che, giunti all’età matura, sentono il desiderio di dimostrare altrettanta capacità nel mondo dell’informazione. Il nuovo quotidiano si avvale largamente di finanziamento occulti che vengono da uomini politici e da privati cittadini per evitare la pubblicazione di alcuni articoli o stamparne altri con funzione riparatrice.
L’OPINIONE PUBBLICA (Rivoluzione francese + Napoleone)
La Rivoluzione francese è preceduta da una straordinaria proliferazione di carta stampata: periodici irregolari e pamphlet inondano la Francia. Ad essi vanno aggiunti numerosi fogli a stampa, i cosiddetti cahiers de doléances (quaderni di lamentele), stilati dalle assemblee locali che preparano la convocazione degli Stati generali. A scriverli, materialmente, sono coloro che si definiscono il 'terzo stato', in contrapposizione alla nobiltà e al clero. La stampa rappresenta dunque:
La stampa francese vive un’imponente stagione di rinnovamento:
La ventata del cambiamento scuote dalle fondamenta l’antico regime del privilegio statale ed investe i tradizionali periodici che ne sono stati fino ad allora i depositari esclusivi. Panckoucke, l’uomo di potere del sistema informativo, apre un altro quotidiano più indipendente e cautamente favorevole alla discussione politica. Si aggiunge poi Le Journal des dèbats et des decrets, un quotidiano che rende conto dei lavori dell’Assemblea nazionale. Ma la vera novità è rappresentata dai fogli di orientamento rivoluzionario che introducono una tipologia nuova, sconosciuta in Europa, ma non in America, di giornale agitatorio, funzionale alla mobilitazione e alla propaganda ideologica. Lo stesso Mirabeau, dopo che il Consiglio di stato ha soppresso Les Ètats Generaux, ne fonda uno di notevoli dimensioni (80 pagine), Le Courier de Provence. Viene poi diffuso da Jacques Pierre Brissot Le Patriote Français, quotidiano ufficiale del club dei girondini. Oltre ad assumere come riferimento una rivoluzione in corso (anziché l’equilibrio inglese fra Corona e parlamento), la dichiarazione di intenti di Brissot rovescia radicalmente il pregiudizio antigiornalistico dei pensatori illuministici. Più una rivoluzione mostra il proprio carattere popolare e di massa, più diventano insufficienti i canali della cultura tradizionale. Il giornale, e non il libro, è il supporto adeguato, con i suoi 2 requisiti indispensabili: accessibilità economica e accessibilità linguistica. La professione di giornalista si libera dell’antica soggezione dei confronti della cultura più elevata; all’ombra della rivoluzione conquista l’orgoglio, la dignità e la presunzione di un ruolo unico ed insostituibile di orientamento e direzione delle grandi masse. Rispetto alla raccolta esterna di notizie prevale nei fogli della rivoluzione l’esposizione di contenuti ed idee che provengono dall’interno della redazione.
Il giornale di Brissot, pur conservando le 2 colonne (il Times ne ha 4) fa un maggiore uso delle titolazione, esce con supplementi, ha una rubrica di lettere al direttore e ricorre a collaboratori fissi. Camille Desmoulins pubblica Les Rèvolutions de France et de Brabant, un settimanale che fin dal titolo esprime la coscienza storica dei mutamenti in atto, attraverso la prosa ironica e controllata. La folla e la piazza hanno ormai conquistato un potere antagonista a quello delle istituzioni; la stampa è l’unica autorità in grado di incanalare quel potere e dunque diventa potere essa stessa. I giornalisti parigini appaiono ben consci del nuovo ruolo che la nascita di un’opinione pubblica moderna conferisce loro. Nasce poi un altro dei fogli storici della Rivoluzione: L’Ami du Peuple di Jean Paul Marat. Questo settimanale di 8 pagine è più populistico e sensazionalistico di quello di Desmoulins; è il classico esempio del nuovo tipo di giornale creato dalla rivoluzione: quasi un volantino di agitazione, pressoché privo di informazioni, il cui scopo principale è fare appello alla mobilitazione contro coloro che sono indicati come i nemici del popolo. È la faccia più estrema del nuovo potere incarnato dalla stampa: la cultura della notizia è sostituita dalla propaganda strumentale. Jaques Hebert viene invece dal popolo; il periodico che fonda fa riferimento ad un noto personaggio della cultura popolare parigina: una macchietta sempre pronta a scagliarsi contro l’ingiustizia. È un trisettimanale che cerca di mantenere uno stile aggressivo simile a quello di Marat, ma soprattutto un largo ricorso a vignette, proverbi e canzoni. Questo periodico riscuote successo sia tra la gente del popolo sia presso i parigini più colti. Ben presto la Rivoluzione francese si trova ad incontrare lo stesso nodo di quella americana: la libertà di stampa, che è stata strumento e conquista del movimento, rischia di metterlo in crisi nel momento del riflusso e della divisione interna:
I foglio giacobini, d’altra parte, si appoggiano sempre più al nuovo governo rivoluzionario guidato da Robespierre; per la stampa indipendente gli spazi si restringono inesorabilmente: per gli esclusi dagli ambienti governativi è il Terrore: Hebert e Desmoulins seguono la sorte di Brissot. La caduta del governo di Robespierre dovrebbe produrre per la stampa le condizioni per un ritorno alla normalità. A differenza delle 2 che l’hanno preceduta, la Costituzione del 1795 approva il principio della libertà di stampa, escludendola dai diritti fondamentali sanciti nei primi articoli, e prevede la possibilità di restrizioni provvisorie in casi d’emergenza. Ma la realtà è assai lontana da una normalizzazione delle basi giuridiche che regolano la vita di giornali e giornalisti: a Parigi sopravvivono pochi periodici politici, il giornale leader rimane Le Moniteur, esempio di una stampa ufficiale sovvenzionata dallo stato, che ha adottato il grande formato del Times inglese. Per la stampa indipendente la situazione rimane proibitiva. Quando Napoleone Bonaparte assume il potere con un colpo di stato, le condizioni di esistenza si fanno ancora più difficili. Durante la campagna d’Italia ha pubblicato e curato personalmente un Courier de l’armée d’Italie, durante quella d’Egitto un Courier de l’Egypte, che si sono rivelati fondamentali per creare il mito delle proprie invincibili capacità militari e accreditargli così fama e prestigio in patria. Napoleone conosce quindi la potenza dei giornali ed è convinto della necessità dei metterla sotto controllo per assicurare fondamenta solide alla propria autorità. La progressiva restrizione della libertà di stampa accompagna quindi da vicino le tappe successive della sua scalata al trono imperiale. Un decreto riduce il numero dei periodici parigini, successivamente viene reintegrata la censura sui libri ed in seguito sui periodici. Si tratta di una situazione ritornata praticamente simile a quella di antico regime. I giornali superstiti sono le vecchie testate prerivoluzionarie. È significativo che a Parigi il quotidiano leader sia Le Moniteur: simbolo di uno spregiudicato opportunismo imprenditoriale che, dopo aver conquistato il ruolo di editore giornalistico di fiducia dell’antico regime, è saltato in modo disinvolto, anche se con cautela, sul carro della rivoluzione, senza mai correre il rischio di affidare alla stampa le proprie idee, ma rimanendo sempre all’ombra del potere esecutivo. Questo giornale, che conserverà a lungo il privilegio di pubblicare gli atti del governo, incarna un modello di stampa periodica erede diretta dei giornali in livrea dell’età prerivoluzionaria: voce ufficiale delle istituzioni e spesso alibi per mascherare il bavaglio imposto all’altra stampa effettivamente libera ed indipendente. Le Moniteur è importante non solo per la rapida conversione e sottomissione della testata al nuovo potere, ma anche per l’uso di una titolazione particolarmente aggressiva che ricorre largamente ad immagini metaforiche ad effetto di pronto consumo.
Nonostante la stretta autoritaria imposta da Napoleone, gli effetti della Rivoluzione francese sulla stampa travalicano i confini nazionali. Si diffonde in Europa una ventata rivoluzionaria che trova nella stampa il proprio veicolo essenziale. In modi più moderati e in dimensioni minori si verifica lo stesso processo di fondazione di un’opinione pubblica intesa in senso moderno. Negli stati tedeschi il giornale-simbolo di questo passaggio è il Rheinischer Merkur, autorizzato dalle autorità in funzione napoleonica. La battaglia contro il pericolo di una dominazione straniera si trasforma rapidamente nella rivendicazione di un’indipendenza nazionale intesa anche in senso austriaco. Questo giornale verrà poi soppresso in seguito alla sua controllata critica alle risoluzioni del congresso di Vienna. Successivamente la Dieta degli stati tedeschi stabilisce una stretta repressiva sulla stampa, di nuovo costretta sotto un rigido regime di privilegio statale:
È solo con l’ascesa al trono di Federico Guglielmo IV che sembra aprirsi una nuova fase: l’attenzione della censura si mitiga ed il governo prussiano tollera la fondazione di nuove riviste. Tra queste c’è anche un quotidiano diretto da Karl Marx, che gli conferisce uno spiccato carattere politico con articoli che non esitano ad affrontare il tema della libertà di stampa. In seguito anche questa rivista incappa nella censura. Ci vorrà la rivoluzione del 1848 perché negli stati tedeschi si possa assistere ad una nuova fioritura della stampa: Federico Guglielmo IV sarà, infatti, costretto ad abolire la censura. In questo periodo emerge anche la figura intraprendente e sfaccettata di Bernhard Wolff: sarà sua la prima agenzia telegrafica tedesca. Molti di questi fogli sopravvivono alla restaurazione e sono al centro del dibattito politico che si svolge nel decennio successivo e che prepara l’unificazione. La nuova costituzione prussiana mantiene l’abolizione della censura preventiva e regola la libertà di stampa attraverso norme di difesa dell’interesse pubblico per le quali i periodici possono essere perseguiti a posteriori. Una legge successiva regola l’apertura di nuovi giornali prevedendo una licenza sopprimibile, una cauzione in denaro e l’obbligo di deposito presso gli uffici competenti di una copia per ogni numero. Se la dura repressione della prima parte dell’800 è riuscita ad evitare negli stati tedeschi lo sconvolgimento della Rivoluzione, il moto del 1848 lascia invece una traccia indelebile negli ordinamenti prussiani. Da allora in poi, infatti, la stampa conquista un ruolo stabile nella vita politica non solo come portabandiera delle rispettive posizioni, ma anche come centro di aggregazione per movimenti e partiti.
Viceversa, gli stati italiani subiscono in pieno il contagio della Rivoluzione. A differenza della stagione vissuta dalla stampa periodica francese, largamente centralizzata su Parigi, in tutto il centro-nord della penisola si sviluppa un moto diffuso ed uniforme, che, ad eccezione di Roma e Napoli, esclude il Mezzogiorno. L’influsso della Rivoluzione è subito evidente: le riviste che si rifanno al modulo del giornale dei letterati o chiudono o diventano portavoce dell’opinione legittima e conservatrice, mentre si moltiplicano i fogli di notizie con le cronache dell’Assemblea nazionale parigina. Si ha un incremento del numero di periodici: si tratta essenzialmente di fogli che escono 2/3 volte a settimana (ma non mancano alcuni quotidiani, come il Monitore fiorentino) con una tiratura limitata; li accomuna una prepotente vocazione politica, con violenti attacchi alle istituzioni e al potere oligarchico delle associazioni di nobili conservatori. Ne deriva un mutamento significativo nei criteri di impaginazione e quindi di gerarchizzazione delle informazioni: per la prima volta le notizie estere passano in seconda linea rispetto a quelle di politica interna. In seguito esce il Monitore Napoletano, giornale diretto, circostanza significativa, da una donna: Eleonora Fonseca Pimentel, che finirà sul patibolo. Questo periodico ricorda, fin dal titolo, le origini parigine, rafforzate dal motto 'libertà egualianza' che accompagna la testata. Questa 'età dell’oro' della stampa periodica italiana si trova ben presto a fare i conti con Napoleone e le sue volontà di controllo sui giornalisti:
A Milano si stampa il Giornale Italiano, un quotidiano diretto da Vincenzo Cuoco, il primo a presentare una struttura articolata in rubriche secondo una chiara gerarchia di contenuti: politica, realtà socio-economica, arti e varietà. Questa fase aurorale del giornalismo italiano mette in mostra una stretta dipendenza dall’esempio francese e dall’evento rivoluzione: una circostanza che sviluppa una peculiare vocazione della stampa periodica nazionale alla pedagogia politica (piuttosto che al servizio informativo del lettore), destinata a segnarne a lungo ed in profondità l’evoluzione successiva. Ma esempi come quello del giornale di Cuoco dimostrano anche la penetrazione, seppur minoritaria, di un’altra e più moderna idea della stampa come mezzo di comunicazione votato al soddisfacimento delle molteplici esigenze del suo pubblico, che non si limitano all’informazione politica d’attualità. Questa seconda e più moderna idea della stampa, che mette insieme il vecchio giornale dei letterati e la nuova gazzetta rivoluzionaria, presuppone una dimensione tecnica e finanziaria più ampia, funzionale ad una presenza sul mercato del consumo di notizie non più garantita dal regime di privilegio e dalle sovvenzioni statali. Questi aspetti di novità sopravvivono alla Restaurazione. Molti periodici escono sotto il controllo dei governi restaurati che da Napoleone hanno appreso la coscienza della forza incarnata dai giornali. A Milano il regime austriaco incoraggia il varo della Biblioteca Italiana, un mensile al quale collaborano poeti come Foscolo e Monti, che tenta di rispolverare i fasti del giornalismo letterario dedicandosi a temi eruditi, ma introducendo la novità, almeno in Italia, del pagamento dei collaboratori. In aperta concorrenza con la Biblioteca, un affilato alla setta segreta della Carboneria, Silvio Pellico, fonda Il conciliatore, un bisettimanale detto anche 'foglio azzurro', per il colore della sua carta. Il nuovo periodico è articolato in 4 sezioni che ricordano quelle del giornale di Cuoco: le scienze morali, la critica letteraria, le arti e le scienze agricole e manifatturiere, le varia. Manca naturalmente la politica, vietata dalla censura austriaca, ma soprattutto si svolge una sotterranea opera di propaganda della cultura dei Lumi che contrappone al classicismo della Biblioteca la nuova cultura del romanticismo. La crescita dell’opinione pubblica innescata dai sommovimenti della Rivoluzione ha segnato un decisivo salto di qualità nella definizione professionale del giornalismo: un mestiere che è fatto dalla capacità, non solo linguistica, di saper divulgare e popolarizzare i contenuti della politica e della cultura, ma anche dalla qualità imprenditoriale di confezionare e modificare in corso d’opera un prodotto adatto ai gusti e alla preparazione di un pubblico assai vasto. Nemico dichiarato di Pellico è Francesco Pazzi che, con assai minore intraprendenza imprenditoriale e molto più servilismo, è un po’ l’equivalente di Panckoucke: uno dei primi giornalisti italiani la cui carriera si svolge interamente all’ombra del potere, qualunque esso sia. In seguito Il Conciliatore viene soppresso ed il suo animatore incarcerato. Per molti aspetti la Milano dell’età della Restaurazione rappresenta la capitale italiana dell’editoria. Nella Torino dei Savoia, la Gazzetta Piemontese continua a vivere come organo ufficiale del ministero degli esteri non mutando in niente il rigido ambito internazionale e dinastico delle proprie notizie. L’arte tipografica assiste all’ascesa di un nuovo editore, Giuseppe Pomba, che per primo ha l’idea di una biblioteca popolare composta da volumi a bassissimo prezzo. Il successo dell’iniziativa consente a Pomba di sviluppare una vera e propria industria editoriale: ne escono anche raccolte periodiche di scritti di scienza ed economia che tengono aperti i canali culturali con l’Europa. Con gli stessi propositi e la stessa funzione di Pomba, Giampietro Vieusseux fonda nella Firenze del Granduca l’Antologia, un periodico in cui l’erudizione letteraria lascia sempre più spazio alla discussione tecnica, dell’economia e della società agricola, ma anche a discipline nuove come la pedagogia. La discussione pubblica tra classicismo e romanticismo lascia il posto alla penetrazione di una cultura scientifica che mette al centro il valore dell’utilità sociale della conoscenza. L’imparzialità e la giustizia menzionate da Vieusseux ricordano i principi proclamati a Londra più di un secolo prima da Buckley. A cavallo tra la divulgazione scientifico-letteraria e la pedagogia politica il ruolo del gazzettiere conquista un proprio spazio definito, sul quale gravano ancora molti pregiudizi del passato ed una considerazione minore rispetto all’intellettuale. Appare indispensabile una capacità di scrittura semplice e fatta per il pubblico. Attraverso la stampa una parte sempre più ampia di popolazione entra in contatto reciproco, si scambia idee ed informazioni. Si ha un graduale consolidamento di una deontologia professionale, che quasi diventa un’ideologia giornalistica fondata su criteri di obiettività e completezza.
LA TECNOLOGIA (1800 – 1850)
A sostenere i nuovi sviluppi della professione giornalistica concorre in misura decisiva una rivoluzione tecnologica. Per 3 lunghi secoli l’arte della stampa è rimasta immobile, ferma agli strumenti e alle tecniche adoperate da Gutenberg. Il pubblico cui si rivolgeva è cresciuto lentamente, grazie ai processi di alfabetizzazione e di miglioramento delle condizioni di vita; questo è stato permesso anche dalle stesse rivoluzioni inglese, americana e francese. Leggere è diventato un’esigenza vitale e questa nuova necessità sociale di consumo si rivela un potente acceleratore per la ricerca di innovazioni tecniche capaci di incrementare il volume e la rapidità della produzione di carta stampata. La storia dei mezzi di comunicazione conosce nel corso degli ultimi 2 secoli una serie di rivoluzioni tecnologiche. La prima di queste rivoluzioni è quella che tra gli anni 10 e 40 dell’800 vede l’applicazione su vasta scala del torchio a vapore e del telegrafo: 2 innovazioni decisive, rispettivamente, per l’incremento della produttività e la riduzione delle distanze. Friedrich Köning, a Londra, deposita il brevetto per un torchio di stampa che utilizza, anziché la forza umana, com’è stato fatto finora, l’energia del vapore. La macchina inventata da Köning si chiama pianocilindrica e rinnova radicalmente i sistemi di stampa. Adesso il foglio di carta ruota su un cilindro che, muovendosi avanti e indietro parallelamente al terreno, lo porta a contatto della forma con i caratteri, posta su un altro carrello. Ad ogni giro di macchina il rullo che trasporta il foglio si blocca e torna indietro, posizionandosi sul nuovo foglio da stampare. Questa innovazione quadruplica addirittura la produttività. La protesta operaia è immediata e molto forte. Per la sua elevata qualificazione culturale e la sua alta specializzazione, il sindacato dei tipografi è una delle prime e meglio organizzate associazioni di lavoratori in tutta Europa. Ma grazie ad un’accorta politica di aumenti salariali, John Walter II, nuovo direttore del Times, giornale in cui si effettua il primo esperimento della macchina di Köning, riesce a superarne le resistenze e si pone all’avanguardia del cambiamento. In seguito la macchina pianocilindrica viene utilizzata nella stampa di volumi. Poi viene perfezionata portandola a 4 cilindri. Pomba, lo stampatore torinese, la introduce in Italia e grazie ad essa realizza i volumi a basso costo della sua biblioteca popolare. La produzione di inchiostro, finora realizzata artigianalmente in casa, migliora studiando un nuovo inchiostro tipografico più adatto ai ritmi e ai movimenti delle macchine a vapore. In seguito una nuova macchina fonditrice di caratteri innalza verticalmente i ritmi produttivi. L’applicazione dell’energia a vapore riduce di circa un quarto i costi di produzione, il che permette ai giornali di ridurre il prezzo delle copie.
La sequenza delle innovazioni prosegue anche fuori della Gran Bretagna, culla della rivoluzione industriale. Friedrich Gottlieb Keller mette a punto una macchina capace di triturare e macerare il legno fino a ricavarne una pasta omogenea: la nuova carta è più deperibile, ma più facilmente stampabile. Intorno agli anni 40 compare un’altra innovazione rivoluzionaria: la rotativa; stavolta l’impulso viene da oltre Atlantico. Richard Hoe perfeziona una macchina per la stampa a più cilindri che, invece di fogli singoli, utilizza un nastro continuo di carta. Ad essa si affianca una nuova tecnica di stampa, la cosiddetta stereotipia: un cartone inumidito viene passato sulla matrice di caratteri in modo da rimanere impresso con un’intera pagina di giornale e poi spalmato di metallo fuso. Il foglio metallico rotondo così ottenuto viene agganciato ad un cilindro portaforma sul quale, grazie alla pressione di 8 cilindri, passa il nastro di carta da stampare. La rotativa si afferma ben presto come nuovo standard produttivo.
Samuel Morse negli anni 30 perfeziona un sistema di trasmissione via filo degli impulsi elettrici: il telegrafo; Morse elabora anche un codice binario di impulsi brevi e lunghi (punti e linee): ogni sequenza dei quali corrisponde ad una lettera dell’alfabeto. Per più di un secolo, fino all’avvento della radio e del telefono, l’alfabeto Morse fissa uno standard internazionale della comunicazione a distanza. Nel vecchio continente l’innovazione si trasmette senza ritardi. In seguito viene messo a punto un trascrittore del codice Morse. Gli effetti del telegrafo sulla stampa sono immediati e dirompenti:
L’aumento della massa di notizie disponibili mette in difficoltà anche i maggiori organi di stampa, preoccupati di non riuscire ogni giorno ad accogliere e selezionare questa miriade di informazioni. Per far fronte a questo problema nasce un nuovo soggetto: l’agenzia di stampa. A Parigi Charles Louis Havas fonda un’agenzia di traduzione dei più importanti articoli comparsi sulla stampa estera ad uso e consumo dei diplomatici francesi. In seguito nasce in lui l’idea di allargare questo servizio informativo: con un sistema di piccioni viaggiatori riesce a procurarsi ogni giorno i corsi della Borsa di Londra, che rivende ai giornali parigini. Invece di farsi pagare in denaro, riscuote dai giornali spazi pubblicitari che poi rivende ad industriali e commercianti, ricavandone guadagni molto più alti. Il binomio notizia-pubblicità costituisce la solida base di una vita duratura: l’agenzia Havas deterrà per oltre un secolo posizioni di forza sull’intero scenario mondiale. Nel vecchio continente compare per la prima volta un’idea compiutamente commerciale della notizia come valore di scambio. La stampa è diventata veicolo e strumento per l’ascesa sociale del ceto medio-basso. A Berlino è il direttore della locale società del telegrafo, Bernhart Wolff, a fondare l’agenzia Wolff, prima agenzia di stampa del mondo tedesco che si fonda principalmente sullo sfruttamento del telegrafo. Le linee telegrafiche sono infatti proprietà di privati che detengono il monopolio delle notizie da esse trasmesse in codice Morse. Paul Julius Reuter crea a Londra l’agenzia Reuter che dapprima trasmette solo notizie finanziarie e poi si allarga a tutto l’insieme dell’informazione. A Torino Guglielmo Stefani fonda l’agenzia Stefani, un’agenzia minore collegata ad Havas che si limita ai comunicati ufficiali del governo piemontese. Queste agenzie di stampa, dominando il sistema di raccolta e trasmissione delle notizie, diventeranno partner obbligatori per tutta la stampa periodica. Significativamente diverso è il processo che negli Stati Uniti conduce alla formazione delle prima agenzie di stampa: sono i 6 maggiori quotidiani di New York a trovare l’accordo per la costituzione di un’agenzia in comune: l’Associated Presse. Ad essa fanno seguito, negli anni successivi, associazioni analoghe in altre metropoli degli Stati Uniti. La vicenda americana mette in evidenza, anziché la penetrazione concorrenziale antagonistica di un nuovo soggetto privato, lo sforzo cooperativo della stampa per integrare in senso verticale la propria organizzazione produttiva. Per ragioni oggettive la nascita dell’agenzia di stampa esercita un ruolo di raffreddamento del tono giornalistico che separa accuratamente i fatti e le opinioni.
Nel vecchio continente il tornante del 1848, quando le idee rivoluzionarie tornano sulle barricate, segni una nuova svolta periodizzante. In Italia i decenni della Restaurazione hanno visto una grande affermazione della stampa popolare, moralistica e divulgativa; nascono lunari e almanacchi con notizie utili per i cittadini, settimanali con racconti e letture edificanti. Il Contemporaneo è il primo periodico dello Stato Pontificio, stampato a Roma. Si rafforza in questa stagione pre-rivoluzionaria la vocazione della stampa italiana alla pedagogia. Prende piede un modello di giornalismo con una peculiare venatura paternalistica, educativa, scopertamente volta al controllo sociale dei ceti popolari attraverso un’opera di egemonia etico-culturale che lascia molto sullo sfondo le funzioni di servizio informativo. Anche nella forma più estrema di modello democratico, incarnata dalla Giovine Italia stampata da Giuseppe Mazzini, permane una vocazione missionaria e pedagogica, sia pure accompagnata da una consapevolezza del ruolo pubblico del giornalismo. A rompere questo quadro interviene Il Risorgimento, quotidiano diretto a Torino dal conte Camillo Benso di Cavour, che fin dal titolo riflette una precisa impostazione politica a favore dell’unità e dell’indipendenza italiana. Il grande formato a 3 colonne mostra la chiara volontà di imitare i quotidiani inglesi che Cavour ha avuto modo di conoscere nei suoi viaggi. Lo Statuto Albertino del re Carlo Alberto riconosce la libertà di stampa, richiamandosi alle leggi ordinarie per punire gli abusi e abolendo la censura preventiva. Di lì a pochi giorni anche il re delle 2 Sicilie proclamerà la libertà di stampa. A Torino e a Napoli la censura preventiva rimane in vigore solo per le materie religiose e ristretta alle autorità ecclesiastiche. Una nuova legge piemontese istituisce l’obbligo del colophon sulle pubblicazioni e per i periodici introduce la figura del gerente responsabile al quale si estendono automaticamente i reati commessi dagli articoli stampati. Questi ultimi vengono definiti in modo largo ed inclusivo, che lascia ampio spazio alla discrezionalità del giudice. Appena un po’ meno restrittiva è la legge toscana sulla stampa che non contempla tra i reati previsti la propaganda antimonarchica e repubblicana. Questa cauta apertura alla stampa suscita una nuova fase espansiva. Rispetto all’ondata precedente del triennio giacobino sono mutati il formato (ormai lo standard consolidato è il grande formato dei giornali inglesi) e l’impaginazione (quasi sempre a 3/4 colonne); non la periodicità (che oscilla tra il quotidiano ed il trisettimanale) e il numero delle pagine (compreso tra 4 e 6). Il vecchio formato è rimasto appannaggio dei settimanali. I criteri di gerarchizzazione delle notizie sono simili a quelli introdotti mezzo secolo prima nel periodo rivoluzionario. I quotidiani si aprono con un editoriale d’attualità. La prima pagina mutua dal modello inglese del Times uno sforzo di movimentazione della testata (caratteri diversi e più alti, simboli, marchi e slogan) e di segmentazione degli articoli con linee divisorie orizzontali. In molte città della penisola si fanno strada le associazioni dei tipografi. A Firenze i tipografi della casa editrice Le Monnier scioperano contro il tentativo padronale di introdurre la macchina di Köning. In larghissima parte, infatti, negli stati italiani la lavorazione è ancora manuale e la macchina pianocilindrica è estremamente rara. Inoltre non esiste ancora l’obbligo scolastico e il costo dei periodici è ancora alto. La mancanza di un pubblico di massa toglie il respiro all’impresa giornalistica; l’indebitamento dell’intero settore è molto forte. In tali condizioni è molto difficile che l’editoria dei periodici riesca a mantenere un’autonomia di profitti e remuneratività. Anche per questo il rapporto tra stampa e politica si fa più stretto e strumentale.
Dopo il soffocante bavaglio imposto da Napoleone anche la Francia è alle prese con il problema della libertà di stampa, che però stavolta di inquadra in una battaglia garantista più generale per la difesa dei cittadini da ogni eccessiva intromissione dello stato. La Rivoluzione ha messo in moto un processo di crescente complicazione del rapporto tra stampa e potere. I giornali non sono più soltanto un mezzo di comunicazione degli atti ufficiali compiuti dalle autorità, essi rappresentano l’unica mediazione possibile con quella nuova dimensione collettiva chiamata opinione pubblica. Essi amministrano anche una crescente fetta potere e di forza contrattuale che sono in grado di far valere nei confronti delle istituzioni. Come Napoleone ha saputo dimostrare giornali e giornalisti sono esposti e spesso interessati alla capacità di ricatto e di corruzione degli uomini politici che possono servirsene per i loro scopi. Sotto il duca di Berry la stampa francese conosce una relativa liberalizzazione:
Ma l’assassinio del duca di Berry conduce ad una nuova stretta repressiva. Una nuova legge assegna al parlamento la facoltà di giudicare l’esistenza o meno di reati a mezzo stampa che lo riguardano. Nel corso di questa stagione tormentata si afferma come quotidiano leader il Journal des debats, diretto da Louis Bertin con un tono di denuncia sociale e di opposizione moderata. Gli si contrappone Le Constitutionel dell’editore Bidault, quotidiano liberale e anticlericale che introduce alcune parziali novità: un editoriale di apertura, una rubrica fissa di resumé di articoli comparsi su altri periodici, la collaborazione stabile di scrittori e letterati. Nasce il feuilleton, il romanzo d’appendice, pubblicato a puntate ogni giorno, nel taglio basso della prima pagina: questa nuova contaminazione tra stampa e letteratura conosce in Francia una grande fortuna. Il romanzo d’appendice rappresenta una nuovo genere letterario che esemplifica i mutamenti introdotti dalla stampa come mezzo di comunicazione di massa:
Gli anni 30 vedono l’ascesa di una stampa più direttamente politica: inaugura il nuovo corso Le National, quotidiano dalla ferma impostazione monarchica ma antidinastica. È l’organo principale della battaglia contro il re che, oltre ad aver sciolto il parlamento e modificato la legge elettorale, ha istituito un rigido controllo governativo sulla stampa, facendo rivivere i fasti di Napoleone. Il cammino della stampa parigina non è facile:
Tuttavia la stampa parigina cresce in quantità e qualità e Parigi si afferma come la capitale europea della stampa quotidiana. Non si tratta solo di una fatto di quantità. Il panorama della stampa periodica francese si arricchisce inaugurando un nuovo genere di giornale: nasce La Caricature, settimanale di vignette satiriche. L’illustrazione acquista spazio e importanza accanto al testo tradizionale. Il messaggio, semplice e diretto, viene trasmesso da un mezzo accessibile anche agli analfabeti, con effetti devastanti: la lotta politica ha trovato una nuova arma, di pronta e indubbia efficacia. Nascono in questo periodo riviste importanti: La Revue des Deux Mondes che occupa uno spazio intermedio a cavallo tra la divulgazione culturale e l’intrattenimento; L’Avenir, rivista che sostiene le ragioni di un cattolicesimo meno conservatore e quelle della separazione tra chiesa e stato, che verrà condannata dal Vaticano; il mensile L’Atelier risuona dei motti della Rivoluzione (liberté, egualité, fraternité, unité), si tratta di uno dei primi periodici diretto e realizzato da operai e si ispira alle idee del socialismo utopista: una società fondata sul lavoro e sulla scienza, retta dal suffragio universale e da una religione anticlericale popolare e nazionale; Le Riforme prosegue il nuovo filone della rivista politica. La stampa diventa in questo caso uno strumento che serve a più scopi: la gestione del consenso presso la propria base elettorale, la battaglia di contenuti programmatici, la rappresentanza degli interessi di determinati gruppi sociali, la critica e l’attacco degli avversari.
È in questi anni tumultuosi di sviluppo della stampa che sale alla ribalta un personaggio destinato a riproporre, dopo Panckoucke, la figura dell’editore spregiudicato ed intraprendente: Émile de Girardin. Egli crea un settimanale provocatoriamente intitolato Le Voleur (Il ladro) che inventa la rassegna-stampa raccogliendo per argomento e riproducendo gli articoli scelti da altri periodici. in una fase di anarchia in materia di diritti d’autore, Le Voleur si dimostra un modo economico e utile di fare giornalismo. In seguito apre un’altra rivista, La Mode, in un settore ancora agli albori: quello della stampa femminile. Questa rivista si rivolge ad un pubblico ampio, che vi trova illustrate le maniere eleganti, il decoro, i gusti nel campo dell’abbigliamento. Avvia in seguito Le Journal des connaissances utiles, un settimanale che si occupa di suggerimenti concreti per l’agricoltura, di invenzioni, leggi, norme igieniche. È il prototipo di un giornalismo che punta sull’utilità come criterio discriminante: una variante inedita della nuova cultura della notizia, che ne sottolinea il carattere di valore di scambio e di merce di pronto consumo. Tutte le idee di Girardin sono accomunate dallo sforzo di rompere la separazione tra Parigi ed il resto della Francia per un allargamento del pubblico di lettori. Il successo è travolgente. In seguito annuncia il suo proposito più ambizioso: un quotidiano che costi la metà di quelli in commercio. Nascono contemporaneamente 2 nuovi quotidiani: La Presse di Girardin e Le Siécle di Dutacq; entrambi mantengono il proposito del prezzo basso grazie ai guadagni pubblicitari, ai quali viene riservata l’intera quarta pagina. Ma diversa è la loro collocazione politica: Le Siécle sostiene apertamente i principi della monarchia rappresentativa, mentre La Presse, pur appartenendo al campo repubblicano, non ha una tendenza politica definita e, anche per questa ragione, la stampa parigina reagisce con durezza contro quella che ritiene un’iniziativa bassamente commerciale. Dietro Girardin stanno, fisicamente e simbolicamente, le forze di un capitalismo nascente e aggressivo che in Francia assume le forme del potere finanziario, bancario e speculativo. Per la prima volta il giornalismo si colloca all’interno di un campo di forze triangolare i cui vettori sono rappresentati dal potere politico, da quello economico e dall’opinione pubblica. Con ognuno di questi vettori la stampa entra in un rapporto reciproco di contrattazione, in un gioco sempre più complesso di influenze e condizionamenti: la sua indipendenza e libertà diventa questione molto più complicata che in passato, quando aveva di fronte come avversario solo il potere politico. Nella Presse di Girardin viene individuato l’atto di nascita della stampa popolare o di massa. Va inserita in questo contesto la figura dell’abate Jacques Paul Migne, che fonda una vera e propria industria a ciclo integrato verticale, capace di produrre in pochi anni numerosi testi religiosi attraverso il controllo dell’intera lavorazione, dalla fusione dei caratteri di piombo alla rilegatura. Egli mette in campo un’organizzazione che controlla direttamente anche la distribuzione: i suoi clienti sono religiosi ai quali Migne sottomette periodicamente questionari per accertarne gusti e preferenze. Con le sue conoscenze rudimentali, egli anticipa, senza saperlo, 2 concetti fondamentali delle moderne tecniche di comunicazione:
Al di là di questa crescita del fenomeno pubblicitario, tra le voci da aggiungere al bilancio positivo dell’impresa di Girardin c’è anche il ruolo attivo delle donne: egli, infatti, ammette a lavorare in un suo periodico, sotto uno pseudonimo maschile, anche la propria moglie. Al quotidiano La Presse collaborano le migliori firme della letteratura francese. Per la prima volta i guadagni pubblicitari mantengono un peso più che rilevante nel bilancio, pari a poco meno di metà delle entrate totali. Girardin si impegna per fissare moduli rigidi per gli annunci, che sono tenuti a non oltrepassare gli spazi assegnati. Dal canto suo Le Siécle consegue risultati ancora migliori; il suo bilancio finale è particolarmente significativo per capire quanto il progetto di Girardin abbia fatto scuola. A metà dell’800 Charles Duveyrier fonda la prima agenzia francese di pubblicità. La sua idea è semplice: acquista in blocco gli spazi pubblicitari dei maggiori quotidiani parigini, ai quali garantisce un budget fisso di entrate annue, e li rivende agli inserzionisti privati a prezzi maggiorati. Per i giornali ciò significa, oltre ad una maggiore sicurezza e affidabilità dei bilanci di previsione, un’enorme semplificazione amministrativa. D’altra parte, l’agenzia di Duveyrier si limita ad occupare passivamente una posizione di guadagno molto favorevole per la stampa quotidiana ma assai meno vantaggiosa per gli inserzionisti. In queste condizioni di crescita e di forze la stampa arriva al drammatico tornante del 1848: il governo provvisorio rivoluzionario fa sì che la libertà di stampa torni ad essere pressoché totale; si verifica allora un’esplosione di nuovi periodici. Ma si tratta di una stagione breve: diversi periodici vengono soppressi, Girardin arrestato, tutta la vecchia normativa ripristinata. Unico ma importante punto a favore: la nuova costituzione non ristabilisce la censura preventiva sulla stampa.
LA PENNY PRESS (prima metà dell’800)
La vicenda francese è probabilmente una delle più tormentate nel panorama della prima metà dell’800. La spinta rivoluzionaria del 1789 ha conosciuto la repressione del primo Impero, ma è poi riemersa in 2 tappe successive, nel 1830 e nel 1848, con esiti opposti. Nel giro di 50 anni il distacco accumulato rispetto alla stampa inglese nei 2 secoli precedenti è stato abbondantemente colmato. Il raffronto tra le 2 situazioni nazionali è interessante per più di un motivo; per molti aspetti, infatti, la stampa periodica inglese appare in netto anticipo su quella francese. Ne è un esempio il primo settimanale operaio che appare in Gran Bretagna molti anni prima che in Francia. Ma è la stampa periodica non quotidiana a costituire il vero punto di forza del giornalismo inglese ed è tanto più significativa perché il suo sviluppo avviene in un regime di crescenti restrizioni. Agli inizi dell’800 il parlamento approva delle leggi che aumentano sia la tassa sul bollo sia le pene previste per la stampa ritenuta colpevole di invito alla rivolta. Si rinnova quindi la battaglia tra giornalisti e istituzioni. Tornano a fiorire gli unstamped papers, i fogli illegali privi del regolare bollo fiscale e venduti a basso prezzo, che propagandano l’evasione degli obblighi di legge come forma di lotta contro le tasse sulla conoscenza e per la libertà di stampa. Ma nel corso degli anni 30 nascono anche nuovi periodici alla luce del sole, come The Penny Magazine, settimanale illustrato impegnato a fondo nel movimento per l’istruzione popolare e per il suffragio universale. È anche per merito della battaglia sostenuta da queste riviste che successivamente si riduce la tassa sugli annunci pubblicitari e quella sul bollo. A questo risultato non sono estranee le pressioni dei nuovi ceti imprenditoriali saliti alla ribalta con il processo di industrializzazione del paese. Industriali e commercianti sono naturalmente interessati alla conquista di spazi pubblicitari a buon mercato sulla stampa periodica, che rimane il mezzo di comunicazione più diffuso ed efficace: in seguito le imposte sulla pubblicità nella carta stampata verranno abolite. Già agli inizi dell’800 è conosciuta e criticata la pratica del puff (soffietto): vale a dire la pubblicità nascosta in articoli di informazione. I privati sono disposti a pagare molto e sottobanco per questo servizio di annuncio indiretto che viene ritenuto assai più efficace dell’inserzione normale e molti giornalisti sono disposti ad arrotondare il loro stipendio accettando di manipolare il contenuto dei loro pezzi. È vero anche che la prima agenzia di pubblicità viene aperta a Londra, in netto anticipo su quella francese, ma è anche vero che nei bilanci della stampa quotidiana inglese la pubblicità non ha ancora il ruolo decisivo che detiene in quella francese. In Gran Bretagna la stessa spesa che viene destinata alla pubblicità sui giornali viene rivolta ad altri tipi di pubblicità esterna (manifesti murali, uomini-sandwick, scritte sulle carrozze). In Gran Bretagna il punto d’arrivo della battaglia tra stampa e istituzioni è il nuovo Libel Act che libera dall’obbligo della prova il giornalista autore di articoli di denuncia contro funzionari statali nell’esercizio delle loro funzioni: è il riconoscimento più importante della funzione esercitata dal 'quarto stato' incarnato dalla stampa. La definizione di quarto stato con cui lo storico Macaulay indica i giornalisti contiene un preciso significato di classe sociale: la stampa viene vista come il rappresentante di un ceto diverso dall’aristocrazia che ha finora detenuto in modo esclusivo il controllo delle istituzioni. Ma il Libel Act è importante anche sul piano giuridico: attraverso il riconoscimento della stampa passa un processo di democratizzazione che intacca il carattere sacrale delle istituzioni e le sottopone ad una vigilanza esterna. Grazie alla capacità di condizionare ed orientare l’opinione pubblica, la stampa ha conquistato un peso politico che tuttavia viene esercitato dai giornalisti secondo logiche ed interessi che non sempre coincidono con la rappresentanza della volontà popolare (corruzione). La definizione della stampa come 'quarto stato' si fonda su un equivoco che non tiene conto dell’autonomia relativa del mestiere giornalistico e dell’esagerato credito di cui spesso si riveste nel presentarsi come la diretta espressione della voce del popolo.
Non a caso questa stagione della stampa periodica inglese vede anche il fiorire della satira politica illustrata. Sull’esempio francese, esce Punch, rivista umoristica le cui vignette prendono in giro i politici e le manie e l’ipocrisia dell’aristocrazia britannica. Successivamente appaiono anche le Illustrated London News. La stampa giornaliera partecipa solo in parte a questa fase di espansione: i quotidiani inglesi sono grosso modo la metà di quelli francesi. È di John Walter II (secondo direttore del Times) la decisione di inviare all’estero corrispondenti fissi, residenti e regolarmente stipendiati: un’innovazione importante perché:
La fama del Times comincia a crescere, alimentata dal mito della sua indipendenza dal potere politico e della sua scrupolosa aderenza ai fatti. A questo mito se ne aggiungono presto altri, relativi alla figura del giornalista, che ancora alla metà dell’800 continua a godere di una reputazione molto dubbia e di una considerazione bassa nell’opinione pubblica. John Delane, redattore capo del Times, incarna una diversa figura di giornalista che mette in pratica al meglio l’imperativo delle cinque W, educando i collaboratori del giornale ad una moderna cultura della notizia fatta di concisione ed accuratezza. Si viene affermando uno standard d’indipendenza ed autorevolezza che riflette il tono politico di fondo del giornale, sostanzialmente conservatore.
I progressi che la stampa compie in Inghilterra si riflettono anche alla periferia dell’impero britannico. Con il Charter Act è riconosciuta ai missionari della chiesa anglicana e di quella presbiteriana la facoltà di insediarsi stabilmente nelle colonie. Nascono così i primi periodici in lingue locali a Calcutta, Bombay, Delhi. Se in India la prima metà dell’800 vede l’affermarsi di una tendenza al protagonismo della società locale, in altre zone l’iniziativa degli europei appare ancora dominante: è il caso della Cina e dell’Africa. Diverso è invece il caso del mondo arabo, dove la tipografia compare agli inizi del 700 e si diffonde poi con lentezza. Sono però tutti fogli che è difficile interpretare come sintomi di una crescita effettiva dell’opinione pubblica indigena, perché sono in larga misura espressione di un’influenza coloniale.
Negli Stati Uniti manca un punto di riferimento così ingombrante come il Times londinese. Tocqueville rileva della stampa americana almeno 2 peculiarità in rapporto alla situazione europea:
Noah Webster dirige a New York il Commercial Advertiser, un quotidiano che inaugura negli Stati Uniti la pratica dell’editoriale fisso nella prima pagina di ogni numero. L’articolo di fondo, firmato dal direttore o non firmato, esprime la linea ufficiale del giornale, ne condensa l’orientamento politico, contiene le prese di posizione più importanti. Una volta raggiunta la presidenza Jefferson apre la strada ad una grande espansione della stampa periodica. La circolazione dei quotidiani è ridotta e locale, in compenso però la stampa arriva dappertutto. La tiratura limitata non suscita quindi grandi esigenze sul fronte della tecnologia di stampa: la prima macchina pianocilindrica compare in America in significativo ritardo sul vecchio continente.
All’inizio degli anni 30 il quotidiano leader di New York è il Courier and Enquirer, un giornale con più pagine di quelli europei (si arriva alle 12/14), rivolto ad un pubblico colto e ristretto, in concorrenza feroce per la vendita degli spazi pubblicitari che possono trovarsi anche sulla prima pagina. Compare poi un nuovo trisettimanale, il New York Morning Post, che si affida alla novità degli strilloni per strada. Lo dirige Horace Greeley, che sembra l’equivalente americano di Girardin. Greeley crea un altro quotidiano, il New York Tribune, che inaugura il filone dei giornali alla metà del prezzo degli altri. Il nuovo quotidiano si nutre di un’ideologia politica ben definita: una sorta di socialismo patriottico sui generis che concepisce l’idea di una comunità urbana corporativa, fondata sull’unione delle classi sociali nella produzione e nel consumo. Ad essa Greeley aggiunge il mito nazionale della frontiera come luogo delle opportunità. Protezionista, antischiavista, difensore dei sindacati operai e dell’America rurale: in Greeley si ritrova il tipico tema dei diritti individuali, ma anche una forte critica del libero mercato capitalistico, capace nella sua anarchia di annullare le virtù della cooperazione e della solidarietà. Greeley si conquista il ruolo di pubblica autorità morale, grazie anche al suo settimanale Weekly Tribune che si guadagna il soprannome di 'grande organo morale'; al quale collabora anche Marx. Il Tribune inaugura un nuovo genere giornalistico: per la prima volta la stampa non si limita a registrare ciò che avviene nella realtà, ma provoca attivamente uno pseudo evento: l’incontro registrato fra un giornalista ed un’altra persona. Per la prima volta compaiono su un giornale domande e risposte: le virgolette delimitano le parole dell’intervistato. Nasce così uno dei rituali strategici fondamentali del giornalismo moderno: la citazione diretta della fonte come prova di attendibilità e obiettività del giornalista, che lascia la parola al testimone. La novità che l’intervista rappresenta viene però oscurata dalle polemiche, in quanto emerge per la prima volta il tema della privacy: del rapporto conflittuale tra la libertà della stampa e quella personale del cittadino. Finora la legge ha affrontato questo tema dal punto di vista delle offese che il giornalismo può recare ai privati; l’esistenza di zone proibite all’accesso della stampa ha riguardato, solo in Europa e non negli Stati Uniti, soltanto i luoghi istituzionali e soprattutto la riservatezza dei dibattiti parlamentari.
A differenza del suo coetaneo Girardin, Greeley è quindi un giornalista politicamente schierato, che crede profondamente nelle qualità educative della stampa: un giornalista, quindi, più europeo che americano. Tra i 2 il più piegato alla logica del profitto e della notizia come merce appare senz’altro Girardin. Il Tribune di Greeley si colloca all’apice di una lunga stagione, quella della cosiddetta penny press, della stampa al prezzo di un penny, ufficialmente avviata molti anni prima da The Sun, prodotto a basso costo grazie ad una macchina pianocilindrica mossa a mano. Si tratta di una testata che torna al piccolo formato e sottolinea la sua ferma intenzione di una stampa popolare, non solo per prezzo ma anche per contenuto. The Sun supera il numero di copie vendute del Times: nella stampa statunitense è in atto una rivoluzione. È certo che una grande distanza separa la penny press dal giornalismo pedagogico e moraleggiante di Greeley, a tutto vantaggio delle funzioni di servizio informativo; ma, oltre alla drastica riduzione di prezzo, i cambiamenti che The Sun introduce nella formula tradizionale del quotidiano americano sono 2:
Questi fatti esercitano una forte attrazione nei confronti del pubblico in base a processi di empatia ed immedesimazione. La penny press scopre così la cronaca: nei fatti raccontati dai quotidiani chiunque può rispecchiare la propria personale esperienza; è in questo filo diretto con il lettore che la penny press, e dopo di lei ogni tipo di stampa sensazionalistica, trova le radici di una travolgente e permanente fortuna. Spesso la cronaca della penny press è cronaca nera, il che contesta una tradizione informativa solenne e moralistica, ma introduce una novità destinata a rimanere irreversibile nella storia del giornalismo: la brutta notizia è una buona notizia. Il motivo per cui la cronaca nera attira l’attenzione dei giornalisti è che le notizie negative sono facilmente consensuali e prive di ambiguità nell’accordo sull’interpretazione dell’evento come negativo. La cronaca di human interest segna l’ultima tappa del processo di gerarchizzazione delle notizie: dal prevalere di quelle internazionali (corantos) al dominio di quelle di politica interna (stampa rivoluzionaria e post-rivoluzionaria fra 700 e 800). La penny press compie un passo ulteriore: gli eventi e i personaggi delle sue pagine emergono spesso dalla vita cittadina, sono fisicamente vicini ai lettori e anche per questo sono da essi più riconoscibili. L’informazione diventa veicolo e fattore di identità comunitaria; si leggono i giornali anche per mantenere e rafforzare un’identità collettiva e sociale: esigenza particolarmente sentita in una società come quella americana fondata sulla mobilità e priva di un passato alle proprie spalle da condividere. La penny press contribuisce così a cambiare la cultura americana:
L’esempio dato dal Sun viene prontamente seguito anche a New York: esce il quotidiano The Morning Herald, diretto da James Gordon Bennett, che inaugura un nuovo genere di cronaca politica attenta anche ai dettagli dei personaggi. Anch’esso costa un penny, riserva 2 pagine alla pubblicità e dedica ampio spazio alla cronaca nera. È anzi il primo ad inaugurare la prassi di edizioni straordinarie in occasione di eventi di particolare rilevanza. Introduce poi altre significative novità:
più attenzione per l’informazione economica e finanziaria così come per quella sportiva
una rete di corrispondenti fissi (come il Times) che estende anche all’Europa
Bennett indica una nuova funzione del mestiere giornalistico: scoprire la notizia di human interest anche e soprattutto laddove non si pensa che esista, nelle pieghe più nascoste della vita quotidiana, delle storie personali più umili ed oscure ma proprio per questo più capaci di accendere l’interesse e la partecipazione emotiva del pubblico. Egli enfatizza con particolare vigore l’indipendenza del proprio giornale: la pratica degli strilloni, che la penny press lancia in sostituzione degli abbonamenti annuali, serve anche a svincolare il giornale dal controllo reciproco del proprio pubblico; ma ciò non toglie che quella di Bennett sia una versione particolarmente popolarista di giornalismo.
La crescente importanza e qualificazione della cronaca di human interest condiziona anche l’informazione politica più tradizionale. Un’altra novità introdotta dalla penny press è l’uso di cronisti stipendiati per andare a caccia di notizie; questa pratica nasce, infatti, con la cronaca locale. Con una sorprendente sincronia con quanto avviene negli stessi anni a Londra, la penny press rafforza, quindi, il mito del cronista di nera e delle sue peregrinazioni notturne nel ventre della metropoli moderna. La lezione del reporter di nera influenza anche il mestiere del cronista politico, che cerca di saltare i canali ufficiali della comunicazione per procurarsi notizie riservate attraverso fonti informali, anonime e segrete. Alla Camera americana la presenza dei giornalisti è libera, a differenza del Congresso inglese dove fino alla metà dell’800 vige un regime di esclusioni decretato volta per volta dall’assemblea. L’unione tra cronaca di human interest e informazione politica rompe i confini tradizionali tra pubblico e privato, riproponendo il problema della privacy.
L’impetuosa ascesa di Sun e Herald apre una fase di accesa competizione nella stampa quotidiana: inizia l’epoca del giornalismo personale. Adesso le testate si identificano strettamente con i loro direttori, nei confronti dei quali si moltiplicano gli attacchi di carattere personale, la cosiddetta guerra morale. Questa guerra morale agita il mondo del giornalismo newyorkese all’inizio degli anni 40. il conflitto tra vecchio e nuova stampa nasconde uno scontro di più vaste proporzioni tra sistema tradizionale e ceti borghesi alla ricerca spregiudicata di successo e ricchezza. Si può dire che in questo periodo quasi ogni famiglia della città americana abbia un penny paper in casa. La stagione della penny press si diffonde così alle altre città degli Stati Uniti. La loro impaginazione ricalca quella dei capostipiti. Negli spazi riservati alla pubblicità si moltiplicano le richieste di lavoro. Attorno agli annunci cresce un enorme volume di affari. La prima agenzia di pubblicità statunitense viene aperta in netto ritardo sulla Gran Bretagna e con qualche anno di anticipo sulla Francia e funziona al pari dei suoi omologhi europei. Gli stessi annunci commerciali cambiano natura, rivolgendosi al pubblico generale dei consumatori. I penny papers sono portatori di una nuova cultura della notizia come merce, il cui unico banco di prova è costituito dal mercato: trovare chi è disposto a comprarla rappresenta la verifica della qualità di un’informazione, appurarne la verità è compito del lettore. La stagione dei penny papers si chiude sotto un segno opposto a quello con cui è cominciata: il pubblico, infatti, comincia ben presto a stancarsi di un giornalismo troppo gridato e scandalistico, costantemente alla ricerca del fatto a sensazione, che viola la sfera privata delle persone. Non è a caso che nasce il New York Times, fondato da Henry Javis Raymond, nel quale ritorna l’ideale della credibility and fairness, opposto proprio alla passionalità che costituisce l’asse giornalistico della penny press. Questo quotidiano si guadagna, quindi, ben presto un vasto pubblico stanco degli eccessi dei periodici rivali. Nonostante la sua crescente inclinazione verso il partito repubblicano, motivata da una posizione fermamente antischiavista, il nuovo giornale si conquista rapidamente una solida reputazione di obiettività, grazie anche ad una diversa gerarchizzazione delle notizie che torna ad assegnare spazio e dignità all’informazione estera.
L’ETÀ DELL’ORO (seconda metà dell’800)
Nella seconda parte dell’800 la stampa periodica del mondo occidentale vive la sua età dell’oro. In questa età dell’oro la stampa conquista una propria collocazione organica entro un processo più generale di modernizzazione delle società nazionali. Gran Bretagna e Francia, insieme ai 2 nuovi stati di Germania e Italia, varano una serie di riforme:
In parallelo a questo processo di costruzione dello stato, marcia un processo di costruzione della società che passa attraverso:
Una seconda rivoluzione industriale conduce questi paesi a:
Si allarga così in modo irreversibile il fossato economico che separa il mondo occidentale dal resto del pianeta. Per studiare da vicino questi mutamenti sociali nasce una nuova scienza: la sociologia, che li inscrive all’interno di un passaggio epocale dalla comunità di villaggio e di paese (contrassegnata da relazioni personali faccia a faccia) alla società (governata da relazioni anonime e funzionali). In questa società spersonalizzata la stampa assolve un compito cruciale, che si inserisce a pieno titolo nel processo di costruzione della società:
La seconda rivoluzione industriale corrisponde così ad una seconda fase esplosiva delle tecnologie della comunicazione. A differenza della prima, questa seconda fase non ha alle proprie radici traumi e sommovimenti politici; al contrario, segue i ritmi di una graduale trasformazione della stampa in impresa capitalistica, legata alla logica del profitto e ad una concorrenza sempre più esasperata. Se vogliono sopravvivere, giornali e giornalisti devono crescere senza soste in efficienza e produttività: se non riescono ogni giorno a soddisfare le necessità e le inclinazioni di un pubblico di lettori in costante evoluzione, sono destinati al declino e alla chiusura. La stampa diventa così parte integrante dell’economia. La seconda fase esplosiva nella storia delle comunicazioni si configura come la risposta ad una crisi di controllo, che si verifica alla metà dell’800, ingenerata dal grande sviluppo dei mezzi di trasporto in velocità e diffusione. Allo stesso modo, le esigenze di controllo statistico e censuario della popolazione spingono verso l’adozione di tecniche più efficienti di archiviazione e recupero delle informazioni. Al seguito di questa rivoluzione del controllo, la stampa diventa così mezzo di comunicazione di massa nel pieno della sua età dell’oro di fine 800. Molti ritengono di collegare i mass media all’esistenza di una società ricca, in cui la maggioranza della popolazione è ormai libera dai problemi materiali della sopravvivenza fisica ed è quindi in grado di dedicarsi al soddisfacimento di bisogni secondari. L’indebolimento della carica rivoluzionaria e la sottomissione alle leggi del mercato rappresentano i 2 tratti di fondo dell’età dell’oro. Le innovazioni tecnologiche di questa seconda fase esplosiva maturano quasi tutte nell’ambito della stampa quotidiana. Da metà 800 la stampa quotidiana utilizza macchine per la piegatura dei fogli di giornale che velocizzano i tempi di uscita e rendono più accessibili foliazioni più ampie rispetto alle 4 pagine che hanno rappresentato lo standard di riferimento per tutta la prima parte del secolo.
Verso la fine dell’800 compare la macchina inventata da Ottmar Morgenthaler, un tedesco immigrato in America: si tratta della linotype (linea di caratteri), una macchina mossa da una tastiera che richiama con un meccanismo ad aria compressa e raccoglie sulla stessa linea i caratteri mobili in ottone, spaziandoli tra loro automaticamente per l’esatta larghezza della colonna di giornale (giustificando cioè il formato di stampa) e versando su di essi un getto di piombo fuso: viene così composta la matrice di un rigo pronta per la stampa. La linotype consente di triplicare i ritmi di lavoro, ma soprattutto rende più facili le operazioni di composizione che finora sono state condotte interamente a mano. Il sindacato dei tipografi si trova quindi di fronte ad un grave pericolo in termini sia di minaccia occupazionale sia di dequalificazione professionale. Viene poi brevettata la monotype, che esegue la stessa operazione per ogni carattere di stampa consentendo quindi una correzione degli articoli già composti più semplice e mirata. Ma questa è più lenta della linotype e quindi il suo uso viene ristretto all’esecuzione di stampati particolari (tabelle scientifiche, statistiche) che rendono indispensabile l’assenza totale di refusi, cioè di caratteri sbagliati. In seguito viene messa a punto la macchina a rotocalco che serve per i periodici illustrati: il rotocalco è infatti una tecnica di stampa che utilizza la calcografia, cioè una matrice in incavo anziché in rilievo. La tecnica del rotocalco apre le porte alla stampa in policromia (più colori). La prima rivista illustrata a stampare in rotocalco è la Freiburger Zeitung agli inizi del 900. Al francese Jean Maurice Baudot risale l’invenzione della telescrittura, un metodo di trasmissione simile al telegrafo, che tuttavia traduce gli impulsi elettrici in una sequenza di fori su un nastro di carta immediatamente leggibili al tatto. Gorge Eastman fonda la prima società al mondo a commercializzare l’uso portatile della fotografia attraverso macchine e pellicole che rivoluzionano il modo di immortalare e riprodurre la realtà. Agli inizi del 900 Isa Rubel scopre la possibilità di applicare alla stampa in serie le tecniche della litografia: nasce così la stampa in offset. Si tratta di una tecnologia che presenta molti vantaggi, primo fra tutti quello di una maggiore economicità, ma essa si affermerà soltanto nella metà del 900. Quanto sia diventato importante il giornalismo lo dimostra la nascita degli uffici stampa: le sezioni di lavoro che enti pubblici ed imprese private dedicano ai rapporti con i giornalisti.
La seconda fase esplosiva della tecnologia delle comunicazioni accompagna la scalata del giornalismo verso una posizione centrale nelle società nazionali; ma questa nuova centralità costringe la stampa ad affrontare il problema di fondo della sua obiettività. A complicare la situazione interviene la nascita di nuove discipline scientifiche, come la psicologia e la psicoanalisi, che mettono in discussione il dogma dell’esistenza di una verità unica, assolutamente valida per tutti e, quindi, la possibilità stessa di un’informazione oggettiva ed imparziale. Nascono poi profondi dubbi anche sulla validità di una categoria come 'opinione pubblica'. L’oggettività dell’informazione è un mito, destinato ad essere strumentalizzato e sbandierato piuttosto che essere effettivamente perseguito almeno come obiettivo cui tendere. L’attenzione si sposta allora sui contenuti della stampa. Dal raffronto tra le varie testate emergono differenze significative nei modi di trattamento delle stesse notizie:
Se l’oggettività si riduce a mito, la comparazione analitica dei contenuti mette in rilievo le diversità soggettive di giornali e giornalisti, consentendone lo studio: già agli inizi del 900 escono i primi saggi dedicati a questo approccio. Siamo così agli albori, ancora rudimentali, di una tecnica di ricerca per la descrizione oggettiva, sistematica e quantitativa del contenuto visibile della comunicazione. Si tratta di una disciplina discutibile e complicata perché presuppone un accordo su criteri di classificazione che mutano nel tempo e nelle diverse culture nazionali. Spesso le stesse redazioni sono costrette a modificare in corso d’opera i propri criteri di gerarchizzazione. Tuttavia nel corso del 900 l’analisi del contenuto diventa sempre più importante, anche perché da essa dipende una crescente specializzazione e separazione della stampa. Viene cioè emergendo un’opposizione fra stampa d’élite e stampa popolare: la prima concentrata sulla politica e sulla cultura, la seconda sulla cronaca nera, lo sport, l’intrattenimento e la mondanità. La cultura della notizia sembra così dividersi: alla pari di qualsiasi altro oggetto di consumo, l’informazione perde la propria organicità complessiva e si frammenta in generi diversi con pubblici diversi.
È evidente in questo processo di stratificazione della stampa per generi e per pubblici diversi l’influsso esercitato dalla crescita in quantità e qualità del fenomeno pubblicitario. Come la pubblicità comincia a fare, così anche la stampa si abitua a variare i messaggi informativi in base al pubblico cui si rivolge. D’altra parte, proprio l’affinità strutturale di giornalismo e pubblicità contribuisce a mettere in crisi il mito dell’oggettività, contaminando nelle pagine dello stesso organo di stampa le notizie 'vere' con le notizie 'false' o comunque parziali contenute dagli annunci pubblicitari. Per tutta la seconda metà dell’800, soprattutto negli Stati Uniti, si ha un crescente perfezionamento delle tecniche di impressione del pubblico che la pubblicità sviluppa. Inconfondibile segno europeo di questo processo di crescita è il fatto che molti artisti partecipino in prima persona alla produzione di cartellonistica pubblicitaria esterna di vario genere (manifesti, inviti, menù, ..). Alla fine dell’800 Attilio Manzoni, un commerciante milanese di medicinali (il genere che più ricorre nella pubblicità della carta stampata), apre un ufficio per l’intermediazione degli spazi pubblicitari sull’esempio di Palmer e Duveyrier. Cominciano a comparire sui settimanali statunitensi i primi annunci pubblicitari a tutta pagina. A New York viene approvata una legge sulla pubblicità volta a prevenire le rappresentazioni fuorvianti e scorrette. Agli inizi del 900 anche i quotidiani cedono alla pagina intera di pubblicità e, sempre in questo periodo, compare il primo manuale di pubblicità. Le agenzie pubblicitarie cominciano a moltiplicare i propri servizi e i propri ruoli interni, nascono:
Risalgono a questo periodo le prime voluminose indagini sulla rete distributiva statunitense. Anche solo questa sommaria sequenza delle innovazioni nel settore pubblicitario sottolinea l’affermarsi della potenza americana.
Può sembrare paradossale ma, per molti aspetti, alla radice dell’ascesa della stampa statunitense c’è la guerra civile degli anni 60. I 4 anni della guerra di Secessione, infatti, segnano un incremento della stampa periodica nel suo complesso. Ma è soprattutto nella stampa quotidiana che la guerra civile determina un vero e proprio cambiamento. Per i giornali del sud degli Stati Uniti è una crisi spesso fatale, mentre i maggiori quotidiani di New York raddoppiano le proprie tirature: un risultato al quale concorre, com’è ovvio, la sete di notizie dovuta alla drammatica emergenza del conflitto, ma che premia anche l’inevitabile radicalizzazione di linea politica delle diverse testate. Sull’altro fronte si rafforza il sindacato dei tipografi. Numerosi giornalisti vengono inviati nelle zone di operazioni militari: nasce la figura del corrispondente di guerra. I loro articoli esercitano un’influenza, destinata a rimanere irreversibile, sulle formule giornalistiche: si introduce il lead (l’attacco o cappello dell’articolo: una vera e propria frase-titolo che introduce ogni notizia) e lo stile dei pezzi diventa ancora più coinciso (regola delle cinque W). Rispetto alla stagione immediatamente precedente alla penny press, si viene affermando nella stampa quotidiana americana anche un nuovo standard formale: la pubblicità viene bandita dalla prima pagina, il formato è sempre più spesso quello grande. Il giornale leader tra i quotidiani di New York è l’Herald: la sua è una linea editoriale fortemente antischiavista, ma non priva di critiche nei confronti dello stesso presidente Lincoln, accusato di eccessiva debolezza nei confronti degli stati secessionisti. Il Tribune, invece, nega il diritto di stampa alle posizioni favorevoli alla rivolta degli stati del sud, ma nello stesso tempo rivendica il diritto di critica al governo. Il New York Times, infine, si distingue per il suo appoggio incondizionato a Lincoln e per essere uno strumento per la sua propaganda. Al tempo stesso gli anni 60 vedono una forte ascesa dei periodici. la guerra civile solleva il problema della censura:
Ma è difficile interpretare in modo rigido fin dove si possa spingere l’interesse sudista per le notizie riportate dalla stampa. Al contrario, gli stati secessionisti del sud mantengono in vita una sostanziale libertà di stampa, con eccezioni per alcune informazioni militari. Sui quotidiani del sud, che danno vita ad una propria agenzia di stampa, autonoma dall’Associated Press, non è raro trovare critiche anche feroci nei confronti delle autorità politiche.
La fine della guerra civile apre una fase di grandi cambiamenti nel mondo del giornalismo americano. A cavallo tra gli anni 60 e 70 muore la generazione di direttori che hanno guidato la stagione della penny press. Sotto la direzione di Charles Dana, il Sun si trasforma in un quotidiano a basso costo, con 4 pagine, che in modo esplicito si rivolge ad una fascia di mercato precisa: le classi medio-basse di New York, composte da operai, negozianti, impiegati. La scelta del pubblico determina la scelta dei contenuti: le notizie di interesse generale passano in secondo piano rispetto a quelle di interesse locale. La linea editoriale di Dana porta così alle sue estreme conseguenze la cultura della notizia come merce di consumo, introdotta dalla penny press: ribaltando in senso opposto la tradizione del giornalismo politico, educativo e pedagogico. Dana coglie nel pubblico non più un’entità da orientare e plasmare, bensì un soggetto rigido e prioritario che deve dettare forma e contenuto del giornale. Spesso e volentieri la notizia si riduce ad un plot, alla trama di un racconto di volta in volta divertente, patetico, moraleggiante, ma scritto sempre in una prosa vivace e colorata. Il fatto, meglio se fuori dell’ordinario, prevale sull’opinione; il reporter a caccia di notizie per la strada diventa più importante dell’editor che dirige il giornale dalla sua scrivania. Vi è una centralità della cronaca di human interest in quanto filo diretto, per contrasto o per assimilazione, con l’esperienza personale di vita del lettore, la conseguente riduzione della storia a storie, a episodi casuali privi di motivazioni profonde. La prevalenza del reporter sull’editor rappresenta una delle novità più importanti introdotte dalla penny press e, insieme, uno dei tratti di fonde del giornalismo dell’età dell’oro di fine 800. La figura professionale del giornalista corrisponde a quella di raccoglitore di notizie piuttosto che a quella di filtro selettivo delle notizie, destinata ad affermarsi più tardi. Sarebbe però sbagliato considerare il Sun come un giornale lontano dalla politica. Dana esprime una scelta populista, che si traduce in un orientamento conservatore, filogovernativo, antisindacale, imperialista. È, questa, una scelta che premia in modo vistoso. All’inizio degli anni 70 si moltiplicano le campagne di stampa: la stampa assolve quindi una funzione importante di tutela morale sulla politica. I periodici americani sono 3 volte quelli inglesi e pari a circa un terzo della circolazione mondiale. Verso la fine dell’800 nasce la consegna gratuita delle stampe nelle zone rurali degli Stati Uniti. Questa fase di crescita quantitativa corrisponde ad una parziale liberazione da obblighi politici: circa un quarto dei quotidiani americani non hanno esplicite affiliazioni partitiche. Risale alla presidenza Lincoln la decisione di troncare ogni rapporto ufficiale ed ufficioso tra governo e giornali. Ad una maggiore autonomia contribuisce anche lo spostamento del baricentro informativo sulla cronaca di human interest. La consapevolezza di rappresentare una forza sempre più importante e difficile da contrastare si fa ormai strada tra i giornalisti. Torna in tutta la sua evidenza il problema della privacy personale e della sua tutela. La soluzione di compromesso riguardo alle situazioni di malattia che allora si trova, e che rimarrà la norma fino ai giorni nostri, è quella di bollettini medici diffusi ad intervalli regolari da parte dell’equipe di dottori.
PULITZER E HEARST (seconda metà dell’800)
Joseph Pulitzer fonda, verso la fine dell’800, un periodico cittadino, il St. Louis Post-Dispatch che, per diversi anni, viene diretto secondo un criterio di stretta aderenza ai fatti. Ma in realtà questo periodico si distingue per una vena sensazionalistica che arricchisce a tinte forti il colore delle notizie. In seguito Pulitzer va a New York e acquista un vecchio quotidiano già presente, The World. L’editoriale di presentazione sottolinea la diversità e l’ambizione del nuovo quotidiano: una linea editoriale di aperto appoggio agli immigrati recenti in città. In questo pubblico, composto in buona parte di non lettori, appartenenti alle classi più povere, il World sfonda con una facilità imprevedibile. La tiratura del World supera quella dell’Herald. La sua formula riprende l’accento sulla cronaca di human interest, tipico della penny press: la politica editoriale di fonda sulla mobilitazione dei reporter a caccia di notizie e su titoli inusuali a sensazione. Aggiunge inoltre uno spirito nuovo di crociata e mobilitazione sociale. L’uso della cronaca locale come vettore di identità comunitaria è un altro aspetto riconducibile alla penny press. Ma, allo stesso tempo, è anche la scoperta storica di un nuovo terreno di iniziativa giornalistica e, insieme, di funzione della stampa: da spettatore passivo della realtà, il giornalismo diventa attore attivo. Uno degli effetti paralleli di questo mutamento di ruolo è lo spazio che al World viene conquistando la componente femminile: di per sé non si tratta di una novità assoluta, in quanto le donne giornaliste compaiono nella cultura europea fin dagli inizi dell’800, ma Pulitzer assegna alla presenza femminile un contenuto di carattere politico. È una donna, Elisabeth Cochrane, a creare, nascosta da uno pseudonimo, 2 nuovi generi giornalistici: l’inchiesta ed il reportage di viaggio. Il World è il primo a lanciare concorsi a premi, che si rivelano un successo straordinario.
Alla fine dell’800 il World è un colosso, con le dimensioni di una grande impresa. Successivamente gli si affianca The Sunday World, l’edizione domenicale diretta da Morril Goddard. Metà delle pagine del Sunday World sono riservate ad annunci non solo commerciali, ma anche di servizio: domande e offerte di lavoro, di alloggi, di mobili ed altri beni di consumo, grazie ai quali gli immigrati rafforzano le loro reti informali di contatto e solidarietà. Il news-paper diventa use-paper. Una delle novità che il Sunday World rilancia è costituita dalle pagine di comics, di storie disegnate. Si tratta di un genere popolare per eccellenza, che sintetizza 2 grandi tradizioni della stampa periodica di massa:
Tra i disegnatori del Sunday World si distingue il creatore di Yellow Kid, un bambino sulla cui veste gialla compaiono le parole espresse a voce: una sorta di progenitore del fumetto. Al contrario del feuilleton, le storie di Yellow Kid si svolgono spesso nell’ambiente piccolo-borghese: per i lettori è un altro potente veicolo di identità collettiva. Yellow Kid diventa così importante che il giornalismo sensazionalistico e popolare dei giornali come il World, erede di fine 800 della penny press, viene spesso chiamato yellow journalism. Il 900 non attenua la vocazione alla denuncia del giornale.
William Randolph Hearst passa alla guida del giornale The Examiner. Sulla costa occidentale degli Stati Uniti Hearst ripercorre le orme che Pulizter sta lasciando su quella orientale, senza esser dovuto passare per tutto il suo lungo apprendistato di giornalista effettivo. All’Examiner lavora una donna, Winifred Black, che, nascosta da uno pseudonimo, crea un’ulteriore specificazione della figura professionale del giornalista: l’inchiesta-verità condotta in prima persona sulla propria pelle. Attraverso il mascheramento della propria identità personale e lavorativa, il giornalista si rende partecipe ed interprete dell’uomo qualunque, cercando di annullare la distanza tra stampa ed opinione pubblica: la massima parzialità del punto di vista dell’indagine si trasforma nella riedizione sotto altre spoglie del mito dell’obiettività. Al tempo stesso la donna giornalista conquista un proprio ruolo specifico: la figura femminile si rivela più idonea di quella maschile a gestire contatti umani delicati e a dare la sensazione di interesse personale e umanitario piuttosto che la cinica ricerca di notizie più appetibili per il lettore. Il successo dell’Examiner è buono, anche se contenuto, ma Hearst si ritiene comunque pronto per il grande salto nella città-simbolo del giornalismo: New York. Qui acquista The Morning Journal, un quotidiano che versa in una grave crisi. Hearst lo rilancia in grande stile attraverso una campagna acquisti condotta con grande dispendio di mezzi, con lo scopo dichiarato di sottrarre al World le sue migliori energie. Come Dana, anche Hearst è un sostenitore del 'manifest destiny', del destino manifesto degli Stati Uniti in quanto portatori della civiltà e della democrazia da essi incarnate in tutto il continente americano. Accanto e oltre la cultura della notizia, si fa strada una politica della notizia che ne persegue un trattamento diverso a seconda delle convenienza del singolo giornale. La stampa quotidiana esprime in pieno le sue potenzialità di quarto potere intervenendo direttamente sul teatro degli eventi, modificandone il corso, pompandone o sgonfiandone il ritorno sui mezzi di comunicazione, seconda una logica che non è più di appoggio a questo o a quel gruppo politico, ma che sostiene in proprio l’immagine autonoma di questa o quella testata. Viene messo in rilievo il ruolo indipendente e decisivo svolto da un solo organo di stampa, capace di stringere nell’angolo e porre di fronte a scelte obbligate i governanti dell’epoca. La forza della stampa appare equivalente a quella delle istituzioni politiche.
Sorge così un problema nuovo, destinato a segnare in profondità gli sviluppi successivi della professione giornalistica: il problema delle fonti segrete e confidenziali. Sia nel lavoro di informazione legata alla semplice cronaca cittadina, sia nel lavoro sulle notizie di interesse generale, il giornalista si lega ai più svariati canali informativi privilegiati ed esclusivi. Ma si tratta di fonti che, per poter sopravvivere nei propri ambienti di lavoro e continuare a fornire documentazione, debbono rimanere anonime perché, se rese di dominio pubblico, possono mettere a repentaglio indagini giudiziarie o complesse trattative diplomatiche. Alla pari di altre professioni emerge quindi il problema del segreto professionale: il lavoro del giornalista si muove su un difficile spartiacque stretto tra la necessità di garantire il controllo dell’opinione pubblica attraverso la trasparenza dell’informazione a la lealtà verso istituzioni statali che operano nell’interesse della collettività. Negli Stati Uniti di inizi 900 sono le ragioni della prima a prevalere: si afferma gradualmente il senso comune giornalistico secondo cui più una fonte è anonima, più essa è autorevole, in quanto se ne suppongono legami più convincenti con l’ambiente da cui provengono le informazioni. Ma nel corso degli anni 70 sono numerosi i processi intentati a giornalisti che si rifiutano di divulgare le proprie fonti. Una delle innovazioni introdotte dallo yellow journalism, rispetto ai titoli in colonna, è il titolo a tutta pagina. Hearst usa in modo spregiudicato e strumentale le notizie e non le idee: qui sta la sua novità. Il Journal esercita un’influenza politica solo indiretta perché non è il portavoce delle idee di un movimento, bensì un mezzo di agitazione dell’opinione pubblica e di pressione nei confronti delle istituzioni. Di volta in volta la forzatura dei toni fa leva sullo sdegno, sulla paura, sull’orgoglio nazionale: sulle pulsioni irrazionali, più elementari e più potenti della massa. Essenzialmente a questo serve la titolazione a tutta pagina che spesso riduce la realtà ad una trama narrativa polarizzata tra buoni e cattivi, guadagnando in semplificazione e spettacolarizzazione ma perdendo in approfondimento: lo yellow journalism radicalizza così un costume introdotto dalla penny press ma nello stesso tempo anticipa uno dei tratti di fondo che l’informazione assumerà nel corso del 900. Il ritorno al grande ideale del 'manifest destiny' identifica un progetto di recupero dei sani valori della società rurale americana. È in omaggio a tale prospettiva che il Journal, agli inizi dell’900, cambia nome in The American e si schiera a favore della nazionalizzazione del telegrafo, delle ferrovie, delle miniere di carbone. Agli inizi del 900 Hearst riesce a dare vita alla prima catena di testate capace di assumere un rilievo davvero nazionale: egli fonda un’agenzia di stampa per i suoi giornali, che in seguito diventa un’agenzia di stampa pronta a vendere i propri servizi a chiunque intenda utilizzarli, e apre altre 3 testate. Con Hearst, quindi, la dimensione dell’impresa giornalistica supera per la prima volta l’ambito locale nel quale è finora vissuta. È l’effetto di una crescita quantitativa dei mezzi tecnici e finanziari così come di uno sviluppo dell’organizzazione manageriale. D’altra parte, anche colossi come il World ed il Journal non riescono a varcare i confini della città in cui vengono stampati: la struttura della stampa americana rimane regionale, ricalcando il carattere federale del sistema istituzionale. Il ricorso alle catene editoriali che collegano diversi quotidiani locali si rivela come una strada obbligatoria per aggirare la perdurante natura locale dei giornali.
La catena Hearst si colloca così al centro di un particolare processo di espansione della stampa quotidiana, ma anche il panorama della stampa quotidiana minore registra una crescita notevole. La stampa americana si configura come il mezzo principale, se non esclusivo, di comunicazione di una cultura di massa che tende a omogeneizzare differenze sociali e culturali: un passo avanti decisivo rispetto al senso di identità locale che la penny press ha introdotto con la cronaca di human interest. In una società giovane e recente, multietnica e multireligiosa, priva di un grande passato alle spalle, il concetto di cultura di massa appare una delle chiavi più importanti per interpretare l’eccezione americana, la sua diversità storica e strutturale rispetto al vecchio continente europeo. In misura crescente il giornalista esercita il ruolo del mediatore sia verticale (tra il pubblico e la notizia o la fonte informativa) sia orizzontale (tra lettori di diversa estrazione). In realtà, se si indaga da vicino, la storia del giornalismo non solo americano mostra un volto assai più sfaccettato della rappresentazione teorica di un giornalista mediatore passivo ed esecutore strumentale delle esigenze di ordine e controllo sociale. Ognuna delle figure del mondo del giornalismo ha creduto, nei modi più diversi, di svolgere attivamente una missione politica, ha cercato di esprimere l’abilità intellettuale di critico ed interprete ponendola al servizio di una determinata e parziale visione del mondo. Anziché la voce omogenea di una cultura di massa livellante e onnicomprensiva, il giornalismo è l’espressione conflittuale di una pluralità di voci, una battaglia continuamente in corso entro un campo magnetico di forze: le diverse testate, il mercato dei lettori, il potere delle istituzioni, gli interessi economici. Quella di Hearst non è la prima catena di quotidiani degli Stati Uniti. Edward Wyllis Scripps, negli anni 80 investe i propri risparmi in azioni di giornali della provincia, arrivando rapidamente a detenere il controllo dei quotidiani di una serie di nuove città industriali (Buffalo, Cleveland, ..). In seguito fonda la Scripps-McRae League of Newspapers che accorpora ben 18 quotidiani. Ad essa la famiglia Scripps da sola affianca la catena di quotidiani da essa diretti sulla costa occidentale. Tabloid è il termine inglese che indica il piccolo formato di circa 32x48cm. Molti dei quotidiani del gruppo Scripps sono giornali della sera: tra gli anni 80 e 90 diventa questa la formula dominante nella stampa quotidiana, grazie al vantaggio di sposarsi meglio con il tempo libero delle famiglie. È importante ricordare che Pulitzer, Hearst, Scripps sono tutti editori puri: imprenditori che vengono da un lungo tirocinio nella professione giornalistica esercitata in prima persona. La loro crescita come industriali avviene quindi interamente nel settore della carta stampata e la crescente complessità dei loro sistemi aziendali non si contamina mai con interessi in altri settori produttivi. In questa salda natura professionale risiede una delle chiavi più importanti del loro successo. D’altra parte la loro sempre più evidente fisionomia imprenditoriale risponde a stretti criteri di dipendenza del mercato, concepito come il banco di prova unico della qualità o meno di un progetto editoriale. È un senso comune che lascia sullo sfondo la massiccia penetrazione degli interessi legati alla pubblicità nel mondo della stampa: agli inizi del 900 la pubblicità copre più della metà del bilancio di entrate dei maggiori quotidiani americani e il resto è composto da vendite ed abbonamenti. Le inserzioni mostrano l’importanza attribuita al pubblico femminile. L’ascesa dello yellow journalism gridato e scandalistico si traduce nel lento declino del moderato New York Times. Alla fine dell’800 il giornale viene salvato dal fallimento da un’alleanza di finanzieri, senza rinnegare la sua tradizione di credibility and fairness. La linea editoriale torna quindi a fare centro sulle questioni politiche di interesse generale, in controtendenza rispetto al diluvio di cronaca cittadina dello yellow journalism. Il successo del Times cresce in proporzione e la pubblicità aumenta di conseguenza. L’ascesa del Times dimostra che la fortuna dello yellow journalism lascia spazi consistenti di mercato ad un’informazione più seria, la quale continua a gerarchizzare le notizie secondo l’ordine tradizionale che assegna il primo posto alle informazioni di carattere internazionale.
L’età dell’oro del giornalismo americano determina anche il consolidarsi della professione giornalistica come corporazione sindacalizzata:
Le redazioni dei giornali sono uno dei pochi luoghi lavorativi che mettono a diretto contatto uomini e donne di culture e classi sociali diverse. Grazie all’uso del telefono, che comincia a diffondersi con lentezza negli anni 80, diventano uno dei punti nevralgici delle città. Il mestiere del giornalista lo si impara solamente in queste redazioni, spesso circondate da un alone mitico. È la contiguità che vi si genera tra vecchi e nuovi del mestiere a garantire la trasmissione di un senso comune giornalistico, composto di contenuti eterogenei e sempre in movimento (una scrittura agile e spezzata, fatta di parole e periodi brevi, con largo uso alla punteggiatura e a sezioni divisorie dello stesso articolo; la padronanza di diversi generi di scrittura: editoriale, pezzo di nera, intervista, nota di costume). Accanto alla necessità di una prosa asciutta e semplice sta l’imperativo del 'colore'. Introdotta dalla penny press, la logica della cronaca di human interest sottolinea il rapporto tra fantasia e realtà, allo scopo di costruire storie avvincenti: la professionalità del giornalista è riferita a questa esigenza prima ancora che a quella di una completezza informativa. Ma il bagaglio professionale del reporter deve comprendere anche
Sono tutti elementi, questi, che è difficile definire in forma manualistica e soprattutto insegnare senza il costante aiuto dell’esercizio pratico. Spesso i vecchi tendono a dipingerli come doti innate: una sorta di fiuto giornalistico che somiglia molto all’estro dell’artista. Anche negli Stati Uniti fiorisce il mito del reporter irregolare ed avventuroso. La professione giornalistica non perde del tutto il suo profilo poco rassicurante, ma in qualche modo riesce a nobilitarlo mettendolo al servizio del pubblico diritto all’informazione. È però lo stesso sviluppo quantitativo della professione e la crescita del suo potere pubblico a mettere in crisi una visione artigiana del mestiere. A partire dagli anni 80 in alcune università degli Stati Uniti si cominciano a tenere corsi di storia del giornalismo e di scrittura giornalistica. Dopo la morte di Pulitzer, viene istituito agli inizi del 900 un premio annuale intitolato al suo nome per il giornalismo, le arti e le lettere, destinato a diventare il riconoscimento più prestigioso per chiunque eserciti la professione giornalistica. Agli ultimi anni dell’800 risalgono i primi manuali di giornalismo. Il 900 si apre così per il giornalismo americano sotto una doppia luce: il giornalismo pulito in evidente contrapposizione allo yellow journalism che dà grande importanza alla cronaca nera. Si prolunga sulla stampa americana la stagione della denuncia sociale: il lavoro minorile, lo sfruttamento operaio, gli scandali delle compagnie assicuratrici, i favoritismi dei boss politici, .. sono alcuni dei numerosi temi agitati dalle inchieste di inizio secolo con toni moralistici. Il giornalismo conquista un suo spazio nell’età progressista che riforma gli Stati Uniti all’inizio del 900. L’ascesa mondiale del giornalismo americano si riflette anche sul sistema internazionale delle agenzie di stampa, favorendo processi di collaborazione ed integrazione. Reuter, Havas e Wollf si accordano per una spartizione funzionale delle rispettive aree geografiche di copertura ed un conseguente scambio reciproco di notizie. A questo accordo internazionale, che prende il nome di Kontinental, aderisce anche l’America, con le sue 2 agenzie: l’Associated Press e la Western Associated Press, le quali escludono ogni scopo di lucro. In quanto servizio destinato ad una pluralità di utenti, l’agenzia è tenuta ad un’informazione meno gridata e meno sensazionalistica del giornalismo corrente.
FATTI E OPINIONI (seconda metà dell’800)
Per il giornalismo inglese l’età dell’oro si apre con una serie di misure legislative che cancellano il regime di tasse fiscali che pesava sulla stampa periodica e liberalizzano quasi completamente la produzione e la distribuzione di giornali e riviste. Grazie a questo processo di liberalizzazione la stampa inglese mette così in mostra mutamenti paralleli a quelli statunitensi, anche se in maniera più lenta:
Sullo sfondo di questi mutamenti vi è un peculiare processo di modernizzazione, capace di evitare i conflitti caratteristici di altri paesi. L’espansione quantitativa del pubblico di lettori corrisponde ad una moltiplicazione dei periodici, secondo un processo di diversificazione e speciliazzazione delle testate. Nella metà dell’800 le forze armate britanniche introducono il sistema dell’accredito obbligatorio per i corrispondenti di guerra, ma nell’opinione pubblica inglese il trauma è tale da condurre alle dimissioni del governo, che accusa la stampa di tradimento, un tema destinato a ripetersi nel tempo. Continua dunque a riproporsi uno dei tratti di fondo del giornalismo inglese: il conflitto costante con il potere delle istituzioni. A reggerne il peso è soprattutto il Times. La liberalizzazione fiscale facilita però i tentativi di concorrenza. Charles Dickens fonda il Daily News, quotidiano che segue una linea editoriale di aperta denuncia sociale, che si configura come il primo tentativo di una stampa di massa in Gran Bretagna e che riduce il proprio prezzo ad un penny, aumentando di molto le vendite. Un successo, questo, che il giornale conferma di meritarsi attraverso un’ampia rete di corrispondenti. Cresce il pubblico reale e potenziale della stampa periodica, soprattutto nelle classi sociali più basse. Per intercettarlo più efficacemente, a partire dagli anni 80, si diffondono quotidiani al prezzo di mezzo penny. Il numero di quotidiani londinesi raddoppia, ma l’espansione coinvolge anche la stampa di provincia. Uno dei centri più attivi è Manchester, dove si afferma il quotidiano Manchester Guardian che rimarrà a lungo celebre per accuratezza e tempestività. Sempre a Manchester George Newnes sperimenta una nuova formula giornalistica: Tit-Bits from All the Most Interesting Books, Periodicals and Newspapers of the World, un settimanale che riporta con stile essenziale notizie tratte da altri organi di stampa. Per promuovere la nuova rivista si ricorre al gadget, cioè a servizi speciali forniti in regalo agli abbonati. La formula incontra un rapido ed esteso successo.
Alfred Harmsworth fonda un nuovo settimanale, Answers to Correspondents, la cui formula editoriale non differisce molto da quella del Tit-Bits e neppure i metodi di promozione. Il successo è travolgente ed egli dà vita ad una serie di periodici paralleli, nella scia del processo più generale di diversificazione e specializzazione della stampa inglese. Si tratta di periodici che riflettono un mutamento decisivo dei criteri giornalistici. Rispetto al caso americano, il peso della pubblicità è ancora basso nei bilanci dei periodici inglesi; ma proprio il dispiegarsi dell’impresa di Harmsworth mostra la penetrazione di una logica pubblicitaria sia nella suddivisione per target specifici del pubblico di lettori, sia nella confezione di un prodotto di mero intrattenimento senza volontà di attualità informativa: senza una cultura della notizia. Insieme al fratello, compra l’Evening News, quotidiano londinese della sera che diviene presto il quotidiano serale leader nella capitale. In seguito aprono il Daily Mail, quotidiano in vendita a mazzo penny: ma i primi numeri sono offerti gratis. Le copie del giornale vanno a ruba e fino alla scoppio della prima guerra mondiale rimane il primo quotidiano della Gran Bretagna. Per la stampa inglese è una rivoluzione, che non può essere attribuita all’espediente di marketing delle prime copie gratuite, ma che invece riflette l’avvento di una nuova formula giornalistica: il Daily Mail è infatti considerato il primo organo di stampa moderno della storia del giornalismo inglese. Con il nuovo giornalismo degli anni 80 la stampa periodica inglese si divide in 2 settori:
La cultura di massa diventa strumento di omogeneizzazione delle mentalità e dei comportamenti. Tra la metà dell’800 e la prima guerra mondiale vedono la luce in Inghilterra numerosi periodici per bambini e ragazzi: mentre i pochi precedenti erano esclusivamente di carattere religioso, adesso il tono laico largamente prevalente riflette un processo di secolarizzazione dei costumi e dei moduli educativi. Nella stampa popolare, insomma, la cultura della notizia rimane sullo sfondo: le esigenze di intrattenimento e di pedagogia morale appaiono nettamente prevalenti su quelle informative. La stampa popolare inglese sembra spesso ispirarsi ad un criterio di spolicizzazione: è questa una delle sue maggiori e più durature differenze rispetto alla stampa d’élite. Per molti aspetti il nuovo giornalismo di Harmsworth appare debitore dell’esperienza americana della penny press per:
Il Daily Mail appare come l’esatto contraltare della tradizione di indipendenza ed autonomia dal potere politico incarnata dal Times, ma che, d’altra parte, fa guadagnare prestigio, autorità e lettori al nuovo giornale. Per quanto non perda occasione per proclamarsi indipendente, questo quotidiano possiede un chiaro orientamento conservatore e nazionalista. Da questo punto di vista non sussistono grandi differenze con il Times, che però rimane un quotidiano destinato alle élite. Il Daily Mail, e anche questa è una novità rispetto al modello del Times, incorpora l’esperienza di diversificazione e specializzazione. Ma probabilmente l’aspetto più innovativo introdotto dal periodico, e una delle chiavi determinanti del suo successo, risiede nei metodi di trattamento delle notizie, dove brevità, chiarezza e semplicità sono i tratti di fondo che si ritrovano in ogni pezzo del Daily Mail, cui spetta anche la novità della titolazione su più colonne. Harmsworth pone le basi di una vera e propria società integrata in senso verticale ed orizzontale. Alla vigilia del primo conflitto mondiale ne fanno parte più di 100 periodici. Al contrario dei suoi contemporanei modelli americani e dello stesso giornalismo inglese del passato, la sua carriera si svolge all’ombra degli equilibri governativi. Tra i periodici di Harmsworth figura il Daily Mirror, il primo quotidiano scritto da giornaliste donne rivolto ad un pubblico femminile. Il giornale conosce un buon successo iniziale, ma poi va incontro ad un crollo verticale: il mercato inglese si dimostra ancora resistente alla formula giornalistica di un quotidiano espressamente rivolto al pubblico femminile. Agli inizi del 900 gli si affianca il Daily Illustrated Mirror, che si ispira allo yellow journalism statunitense. Stavolta il successo è immediato, ma quando Harmsworth lo venderà al fratello, che lo conduce ad appoggiare l’estrema destra dello schieramento politico, lo condannerà ad un lento declino.
Anche nel caso francese l’età dell’oro del giornalismo si collega ad un processo di liberalizzazione legislativa. Ma a Londra tale processo si svolge sul piano strettamente economico dell’abolizione di imposizioni fiscali, mentre a Parigi assume il volto di una nuova legge complessiva sulla stampa. Si tratta di una differenza significativa che mette capo alla diversità più generale del percorso seguito dal processo di modernizzazione nei 2 paesi. Al contrario della Gran Bretagna, infatti, la Francia rimane una nazione attraversata da profondi e drammatici conflitti. Con l’esperienza governativa della Terza repubblica, la questione della libertà di stampa si ripropone in un contesto politico che le attribuisce un valore fondativo della convivenza civile e dello stato laico. Sul piano ideologico la legge sulla stampa riprende il tema, fondamentale nella tradizione rivoluzionaria francese, dei diritti dell’uomo e del cittadino. Ma sul piano politico concreto si presenta come un provvedimento strumentale, volto a soddisfare le ambizioni di diversi partiti. Negli anni 80 ai arriva così alla promulgazione di una nuova legge sulla stampa, che servirà da punto di riferimento per diversi paesi europei. In realtà il testo approvato muove da un presupposto che spoglia la questione di ogni contenuto ideologico: la stampa periodica è identificata come un’impresa di carattere economico. La sua libertà si inserisce all’interno della libertà d’impresa. Come tutte le merci, il giornale è regolato dal diritto commerciale e non gli si dà l’importanza di funzione sociale:
Ma gli articoli relativi ai reati commessi nei confronti dei privati cittadini riflettono un orientamento assai garantista a favore dei giornalisti. Il solo responsabile è il direttore del giornale, che quindi è in grado di coprire ogni suo collaboratore garantendogli l’esenzione da pena. Nelle controversie è previsto il diritto di replica e l’obbligo di modifica, ma la maggior parte dei reati a mezzo stampa è di competenza di una giuria popolare; solo la diffamazione deve essere giudicata dai magistrati togati. Nel precedente regno di Napoleone III i decreti sulla stampa sottopongono la stampa ad un inasprimento del regime repressivo che la riguarda. Durante il Secondo Impero sopravvive perciò esclusivamente una stampa periodica non politica, di cui ne è un esempio Le Figaro. Nasce Le Petit Journal, quotidiano di piccolo formato fondato dal Moïse Millaud. Nella situazione di necessità imposta dal regime di Napoleone III, è necessario l’abbandono di una tradizione di giornalismo politico, che in Francia, fin dai tempi della Rivoluzione, aveva la sua terra d’elezione, e la scelta di una nuova formula giornalistica simile alla penny press americana. Le Petit Journal si concentra sulla cronaca parigina e rilancia il feuilleton. Per pubblicizzare il suo periodico Millaud non esita a far affiggere manifesti pubblicitari sui muri di Parigi, inaugurando una forma di sinergia tra i diversi mezzi di comunicazione, destinata a grande fortuna. Le Petit Journal diventa il giornale leader della stampa quotidiana. Torna a farsi valere anche nel vecchio continente la forza di empatia e rispecchiamento, tipica della cronaca di human interest. La stampa crea il mostro: un sorta di catalizzatore purificante dei resti morali di una società che, celebrando il rito del sacrificio, scava un rassicurante fossato tra sé e la malvagità riacquistando coesione e compattezza nel segno della normalità benpensante. A far da contraltare al Petit Journal resta Le Temps, le cui corrispondenze estere sono tra le poche ad essere completamente indipendenti da quelle dell’agenzia Havas e si rivelano molto attendibili. Diretto da Adrien Hébrard, se ne potenzia la fisionomia di organo ufficioso del ministero degli esteri; il suo editorialista di punta, che ne redige gli articoli di fondo, posti sul margine sinistro della prima pagina, si conquista una notorietà su scala europea come commentatore delle vicende diplomatiche continentali. L’avvicinarsi della fine di Napoleone III reca con sé una prima parziale liberalizzazione del regime repressivo che opprime la stampa periodica; gli effetti sono immediati: fioriscono numerosissimi nuovi periodici. Tra questi vi è La Lanterne, rivista mensile diretta da Henry Rochefort, il cui tono leggero si unisce ad una vena fortemente repubblicana ed antinapoleonica. La formula relativamente inedita vale la rapida conquista di un ampio pubblico, ma non evita la brusca chiusura d’autorità quando la situazione politica si complica. A La Lanterne segue La Marseillaise, sempre diretta da Rochefort. È solo dopo la caduta dell’imperatore che la stampa francese entra con decisione nella sua età dell’oro. Ricompare dal suo silenzio forzato Girardin che riesce a rilanciare La Presse e fonda un altro quotidiano, La Liberté, il primo ad avere una rubrica sportiva. L’agenzia di stampa Havas si afferma come la prima al mondo per capacità di copertura delle notizie e di diffusione dei servizi informativi. Anche nel caso francese, l’espansione della stampa periodica si muove in sincronia con il più generale processo di modernizzazione. Si consolida anche in Francia la consuetudine di edizioni domenicali.
Il panorama francese appare dominato da 4 grandi giornali quotidiani:
A differenza del caso inglese ed americano, l’evoluzione della stampa periodica francese mette in rilievo l’ingresso di editori non puri che si pongono alla testa di imprese giornalistiche con lo scopo (proprio e principale) di renderle remunerative, ma anche quello (secondario) di farne strumenti di appoggio alle proprie posizioni di potere in altri campi, diversi dall’informazione su carta stampata. Si profila quindi un pericolo nuovo per l’autonomia e l’indipendenza della stampa. Accanto a questo si pone il problema di un intreccio perverso, fatto di corruzione e concussione, tra stampa ed imprese private, così come tra stampa e governi esteri. A somiglianza di quello inglese, anche il caso francese mostra la separazione sempre più netta tra una stampa di massa, rappresentata essenzialmente dai 4 grandi quotidiani, ed una stampa d’élite, che adotta il grande formato ed un prezzo maggiorato. Tra di essi compare Le Figaro, il quotidiano più schierato a difesa di Dreyfus, che pubblica 3 articoli di Émile Zola, nei quali si cerca di dimostrare l’innocenza del capitano. Lo sdegno dei lettori obbliga Zola a trovare altre vie di comunicazione: appaiono allora 3 opuscoli. Il terzo di questi viene però pubblicato dal quotidiano L’Aurore, diretto da Georges Clemenceau, che ne cambia il titolo in 'J’accuse'. Gli effetti sono devastanti: condannato ad un anno di reclusione, Zola ripara in Gran Bretagna ma solo pochi mesi, perché viene poi riabilitato, assieme a Dreyfus e a Clemenceau. L’esito del caso Dreyfus segna una svolta periodizzante: il quarto potere ha dimostrato la propria forza risolvendo la situazione di stallo in cui versava la politica francese e mutando radicalmente il suo decorso successivo. Nasce una tipologia di quotidiano estranea sia al caso statunitense sia a quello inglese, ma che in Francia riprende la grande tradizione del giornalismo rivoluzionario. I primi anni del 900 vedono infine, con qualche ritardo rispetto al caso inglese, l’uscita di una stampa specializzata: si riprende la tradizione del giornale femminile e si inaugura il genere del giornale sportivo.
STAMPA, POTERE E POLITICA (seconda metà dell’800)
Nel vecchio continente la crescita della stampa inglese e francese è resa ancor più visibile dall’alto grado di centralizzazione nelle 2 capitali di Londra e Parigi. Viceversa, in un paese appena unificato come la Germania di Bismarck la stampa mantiene a lungo un carattere decentrato e locale. Bismarck è abituato ad includere nei suoi metodi di governo l’uso e l’abuso della stampa. Dopo la metà dell’800 si afferma infatti il quotidiano conservatore che ha accompagnato fin dagli esordi la carriera politica del cancelliere (Neue Preussische Zeitung). In seguito gli si affianca la Frankfurter Zeitung, diretta da Leopoldo Sonnemann sulla base di un orientamento indipendente e progressista, che contribuisce a farne un caso a parte nella storia del giornalismo tedesco: sopravviverà infatti fino alla soppressione decretata da Hitler. Viene inaugurata la formula del periodico di intrattenimento, aprendo alla pubblicità commerciale e rivolgendosi espressamente al pubblico degli imprenditori. L’altro versante dello schieramento politico è occupato da periodici di orientamento liberale e da quelli di orientamento cattolico, questi ultimi costretti a sostenere l’urto della battaglia culturale che Bismarck intraprende a sostegno della chiesa nazionale protestante. Il pugno di ferro adoperato contro le opposizioni penalizza peraltro anche la stampa socialista. La stampa tedesca è sottoposta ad una norma che attribuisce all’autorità giudiziaria la facoltà di sopprimere le pubblicazioni ritenute pericolose per il bene comune. Viene istituito un Dipartimento speciale per la stampa, con compiti di raccolta e diffusione delle notizie. L’ufficio centrale di Berlino cura una propria rassegna stampa e organizza i contatti tra Bismarck e i giornalisti delle diverse testate. Si sviluppa una sorta di rapporto preferenziale del Dipartimento fatto di notizie in esclusiva, ma anche di sovvenzioni finanziarie sottobanco. Il caso tedesco si distingue dagli altri per 2 motivi di fondo:
Anche nella storia particolare del giornalismo l’esperienza della Germania rivela il tratto peculiare di una maggiore presenza attiva dello stato, non solo in qualità di tutore della legge, ma anche di imprenditore editoriale in prima persona. La nuova legge sulla stampa del 1874 sancisce formalmente il principio della libertà di stampa, vincolata al deposito obbligatorio di una copia e fatta salva la prerogativa dello stato di condurre azioni giudiziarie (e di disporre il sequestro) nei confronti dei periodici che infrangono le leggi ordinarie. Viene riconosciuto il segreto professionale sulla fonti informative, ma anche l’obbligo di testimoniare sulla loro identità nel corso di un eventuale processo. Al regime formale di libertà proclamato dalla legge si sostituisce così un regime sostanziale che utilizza il potere giudiziario con lo scopo di intimidire la stampa e indurre giornalisti e direttori ad una sorta di autocensura preventiva. Grazie a questo regime il governo riesce a tenere sotto controllo il processo di espansione della stampa che, come accade negli altri paesi, marcia di pari passo con la modernizzazione del paese. Negli ultimi decenni dell’800 le società per azioni sostituiscono la gestione familiare delle principali testate e i guadagni delle inserzioni pubblicitarie prendono il posto delle sovvenzioni governative. A centralizzare ulteriormente il sistema informativo tedesco si aggiungono le avversità dell’agenzia di stampa Wolff che a metà degli anni 60 subisce un tentativo di scalata da parte delle agenzie rivali straniere Havas e Reuter. Lo stato interviene in aiuto della Wolff, ma in cambio questa viene praticamente nazionalizzata. L’estensione del controllo governativo all’agenzia di stampa priva i giornali tedeschi di collegamenti autonomi con l’estero; a mutare almeno in parte questa situazione interviene all’inizio degli anni 70 il Berliner Tageblatt, quotidiano fondato da Rudolf Mosse con una particolare attenzione alle informazioni estere. Sulla nuova testata scrivono giornalisti affermati che le danno un’impronta liberale e progressista. Nondimeno il giornale riesce a sfuggire ai fulmini governativi grazie anche ad un’accorta politica di invio di copie omaggio a corte e presso le maggiori istituzioni pubbliche. La formula del giornale coniuga insieme cultura della notizia e intrattenimento. È una formula indovinata che premia il giornale di numerose copie vendute. In controtendenza rispetto a tutti gli altri paesi, tra il 1877 ed il 1898 il numero di periodici tedeschi conosce una sia pur contenuta contrazione; l’età dell’oro arriva per la stampa tedesca solo con il nuovo secolo, quando il numero di testate riprende a salire. Alla vigilia della guerra sembra dunque che il modello statalistico tedesco non sia riuscito a conseguire del tutto i propri obiettivi: settori consistenti dell’opinione pubblica tendono a sfuggire al rigido controllo governativo e un effettivo pluralismo informativo si consolida nel paese.
Come la Germania, anche l’Italia arriva tardi all’appuntamento dell’unità politica. L’ingombrante presenza della Chiesa le impone un processo di modernizzazione a 2 tempi: più rapidi per il contenimento dell’influenza ecclesiastica e l’omogeneizzazione culturale del paese attraverso l’obbligo scolastico (1877), più lenti per l’integrazione politica della grandi masse (suffragio universale maschile solo dal 1912). La stampa si colloca entro tale contesto e sconta un ritardo relativo rispetto agli altri paesi occidentali. Il giornalismo viene lasciato all’iniziativa privata, rimanendo in un solco di stretta continuità con la tradizione di pedagogia politica sviluppata durante il Risorgimento. Il risultato è che fino alla prima guerra mondiale, le statistiche relative alla tiratura complessiva della stampa quotidiana rimangono assolutamente lontane dai livelli raggiunti in altri paesi occidentali. Da questa continuità in qualità e quantità con il passato risorgimentale derivano diverse conseguenze, destinate a rivelarsi delle vere e proprie peculiarità di lungo periodo del caso italiano:
Al momento del suo costituirsi, il Regno d’Italia estende a tutto il paese la legge sulla stampa che Carlo Alberto aveva concesso in Piemonte, ma, in modo simile a quanto avviene nella situazione tedesca, rimane operante una prassi di abusi polizieschi che continua a rendere difficile la vita di giornalisti e periodici, sottoposti ad una ripetizione continua di sequestri e soppressioni. D’altra parte il tasso di analfabetismo rimane alto, con punte elevatissime nel Mezzogiorno. La stampa si conferma come lo strumento principe di una comunicazione politica ristretta alle élite del paese: i periodici riflettono una gestione artigianale e personalistica, con tirature e circolazione limitate. La natura oligarchica del giornalismo italiano si riflette in una relativa arretratezza di mezzi e risorse. All’indomani dell’unificazione politica del paese, paradossalmente il primo quotidiano stampato in Italia e L’Osservatore Romano, dal 1861 organo ufficiale della Santa Sede: è il segno di un’attenzione alle forme moderne della comunicazione che contraddistingue lo sforzo della autorità ecclesiastiche di mantenere una base di consenso all’interno dell’Italia laica. Nell’ambito dell’Italia laica il primo quotidiano ad affermare la propria autorità è Il Secolo, fondato nel 1866 a Milano dai fratelli Sonzogno, proprietari di una casa editrice di libri popolari. Questo giornale assegna maggior spazio alla cronaca della vita cittadina; diventa presto il giornale della borghesia colta riformatrice e dell’aristocrazia artigiana della città.
1867, Torino: Gazzetta Piemontese " La Stampa
1869, Firenze: La Nazione
Purtroppo, però, il risultato complessivo della stampa italiana è deludente: nel 1873 circolano 55 quotidiani per un totale di quasi 800 mila copie, meno di quelle che il Petit Journal parigino produce da sé. Dal canto suo, la stampa periodica non quotidiana conserva la diffusione municipale del periodo preunitario. Tra i periodici spicca la fiorentina Nuova Antologia, mensile che riprende la vecchia testata di Vieusseux e ne prosegue la linea di apertura alla cultura europea. I giornalisti italiani sono uomini politici o letterati che interpretano la stampa alla stregua di una seconda professione. La pubblicità occupa uno spazio limitato, relegato in ultima pagina, e il suo contributo al bilancio delle entrate è modesto. Le formule di abbonamento favoriscono molto la diffusione postale dei periodici, che prevale largamente rispetto alla vendita nei locali pubblici o nelle strade. In ogni caso questi quotidiani rappresentano quasi sempre un’impresa in perdita, costretta a ricorrere alle sovvenzioni pubbliche. La stretta vicinanza alla politica professionale si traduce in una dipendenza economica dalle istituzioni. La 'rivoluzione parlamentare', che nel 1876 alterna la sinistra alla destra nella composizione della maggioranza governativa in parlamento, produce le condizioni per un primo significativo cambiamento:
Accanto ai segnali di stretta continuità con il passato, non mancano elementi di novità. Nel 1875 nasce a Milano La Plebe, quotidiano della sinistra democratica e repubblicana costretto ad una vita travagliata dai ripetuti sequestri disposti dalle autorità della polizia. Si dovrà infatti attendere fino al 1906 per ottenere l’abolizione del sequestro preventivo e il vaglio obbligatorio della magistratura sui provvedimenti relativi alla stampa. Sia pure in misura molto ridotta, il concetto di opinione pubblica allarga i propri confini ad un elettorato d’opinione, non più vincolato a rapporti organici di scambio clientelare con i notabili locali. Lo stesso Secolosi apre ad una moderna cultura della notizia, inviando propri corrispondenti all’estero; dalla Francia importa il romanzo d’appendice.
Negli anni 70, però, il primato del Secolo viene insidiato dalla nascita de Il Corriere della sera, fondato nel 1876 a Milano da Eugenio Torelli Viollier, un giornalista che intende contrapporre alla forte caratterizzazione politica del Secolo una cultura della notizia di stampo anglosassone. Il nuovo quotidiano non riesce però a prendere l'avvio, quindi arriva in suo soccorso l’industriale cotoniero Crespi. Fin dall’inizio, quindi, il caso italiano mette in mostra quel fenomeno che si affaccia a fine 800 in Francia: una presenza determinante di editori 'non puri', che approdano all’editoria mantenendo interessi preminenti in altri comparti produttivi. Mentre in Francia questa presenza appare ancora minoritaria rispetto ad una forte tradizione di imprenditoria giornalistica, in Italia gli editori non puri giungono invece a colmare una situazione di vuoto. Il giornalismo italiano ha infatti alle spalle una tradizione risorgimentale che lo definisce in termini di missione educativa e politica, escludendo a priori ogni visione della stampa come impresa remunerativa e come consumo di notizie. Non esiste in Italia né un Girardin né un Pulitzer. Ciò non toglie che il Corriere mantenga una propria autonomia giornalistica. La comparsa del Corriere della sera produce l’effetto di una polarizzazione della stampa quotidiana milanese sotto il profilo sia della formula sia dei contenuti:
La copertura informativa estera del Corriere è assicurata da inviati permanenti nelle maggiori capitali europee e le spese redazionali crescono rapidamente: solo in parte questa lievitazione delle spese fisse appare compensata da un aumento di lettori. All’inizio del 900 il Corriere stampa ogni giorno 3 edizioni diverse per la città, per la provincia e per il resto d’Italia. Nonostante la sua forte caratterizzazione popolare, infatti, il Secolo mantiene fino a questa data una salda posizione leader. Milano non è l’unica città italiana ad avere più giornali quotidiani in lotta tra loro: nella Roma dell’Osservatore Romano nasce nel 1878 Il Messaggero, che nel giro di poco tempo raggiunge un’alta tiratura anche grazie al basso prezzo. La formula del Messaggero è infatti tra le prime a svincolarsi da sudditanze politico-ideologiche per puntare direttamente al grande pubblico: tutti i cittadini sono invitati dal direttore a fornire notizie di cronaca cittadina, dietro un compenso in denaro. Il nuovo quotidiano romano apre maggiori spazi alla pubblicità commerciale e privilegia la vendita rispetto alla spedizione in abbonamento. Nel 1883 nasce a Roma La Tribuna: anche in questo caso non si smentisce la tradizionale contiguità tra mondo politico e impresa giornalistica. Alla fine del 1893 essa rimane pesantemente coinvolta in una grave scandalo. È uno scandalo clamoroso che porta alla caduta del primo governo Giolitti e alla crisi di molte testate giornalistiche: nonostante il proprio evidente ritardo rispetto alla situazione francese, la stampa italiana mette in mostra un livello analogo di malcostume. La consapevolezza sempre più diffusa del ruolo della stampa come quarto potere agisce anche in senso inverso, sottomettendo giornali e giornalisti alla logica dei favori incrociati con il potere economico privato e con il potere politico delle istituzioni. Nondimeno La Tribuna riesce a risollevarsi, grazie anche alle 2 edizioni giornaliere e al supplemento settimanale La Tribuna illustrata. Ma La Tribuna rimane uno dei pochi giornali filogovernativi, in un panorama della stampa quotidiana largamente avverso al capo dell’esecutivo.
1885, a Bologna: Il Resto del Carlino (giornale della borghesia cittadina laica; vi collaborano nomi illustri della letteratura italiana come Carducci e Pascoli)
1886, a Genova: Il Secolo XIX (quotidiano a difesa della nascente industria italiana)
1891, a Napoli: Il Mattino (quotidiano che ha il proposito di divenire organo del conservatorismo italiano: nel mito coloniale individua il terreno per una rivalsa delle classi dirigenti meridionali contro la preminenza di un ceto politico in larga misura di origine settentrionale; pone una cura approfondita del profilo culturale: vengono chiamati a collaborare scrittori come D’Annunzio e Matilde Serao di cui rimarranno famosi i 'mosconi', che rappresentano una sorta di equivalente italiano, quindi umanistico e letterario piuttosto che giornalistico, della cronaca di human interest introdotta dalla penny press americana)
1887, a Venezia: Il Gazzettino (quotidiano espressamente indirizzato alle plebi rurali e cattoliche)
Così:
Nel 1880, con funzioni di rappresentanza nei rapporti con il governo e le istituzioni, si costituisce l’Associazione di stampa periodica. L’agenzia di stampa Stefani, divenuta agenzia nazionale, afferma il proprio monopolio sulle notizie estere sottoposte al controllo della magistratura almeno mezza giornata prima della loro pubblicazione. A questa strozzatura nel ciclo di trattamento delle informazioni se ne aggiungono altre nel ciclo direttamente produttivo: i telegrammi (attraverso i quali si svolge il lavoro dei corrispondenti) e la carta per la stampa hanno prezzi molto alti. Nel 1895 viene fondata a Milano una prima Associazione dei giornalisti cattolici che in seguito darà vita all’Associazione della stampa cattolica italiana. Seppure rappresenti un sintomo di reintegrazione della base sociale cattolica nelle vita civile, la presenza di una frattura confessionale indebolisce l’organizzazione corporativa della stampa e ne mette in evidenza la continua dipendenza da logiche di schieramento ideologico.
Una delle conseguenze di tale dipendenza è l’assenza di una formazione professionale a livello universitario, come avviene negli altri paesi: in Italia predomina invece a lungo l’idea del tirocinio, della socializzazione spontanea e quotidiana del lavoro redazionale come unico canale di reclutamento e specializzazione della professione giornalistica. Un’altra conseguenza della dipendenza del giornalismo italiano alla politica e alla cultura è la resistenza che a lungo si oppone alla penetrazione di una moderna cultura della notizia. Per questa stampa italiana, preoccupata di formare anziché informare, la fine dell’800 segna un passaggio cruciale. Nel 1898 i moti popolari contro l’aumento dei prezzi che si sviluppano nel Mezzogiorno trovano a Milano il proprio epicentro. Il Corriere della sera assume una posizione violentemente repressiva e antipopolare; contrario è invece il Secolo, che deve sopportare i rigori della stato d’assedio e la sospensione per alcuni mesi. Ma quando il Secolo torna a circolare, immediatamente quadruplica la proprie vendite. È il segno di un mutamento di clima: le elezioni successive sanciscono la sconfitta del governo e la forte avanzata delle sinistre. Anche il Corriere non può rimanervi indifferente: Torelli Viollier si dimette e gli succede Luigi Albertini. Il nuovo direttore ha soggiornato a Londra, dove ha avuto modo di osservare all’opera il mitico modello giornalistico del Times. Ne ha imparato l’attenzione sia per l’innovazione tecnologica sia per una cultura della notizia autonoma dalla vocazione politico-ideologica tipica degli ambienti italiani. In redazione compaiono gli stenografi, incaricati di trascrivere su carta i resoconti letti al telefono dagli inviati. Il Corriere è il primo quotidiano italiano ad avere una rete stabile di corrispondenti esteri. In seguito il giornale si trasferisce nella nuova sede di via Solforino ed è in grado di collegarsi 'in tempo reale' con i suoi maggiori omologhi stranieri: Times, Daily Telegraph, Matin. L’orientamento del Corriere è ancora in linea di continuità con l’appoggio alla Destra storica e tenacemente anticlericale e antisocialista: contrario cioè al suffragio universale e alle forze popolari che Giolitti intende invece includere nello stato e nel governo. Il Corriere passa da 6 a 8 pagine: compaiono la terza pagina (dedicata ad avvenimenti culturali) e la pagina sportiva. La tiratura sale costantemente. Sulla scorta dell’esempio fornito da altri grandi quotidiani stranieri, al Corriere si affiancano supplementi e periodici collaterali. Alla vigilia della guerra il Corriere è ormai diventato un piccolo trust editoriale con più di mille dipendenti. I primi anni del 900 vedono anche l’affermarsi di un genere giornalistico del tutto nuovo: la stampa di partito, che riprende in forma diversa la tradizione risorgimentale del giornalismo educativo e politico. Nel 1896 nasce Avanti!, il quotidiano del partito socialista. All’inizio non ha vita facile perché stretto nella tenaglia poliziesca tra lo statuto albertino ed il codice penale che include tra i reati perseguibili l’istigazione all’odio tra le classi sociali. Nel 1912 conosce una nuova fioritura con la direzione aggressiva di Benito Mussolini. Ma è nel clima convulso immediatamente precedente alla guerra che il quotidiano socialista arriva addirittura ad entrare in competizione con il Corriere della sera per la prima posizione nel mercato italiano. È l’effetto di un cambiamento epocale del sistema politico italiano, che da oligarchico e notabilare si viene trasformando sotto la spinta delle masse popolari organizzate. L’Avanti! costituisce infatti una doppia novità nel panorama giornalistico italiano:
L’Avanti! non è soltanto un veicolo di informazioni o uno strumento di intrattenimento, ma anche una lente con cui guardare la realtà, un canale di diffusione della linea politica e dell’ideologia di partito, un mezzo di formazione culturale e di mobilitazione sociale. Un’altra novità è la stampa sportiva: nel 1896 nasce La Gazzetta dello Sport, quotidiano su carta rosa. Per lungo tempo resterà l’unico quotidiano sportivo italiano. Nel 1901 nasce a Roma Il giornale d’Italia: il capitale iniziale è il frutto del convergere nell’impresa di interessi conservatori che fanno capo a uomini politici della destra, Sidney Sonnino e Antonio Salandra. Questo quotidiano giunge quindi a rafforzare il fronte antigiolittiano mantenendo stretti rapporti di collaborazione con il Corriere milanese. Notevole è il suo sforzo di diffusione e copertura informativa dedicato al meridione, così come l’invenzione di una terza pagina interamente dedicata alla cultura. Da allora in poi la terza pagina diventa una consuetudine dei quotidiani italiani, ripresa con particolare cura dal Corriere, che chiama scrittori affermati (Verga, Pirandello, D’Annunzio, Deledda) a comporre gli 'elzeviri': i pezzi letterari che aprono sulle prime 2 colonne la terza pagina. Il 900 vede tuttavia il lento declino del Secolo. Nel 1914 nasce Il Popolo d’Italia, che si inserisce a pieno titolo nella tradizione italiana di editoria impura.
L’età dell’oro della stampa occidentale propaga i propri effetti alla periferia del mondo. In Russia lo zar abolisce la censura preventiva, ma i giornalisti, in modo simile a quanto accade nella Germania di Bismarck, osservano una sorta di autocensura che li porta a bandire la politica dal proprio mestiere. Con il 900 inizia a diffondersi la stampa socialista clandestina. I periodici russi sono perlopiù addensati nella regione di Mosca e San Pietroburgo e sottoposti ad un forte controllo da parte delle istituzioni. Tuttavia le concessioni che lo zar è costretto a elargire aprono un’epoca nuova per il giornalismo russo. Nel 1912 nasce la Pravda ('Verità'), quotidiano dell’ala maggioritaria (in russo 'bolscevica') del partito socialdemocratico, affermatasi alle elezioni nella maggioranza dei collegi operai. Grazie a questa salda base sociale, concentrata nelle città industriali, la Pravda vanta un’alta tiratura. In Giappone lo sviluppo della stampa segue invece la penetrazione del colonialismo occidentale: nel 1854 la spedizione militare americana apre di forza i mercati e le relazioni diplomatiche di un paese ancora feudale. Gli effetti si fanno immediatamente sentire: i commercianti stranieri si dotano infatti di periodici a proprio uso e consumo. La comparsa di questi fogli (che spesso utilizzano ancora le tecniche della xilografia) radicalizza lo scontro tra occidentalisti e xenofobi all’interno delle classi dirigenti giapponesi. La restaurazione del potere imperiale avvia un processo di modernizzazione che passa per:
Il nuovo clima non manca di riflettersi sulla stampa. Viene fondato l’Istituto per lo studio dei libri stranieri; viene pubblicata un’antologia di testi stranieri che, però, dopo il primo numero viene immediatamente soppressa dal governo. Il Giappone viene in seguito attraversato dalle prime linee telegrafiche. La Reuters apre le proprie filiali in alcune città giapponesi principali. All’indomani della Restaurazione vedono la luce 14 nuovi periodici giapponesi, essi, però, sono sottoposti ad una legge di censura che vieta la pubblicazione di argomenti attinenti alla religione e di notizie militari o amministrative riservate. Non pochi dei primi giornalisti giapponesi vengono arrestati e le loro riviste soppresse. Nel 1870 appare il primo quotidiano, destinato ad una lunga vita durata fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. Le comunicazioni ufficiali del governo e delle amministrazioni locali sono invece riservate ad un determinato quotidiano, che gode di ampia diffusione nelle fila della burocrazia statale. L’uso della lingua classica ripropone anche per questi albori del giornalismo giapponese il problema di una ristrettezza del pubblico di lettori. Allo stesso periodo risalgono però i primi periodici in caratteri Kaba, destinati ad un consumo più popolare. Al 1876 risale anche il primo quotidiano finanziario. La prima agenzia di stampa giapponese risale al 1886, ad essa se ne aggiungono rapidamente altre, tutte private. Gli anni 80 segnano così, se non una vera e propria età dell’oro, quanto meno il primo decollo del giornalismo giapponese, che si avvia a recuperare il distacco accumulato nei confronti di quello occidentale. Nel 1875 entra in vigore una nuova legge sulla stampa, abbastanza simile a quelle occidentali, che istituisce:
Alla fine dell’800 il panorama della stampa giapponese presenta un’articolazione interna che ricorda alla lontana la polarizzazione occidentale tra stampa popolare e stampa d’élite: al primo genere possono essere ricondotti i 'piccoli periodici' di argomento culturale e letterario, che utilizzano i caratteri più conosciuti; al secondo i 'grandi periodici' di argomento politico, in larga maggioranza filogovernativi, ma frutto dell’iniziativa privata di editori spesso non puri. In seguito nascerà la figura dei primi corrispondenti: una novità assoluta per il continente asiatico. È interessante osservare che questa accelerata modernizzazione della stampa non si accompagna ad un parallelo processo di modernizzazione politica: il caso giapponese si presenta come un modello di informazione senza partecipazione. Simmetricamente opposto è il caso della Cina, dove invece lo sviluppo della stampa riflette l’ascesa del movimento indipendentista. Dopo la fioritura di periodici della seconda parte dell’800 (tutti in regime di concessione accordata dal governo imperiale), nel 1900 la propaganda di un quotidiano organo della lega rivoluzionaria si rivela decisiva nel preparare la caduta del Celeste Impero e nel permettere la nascita della nuova repubblica cinese. In India si assiste ad un fenomeno in qualche modo parallelo. Nel 1867 il protettorato inglese introduce il registro di libri e periodici: è la condizione preliminare per la persecuzione dei reati a mezzo stampa. La crescente presenza di indiani alla guida di quotidiani e riviste rende però la situazione più difficilmente controllabile. Ma il fatto più importante del periodo avviene in Sudafrica, dove nel 1903 Gandhi fonda il settimanale Indian Opinion, rivolto alla comunità indiana di quel paese, con cui comincia la predicazione del metodo non violento di lotta politica, fondato sulla resistenza passiva e la disobbedienza alle leggi ritenute ingiuste.
LA GUERRA (prima guerra mondiale e primo dopoguerra)
Agli inizi del 900 il giornalismo ha ormai conquistato un ruolo centrale come mezzo di comunicazione di massa, come lente attraverso la quale ogni giorno milioni di persone osservano e conoscono il mondo. In questo periodo inizia ad entrare in scena la guerra, nella nuova forma totale che viene assumendo sotto la spinta delle dittature totalitarie. Per la stampa, come per l’umanità nel suo complesso, questa è la nuova realtà da affrontare: il giornalismo occidentale vede messe a dura prova la propria libertà ed indipendenza dalla fase drammatica e convulsa che si apre nel 1914. I flussi informativi vengono monopolizzati dai governi in carica, intenzionati a sfruttare fino in fondo il quarto potere incarnato dalla stampa, di cui spesso in passato sono stati vittime, volgendolo contro i nemici esterni ed interni. La 'Belle Epoque' di liberalizzazione della stampa dalle censure e dai privilegi che si è dispiegata per tutta la seconda parte dell’800, conosce un brusco arresto e anzi una traumatica inversione di marcia. La Grande Guerra segna un drastico ritorno al giornalismo 'paterno', declinato nelle sue funzioni di:
Per la storia del giornalismo, quindi, la prima guerra mondiale segna un momento di svolta periodizzante, determinato dall’ingresso dello stato nel mondo delle comunicazioni, utilizzate come strumento per un’omologazione culturale ed ideologica di massa nei confronti dell’intervento militare e del susseguente sforzo bellico.
censura ≠ propaganda
(azione difensiva dello stato volta a proteggersi (azione offensiva volta a smuovere spiriti
da eventuali verità veicolate dai giornali) e cuori, dentro e fuori la nazione)
Esiste insomma una 'gestione delle notizie' da parte dello stato, che precede e priva di autorità funzioni e libertà della stampa.
Già all’indomani della dichiarazione di guerra, il governo inglese costituisce un Press Bureau sottoposto al controllo di una commissione parlamentare: i suoi compiti sono di
Una nuova legge, il Defense of the Realm Act, concede al governo la facoltà di limitare la libertà d’espressione e costituisce la base giuridica per tutti gli interventi censori nei confronti dei giornalisti non allineati allo spirito di concordia nazionale e bellicista. Nel 1917, presso il Department of Information, vengono manipolate 2 fotografie trovate addosso ad un prigioniero tedesco: montando insieme le 2 foto si fabbrica un falso che dimostrerebbe lo sfruttamento industriale del corpo umano da parte tedesca. Una finta prova che tuttavia esercita un peso decisivo nel convincere il governo cinese (il culto dei morti è parte fondamentale della cultura religiosa di quel paese) a dichiarare guerra alla Germania e che alimenta uno stereotipo destinato a riprodursi in occasione della scoperta dei campi di sterminio nazisti alla fine della seconda guerra mondiale. Il caso inglese mostra quindi la netta preminenza accordata al momento della propaganda rispetto a quello della censura: in effetti le sanzioni nei confronti della stampa si limitano a casi sporadici. Il governo tedesco è stato molto meno abile, privilegiando la censura rispetto alla propaganda. Ha infatti dimostrato un ritardo sensibile nella comprensione della potenza dei moderni mezzi di comunicazione come alleato e non solo come minaccia. In Francia le 2 funzioni di censura e di propaganda sono tenute separare e affidate a soggetti diversi, sulla base di un difficile dualismo tra potere politico e potere militare. In Francia, come negli altri paesi, la vita della stampa diventa molto più difficile. Solo con grandi contrasti e resistenze i corrispondenti di guerra vengono accettati al fronte, ma in nessun giornale di nessun paese belligerante si riesce a trovare un riflesso esatto delle reali condizioni di vita al fronte. Sul suo fronte indolore della battaglia per un’informazione libera, il giornalismo europeo perde la propria dignità piegandosi volentieri alle necessità di disinformazione imposte dal potere politico. Una variante inedita di questa sconfitta è rappresentata dai giornali di trincea che fioriscono in tutti gli eserciti via via che la guerra si prolunga e che hanno il compito di tenere alto il morale delle truppe. In Italia le norme di censura precedono addirittura l’entrata in guerra (1915): il governo ha facoltà di controllo sulle notizie di carattere militare; dopo l’intervento il divieto di pubblicazione si estende alle informazioni su caduti, feriti e prigionieri, sulle nomine degli alti gradi militari, sulle operazioni belliche. Ai prefetti locali è concessa facoltà di sequestrare i periodici. Il risultato di questa situazione è un appiattimento monocorde sul tono retorico del patriottismo di maniera che accomuna la stragrande maggioranza dei giornalisti italiani, compresi i più agguerriti. Tuttavia la guerra segna una forte avanzata sul piano delle tirature. Assai diverso, per molte ragioni, è il caso degli Stati Uniti. La guerra europea suscita una polarizzazione della stampa quotidiana tra i giornali del gruppo Hearst (che sostengono gli Imperi centrali, visti come forze nuove in contrapposizione alla stanca civiltà colonialistica britannica) ed il resto delle testate, in larga misura isolazioniste: la guerra è infatti vista come il risultato della decadenza e dell’arretratezza del vecchio continente. Il New York Times e l’Herald sono tra i pochi quotidiani a sostenere la causa dell’intervento a fianco degli inglesi, i quali dal canto loro non esistano a premere in tutti i modi per quest’ultima soluzione. Nel giro di pochi giorni il presidente Wilson decide l’intervento in guerra. Mentre la censura viene esercitata dagli uffici militari di stanza in Europa, un comitato distribuisce ai giornali materiale propagandistico (come il manifesto 'Uncle Sam Wants You' che propaganda l’arruolamento) e ingaggia numerosi oratori per brevi discorsi patriottici nei cinema e nelle scuole. Nonostante la guerra sia lontana, anche gli Stati Uniti seguono una linea di crescente involuzione censoria. Una serie di limitazioni così gravi alla libertà di stampa non si era avuta nemmeno all’epoca della guerra civile: dopo la fine della guerra le proteste delle associazioni di editori e giornalisti saranno tali da far osservare norme molto più liberali in occasione della seconda guerra mondiale e dei conflitti successivi (in particolare quello del Vietnam). In tutti i paesi occidentali l’azione di censura e propaganda svolta dal potere politico (secondo moduli organizzativi e contenuti sostanziali non troppo dissimili tra loro) produce una regressione del mercato editoriale. In questo periodo la produzione libraria complessiva retrocede in tutti i maggiori paesi, secondo proporzioni che vanno di pari passo con l’impegno dispiegato in guerra. Per l’innovazione tecnologica e organizzativa del ciclo produttivo e distributivo di periodici e quotidiani, la guerra è necessariamente un periodo di stasi.
Gli anni 20, fino alla metà degli anni 30, segnano invece il terzo 'periodo esplosivo' della storia dei media, dopo quelli del 1830-1840 e del 1875-1895. nell’età compresa fra le 2 guerre mondiali vedono infatti la luce la telefoto, la teletypesetter, la radio, il cinema sonoro; mentre la stampa in rotocalco conosce un grande successo e si avvia la prima sperimentazione della televisione, del magnetofono su nastro di acciaio, del cinema a colori. A differenza di quelle che l’hanno preceduta, questa fase esplosiva sposta per la prima volta il baricentro del sistema delle comunicazioni fuori della carta stampa, in direzione di altri mezzi che, tuttavia, almeno per il momento, hanno un diffusione limitata e non sembrano in grado di insidiare il predominio di quotidiani e riviste. Nascono così:
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non c’è da stupirsi se la radio verrà utilizzata in modo massiccio proprio dai regimi autoritari che si sviluppano in Europa e in Giappone tra le 2 guerre. Rispetto alla stampa, infatti, la radio segna un ritorno all’oralità che unifica il pubblico degli ascoltatori ad un livello più emotivo e meno meditato: le folle che si raccolgono sotto gli altoparlanti rappresentano il simbolo di una massa amorfa, passiva e disorganizzata, che ascolta e non discute. Nello stesso tempo la radio invade di prepotenza la sfera domestica, contribuendo a diffondere il senso comune in ogni momento della giornata e in ogni luogo dello spazio
È evidente che una grande trasformazione della vita quotidiana di milioni di persone è ormai alle porte e che riviste e giornali stanno perdendo il monopolio dell’informazione. Viceversa le innovazioni tecnologiche che riguardano da vicino la carta stampata non hanno la portata rivoluzionaria di quella della fase precedente: migliorano sensibilmente il prodotto giornalistico, ma non determinano un ulteriore salto di quantità e qualità paragonabile all’età dell’oro di fine 800. La telefoto è una tecnica di trasmissione immediata delle immagini per via telegrafica, che utilizza gli impulsi elettrici trasmessi da una cellula fotoelettrica di origine e una di destinazione. I giornali sono in grado di riprodurre immagini istantanee della realtà, scattate in ogni parte del mondo; la foto in bianco e nero diventa il corredo abituale di ogni articolo importante. Per la sua capacità di impatto immediato sul vasto pubblico, la foto conquista subito la prima pagina dei quotidiani. Lo spazio di rilievo accordato all’immagine viene così a chiudere un ciclo di profondi cambiamenti nella confezione del prodotto giornalistico. Viene così dimostrato che i lettori preferiscono paragrafi brevi, con ampi spazi bianchi alla fine di essi, e altri espedienti tipografici (corsivi, neretti, sottotitoli) utili a rompere l’uniformità del testo e a tener desta l’attenzione; inoltre preferiscono illustrazioni di forma rettangolare e regolare, e le fotografie non tagliate.
I criteri dell’impaginazione sono già profondamente mutati con lo yellow journalism, ma la foto in prima pagina sconvolge di nuovo tutti gli equilibri: la collocazione della foto sposta su di sé la concentrazione dello sguardo. Nasce allora un’impaginazione simmetrica, se la foto si colloca al centro della pagina, dividendola in 2 parti con numero uguale di colonne; l’impaginazione asimmetrica, invece, intende stabilire un ordine di priorità, rompendo l’armonia dei 4 quadranti, assegnando maggiore spazio e corpo ad un titolo rispetto agli altri e collegandolo con la foto. Il trattamento della notizia ne guadagna in articolazione e complessità: titoli, immagini e articoli diventano gli ingredienti base di una gerarchizzazione delle informazioni non più soltanto nell’ordine della foliazione interna, ma anche nell’ambito della stessa pagina. Grafica e impaginazione diventano così strumenti per caratterizzarsi e rendersi visibili su un mercato sempre più affollato e concorrenziale. Il menabò è il modello in scala ridotta della pagina di giornale sul quale distribuire articoli, titoli, foto. Acquista sempre più importanza il processo di valorizzazione della notizia attraverso la sua presentazione: posizione, titolo, immagini di contorno. All’inizio degli anni 30 compare nelle redazioni dei quotidiani la teletypesetter: una macchina che utilizza il sistema della banda di carta perforata delle telescriventi e consente di comporre articoli a distanza, facilitando la moltiplicazione dei luoghi di stampa di uno stesso giornale. Ma, oltre al crescere di importanza della confezione esterna del prodotto, il periodo tra le 2 guerre vede anche un mutamento di contenuto del lavoro redazionale. Da newsgatherer il giornalista si è visto trasformare, suo malgrado, in gatekeeper: in semplice ricettore e selettore delle informazioni gestite e prodotte da altri soggetti, che può scrivere articoli senza muoversi dalla propria scrivania con il solo ausilio di un telefono e di un’agenda ben fornita di numeri telefonici 'importanti'. Si rileva la gravità crescente del fenomeno dei press agent, degli uffici stampa di istituzioni pubbliche e di compagnie private, che spediscono ai giornali materiale da pubblicare, materiale di propaganda confezionata da giornalisti che lavorano al servizio di interessi diversi da quelli della carta stampata. Dopo la guerra, il ritorno alla normalità produce le condizioni per un riequilibrio tra le 2 diverse funzioni di newsgatherer e gatekeeper, restituendo autonomia e libertà al cronista d’assalto in caccia di notizie. Ma la prima comparsa di altri mezzi di comunicazione fa sì che questo riequilibrio avvenga in una situazione di accresciuta competizione, nella quale il mondo della carta stampata potrebbe in un futuro ormai prossimo non detenere più l’esclusiva dei flussi informativi. Per il momento questa minaccia è poco più di un presagio, ma accende ugualmente la riflessione sulle specificità che periodici e quotidiani sono in grado di far valere nei confronti di radio e televisione; tra queste spicca la dimensione dell’approfondimento: inchiesta, analisi, commento ed interpretazione di realtà sociale e culturali, di cui l’evento-notizia rappresenta solo una punta emergente. In redazione nasce la figura del capo-servizio, incaricato di seguire in modo continuativo (e quindi più approfondito) un settore di attività del giornale (esterni, interni, nera, sport, ..). Si sviluppa una tendenza alla specializzazione dei giornalisti in particolare campi dell’informazione (economia, scienza, relazioni internazionali, ..) e negli Stati Uniti si afferma l’interpretative reporting, che afferma con forza la necessità di andare oltre la cronaca per fornire un’interpretazione degli eventi, superando la tradizionale separazione tra fatti e opinioni. Sui grandi quotidiani americani compare la figura del columnist: un editorialista di prima pagina, diverso dal direttore della testata, che tiene una rubrica a frequenza regolare, dedicata all’illustrazione di un punto di vista più alto e distaccato sulla realtà.
Anche per questo la professione giornalistica cresce in quantità e qualità: nel 1925 lo stato italiano riconosce l’Albo dei giornalisti professionisti e nel 1926 viene fondata la Federazione internazionale dei giornalisti. Viene introdotta la 'clausola di coscienza': la facoltà di abbandonare la redazione di un organo di stampa che muti radicalmente la propria linea editoriale e politica. Gli accessi al mestiere continuano ad essere diversi a seconda dei paesi:
Ciò non toglie che nella maggior parte di questi paesi continui a prevalere la pratica spontanea della socializzazione redazionale come canale di reclutamento e soprattutto strumento di omologazione alla linea del giornale.
Negli Stati Uniti quella successiva alla Grande Guerra è la terza stagione di giornalismo di massa, dopo quelle della penny press e dello yellow journalism: la stagione del jazz journalism.
La fase successiva alla crisi del 1929 inaugura una tendenza verso la concentrazione delle testate. Ad incidere su questa inclinazione è anche la crisi dei giornali del gruppo Hearst che assumono una posizione filonazista, destinata ad isolarsi sempre di più nell’opinione pubblica americana: nel corso degli anni 30 si sgretola lentamente un impero e, dopo aver ceduto alle banche ciò che ne resta, Hearst si ritira definitivamente. A New York vedono la luce 3 nuovi quotidiani:
Sono tutti quotidiani in formato tabloid, a 8 colonne, con la prima pagina occupata per intero da una grande foto. La linea editoriale prosegue la tradizione di attenzione prevalente per le cronache di human interest. I 3 nuovi giornali contribuiscono ad allargare il mercato della stampa periodica. Di essi quello destinato a maggiore successo e più lunga vita è il Daily News, ispirato alla formula dell’inglese Daily Illustrated Mirror e diretto da Joseph Medill Patterson. A metà degli anni 20 si afferma come il quotidiano leader di New York, vincendo la competizione con il World nel pubblico degli immigrati e delle classi meno ricche della città. La sua è una scalata notevole, dietro la quale si consuma anche una parziale riscossa del New York Times. Ma il dato di gran lunga più significativo di questa stagione del giornalismo americano è il ritorno del settimanale, dei magazine. La grande novità è costituita dal formato ridottissimo, che viene subito ribattezzato come pocket, tascabile. Nel 1923 nasce la rivista Time, fondata da Henry Luce; oggi Time nel settore dei periodici rappresenta uno standard riconosciuto. Negli anni 30 lo stesso Luce dà vita a Fortune, settimanale di informazioni economiche, e a Life, che inaugura il genere nuovo del fotoreportage. Nell’economia di Life, infatti, la fotografia passa dalla funzione accessoria di commento e appendice esemplificativa degli articoli a quella centrale di supporto informativo diretto; l’articolo invece retrocede, riducendosi a semplice didascalia delle immagini, che si suppone parlino da sole all’intelligenza del lettore. Il grande successo che i settimanali incontrano nel corso degli anni 30 è strettamente legato alla comparsa dell’informazione sonora e cinematografica. Radio e cinegiornali determinano una stasi della stampa quotidiana, bruciata sul tempo e sulla spettacolarità dai nuovi mezzi di comunicazione. Viceversa la formula del magazine è quella che meglio risponde alle esigenze di approfondimento e analisi meditata degli eventi che radio e cinema non possono soddisfare. Dopo la lunga e travagliata ascesa di una moderna cultura della notizia, il senso comune e i contenuti concreti della professione giornalistica sembrano quindi tornare indietro, ad una rinnovata prevalenza delle opinioni sui fatti, del commento sul resoconto. Ma la diffusione della radio modifica profondamente anche i rapporti tra informazione e potere politico. Nel 1921 il nuovo presidente Harding introduce la formula delle domande scritte, che evita occasioni di attriti e scontri diretti con i giornalisti in sala formalizzando e imbalsamando il clima della conferenza stampa. La svolta si verifica con il democratico Roosevelt e la sua concezione pedagogico-educativa della politica. In contrapposizione ai dittatori europei che ricorrono alla radio come strumento di propaganda amplificata a diffusa della retorica di regime, Roosevelt introduce le 'chiacchiere al caminetto': un programma radiofonico di conversazione pacata, dal tono intimo e domestico, con cui il presidente si rivolge alla nazione. Queste 'chiacchiere' raccolgono un enorme audience di ascoltatori. Dal potere politico si riattiva quindi un flusso informativo di tutto rispetto e si inaugura la prassi di interviste in esclusiva. Un’informazione pluralistica e fondata sul contraddittorio, in grado di esprimere ed interpretare l’autonomia e l’articolazione interna dell’opinione pubblica (nuovo continente), si qualifica come tratto distintivo rispetto alla propaganda monocorde e a senso unico dei sistemi politici totalitari (vecchio continente).
TOTALITARISMI E DEMOCRAZIE (primo dopoguerra)
Anche gli Stati Uniti sono trascinati in guerra dall’attacco giapponese nel 1941, ma la vicinanza tecnica e politica tra stampa e potere non si interrompe: la nuova emergenza bellica del secondo conflitto mondiale (per gli americani molto più coinvolgente e drammatico del primo) viene affrontata in modo diverso rispetto al 1917. Le funzioni di propaganda si potenziano notevolmente, ma la novità più significativa è rappresentata dal modo nuovo di gestire la censura. A differenza del controllo esterno esercitato dalle autorità militari durante la prima guerra mondiale, il principio adottato negli anni 40 punta sulla deontologia professionale e sulla corresponsabilità dei giornalisti: è il riflesso della forza conquistata dalla corporazione degli operatori dell’informazione anche sul piano della qualità dei comportamenti dei propri associati. Gli effetti si vedono: pur nella contrazione del numero di testate quotidiane, la tiratura complessiva sale. Nel 1940 i quotidiani americani oltre il milione di copie di tiratura sono 4:
La fame di notizie determinata dalla guerra compensa gli effetti negativi determinati dalla rapida diffusione della radio e la carta stampata riguadagna quote significative di mercato. Né la radio riesce ad attirare, almeno per il momento, quote rilevanti degli investimenti pubblicitari. Ma il progresso tecnologico ha innalzato i costi della prima copia, rendendo più rischiosi gli investimenti ex novo nel settore: diventa più conveniente potenziare la circolazione delle testate già esistenti piuttosto che aprirne altre. Il giornalismo diventa negli Stati Uniti materia di un dibattito civile appassionato: una delle prime micce ad innescarlo è il libro 'L’opinione pubblica' di Lippman. Diverse sono le opinioni riguardanti l’argomento:
Se ai suoi esordi settecenteschi il mito dell’opinione pubblica ha rappresentato la bandiera con cui la stampa ha conquistato la propria libertà e contribuito a sviluppare la democrazia, nel 900 quel mito impallidisce fino a mutare di segno: l’opinione pubblica diventa un deposito incoerente di pregiudizi e stati d’animo che ognuno è libero di interpretare a modo suo. Ma sia Lippmann che Park intendono confutare il senso comune 'cospirativo', che guarda alla stampa come ad un semplice strumento passivo nelle mani di uomini e poteri privi di scrupoli, decisi a perseguire i propri obiettivi politici o economici condizionando e manipolando artificialmente l’opinione pubblica. Entrambi sottolineano invece il peso determinante di processi oggettivi, spesso divergenti fra loro, che assegnano alla professione giornalistica ruoli e funzioni di volta in volta diversi nel tempo e nello spazio. Ma l’esito comune delle loro riflessioni conduce ad una critica radicale dell’equazione tra stampa e opinione pubblica: il giornalismo può rappresentare solo se stesso e i risultati delle proprie convinzioni o delle proprie ricerche. La cultura della notizia compie così un coraggioso e problematico passo avanti: l’informazione non è mai verità, ma solo una sua approssimazione raggiunta sulla base di strumenti (le fonti) che devono essere esplicitati e sottoposti a costante verifica. Per la corporazione di coloro che praticano il mestiere di giornalista ne deriva un carico importante di responsabilità: nel fissare regole, criteri e codici di comportamento che prevengano, limitino e sanzionino gli abusi. Nel 1922 l’American Society of Newspapers Editors formalizza 8 canoni fondamentali:
3° : ribalta la prassi consolidatasi fin dall’epoca della penny press, stabilendo il principio secondo cui le fonti di notizie private ed indipendenti devono essere rese note: quelle che intendono restare anonime non possono essere pubblicate
4° : impone una corrispondenza di 'sincerità, attendibilità, accuratezza' tra titolo e contenuto di un articolo
5° : richiede l’osservanza della distinzione tra fatti e opinioni, fatta eccezione per gli articoli firmati 'dedicato ad una causa'
6° : richiama la regola del fair play: accordare spazio alle persone e agli enti messi sotto accusa, rispettare i 'diritti e sentimenti privati', garantire le rettifiche
Il caso americano mette così in rilievo la crescita autocritica della professione giornalistica all’interno di una democrazia fondata sul pluralismo di poteri. Ma il periodo tra le 2 guerre corrisponde anche all’emergere di sistemi politici radicalmente alternativi ed antagonistici alla democrazia nei quali la stampa intrattiene un rapporto organico con lo stato. In Unione Sovietica la nuova costituzione ideologica introdotta dal 'comunismo di guerra' sostiene la priorità delle libertà materiali (dal bisogno economico) rispetto alle libertà formali (come la libertà di stampa): in un paese così arretrato, dove le forze controrivoluzionarie sono ancora così potenti, lo sforzo di costruzione delle prime giustifica la sospensione temporanea delle seconde. La necessità di formare una coscienza collettiva omogenea prevale sulla divisione e sul bilanciamento pluralistico dei poteri. Il compito primario della stampa rivoluzionaria non si identifica con una cultura della notizia, ma con una funzione pedagogico-educativa di orientamento politico delle masse, volta all’instaurazione della dittatura del proletariato. Dal punto di vista del controllo di stato esercitato sulla stampa non esiste rottura di continuità tra Lenin e Stalin. Vengono sospese le pubblicazioni di tutti i periodici di opposizione e vengono nazionalizzate le proprietà delle imprese giornalistiche esistenti; sopravvive la stampa:
La vecchia agenzia di stampa zarista viene posta alle dipendenze del governo, in seguito nasce la Tass, che detiene il monopolio dei flussi informativi e che successivamente verrà affiancata dalla Novisti, collegata alle Unioni dei giornalisti e degli scrittori. In qualche modo obbligato dalla mancanza di comunicazioni terrestri è il grande sviluppo della radio di stato. Viene creato un ufficio per la propaganda e di uno per la censura, che controllano rigidamente tutte le pubblicazioni circolanti sia dal punti di vista tecnico-organizzativo sia dal punto di vista contenutistico. Il compito di normalizzazione della stampa è reso più facile dall’esistenza di una radicata tradizione autoritaria incarnata dal potere zarista e dalla conseguente arretratezza, in termini di potere ed autonomia, della professione giornalistica. Assai diverso è il caso dell’Italia, dove l’instaurazione del regime fascista deve fare i conti con le resistenze di una stampa moderna, abituata al pluralismo, alla libertà e al rifiuto di intromissioni delle autorità di governo. Alla fine delle ostilità la stampa quotidiana si presenta più forte rispetto al 1914. All’inizio degli anni 20 tutti i maggiori quotidiani, con l’eccezione dell’Avanti! socialista, sono in mano a editori impuri: industriali, possidenti terrieri, banchieri. L’editoria libraria invece ristagna: mentre in tutti gli altri paesi occidentali negli anni del dopoguerra la produzione di volumi torna ai livelli prebellici, in Italia si verifica una prolungata 'crisi del libro' che determina un ulteriore calo della produzione. La nomina di Mussolini a presidente del consiglio nel 1922 ha ripercussioni quasi immediate sul mondo della carta stampata: un decreto accorda ai prefetti la facoltà di diffidare e dimettere il direttore di un periodico in caso di:
Le redazioni del Corriere e della Stampa proclamano apertamente la propria contrarietà, come anche la Federazione nazionale della stampa. Le basi di consenso ancora fragili del proprio governo consigliano allora a Mussolini l’adozione di una doppia strategia 'inglobativa e repressiva': l’attacco frontale e violento condotto dal partito fascista nei confronti dei giornali non allineati si combina ad una 'fascistizzazione' sotterranea della stampa attraverso manovre nella composizione dei consigli di amministrazione di volta in volta accordate con gruppi di potere privati. In seguito il decreto iniziale viene convertito in legge: in Italia non esiste praticamente più una stampa libera, anche se formalmente lo stato, a differenza di quanto accade in Unione Sovietica, non controlla direttamente alcuna testata giornalistica. Vengono messi fuorilegge tutti i partiti antifascisti e i loro organi si stampa. Il ministero della cultura popolare (Minculpop) agisce in modo simile agli organismi di controllo creati durante la Grande Guerra: distribuisce 'veline' e direttive minuziose alle redazioni con gli orientamenti di fondo da seguire nella scelta delle notizie (come l’impulso all’informazione sportiva e la ferma condanna nei confronti della cronaca nera, non collimante con l’immagine di un paese pacificato e migliorato dal fascismo), nella titolazione, nell’impaginazione e nel linguaggio da usare. L’agenzia Stefani passa nelle mani di un fedelissimo del Duce e viene costituito il Sindacato nazionale dei giornalisti, che rimpiazzerà la Federazione nazionale della stampa. Viene istituito l’Ordine dei giornalisti professionisti e l’Albo corrispondente, che entra in vigore nel 1928: per farne parte è necessario un certificato di buona condotta rilasciato dal prefetto. L’aumento del dazio sulla carta da stampa importata provoca un rialzo del prezzo dei giornali ed una riduzione forzata della foliazione a 6 pagine: si contrae lo spazio riservato alla cronaca nera, aumenta quello dedicato allo sport. Di conseguenza la stampa quotidiana va incontro ad una contenuta riduzione della tiratura complessiva. I quotidiani si vendono quindi ad un prezzo politico e i loro deficit di bilancio sono ripianati dall’intervento statale. Dai quotidiani stranieri, quelli italiani mutuano la titolazione a tutta pagina, ma non le foto: il modello rimane quello austero, di solo testo, del Times inglese. Solo nel 1934 la telefoto fa la sua comparsa sulle colonne di Stampa Sera (l’edizione serale della Stampa). Lo sforzo delle redazioni si concentra sulla terza pagina dedicata alla cultura, alla ricerca di un prestigio letterario o scientifico che compensi la piattezza informativa. Gli anni della guerra di Etiopia segnano l’apogeo quantitativo della stampa quotidiana sotto il fascismo, ma la proporzione copie/abitanti è di gran lunga la più bassa tra quelle dei maggiori paesi occidentali. In parallelo a quanto avviene negli Stati Uniti, la diffusione della radio dà impulso alla crescita dei periodici a stampa: è in questo settore che si forma una nuova generazione di giornalisti, destinati a far carriera nel dopoguerra. Nel 1937 esce Omnibus, settimanale edito dalla casa milanese Rizzoli, in grande formato, uguale a quello dei quotidiani: in Italia rappresenta il primo esempio di settimanale moderno, improntato ad una logica di approfondimento delle notizie e, nello stesso tempo, ad una vivacità sfaccettata dei criteri di impaginazione e titolazione. Viene però presto chiuso d’autorità. Alla Rizzoli il suo posto è allora preso da Oggi, che non avrà però vita più lunga. Gli si affianca Tempo, diretto dal figlio dell’editore Arnoldo Mondadori, con la collaborazione di Indro Montanelli e con criteri ancora più giornalistici e meno letterari di Ominbus, secondo un modello di riferimento che è quello americano di Life: stampa in rotocalco e foto a tutta pagina. Un settore particolare della stampa periodica è quella femminile, cui il fascismo imprime una particolare spinta perché è importante per forgiare una nuova italiana, nel segno del ruolo tradizionale di prolifica madre di famiglia, funzionale alle politiche demografiche del regime: nascono Amica, Annabella, Grazia, Gioia. Sebbene la guerra agisca nel senso di rafforzare i meccanismi di controllo e censura del regime, per la stampa quotidiana rappresenta, come sempre, una mirabile occasione di miglioramento ulteriore delle proprie tirature. Rispetto a quello italiano, il panorama della stampa tedesca nel primo dopoguerra è assai più variegato e complesso. La costituzione della nuova repubblica di Weimar, sorta dalle ceneri della Grande Guerra, ha rotto con il passato di intrusione statale, risalente al periodo bismarckiano, estendendo la libertà di stampa e limitando la facoltà di sospensione delle pubblicazioni da parte delle autorità di polizia. La rottura repubblicana non è priva di effetti: a differenza dell’Italia, la crescita dei grandi trust industriali propiziata dalla guerra non si traduce infatti nella penetrazione di editori impuri. Si affermano invece grandi catene editoriali, come quella Ullstein che detiene la proprietà delle maggiori testate di orientamento democratico, e quella di Alfred Hugenberg. All’inizio degli anni 30 quest’ultimo è diventato il proprietario di un impero che controlla quasi ¼ della stampa tedesca più importante. Il suo forte sostegno al partito nazista si rivela decisivo per la nomina di Hitler a cancelliere. Ancora alla vigilia della rivoluzione che lo conduce al potere, infatti, il movimento nazista ha una presenza largamente minoritaria nella stampa tedesca. L’organo ufficiale del partito è diretto personalmente da Rosenberg, con una grande accentuazione delle tematiche razziste e antisemite. L’applicazione sistematica della censura e della propaganda di stato avviene nella Germania nazista senza la gradualità che assume nell’Italia fascista.
Nei confronti della stampa d’opinione l’atteggiamento di Hitler ricalca da vicino la tattica 'inglobativa e repressiva' di Mussolini. Entra in vigore la cosiddetta 'legge sugli scrittori' che legalizza la sottomissione della stampa alla censura di stato. La legge nazista assegna alla censura un potere di soppressione delle pubblicazioni che pende su una stampa formalmente indipendente, ma praticamente stretta tra questa minaccia e le direttive guida dell’informazione formulate ogni giorno dal ministero di Goebbels. A sostegno di quest’opera di 'nazificazione' della stampa viene istituita una scuola statale di giornalismo. Nel 1932 la nazionalizzazione della radio ha preceduto l’avvento del potere nazista e gli concede uno strumento di cui Goebbels intuisce le grandi potenzialità. L’impulso dato dal terzo Reich alla produzione di apparecchi radio a basso costo si traduce nel fatto che alla vigilia della seconda guerra mondiale più di 2/3 delle abitazioni tedesche, un record assoluto in Europa, sono in grado di ricevere le trasmissioni curate dal ministero della propaganda. Il Giappone rappresenta un caso particolare di controllo totalitario della stampa, fondato sulla graduale prevalenza del potere militare ma anche su un’antica tradizione culturale di introiezione dei valori di obbedienza all’autorità e di autocensura. Nel 1925 la legge di preservazione della stampa sancisce la proibizione di diffondere notizie su attività e idee contrarie al kokutai (= termine giapponese che indica il sistema nazionale concepito come un insieme organico e una comunità naturale, simile alla famiglia). È la premessa per la successiva messa fuorilegge dei sindacati e dei partiti di sinistra. I poteri della censura governativa vengono poi ulteriormente ampliati attraverso la definizione in 7 punti della natura anti-kokutai di un testo:
Questo irrigidimento della situazione si traduce anche in una serie di restrizioni per i corrispondenti esteri che possono avere accesso alle informazioni solo attraverso i canali ufficiali del ministero degli esteri. Gli anni 30 segnano comunque un miglioramento della stampa giapponese. I grandi quotidiani introducono le foto e si aprono alla pubblicità commerciale, i cui introiti consentono alte tirature, rese possibili anche dal forte impulso alla scolarizzazione di massa. La struttura a ideogrammi della lingua però complica e ritarda l’innovazione tecnologica, rendendo indispensabile il ricorso a quote massicce di forza lavoro. Gli anni 20 vedono anche l’affermarsi dei cosiddetti 'periodici geisha': quotidiani di piccolo formato e di contenuto scandalistico, nei quali la terza pagina è stabilmente occupata da una cronaca nera trattata con profondità di analisi socio-culturale. Il trattamento della notizia di human interest sostituisce così la scarsissima libertà di manovra sul piano dell’informazione politica. Al 1925 risalgono le prime trasmissioni radiofoniche sperimentali. Un maggiore pluralismo di testate è invece presente nel settore delle agenzie di stampa. Il giornalismo giapponese segue tuttavia da vicino l’involuzione autoritaria del paese nel corso degli anni 30. L’ondata terroristica che insanguina il paese ad opera delle fazioni militariste non lascia immune la stampa, espressione delle residue componenti civili presenti nel governo: nel 1935 ne fanno le spese i direttori di alcuni tra i maggiori quotidiani nazionali. Nel 1936 si costituisce presso il governo un Comitato per l’informazione, che da un lato provvede a fornire direttive agli organi di stampa, dall’altro concentra nelle mani dello stato le agenzie di stampa. In modo non troppo dissimile da quanto avviene in Italia e Germani, alcuni grandi quotidiani mantengono un’indipendenza di facciata, in quanto non completamente favorevoli alla dittatura militare. La stampa quotidiana giapponese si colloca al quarto posto della graduatoria mondiale, dopo Inghilterra, Stati Uniti e Francia, ma prima dell’Italia. Nel 1938 la legge di mobilitazione nazionale concentra nelle mani dello stato le leve dell’economia sciogliendo i sindacati. La circolazione delle materie prime (tra cui la carta da stampa)è soggetta a pesanti restrizioni, con effetti di ulteriore centralizzazione del sistema informativo. Nel 1938 ha luogo l’estrema protesta della stampa rimasta libera: i direttori dei 7 maggiori quotidiani giapponesi insieme al direttore dell’agenzia di stampa nazionale, sottoscrivono un manifesto pubblico che chiede al primo ministro una nuova politica di collaborazione tra stampa e governo, minacciando in caso contrario il boicottaggio del Comitato governativo per l’informazione. Per la stampa giapponese si apre una fase di aperta repressione: più di 600 periodici vengono sospesi dalle autorità di polizia, limitata la foliazione di tutti gli altri. Nel 1940, quando in Europa è in pieno svolgimento l’offensiva delle potenze dell’Asse, il Comitato governativo per l’informazione entra pienamente in una logica di mobilitazione bellica, esaltando lo stato militare e la compattezza del popolo. La legge per la difesa del segreto di stato costringe all’abbandono del Giappone i corrispondenti stranieri. Il Comitato per la radiodiffusione viene posto sotto il diretto controllo degli uffici di comunicazione dello stato maggiore militare. Sulla scorta dell’esempio tedesco la radio diventa il principale mezzo di comunicazione del governo. A subire più da vicino l’assalto esterno e interno dei regimi dittatoriali sono le storiche democrazie europee di Francia e Gran Bretagna. Lo smantellamento delle bardature censorie istallate nel corso della Grande Guerra produce un rilancio della grande stampa privata, che tuttavia deve affrontare la concorrenza di cinema e radio. In Francia la radio trasmette regolarmente dal 1922, ma senza notizie, solo con programmi musicali, culturali e di intrattenimento. Per reggere la concorrenza delle agenzie di stampa straniere, l’agenzia Havas torna a fondersi con la Société générale des annonces, la concessionaria di inserzioni a pagamento sulla carta stampa. Dei 4 grandi quotidiani francesi solo 2 si presentano alla ripresa del dopoguerra in buona salute: il Matin, che si conferma leader, e il Petit Parisien. Fuori di Parigi, in provincia la stampa locale e regionale resiste bene. Nella stampa di provincia si viene affermando l’agenzia di distribuzione Hachette, erede di una vecchia casa editrice. Nella capitale il fatto nuovo è rappresentato dall’ascesa dell’industriale tessile Jean Prouvost, che nel 1930 acquista Paris Soir, quotidiano parigino della sera portandolo nel giro di qualche anno a tirature molto alte. La formula del giornale ricalca da vicino quella americana del momento: rottura dell’impaginazione verticale in colonne attraverso la presenza asimmetrica di foto e illustrazioni, titoli di scatola, cronaca d’attualità, sensazionalismo, informazione sportiva. A Paris Soir si affiancano periodici come Marie-Claire, destinato al pubblico femminile, che presenta una nuova immagine di donna emancipata, giovane, seduttiva. Prouvost rileva poi Match (supplemento sportivo de l’Intransigeant, vecchio quotidiano parigino) e ne fa un settimanale illustrato ispirato all’americano Life. Come negli altri paesi, infatti, gli anni 30 vedono un forte rilancio della stampa periodica, favorita anche dal progressivo aumento di prezzo dei quotidiani. Crescono riviste illustrate come Le Miroir e L’Illustration, satiriche come Le Rire e Le canard enchaîné. I periodici della destra estrema come Candide e Gringoire documentano la minaccia interna che il fascino esercitato dai regimi totalitari di Italia e Germania è in grado di esercitare. Dal panorama della stampa quotidiana invece praticamente spariscono il Petit Journal, soppiantato dalla Croix de Feux, e l’Echo de Paris, che probabilmente paga l’eccessiva vicinanza allo stato maggiore militare nel corso della guerra. Anche il Matin conosce una crisi verticale. Quel che vale per una rivista settimanale o mensile non vale per un quotidiano di grande diffusione: un eccesso di parzialità politica riduce inevitabilmente la sua capacità di penetrazione nel grande pubblico. Nel complesso la stampa quotidiana francese registra una stasi rilevante, dovuta anche all’ascesa della radio come strumento informativo, che la resistenza corporativa degli editori è sempre meno in grado di contrastare. Si ripete quindi la tendenza di fondo, già vista all’opera negli Stati Uniti, di una concentrazione delle testate determinata dall’incremento dei costi della prima copia, accompagnata da un’espansione del pubblico dei lettori. Ma in Francia questa espansione avviene soprattutto in provincia. Tra il 1938 ed il 1939 tornano in auge gli strumenti di controllo statale sulla stampa sperimentati nel corso della Grande Guerra.
Ma per far funzionare queste strutture non ci sarà il tempo. Schiacciata dalla travolgente avanzata nazista, la Francia vive la drammatica e vergognosa stagione del collaborazionismo. Il governo del maresciallo Pétain mantiene in vita un Segretariato generale per l’informazione, che si incarica della censura attraverso note orientative trasmesse regolarmente alle redazioni di numerosi quotidiani e periodici: 1/3 di quelli esistenti al 1939 manca all’appello, chiuso d’autorità dalle forze d’occupazione o da quelle pétainiste. Rispetto al caso francese, la stampa inglese tra le 2 guerre è contraddistinta da un grado assai più alto di concentrazione. Alle catene dei 2 fratelli Northcliffe e Rothermere, si aggiunge la rapida ascesa di William Beaverbrook: la punta di diamante della sua catena giornalistica è rappresentata dal Daily Express, quotidiano di orientamento conservatore. Il gruppo Rothermere ruota invece attorno al Daily Mail e al Daily Mirror: il primo conferma la sua posizione di punta; il secondo attraversa invece una fase di crisi negli anni 20, dalla quale esce definitivamente solo dopo il 1934. La formula del Mirror assegna una netta preminenza alla cronaca: mediamente la politica occupa meno della decima parte del giornale (in proporzione è la metà dello spazio che le dedica il Times). D’altra parte questa scelta editoriale non fa che venire incontro ai gusti del pubblico. Ma il Mirror è anche protagonista di una ferma critica liberale alla politica interna di Churchill, che contribuisce a garantirgli un successo di pubblico costante negli anni di guerra. Il trust Northcliffe entra in crisi nel 1922 con la morte del suo presidente: a mettere in evidenza il declino del gruppo non esiste segno più evidente della vendita del Times. Il prestigioso quotidiano resta comunque affidato ad un comitato di saggi scelti tra i più eminenti uomini dell’establishment politico, economico e culturale della Gran Bretagna, che ha l’incarico di tutelare l’indipendenza del Times. Del resto, per tutta la stampa quotidiana inglese il periodo tra le 2 guerre segna un’espansione delle tirature. La circolazione complessiva registra infatti un record negativo all’uscita della Grande Guerra. All’exploit della stampa quotidiana britannica (che nel periodo tra le 2 guerre registra il saggio di incremento di gran lunga più alto nell’ambito dei maggiori paesi occidentali) contribuisce la doppia introduzione del suffragio universale maschile e femminile. A disputarsi questo nuovo pubblico di lettori sono i quotidiani londinesi, che scatenano delle vere e proprie 'guerre per la diffusione', a colpi di gadget, polizze assicurative in regalo, concorsi e lotterie: il pubblico dei non lettori ne viene attratto e allarga in misura decisiva il mercato della stampa. Ma si affermano anche nuovi giornali legati alla sinistra laburista, come il Daily Herald. Nel giro di pochi mesi la sua tiratura quadruplica, grazie ad una campagna abbonamenti condotta casa per casa con regali in omaggio. Le spese della campagna sono compensate da un forte aumento degli introiti pubblicitari, che l’aumento dei lettori rende più richiesti sul mercato. Il Daily Herald potenzia molto la cronaca di human interest, soprattutto nei suoi aspetti mondani più lontani dalla realtà quotidiana della grande maggioranza dei lettori. La cronaca diventa così il luogo di una vita virtuale immaginata e di evasione: funzionale alla proiezione dei propri sogni (quando è bianca) e a quella dei propri timori demonizzanti (quando è nera). La nuova emergenza bellica riproduce tardivamente alcuni dei mutamenti istituzionali già sperimentati nella Grande Guerra: si ricostituisce un ministero dell’informazione, ma, come accade negli Stati Uniti, anche in Gran Bretagna nel corso della seconda guerra mondiale non si ripetono gli eccessi di censura e controllo statale sulla stampa che si erano verificati nella prima. Il giornalismo inglese continua così a manifestare profondi tratti di continuità con il passato, che lo distinguono dagli altri casi nazionali. L’avvento della radio è disciplinato dalla presenza della Bbc: caso peculiare di un mix tra pubblico e privato, che evita alla carta stampata una concorrenza selvaggia ed è destinato a fare scuola. La commistione tra interessi pubblici e privati può infatti essere considerato come un altro aspetto caratterizzante del caso inglese: ne è una conferma la perdurante tradizione di sovvenzioni governative agli organi di stampa (compreso il Times). Per quanto Londra e Fleet Street continuino a rivestire il ruolo di centro propulsivo della stampa, giornali e riviste sono accomunati da un’impostazione informativa nazionale che scoraggia la nascita di periodici locali e regionali, destinati ad un costante declino. Ne deriva un ulteriore motivo di peculiarità rispetto al contesto continentale: la crescita parallela di grandi quotidiani con un mercato di massa e tirature superiori al milione di copie, infatti, avvicina Londra a New York piuttosto che ad altre metropoli europee. All’origine di questa maggiore vicinanza relativa al modello americano vi è anche una legislazione sui mezzi di comunicazione che si mantiene a livelli minimi, osservando standard di grande libertà e autodisciplina nel settore. Ma per il resto del vecchio continente l’esperienza compiuta nel periodo tra le 2 guerre presenta tratti inquietanti. Il modello commerciale di sistema dei mezzi di comunicazione, che si è affermato di prepotenza dell’età dell’oro a cavallo tra i 2 secoli, ha mostrato di non sapersi coniugare a quello democratico.
LA STAMPA NELL’ERA DELLA TV (dal secondo dopoguerra)
Il 6 maggio 1945, 16 giornalisti di agenzie e network radiofonici di tutto il mondo vengono convocati d’urgenza a Reims presso il comando supremo dell’esercito: saranno testimoni dell’atto di resa firmato da quel che resta dello stato maggiore tedesco davanti al comandante in capo delle forze alleate, il generale Ike Eisenhower. Viene loro chiesto preventivamente di ritardare la comunicazione della notizia, perché Churchill, Truman e Stalin siano i primi ad annunciarla simultaneamente al mondo. Uno dei 16 giornalisti, il caporedattore per il fronte occidentale dell’agenzia di stampa americana Associated Press, Edward Kennedy, decide però di violare il patto e attraverso un telefono militare trasmette la notizia alla filiale londinese della sua agenzia. Churchill e Stalin protestano vibratamente con Eisenhower per la fuga di notizie che li mette di fronte al fatto compiuto, nella difficile posizione di censori falliti, colpevoli di un ritardo nella diffusione della notizia che da mesi tutto il mondo aspetta con ansia. Il comportamento di Kennedy viene così definito come 'il doppio gioco più disastroso, deliberato e immorale di tutta la storia del giornalismo'. Il caso Kennedy mette bene in luce le contraddizioni che lo sviluppo tecnologico induce nella professione giornalistica. I tempi di trasmissione delle notizie sono diventati così rapidi che la concorrenza tra le diverse testate (e tra esse e le emittenti radiofoniche) si gioca sul filo delle ore, se non dei minuti. La competizione del mercato si è fatta spietata e 'prendere un buco' (cioè non avere o avere più tardi una notizia da altri) significa per ogni giornalista una macchia nera sul proprio curriculum professionale, per ogni testata una perdita di prestigio e di lettori. Ma la corsa contro il tempo fa a pugni con la precisione del mestiere, il riscontro accurato delle fonti, la verifica incrociata delle informazioni. D’altra parte il giornalismo diventa sempre più il terminale passivo di flussi informativi attivati in prima persona da altri soggetti pubblici e privati, che intendono controllare modi e tempi della comunicazione che li riguarda. Ma la condanna che gli altri giornalisti infliggono a Kennedy riguarda la regola autoreferenziale, completamente interna alla corporazione, del mantenimento di patti stipulati collettivamente, secondo una logica di fair play che in casi di straordinaria necessità sospenda temporaneamente la battaglia per la concorrenza. La regola del fair play, infranta da Kennedy nel 1945, torna invece a funzionare efficacemente in un caso giornalistico del 1961; ma con esiti disastrosi sull’accuratezza e sulla verifica delle notizie. Disciplinando la concorrenza interna, la corporazione giornalistica ha uniformato i propri comportamenti ad uno standard di bassa qualità del lavoro, con grave discapito del diritto dei lettori all’informazione. Ma nel 1945 come nel 1961 il fatto nuovo è rappresentato dalla comparsa sulla scena della storia di un attore, il giornalista, che dovrebbe limitarsi al ruolo di testimone e che invece prende parte attiva allo svolgersi degli eventi. La comunicazione assume così la forma triangolare di un rapporto paritario fra soggetti autonomi e reciprocamente indipendenti: i protagonisti della notizia, i giornalisti, l’opinione pubblica. Ma quest’ultima appare sempre più in una posizione passiva rispetto ai rapporti di scambio che si instaurano fra i primi 2 lati del triangolo. Esiste una logica dei media, autonoma e sovrapposta rispetto alla realtà, che nella società contemporanea tende sempre di più ad imporsi sullo svolgimento dei fatti e ad imporre 'eventi mediali' artificiali. Tra giornalista e fonte si sviluppa un gioco di strumentalizzazione reciproca che entra di frequente in conflitto con il diritto all’informazione del pubblico.
Ergendosi a espressione e rappresentanza dell’opinione pubblica nel corso dell’800 la stampa ha conquistato la propria libertà dai vincoli che il potere politico ha tentato di imporle. Ma la forza raggiunta dal quarto potere lo configura ormai come un soggetto autonomo, pienamente in grado di operare (da solo o in accordo con altri poteri) una 'gestione delle notizie' che non sempre è condotta nel rispetto del diritto pubblico all’informazione. Tra le molte professioni legate all’espansione della società di massa, quella giornalistica è tra le meno legate ad un meccanismo di feed back dal pubblico e quindi ad una verifica 'di mercato' del proprio operare. Il sistema dei media si trova quindi a travalicare le proprie originarie funzioni di servizio e a sovrapporre le proprie logiche private a quelle dell’interesse pubblico. Dopo il 1945 il tema della libertà di stampa torna di attualità. La Commission on the Freedom of the Press istituita a Washington nel 1947 introduce un elemento nuovo coniugando il principio della libertà di stampa con il criterio della responsabilità sociale. Il riconoscimento del ruolo pubblico assunto dal quarto potere impone di conseguenza una deontologia professionale che trae alimento da una doppia lealtà esterna nei confronti della realtà oggettiva e dell’opinione pubblica. L’idea che si sviluppa in ambiente statunitense è la connessione tra stampa e 'servizio pubblico', inteso come tutela dei valori fondanti della comunità popolare. Il modello della stampa libera e responsabile si contrappone così agli altri 3 modelli emersi dalla storia:
Nell’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sottoscritta dalle Nazioni Unite nel 1948, si può leggere: 'ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione ed espressione, che implica il diritto a non essere molestato per le proprie opinioni e a cercare, ricevere, diffondere, senza limiti di frontiere, informazioni e idee con qualsiasi mezzo'. Nel 1950 il Consiglio d’Europa approva la Convenzione sui diritti dell’Onu, ma con alcune importanti specificazioni. La formulazione giuridica degli stati democratici europei prevede quindi la possibilità di limitazioni alla libertà di stampa. Ma del tutto assente rimane il tema del diritto all’informazione come requisito fondamentale del cittadino di uno stato democratico. Si presume cioè che l’esistenza di un libero mercato pluralistico delle testate giornalistiche fornisca al pubblico gli strumenti per difendersi dalle distorsioni informative. A questo criterio di fondo si ispirano le legislazioni che nei diversi paesi limitano l’uso dei media nelle campagne elettorali secondo regole di par condicio. Il problema è che nel corso del 900, ma in modo più accelerato a partire dal 1945, il mercato dei media è interessato da 2 processi paralleli e decisivi per le sorti del settore:
Entrambi questi processi convergono nel risultato di rendere molto più difficile di prima l’accesso al mercato di nuovi media e di facilitare, al contrario, dinamiche di concentrazione oligopolistica. Le politiche degli stati hanno cercato di mettere riparo a questa tendenza, sia attraverso il varo di complesse legislazioni antitrust (che pongono limiti alla concentrazione nelle stesse mani di quote della circolazione di stampa, del numero di testate e di più risorse medianiche) sia attraverso meccanismi di sovvenzioni dirette e indirette finalizzate al mantenimento del pluralismo di mercato. Ma i risultati concreti sono quanto meno dubbi: all’inizio del 2000 la tendenza largamente dominante è quella della costituzione di conglomerati multimediatici multinazionali, dotati di una forte capacità di integrazione sia verticale sia orizzontale. Rispetto alla responsabilità generica nei confronti del corpo sociale si fa invece strada la responsabilità concreta dei giornalisti nei confronti dei proprietari dei mezzi di comunicazione e delle loro cointeressenze con altre imprese private non editoriali, ma intenzionate a sfruttare la comunicazione a fini pubblicitari. Le società multimediali considerano spesso l’informazione solo come una merce in vendita. Nelle economie di mercato, i prodotti vengono ritirati se non procurano profitti. Se ciò accadesse nei media, lo spettro delle informazioni diminuirebbe. La prima e più importante selezione operata dai gatekeeper che lavorano nelle redazioni giornalistiche corrisponde alla scelta delle notizie degne di essere pubblicate: una funzione di filtro che risulta dall’applicazione di criteri di notiziabilità, cioè di individuazione di cosa può 'fare notizia'. Nell’applicazione di tali criteri, spesso i gatekeeper obbediscono alla logica dei media: disporre o meno di immagini significative o di una corrispondenza esclusiva può modificare una decisione di pubblicazione o di impaginazione. In primo luogo la definizione della notiziabilità segue un criterio pratico di realizzazione del prodotto informativo. È difficile riuscire a formalizzare i 'valori-notizia', cioè gli indicatori di importanza e interesse di un evento notiziabile: il livello e la quantità delle persone coinvolte, l’impatto sull’interesse nazionale, la prossimità geografica al luogo di edizione del giornale. Ma esiste poi sempre una capacità di intrattenimento propria dell’evento di human interest che fuoriesce completamente da questa logica. Indagata con gli strumenti della sociologia e dell’antropologia, nel concreto riprodursi della sua routine quotidiana, la professione giornalistica rivela aspetti assai diversi dal mito del cronista pronto a violare santuari e minacciare le autorità costituite in nome del diritto all’informazione. Nei processi di reclutamento e formazione, anche laddove, come negli Stati Uniti, essi dipendono maggiormente dall’istruzione universitaria, il mestiere di giornalista mantiene infatti un carattere più 'fluido' rispetto ad altre professioni, con un bagaglio di competenze e specializzazioni più ridotto ed elastico. L’introiezione dei valori dominanti sul luogo di lavoro appare quindi un processo spontaneo e largamente prevalente, in grado di dettare condizionamenti di tipo conformistico: il principio di responsabilità sociale rimane sul piano pratico largamente disatteso. In realtà, nella routine della professione giornalistica considerazioni di carattere etico vengono a patti con la fedeltà alla linea politico-editoriale della testata e ai propri diretti superiori, che si trasmette per osmosi nella socializzazione quotidiana della vita di redazione e che è vista come la migliore garanzia di carriera. Si pone con forza il problema del conflitto tra formazione professionale disinteressata e apprendimento del mestiere sul luogo di lavoro: sia i corsi universitari sia le scuole create dagli stessi giornalisti faticano in ogni paese ad affermare la propria fisionomia e scontano la diffidenza (se non l’aperta ostilità) dei giornalisti professionisti. Al contrario, la routine quotidiana delle redazioni giornalistiche agisce anche nel senso di produrre stereotipi condizionanti: il sistema dei media possiede una potenza autonoma di selezione e accumulo di strutture di conoscenze e significati. Il pluralismo del mercato non corrisponde necessariamente ad un’effettiva pluralità di orientamenti. Più in generale, il clima della guerra fredda, in modo simile alle emergenze dei 2 conflitti mondiali, agisce nel senso di un allineamento alla logica della 'sicurezza nazionale', che stavolta non è frutto di leggi e censure statali, bensì della introiezione automatica del punto di vista dominante che avviene nelle redazioni giornalistiche.
A ribaltare questo stato di cose interviene negli Stati Uniti degli anni 60 la nascita del cosiddetto advocacy journalism, il 'giornalismo militante' che si sviluppa in parallelo ad un’altra emergenza bellica: quella del Vietnam. L’idea che l’advocacy journalism sviluppa allora con forza è quella di una moltiplicazione delle voci della stampa indipendente, anticonformista, ai margini dell’establishment informativo soggetto ai poteri forti, parte integrante di una controcultura che sostituisce al mito dell’obiettività l’ideologia dell’impegno politico. Nel giro di pochi anni, a partire della Chicago Journalism Review fondata nel 1968, nascono negli Stati Uniti poco meno di 30 riviste che si occupano esclusivamente di giornalismo: l’approccio comune a molte di esse è la 'controinformazione', intesa come antidoto dal basso al news management operato dall’alto. Il mito e l’imperativo dell’obiettività impallidisce di fronte al pluralismo e alla complessità della società moderna. I mezzi di comunicazione non dettano direttamente opinioni e comportamenti, ma forniscono chiavi di lettura della realtà. Prima di tutto funzionano da strumenti di agenda-setting, che fissano di volta in volta (per i lettori ma anche per gli altri media) le emergenze e le priorità di cui occuparsi. L’agenda-setting dei media funziona anche nel senso contrario: il diffondersi di più edizioni quotidiane ha ulteriormente ridotto il frame informativo, l’arco di tempo passato nel quale la notizia invecchia. Come i giornali drammatizzano improvvise emergenze, così decretano la morte traumatica di temi ed eventi che da un giorno all’altro (da un’ora all’altra) spariscono dalle loro pagine. Anche se la grande maggioranza delle riviste del 68 non sopravvive alla fine di quella particolare stagione culturale, rimane il segno di una rottura profonda:
La cultura della notizia che ne deriva si fonda sulla contrapposizione ai canali informativi 'forti': la verità è una 'controverità' che si conquista con metodi artigianali, attraverso inchieste locali, tornando ad una vocazione popolare del giornalismo. Anche il giornalismo cosiddetto 'ufficiale' non resta immune dalle ricadute dell’advocacy journalism. Per le redazioni dei quotidiani, come per il resto della società, si tratta in realtà di un trapasso generazionale che porta alla ribalta i 'baby boomers', i figli del boom demografico che si verifica alla fine della guerra. In occidente è questa la prima generazione a vivere sotto l’incubo della distruzione nucleare del pianeta, a godere di un’espansione senza precedenti dei consumi privati, a frequentare in massa le università. Questa crescita del pubblico di lettori colti si accompagna ad una novità radicale, destinata a cambiare non solo il sistema dei mezzi di comunicazione ma le stesse abitudini domestiche: il diffondersi degli apparecchi televisivi. Questa crescita del mezzo televisivo è però fortemente squilibrata e si concentra per quasi 4/5 nei paesi sviluppati. Tra i paesi sviluppati ed il resto del mondo (la grande maggioranza della popolazione della Terra) si scava quindi un ulteriore fossato, che condiziona profondamente il quadro mondiale. Per il secondo, infatti, il problema dell’accesso ai media più moderni e sofisticati rappresenta una rivendicazione di eguaglianza che è ancora ben lontana dall’essere soddisfatta. Si è posto con particolare enfasi il problema di un nuovo ordine mondiale anche nel settore dei media, sottolineando il rischio che le disuguaglianze economiche tra le nazioni determinino un rapporto asimmetrico tra i paesi produttori e i paesi ricettori di informazione. Per la stampa dei paesi sviluppati la conseguenza di questa novità assoluta è secca e quasi immediata: la perdita irreversibile del monopolio sui flussi informativi, sulla divulgazione culturale, sull’intrattenimento. Già a metà degli anni 70, secondo i sondaggi d’opinione, per quasi 2 cittadini americani su 3 la televisione è diventata la principale fonte informativa, soppiantando giornali e radio. Nel 1962 viene coniato il neologismo di 'società dell’informazione': tra il 1940 ed il 1960 negli Stati Uniti gli addetti a questo settore registrano il maggior incremento di tutta la loro storia precedente e successiva. In seguito il sociologo McLuhan formulerà l’immagine del 'villaggio globale': attraverso la mediazione dei satelliti orbitanti attorno alla Terra, la tecnologia televisiva è in grado di collegare l’intero pianeta. Il limite fisico della distanza è superato dalla mondovisione, capace di stringere in unità di tempo e spazio tutti gli abitanti del pianeta, ripristinando la possibilità di contatti visivi 'faccia a faccia' che il passaggio dalla comunità premoderna alla società moderna, anonima e spersonalizzante, aveva cancellato. Alla visione ottimistica di McLuhan si contrappongono le preoccupazioni per la diffusione crescente di un mezzo assai più invasivo della radio (che, a differenza della tv, consente lo svolgimento di altre occupazioni) e capace di rappresentare nel modo più compiuto una civiltà dell’immagine, superficiale e patinata. Per la baby boom generation protagonista del 68 la 'società dell’informazione' e il 'villaggio globale' rappresentano prerequisiti indispensabili, senza i quali i movimenti e le rivolte di quegli anni sarebbero stati impossibili. Ciò che le coraggiose inchieste condotte all’inizio degli anni 60 non riescono a fare, convincere il pubblico americano della natura antidemocratica del governo sudvietnamita, riesce quasi istantaneamente alla foto scattata nel 1968 dal fotoreporter dell’Associated Press, Eddie Adams (vincitore del premio Pulitzer di quell’anno), che ritrae il capo della polizia di Saigon per la strada mentre spara alla testa di un civile appena arrestato. Trasmessa dalle reti televisive americane e riprodotta il giorno dopo sui maggiori quotidiani, quella drammatica immagine svolge un ruolo importante, anche se ovviamente non esclusivo, nell’incrinare le sicurezze dell’opinione pubblica a proposito della giustizia e dell’utilità dell’intervento americano. Come allora osserva subito McLuhan, nel villaggio globale la guerra 'entra in salotto' e non consente di rimanere neutrale. La vicenda della foto di Adams mette in luce l’azione autonoma e parallela, ma convergente, di stampa e televisione: la seconda non solo anticipa la prima, ma trasmette l’indomani (nel telegiornale della sera di maggior ascolto) la sequenza filmata dell’intero episodio. Eppure è l’immagine a rimanere 'stampata' nella memoria per la sua superiore potenza di sintesi e di impatto: quasi un simbolo emblematico non solo e non tanto della violenza della guerra, ne esistono di molto più forti, quanto della degenerazione di un presunto regime democratico che gli Stati Uniti sono andati a difendere.
Al tempo stesso, la vicenda della foto di Adams rappresenta un segnale della sovrabbondanza dei mezzi di comunicazione. Negli anni successivi immagini e filmati di altre guerre e di altre catastrofi umanitarie perderanno la loro singolarità e la loro capacità di impressione nel senso comune e nel ricordo. La ridondanza dei mezzi di comunicazione produce un eccesso di informazione che spesso si riduce a 'rumore di fondo': una sorta di 'opacità sociale' che alla fine impedisce di scorgere anziché attirare l’attenzione. Il giornalismo rischia di disperdersi nella babele degli strumenti (e quindi dei formati e delle tecniche) a sua disposizione. Si moltiplicano infatti i soggetti esterni ai giornali che trasmettono notizie in tempo reale, ma che non possono in nessun modo essere considerate fonti perché forniscono informazioni già preconfezionate. Agenzie di stampa, uffici stampa, addetti alle pubbliche relazioni di enti pubblici e compagnie private tendono ad imporre al giornalismo un processo di contrattazione della notizia che tenga conto, non già del diritto all’informazione dei lettori, ma degli interessi di chi produce la notizia. Il Day Book tenuto dall’Associated Press e dall’United Press International elenca ciò che è previsto accadere quel giorno, così che la redazione può decidere se coprire lei stessa l’avvenimento oppure se usare le agenzie. Le agenzie di pubbliche relazioni cercano di far inserire nel Day Book gli eventi che stanno promuovendo, in modo da assicurarsi la copertura da parte dei media abbonanti all’agenzia. Il giornalismo rischia così di trasformarsi in un post-giornalismo, che si limita a trattare e riciclare informazioni prodotte da altri, senza muoversi dalla propria scrivania, rinunciando ad un ruolo attivo di inchiesta, conoscenza, approfondimento, interpretazione. Anche per questo la pluralità dei media non rappresenta garanzia di pluralismo interpretativo: spesso l’informazione di radio, televisione e giornali appare dominata da una consonanza di fondo nella selezione e nel trattamento delle notizie, che produce un’impressione complessiva di omogeneità. La prima ad essere minacciata da questa tendenza è la carta stampa, mezzo di comunicazione più antico e quindi più soggetto all’obsolescenza. Nel giro di mezzo secolo giornali e riviste sono stati sbalzati da una posizione monopolistica ad una collocazione di nicchia entro la mappa di un’industria della comunicazione, che la vede accanto alle reti radiotelevisive e alle agenzie pubblicitarie, mentre si preannuncia la quarta 'fase esplosiva' di sviluppo dei media, innescata dall’informatica. Nel corso degli anni 70 si è aggiunto il teletext: un sistema di trasmissione di testo e di grafici composti in pagine sequenziali richiamabili dall’utente, che utilizza i canali televisivi, ma è separato dalle immagini e necessita di un decodificatore apposito inserito nei televisori (in Italia arriva nel 1984, lanciato in via sperimentale dalla Rai col nome di Televideo). Di poco successivo è il videotex (diffuso soprattutto in Francia): un sistema di trasmissione analogo che invece si appoggia alle linee telefoniche e consente l’interazione dell’utente tramite tastiera. L’effetto principale di questo decentramento forzato riguarda il mercato pubblicitario. Mentre fino al 1945 l’ascesa della radio era avvenuta quasi senza sottrarre spazio e risorse alla stampa, negli Stati Uniti del dopoguerra le cose cambiano rapidamente: nel 1976 la spesa pubblicitaria statunitense è quasi triplicata e la fetta riservata alla televisione cresce al 20%. La grande ascesa della televisione non cancella però la radio: la diffusione relativa degli apparecchi radiofonici sulla Terra alla fine degli anni 80 rimane non solo più che doppia rispetto a quella dei televisori, ma anche meglio distribuita. A determinare questa tenuta del mezzo radiofonico contribuisce l’invenzione del transitor, un semiconduttore in grado di abbattere drasticamente prezzo, peso e dimensioni della radio, che diventa così, a differenza della televisione, un mezzo effettivamente portatile. La sua economicità rende la radio uno dei mezzi preferiti dalla controcultura del 68 e dal suo advocacy journalism, povero per convinzione. La stampa non beneficia di un’innovazione tecnologica pari al transitor. Nella produzione dei quotidiani il ciclo delle grandi rotative comincia ad esaurirsi con gli anni 60. Appaiono allora le prime macchine per la stampa in offset che si affermano rapidamente, grazie soprattutto alla capacità di stampa contemporanea sulla 2 facciate del foglio. Cambia anche il mercato mondiale della carta da stampa. Fino agli anni 50 il grosso della produzione di pasta-legno è assicurato dal nord America e dalla Scandinavia; ma negli anni successivi il grande incremento del consumo di carta sollecita l’ingresso di nuovi produttori come Unione Sovietica e Giappone. Qualcosa di paragonabile al transitor arriva con la fotocomposizione: un procedimento fotografico che sostituisce la fase di composizione (fin allora svolta da linotype e monotype) con una camera oscura capace di trasferire su carta o su pellicola trasparente i caratteri contenuti in matrici. All’inizio degli anni 70 si afferma la fotocomposizione elettronica: compaiono nelle redazioni americane i primi videoterminali, mediante i quali i giornalisti battono e compongono simultaneamente i loro articoli, fornendo il materiale direttamente al laboratorio di fotocomposizione. L’interazione tra questa innovazione e le linee di comunicazione telefoniche produce il telefax, l’apparecchio che converte un’immagine (e quindi qualsiasi testo manoscritto o a stampa) in segnali elettrici trasmissibili via cavo e via radio. Il passaggio successivo, a metà degli anni 70, è rappresentato dalla tecnologia laser, che sfrutta l’emissione di luce ottenuta attraverso l’attivazione di elettroni. Ancora prima della massiccia diffusione del personal computer (per la quale occorre aspettare gli anni 80) il mestiere del giornalista ne esce profondamente modificato:
Seppure ancora non siano configurabili come una vera e propria 'fase esplosiva', analoga a quelle ottocentesche e a quella degli anni 20, queste innovazioni sono all’origine di una rilevante espansione quantitativa della stampa quotidiana. Solo in parte questa crescita della stampa quotidiana si concentra nei paesi sviluppati, dove la sua espansione non sempre riesce a sopravanzare i ritmi di accrescimento demografico. Il panorama internazionale della stampa quotidiana vede negli anni 70 l’ascesa di paesi nuovi: la Svezia, l’Australia, i paesi arabi. L’Italia rimane uno dei fanalini di coda del mondo sviluppato. Già a metà degli anni 50 nazioni molto popolose superano il tetto del milione di copie di quotidiani: la Cina popolare, l’India, il Messico, il Brasile e l’Argentina. Nel 1976 il continente africano produce 6 milioni di copie, che si addensano nei paesi con maggiori livelli di istruzione: Sudafrica, Egitto, Kenya, Uganda, Ghana, Algeria. Nello stesso arco di tempo compreso tra il 1950 ed il 1975, il numero delle testate quotidiane sale di molto. È un aumento che non riguarda gli Stati Uniti (dove il numero dei quotidiani rimane stabile) e solo in minima parte il vecchio continente europeo. Bensì riguarda in misura minore l’Africa, in misura maggiore l’America latina, ma soprattutto l’Asia. È il riflesso evidente della decolonizzazione che viene mutando il destino politico di quei paesi: come nell’Europa e nel nord America di fine 700, la stampa assume il ruolo di veicolo e portavoce di un’opinione pubblica in formazione. Probabilmente il fatto più importante nella storia del giornalismo successiva al 1945 è rappresentato proprio da questo aumento di testate e di lettori in paesi fin allora rimasti ai margini del progresso dei mezzi di comunicazione. Trascorsa la stagione politica più strettamente legata alla lotta per l’indipendenza, la stampa accompagna il processo di crescita e articolazione pluralistica delle opinioni pubbliche nazionali. Il caso dell’India è particolarmente significativo. Da un lato, il sistema che dal 1935, ancora sotto la dominazione inglese, controlla l’unica emittente pubblica radiofonica 'All India Radio' conserva un’impronta statalistica (che poi si estende alla televisione) mutuata dal modello inglese della Bbc. Dall’altro, la stampa gode di un regime liberistico che riesce a dare appieno i suoi frutti una volta raggiunta l’indipendenza nel 1947. A quella data, infatti, il paese vanta la presenza di circa 200 periodici, molti dei quali stampati in inglese per superare la difficoltà di un intricato mosaico linguistico. L’India è il paese dove negli ultimi anni la stampa in proporzione è cresciuta di gran lunga di più, a fronte del vistoso calo in cifra assoluta di Stati Uniti ed Europa e della sostanziale stasi del Giappone. La proporzione per mille abitanti rimane bassa, anche perché l’80% delle vendite si concentra nelle città, dove invece vive solo 1/5 della popolazione totale. Nelle campagne, viceversa, permane un alto tasso di analfabetismo. Sono pesanti, da questo punto di vista, le responsabilità della dominazione inglese, nonostante la rincorsa accelerata messa in atto dai governi indipendenti. I quotidiani che sono stati protagonisti della maggiore crescita quantitativa sono quelli in inglese e in hindi. Viceversa, il continente africano, che pure sta vivendo alti tassi di incremento nella produzione e nella diffusione della stampa quotidiana (in larga parte affidata all’iniziativa privata), rimane segnato da una frammentazione estrema. I giornali superano raramente le 100 mila copie di tiratura ed esistono ancora 6 paesi (Capo Verde, Comore, Gibuti, Lesotho, Sierra Leone, Gambia) senza quotidiani.
Ne consegue che le fluttuazioni nelle vendite della carta stampata non possono essere addebitate unicamente alla tenuta o all’espansione degli altri mezzi di comunicazione: entrano in gioco variabili diverse che riguardano da vicino i singoli contesti nazionali e i caratteri specifici che la stampa autonomamente vi assume.
Un elemento importante che incide sulle statistiche della stampa quotidiana è rappresentato dalle modalità di distribuzione. Uno dei segreti della performance giapponese risiede nel fatto che tradizionalmente le vendite per abbonamento sopravanzano di gran lunga quelle in edicola. A determinare questo dato concorre evidentemente il diverso grado di efficienza dei sistemi postali nazionali, ma anche la loro storica disponibilità a fornire o meno servizi e tariffe funzionali alla spedizione della carta stampata. Si tratta di una disponibilità che dipende anche dalla volontà politica dello stato di assumere come priorità l’omogeneizzazione culturale (e il diritto all’informazione) dei propri cittadini. L’approccio statistico è, per sua natura, un approccio 'freddo' che non ha mai soddisfatto gli storici del giornalismo. Per quanto possa rivelare, se indagato approfonditamente, aspetti significativi, rimane del tutto al di fuori del contenuto e della qualità del prodotto giornalistico. A esso si contrappone la content analysis; una variante di tale metodologia è l’approccio morfologico allo studio dei quotidiani, fondato sulla scomposizione in materie del giornale e la classificazione per genere degli articoli. È stata così ricavata l’idea di una tendenza alla 'spoliticizzazione' della stampa quotidiana, che si accompagna al suo crescente interesse per la cronaca di human interest. Sono stati quindi ridimensionati anche gli aspetti più direttamente politici del quarto potere, la sua capacità cioè di incidere sui comportamenti elettorali. È poi in crescita il numero di pagine dedicato alla pubblicità e agli annunci economici.
Per molti aspetti la preminenza della cronaca segue da vicino la polarizzazione della stampa tra giornali popolari e giornali d’élite: il ridotto spazio accordato alla politica (come anche all’economia) rappresenta sempre di più un aspetto qualificante dei primi rispetto ai secondi. Proprio questa separazione è uno dei motivi che stanno all’origine negli anni 60 della critica radicale della cosiddetta scuola di Francoforte: l’industria culturale appare il segno distintivo della modernità, che passa attraverso un appiattimento della creatività artistica a bene di produzione e consumo di massa, con la conseguenza di un suo asservimento agli interessi economici più forti e dominanti. Il giornalismo è parte integrante di una cultura di massa fondata sui consumi, la pubblicità e l’apparente e fuorviante egualitarismo che ne deriva. Stampa e televisione costruiscono un’immagine unidimensionale della realtà, funzionale all’integrazione sociale e alla prevenzione del conflitto sociale. Ma gli sviluppi successivi della riflessione sui mass media hanno a loro volta criticato l’impianto organicistico e monolitico di questa visione: si è messo in rilievo il carattere autonomo della logica dei media in rapporto al mercato dei lettori e a quello della pubblicità commerciale, sottolineandone le molteplici articolazioni interne. Tuttavia la visione critica si appoggia ad un dato della realtà: la crescente concentrazione delle testate. Le economie di scala rese possibili dalla condivisione dei costi (tipografici, distributivi, promozionali) incentivano fortemente processi di fusione, di integrazione verticale e orizzontale, che spesso travalicano il settore mediatico (collegando libri, giornali, radio, televisioni) e i confini nazionali. Un caso particolare di crescita è offerto dalle agenzie di stampa, diventati veri e propri colossi:Questi giganti dell’informazione rappresentano i primi e più potenti gatekeeper delle notizie: decine di migliaia di mezzi di comunicazione locali e nazionali ne dipendono in modo vitale e quotidiano dato che l’abbonamento ad un’agenzia è assai meno costoso di un corrispondente estero. Ciò consente a molte testate deboli di perfezionare i propri servizi informativi, ma carica le grandi agenzie di una notevole responsabilità: se fino agli anni 70 nelle maggiori redazioni vale la regola 'delle 2 agenzie' per acquisire come attendibile una notizia, negli ultimi tempi basta il lancio di una sola delle grandi agenzie di stampa ad accreditarla definitivamente. Nell’ultimo mezzo secolo il processo di crescita delle dimensioni di scala dei soggetti pubblici e privati che dominano il mondo dell’informazione non ha fatto altro che accelerare. Ne deriva una discussione sui media che costantemente oscilla tra un estremo demonizzante (che gli attribuisce dannose capacità manipolative) ed un estremo agiografico (che gli attribuisce virtù miracolose di diffusione del progresso).
LA SPOLITICIZZAZIONE (dal secondo dopoguerra)
Il trentennio 1945-1975 si configura come l’età dell’oro del capitalismo. Lo sviluppo del commercio mondiale e la crescita dei consumi privati testimoniano l’avanzata del modello sociale statunitense sul piano sia economico che culturale. Il mondo della carta stampa non fa eccezione: New York si conferma nel suo ruolo di cuore pulsante del giornalismo. Più di 1/3 della tiratura viene coperto dal Daily News; lo seguono a grande distanza:
Nel settore dei periodici si conferma l’egemonia del gruppo Luce. La presidenza Truman conserva e amplifica la tradizione delle conferenze stampa: adesso se ne tengono mediamente una a settimana. Ma con Kennedy si inaugura l’era della comunicazione visiva. La guerra del Vietnam segna un punto di svolta. Rispetto ad interventi militari americani precedenti e successivi (in Corea e nel Golfo Persico), la natura particolare di un conflitto fondato su tattiche di guerriglia e infiltrazione rende molto più difficile l’opera di censura da parte delle forze armate. Nel 1966 lo stato maggiore statunitense diffonde un memorandum sulle regole in materia di diffusione delle notizie militari in Vietnam, che di fatto rappresenta un’attenuazione della censura militare. I quotidiani rivendicano così il diritto del popolo americano di essere informato e sostengono che la funzione di un giornale libero è appunto quella di informare. Ma il governo sostiene che la pubblicazione dei documenti segreti apporterebbe un danno irreparabile alla sicurezza nazionale. È vero esattamente il contrario. Il danno agli interessi nazionali è causato non dalla pubblicazione dei documenti, ma dall’iniziativa presa dal governo per cercare di sovvertire il principio costituzionale della libertà di stampa, che è l’essenza stessa della democrazia americana. Anche solo questo drammatico dibattito dimostra l’inconsistenza della tesi secondo la quale la copertura del conflitto vietnamita da parte dei media americani è stata viziata dall’autocensura praticata soprattutto dai giornalisti televisivi. Se nel caso dei documenti riguardanti la guerra del Vietnam la questione capitale è rappresentata dalla libertà di stampa dalle intromissioni del potere politico, nel caso Watergate il nodo cruciale riguarda invece il quarto potere incarnato dalla stampa e la sua capacità di incidere direttamente sugli equilibri politici. Il protagonista del caso è il Washington Post, vecchio quotidiano della capitale amministrativa, da sempre legato al partito democratico. Il Washington Post, nel 1972, affida a 2 cronisti, Bob Woodward e Carl Berstein, l’inchiesta su un tentativo di furto avvenuto presso il quartier generale del partito democratico durante la campagna presidenziale: il complesso residenziale Watergate a Washington. Grazie a indiscrezioni filtrate tra le maglie dell’amministrazione Nixon e del partito repubblicano, i 2 giornalisti riescono a scoprire che le persone arrestate per furto sono in realtà spie inviate ad installare un sistema di intercettazione telefonica a vantaggio del Comitato per la rielezione di Nixon. Le testimonianze prodotte in tribunale proveranno sia il coinvolgimento di Nixon sia una serie di gravi illegalità nella raccolta di fondi per la campagna. Travolto dallo scandalo innescato dal Post e dal processo di impeachment (la messa in stato d’accusa) avviato dal Congresso, il presidente Nixon è costretto a dimettersi. Nel libro-memoria della loro esperienza Woodward e Bernstein hanno descritto la propria inchiesta come un caso di 'giornalismo investigativo', frutto dell’intraprendenza personale che riesce a ricostruire e ad imporre una notizia. In realtà la vicenda Watergate nasconde almeno 3 nessi importanti:
Il caso Watergate segna l’unico momento (tra gli anni 60 e 80) in cui la fiducia del pubblico nella stampa supera quella nel governo. Ma nel medio periodo gli esiti sono sconfortanti: rispetto all’inizio il grado di consenso di entrambi si è dimezzato e il decennio della presidenza Reagan si inizia nel segno di una profonda disaffezione della grande maggioranza del popolo americano per la sfera pubblica. I quotidiani che seguono una linea editoriale favorevole al partito democratico sono quindi il Washington Post e il New York Times; di orientamento conservatore sono invece gli altri quotidiani nazionali. Il Wall Street Journal è una vecchia testata di informazione finanziaria. Negli anni 70, però, la direzione di Bernard Kilgore riesce a trasformarlo in un giornale capace di coprire a 360° il fronte delle notizie: grazie all’autorevolezzza che gli deriva dal passato e dalla sua austera impaginazione, conosce un successo travolgente con cifre che gli valgono il primato sul mercato statunitense. Un ulteriore segnale di dinamismo è offerto da Usa Today, fondato nel 1979 con la ferma intenzione di creare un nuovo quotidiano nazionale, capace di fornire informazione con un tono gradevole e interessante per lettori diversi, ma anche di riportare le notizie dei singoli stati. Grazie ad un’impaginazione mossa e colorata, appare l’esatto opposto del Wall Street Journal. A queste testate nazionali se ne affiancano altre di livello e carattere regionale.
Rispetto a quello americano il caso inglese appare dominato da una più pronunciata tendenza alla contrazione del mercato di lettori, che risulta ormai costante a partire dagli anni 50. Nel 1964 il laburista Daily Herald cessa le pubblicazioni e viene sostituito da The Sun, riccamente illustrato, in formato tabloid. Dopo 5 anni viene acquistato da un imprenditore di origine australiana, Rupert Murdoch, che ne muta drasticamente linea editoriale riconvertendolo in foglio conservatore e scandalistico. Nel giro di un decennio si confermerà come il quotidiano leader della Gran Bretagna. Ma il Sun è anche il giornale più contestato dai reclami riguardanti, ad esempio, l’esattezza del contenuto, la violazione della privacy, la discriminazione razziale o religiosa. All’esuberante novità del Sun fa riscontro il lungo declino del Times, in calo di copie lungo tutto l’arco del 900. Per un periodo scompare addirittura dalle edicole e nel 1981 il prestigioso quotidiano londinese è acquistato dallo stesso Murdoch. È solo la prima di una sequenza di acquisizioni che muta radicalmente il panorama della stampa quotidiana, approfittando del relativo vuoto legale che contraddistingue per tradizione la situazione della stampa britannica. Nel corso degli anni 80 ¾ delle testate quotidiane nazionali mutano padrone o escono di scena. Il risultato inquietante di questa stagione di mutamenti proprietari è una crescente omogeneizzazione della stampa britannica: tra i grandi quotidiani solo il Daily Mirror rimane legato ad un orientamento laburista. Ma l’evento di maggiore importanza è probabilmente la 'Wapping Revolution', che segna la fine dell’epopea plurisecolare di Fleet Street. Il gruppo Murdoch concentra i propri giornali in una nuova sede nel quartiere di Wapping (nella parte orientale della città), contraddistinta dall’applicazione sistematica delle tecnologie elettroniche (fotocomposizione, videoscrittura) e dall’interazione con le altre proprietà del gruppo: canali televisivi, cartiere, tipografie, una quota rilevante della Reuters, consociate in America e in Australia. Gli effetti sono immediati, sconvolgenti e contagiosi:
Per le proprietà è sicuramente un affare: i costi di produzione si riducono sensibilmente, mentre le vendite delle proprietà di Fleet Street aumentano le entrate. Le sinergie interne ai gruppi permettono la condivisione di servizi nel reperimento e nella trasmissione della notizie; la procedura della fotocomposizione, più leggera ed elastica rispetto al piombo, consente il riciclaggio (con lievi variazioni) della stessa pagina composta per più periodici. Nello stesso tempo, il prodotto giornalistico migliora: diventa più efficiente la sua distribuzione in abbonamento, viene introdotto il colore, aumentata la foliazione ed il numero di rubriche e supplementi. Nondimeno la tendenza alla contrazione del mercato non pare arrestarsi. La stampa inglese continua a conservare nel tempo la propria separazione tra popolare e d’élite. Alla seconda appartengono oltre all’Indipendent, al Times e al Daily Telegraph, anche il Financial Times e il Guardian. Il Financial Times vanta il più ampio team di corrispondenti stranieri in Europa; fin dal 1945 ha incorporato il Financial News, affermandosi come il quotidiano di punta di Londra, letto dagli uomini d’affare di tutto il mondo. Il Guardian è l’erede del vecchio settimanale-quotidiano di Manchester; dal 1955 ha tolto dalla testata il riferimento alla città d’origine e, grazie ad una particolare attenzione per l’arte e la letteratura, è cresciuto come 'coscienza conformista' della stampa britannica: assieme al Mirror compone la residua schiera dei giornali definibili come 'di sinistra'. In Gran Bretagna resiste anche la stampa provinciale. Ma la fetta di mercato di gran lunga più consistente è comunque ancora controllata dai quotidiani popolari: dopo il capofila Sun, i posti d’onore vanno al:
Accomuna queste testate popolari la tendenza ad una progressiva spoliticizzazione: lo spazio riservato a politica ed economia corrisponde a meno di metà del totale, rimpiazzato dalle colonne dedicate alla cronaca e allo sport. Ma Londra è l’unica capitale europea ad avere 5 quotidiani tra i 10 maggiori organi di stampa del vecchio continente per volume di tirature.
Giappone, Germania e Italia sono i paesi reduci da una lunga stagione di costrizione della stampa che in modi diversi è durata fino al 1945. In Giappone il ripristino del principio della libertà di stampa si inquadra nella battaglia più ampia che il comandante supremo delle forze alleate combatte per rifondare la democrazia giapponese: compito difficile che implica una ridefinizione dei rapporti tra mezzi di comunicazione, stato e monopoli privati. Secondo il modello anglosassone, l’articolo 21 della nuova costituzione sancisce la dipendenza della stampa al codice penale e civile ordinario, senza prevedere alcuna legge speciale. Il nuovo codice commerciale stabilisce il diritto di precedenza dei dipendenti sulle quote azionarie delle società in cui lavorano: il risultato, significativo e peculiare, è che molte tra le maggiori imprese editoriali del paese sono controllate in gran parte dai loro dipendenti. Nel 1948 viene definitivamente abolita la censura preventiva e la stampa nipponica conosce una nuova fase di espansione che la porta nel giro di 2 decenni a primeggiare nelle classifiche mondiali. Per coprire nella sua interezza il difficile territorio nazionale, ciascun giornale giapponese stampa ogni giorno 5/6 edizioni del mattino e 3/4 della sera. Con le sue diverse edizioni, lo Yomiuri è titolare della palma di giornale più venduto e letto nel mondo. La pubblicità copre mediamente una quota dello spazio totale che si aggira attorno al 40% e la maggioranza dei grandi quotidiani è rimasta fedele alla tradizione del feuilleton a puntate, che comporta ancora grandi variazioni nelle tirature. Nella loro quasi interezza sono diffusi per abbonamento e la vendita in edicola corrisponde ad una percentuale irrisoria che è in calo. È interessante notare che, nonostante l’assenza di una legislazione antitrust, i 10 maggiori quotidiani appartengono ciascuno ad una proprietà diversa: una circostanza che non ricorre in nessun altro paese occidentale e che testimonia una buona capacità di resistenza alla concentrazione delle testate. L’altra metà della circolazione della stampa quotidiana è assicurata da un centinaio di quotidiani locali e da ben 9 giornali sportivi. Dopo il 1945 sono comparsi in Giappone i primi settimanali: in precedenza le testate a stampa erano quotidiani o mensili. Tra essi primeggiano i supplementi domenicali dei quotidiani. In Germania occidentale la costituzione federale ha determinato un’ostinata e vittoriosa resistenza dei Länder (aiutati dalle associazioni di editori e giornalisti) contro i ripetuti tentativi di legislazione centralizzata sulla stampa. Esistono quindi diverse leggi federali che grosso modo ricalcano il modello francese: libertà di stampa, diritto di replica e rettifica, tutela del segreto professionale. In omaggio alle intenzioni antimonopolistiche delle potenze alleate si costituisce nel dopoguerra un’agenzia di stampa posseduta, in ragione di quote azionarie minime, dagli editori tedeschi costituiti in sindacato; a essa se ne sono poi aggiunte altre minori. Viceversa molte delle leggi regionali sulla stampa tutelano il diritto della proprietà a definire la linea politico-editoriale degli organi di stampa: il principio della compartecipazione dei lavoratori alla formazione e gestione degli indirizzi societari (altrove riconosciuto come fondamento della società tedesca) conosce nel settore della stampa una significativa eccezione. Nel dopoguerra la stampa tedesca ha mantenuto la peculiarità storica della propria frammentazione: non esiste una capitale della stampa paragonabile a New York, Londra o Parigi, e i luoghi di edizione dei quotidiani sono diversi. Forse anche per questa ragione il caso tedesco è contraddistinto da un alto grado di concentrazione: oggi si contano solo 4 quotidiani nazionali d’élite. Del gruppo Spinger il quotidiano fondamentale è la Bild Zeitung: quotidiano che già dal 1953 dà vita a ben 7 redazioni regionali unificate da un sistema di teletypesetter con la redazione centrale. Di formato tabloid e orientamento nettamente conservatore, la Bild è il capofila della stampa popolare tedesca. Nelle proprietà del gruppo Springer la Bild è affiancata da Die Welt, anch’essa di orientamento conservatore, ma che, a differenza della Bild, rientra a pieno titolo tra le 4 testate che compongono il panorama della stampa quotidiana d’élite. Anche la Germania est non è rimasta immune al tracollo della stampa comunista. La riunificazione tedesca, in generale, ha prodotto un incremento della concentrazione. La casa editrice del partito e dello stato comunista, Berliner Verlag, è stata acquistata dal gruppo Bertelsmann, una società conglomerata multimediale che vanta un fatturato pari a 6 volte quello di Springer. In Germania la stampa periodica è avvantaggiata dal fatto che la domenica i quotidiani non escono. Negli anni 80 la Bild segue l’esempio del francese Figaro, dando vita a diversi supplementi in formato magazine. Tra i settimanali non legati a testate quotidiane spiccano la vecchia e prestigiosa Zeit e Der Spiegel, fondato sul modello americano del Time e autore di numerose inchieste scandalistiche che hanno spesso messo a rumore il mondo politico. Di recente un nuovo settimanale, Focus, è entrato nella competizione, sulla base di un modello giornalistico più colorato e conservatore. Il caso italiano conserva anche nel secondo dopoguerra il proprio tratto distintivo di fondo: un’innata e perdurante ristrettezza del mercato dei lettori di stampa quotidiana. La riconquista della libertà nel 1945 sembra peraltro segnare un’inversione di tendenza: fiorisce allora d’impeto una nuova stagione della stampa quotidiana e periodica, variamente legata ai gruppi antifascisti, ma anche a riedizioni della destra come il movimento qualunquista. I quotidiani italiani sono diffusi secondo una mappa geografica che ricalca da vicino quella della Resistenza: Roma, Milano, Torino, Genova. Nel 1945 il posto dell’agenzia di stampa Stefani viene preso dall’Associazione Nazionale Stampa Associata, formata da una cooperativa di editori di quotidiani, che però successivamente si appoggia stabilmente a sovvenzioni della presidenza del consiglio e del ministero degli esteri. Il capofila dei quotidiani è ancora il Corriere della sera, con un nuovo direttore: Mario Borsa. La fisionomia largamente prevalente anche nelle altre testate è quella di un giornale 'generalista', con pochi titoli e poche foto, centrato sul cosiddetto 'pastone' politico: un riassunto delle principali prese di posizione dei partiti e delle istituzioni. Il caso italiano continua così a sfuggire alla partizione, tipica degli altri paesi, tra una stampa popolare e una stampa d’élite: la tipologia di quotidiano che vi domina è infatti un ibrido fra i 2 generi, che tuttavia non riesce mai a superare le ridotte tirature della seconda. Tra i settimanali si afferma L’Europeo, che riprende la formula illustrata di Omnibus e di Oggi, ma con una vocazione particolare alle inchieste. La costituzione entrata in vigore nel 1948 sancisce all’articolo 21 la libertà di stampa; la legge apposita prevede la possibilità del sequestro di periodici con l’obbligo di convalida del magistrato entro 24 ore. Non viene invece riformato il codice penale, che continua a considerare reati a mezzo stampa:
La ricostruzione della Federazione nazionale della stampa conduce alla stipulazione di un contratto nazionale che prevede il praticantato presso la redazione di quotidiani (e non di periodici, sintomo di una singolare ristrettezza di vedute) come via obbligata di accesso alla professione e la costituzione di comitati di redazione con compiti di verifica e tutela delle condizioni contrattuali. Nel 1963 la formalizzazione corporativa della categoria compie un ulteriore passo con l’istituzione dell’Ordine dei giornalisti, una struttura assente nella maggior parte delle nazioni, che si limitano a riconoscere le associazioni sindacali di categoria, come ente di diritto pubblico, unico e obbligatorio, cui si accede per esame di stato. Sopravvive l’Ente nazionale cellulosa e carta, creato dal fascismo, che consente un prezzo politico di vendita dei quotidiani attraverso elargizioni annuali. Nondimeno il numero dei quotidiani è soggetto ad una costante contrazione e le tirature si riducono progressivamente, prima ancora dell’avvento della televisione, le cui trasmissioni sperimentali iniziano nel 1954. Tra i quotidiani di partito si distinguono l’Unità, organo del partito comunista, e Avanti!, organo del partito socialista, che beneficiano della distribuzione militante effettuata dagli iscritti.
I settimanali conoscono invece una crescente fortuna nonostante il rapido moltiplicarsi delle testate: praticamente vanno almeno in parte ad occupare lo spazio di una stampa popolare, assente tra i quotidiani. Li guida La Domenica del Corriere, seguono:
Nel 1949 nasce il Mondo, che svolge un’azione politica di rilievo attraverso convegni periodici su temi cruciali dello sviluppo del paese, nei quali si confrontano i diversi filoni riformisti della cultura italiana (quello del 1958 è dedicato alla libertà di stampa e critica il conformismo dei giornali italiani, la mancata pubblicità dei loro bilanci, la chiusura corporativa dei giornalisti). Nel 1953 L’Europeo viene acquistato dall’editore milanese Rizzoli; il direttore Arrigo Benedetti si dimette e successivamente fonda L’Espresso, con capitali di un imprenditore innovativo che produce macchine per scrivere: Adriano Olivetti. Negli anni 70 L’Espresso entra in concorrenza con l’altro magazine politico del gruppo Mondadori, Panorama, nato come mensile e mutato in settimanale: il direttore Lamberto Sechi introduce la novità del piccolo formato e di una cultura della notizia fondata su un aggressivo giornalismo newsgatherer, vicino, per spirito critico e vocazione all’inchiesta, ai movimenti del 68. Tuttavia il panorama della stampa periodica italiana è dominato da settimanali non politici. A metà degli anni 70 la graduatoria vede saldamente in testa Famiglia Cristiana, periodico cattolico stampato dalle Edizioni Paoline, che vanta un pubblico composto per più di ¾ da donne. Lo seguono i magazine illustrati di cronaca Oggi, edito da Rizzoli, e Gente. È soprattutto grazie a queste testate che il mercato italiano dei settimanali vanta negli anni 90 una tiratura globale di 20 milioni di copie: un dato statistico di assoluto rilievo mondiale che, a fronte della perdurante stasi dei quotidiani, identifica la stampa settimanale come la vera stampa popolare italiana. Nel 1956 per iniziativa di Enrico Mattei, presidente dell’Ente nazionale idrocarburi (l’azienda petrolifera di stato) esce Il Giorno, quotidiano diretto da Gaetano Baldacci. Mattei ha bisogno di una voce che sostenga le ragioni del petrolio contro i potenti gruppi elettrici nazionali e contro le '7 sorelle' inglesi e americane che strangolano il mercato internazionale. Per quanto l’Eni ricorra alla mediazione dell’editore francese Cino Del Duca, è un caso classico di editoria impura; eppure il prodotto giornalistico stupisce per carica innovativa e qualità:
A metà degli anni 60 arriva in terza posizione dopo Corriere e Stampa, senza però riuscire davvero a fondare in Italia una stampa quotidiana popolare. Ancora negli anni 60 i vizi di fondo del giornalismo nazionale tornano così a riprodursi:
Più di metà della tiratura è controllata da grandi gruppi industriali, 1/10 da banche e enti parastatali, 1/10 da associazioni cattoliche; il quarto restante si suddivide tra un 16% di stampa di partito e un altro decimo di stampa indipendente. È in questa situazione che avviene un rafforzamento della presenza di editori non puri. Dal 1972 alla direzione del Corriere della sera siede Piero Ottone; egli afferma che intorno al 1970 si è cominciato a fare in modo diverso anche i quotidiani: si è passati dal giornale 'passivo' a quello 'costruito'; sostiene anche che i settimanali erano giudicati più interessanti dei quotidiani e che il giornalismo dei periodici ha svolto un’influenza, sia pure indiretta, sul giornalismo dei quotidiani. In realtà la direzione Ottone al Corriere significa un’apertura importante del giornale ai grandi mutamenti in atto nella società, che di lì a poco l’esito del referendum sul divorzio nel 1974 mette in luce. Nascono allora i quotidiani della nuova sinistra extraparlamentare, classici esempi di advocacy journalism: il Manifesto nel 1971 (l’unico a sopravvivere stabilmente), Lotta Continua nel 1972, il Quotidiano dei lavoratori nel 1974. Non mancano le reazioni: all’indomani del referendum sul divorzio, Indro Montanelli (una delle firme 'storiche' del Corriere) abbandona la redazione e fonda Il giornale Nuovo, sulla base di un indirizzo più conservatore e moderato. Successivamente la maggioranza delle azioni del Corriere passa nelle mani di Rizzoli: è un segnale di inversione di tendenza, verso il ritorno ad un’editoria pura, che viene confermato nel 1976 dalla nascita di la Repubblica, quotidiano diretto da Eugenio Scalfari. La Repubblica è in formato tabloid e ha un indirizzo liberal molto marcato: privilegia l’informazione politica. Si verifica a questo punto un inaspettato terremoto, che in larga misura contribuisce a determinare le fortune di Repubblica. A metà degli anni 70, infatti, il gruppo Rizzoli conosce un’espansione abnorme del fatturato, ma anche un aumento più che proporzionale dei debiti. Il che spiega l’ingresso nel gruppo del Banco Ambrosiano (attraverso la mediazione del banchiere Roberto Calvi). Ma l’immissione di denaro fresco di accompagna alla penetrazione ai vertici dell’azienda e alla direzione del Corriere della sera di uomini legati ad una loggia massonica segreta, denominata P2 e diretta da un oscuro faccendiere: Licio Gelli. Nel 1981 Calvi è arrestato per esportazione illegale di valuta e successivamente viene trovato cadavere a Londra. Peraltro le sorti della Rizzoli non sembrano migliorare. Si risolve infatti in un fallimento il tentativo de L’Occhio, quotidiano tabloid scandalistico lanciato nel 1979 (sul modello del Sun inglese) e affidato alla direzione del popolare conduttore di talk show televisivi Maurizio Costanzo. Nel 1980 i debiti salgono e nel giro di 2 anni l’intero gruppo è sottoposto ad un regime di amministrazione controllata: alla fine di questa lunga e travagliata transizione la Rizzoli viene acquistata nel 1984 da Gemina, la holding finanziaria della Fiat. Il Corriere nel frattempo ha perso numerose copie, che sono in gran parte conquistate da Repubblica: una quota che le permette di superare la Stampa e di insidiare lo stesso primato del Corriere. Ma i primi anni 80 segnano un generale rimescolamento delle carte. Nasce il terzo canale televisivo pubblico e nel 1984 un decreto governativo legalizza l’ascesa di Silvio Berlusconi nel mondo delle televisioni private. Il Sole-24 Ore, quotidiano economico nato nel 1965 dalla fusione delle 2 testate, aumenta di molto le proprie vendite e dal 1983 esce la domenica con un apprezzato supplemento culturale. Corriere e Repubblica invece si combattono a colpi di gadget. Supplementi illustrati settimanali, concorsi, omaggi aiutano la seconda a superare il primo nel 1986: è la prima volta che accade in oltre un secolo di storia. Il pubblico dei lettori di quotidiani continua a crescere, ma si tratta di un’espansione effimera: la concorrenza spietata che si apre tra reti televisive pubbliche e private sottrae quote crescenti di investimenti pubblicitari alla carta stampata. Già nel 1993, passata la novità dei gadget, il pubblico della stampa quotidiana ridiscende. Nel 1989 si accende la 'guerra di Segrate', così chiamata dalla località della periferia milanese dove ha sede la casa editrice Mondadori. Passaggi di pacchetti azionari consentono a Carlo De Benedetti, amministratore delegato della Olivetti, e a Berlusconi di entrare nel consiglio di amministrazione. Il problema che deriva dall’ingresso di quest’ultimo (proprietario di 3 dei 7 canali televisivi con diffusione effettivamente nazionale) nel mondo della carta stampata, viene affrontato dal parlamento con una legge approvata nel 1990, che stabilisce un tetto alla concentrazione di testate quotidiane e reti televisive. Per effetto di questa legge e di una sentenza giudiziaria Berlusconi è costretto a rinunciare alla proprietà di Repubblica e a cedere al fratello Paolo quella del Giornale nuovo diretto da Montanelli. Gli anni 90 segnano così un ritorno in grande stile di editori non puri alla guida dei maggiori quotidiani: direttamente o indirettamente sono sotto il controllo di grandi imprenditori (Agnelli, Berlusconi, De Benedetti) che sia per dimensioni sia per settore produttivo necessitano di rapporti privilegiati con il potere politico. L’impresa giornalistica si configura come un’impresa-appendice, strumento di un’attività di pressioni politiche che in Italia manca di luoghi e strutture ad essa deputati in modo trasparente. È così che tentativi giornalistici 'puri' come L’Indipendente nel 1991 o La Voce di Montanelli nel 1994 appaiono destinati a rapido fallimento, perché scontano nello stesso tempo la staticità del mercato e la mancanza di appoggi nei poteri forti imprenditoriali. Il Corriere recupera saldamente il proprio primato, ma nell’ambito di una generale discesa delle tirature. Nella stampa quotidiana locale, che ha vissuto un proprio relativo sviluppo, si affermano catene come la Finegil (legata al gruppo Espresso) e la Poligrafici Editoriale (legata al gruppo Monti), che nel 1997 ha acquistato anche il Giorno. È un segno di dinamismo importante, fortemente aiutato dalla diffusione delle nuove tecnologie che facilitano sinergie tra testate diverse, consentendo a giornali locali di servirsi di pagine e servizi nazionali ed esteri preconfezionati e di concentrarsi sulla cronaca di zona. Nel 1993 il totale di lettori supera di poco i 6 milioni, con un forte addensamento al nord e al centro rispetto al sud. Metà delle vendite sono appannaggio di un gruppo di 8 quotidiani, di cui fanno parte 4 giornali 'generalisti' ed indipendenti:
3 giornali sportivi:
e 1 economico:
Paragonata a quella americana, la stampa italiana mostra:
Ma il suo più importante carattere di fondo rimane la separazione tra una stampa quotidiana sostanzialmente d’élite e una stampa settimanale tendenzialmente popolare. Nonostante la crescita impetuosa di altri consumi e con l’eccezione dei settimanali, il pubblico italiano continua insomma ad avvicinarsi molto poco alla carta stampata, non solo a quella quotidiana, ma anche a quella dei libri.
Il caso francese non è affetto da questa penuria storica. Come in Italia il 1946 segna un tetto storico per le tirature della stampa quotidiana. I decenni seguenti vedranno una forte stabilità del mercato provinciale, pur segnato da un calo notevole del numero di testate. Nel dopoguerra aumentano le tirature dei maggiori quotidiani:
Nascono nuove testate come L’Aurore, fondata nel 1947, che nel 1949 si fonde con il Matin. Si verificano allora i primi grandi movimenti proprietari:
Nel 1944 nei locali del vecchio Le Temps nasce Le Monde, quotidiano diretto da un gruppo di intellettuali che hanno partecipato alla Resistenza. Contraddistinto dal formato tabloid, inusuale nel panorama francese, ha subito grande successo. Sulla base di una linea politica eterodossa anticolonialista e antiamericana, si afferma tra i quotidiani di punta degli anni 60, assieme al Figaro e alla cattolica Croix; mentre calano le vendite di France-Soir, Aurore e Parisien. In questo stesso periodo si consolida l’ascesa del finanziere-editore Robert Hersant nella stampa di provincia, attraverso una politica di sinergie che suddivide fra più testate locali i costi della distribuzione e delle agenzie di stampa. La crisi petrolifera degli anni 70 inaugura una fase di crisi aperta della stampa. Il prezzo della carta aumenta, mentre diminuiscono gli investimenti pubblicitari da parte di un settore industriale che è costretto a piegarsi sotto il vento della crisi. Scompaiono molti quotidiani e cala il pubblico di lettori. Alla congiuntura negativa si somma l’ascesa della televisione. In provincia la concorrenza è meno spietata e il pubblico dei lettori più stabile. Ciò spiega la forza relativa che Hersant è venuto assumendo e che gli consente a metà degli anni 70 di sbarcare in forze a Parigi, acquistando Figaro, France-Soir, Aurore. La scalata di Hersant è impressionante: alla fine del decennio controlla poco meno di metà dell’intero mercato parigino della carta stampata (che si aggiunge alle rilevanti quote azionarie detenute nel mondo radiotelevisivo). Nel 1984 viene introdotta una complessa normativa antitrust che limita la quota di circolazione della stampa quotidiana che può essere posseduta da un solo soggetto: sono in molti a chiamarla 'legge anti-Hersant'. Ma quando sfida la proteste acquistando Le Progrès, lo stesso Hersant replica sostenendo di essersi limitato ad anticipare la prossima legge: il che puntualmente si verifica con le elezioni successive che vedono l’ascesa al governo del conservatore Jacques Chirac e la conseguente abolizione della Commissione sulla trasparenza ed il pluralismo della stampa istituita nel 1984. Alla pari del caso italiano, anche quello francese mette in evidenza le organiche connessioni tra quarto potere e potere politico: i processi più vistosi di concentrazione delle testate non possono verificarsi senza una complicità delle istituzioni e una pratica vacanza o inefficacia delle legislazioni nazionali antitrust. Ne consegue un ricorrente carattere filogovernativo e conservatore dei giornali e delle televisioni di proprietà dei gruppi più potenti. In Europa sono ormai molti i casi in cui questo quarto potere così concentrato si identifica direttamente o indirettamente con il potere politico, con effetti potenzialmente dannosi per il buon funzionamento di una democrazia pluralistica. Ma la scalata di Hersant viene anche facilitata dalla crisi di molte testate:
Negli anni 80 la circolazione dei quotidiani parigini si riduce di molto. Resistono il Parisien, Le Monde, Libération e il Figaro rilanciato da Hersant attraverso la politica dei supplementi illustrati. Nel 1977 esce Le Figaro Dimanche, che inaugura la stagione, ben presto imitata in Germania e Italia, dei magazine settimanali abbinati ai quotidiani: strumento utile soprattutto ad incrementare gli introiti pubblicitari. L’anno successivo il supplemento ha riscosso un tale successo da meritarsi l’uscita autonoma e la vendita a parte con il titolo di Le Figaro Magazine. Per Le Monde, viceversa, gli anni 70 sono meno drammatici. È il quotidiano che probabilmente è riuscito a mantenersi meglio in sintonia con i tempi. Insieme al Figaro è tra i pochi quotidiani a vantare una quota considerevole di abbonati: i giornali più popolari come Parisien e France-Soir si vendono quasi esclusivamente nelle edicole e per strada. Nel 1969 ne diventa caporedattore Jacques Fauvet: cresce la foliazione e l’orientamento filosocialista del giornale. Suo supplemento importante è Le Monde Diplomatique. L’avvento dei socialisti al governo e la crescita a livelli insostenibili delle spese fisse segnano il punto di svolta e la crisi, che arriva negli anni 80. Si succedono i direttori, fino ad André Fontane, che impone una drastica cura dimagrante alle strutture (la vecchia sede viene venduta) e agli organici di personale. Alla fine del decennio Le Monde si conferma terzo nella classifica di vendite, dopo Parisien e Figaro. Lo seguono:
Le cifre testimoniano una situazione di difficoltà della stampa parigina abbastanza simile a quella italiana; ma non di quella provinciale, che si mantiene stabile. Vi domina Ouest-France: la sua foliazione, che può raggiungere anche le 200 pagine, dedica ampio spazio ai problemi dell’agricoltura, fortemente sentiti in tutta la regione. Uno dei problemi della stampa quotidiana (non solo francese) è il suo prezzo di vendita: in proporzione alla foliazione e alla ricchezza tipografica i periodici costano molto meno. Nel 1994 sono state elargite alla stampa dal governo francese grandi quantità di denaro, sotto forma di esenzioni fiscali e di tariffe postali agevolate: è un sistema che premia le testate più diffuse e più forti perché agisce in proporzione alle entrate realizzate e quindi alle dimensioni di scala dell’impresa giornalistica. Diverso è il sistema adottato ad esempio in Svezia, dove fino agli anni 60 le tariffe postali osservano regimi di beneficio per gli organi di stampa più deboli. A compensare le difficoltà della stampa quotidiana interviene una peculiare vitalità della stampa periodica. Ad esclusione dei periodici specializzati, circolano in Francia 900 riviste tra le quali si distinguono Le Nouvel Observateur e L’Express. Entrambi questi settimanali assolvono un ruolo importante nella battaglia per la decolonizzazione all’inizio degli anni 60, epoca nella quale adottano una veste grafica simile a quelle dei newsmagazine americani. In Francia (e anche in Italia) non riescono a sfondare nel grande pubblico periodici di alto livello culturale, come invece accade in Inghilterra e negli Stati Uniti.
La guerra fredda che si sviluppa fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel secondo dopoguerra implica anche un confronto fra dinamiche dei mezzi di comunicazione. Rispetto a quello americano, il sistema dei media sovietico è sottoposto ad un rigido controllo statale che ne cura la notevole diffusione sul territorio ed il grado di innovazione tecnologica. Da quest’ultimo punto di vista, il ritardo accumulato con le distruzioni degli anni di guerra viene rapidamente superato: nel 1957 è sovietico il primo satellite (lo Sputnik) lanciato in orbita attorno alla Terra. Dal canto suo, la stampa sovietica conosce una maggiore articolazione interna dopo la destalinizzazione avviata da Krušëv. Viene autorizzata la nascita di imprese giornalistiche: accanto alla Pravda e all’Izvestia si sviluppa Trud ('Lavoro'), quotidiano delle organizzazioni sindacali. Per ognuna di queste testate (alle quali è obbligatorio abbonarsi da parte di tutte le istanze periferiche di stato e di partito) la bufera del 1989 determina mutamenti prima di tutto quantitativi: la circolazione totale dei quotidiani crolla. Nascono le prime agenzie di stampa indipendenti, tollerate dal partito. Nel 1990 una nuova legge sulla stampa voluta dal segretario del partito Mikhail Gorbačëv (ed estesa poi a radio e televisione) proclama l’abolizione della censura e ripristina la facoltà di aprire periodici senza l’autorizzazione preventiva delle autorità. Si afferma così Argumenti i Fakti, settimanale legato al partito ma diretto in modo libero ed indipendente, che incontra un grande successo; questa rivista tira la volata ad un aumento eccezionale della stampa periodica. La repubblica popolare cinese instaurata nel 1949 si fonda su un regime a partito unico, ancora più accentrato di quello sovietico. La costituzione che entra in vigore nel 1954 riconosce all’articolo 87 la libertà di stampa, ma altri articoli stabiliscono i criteri di una giusta informazione:
La fondazione ideologica della funzione informativa avviene dunque secondo moduli vicini a quelli sovietici. Al 1931 e agli albori della guerra civile che ha condotto al potere i comunisti risale l’agenzia di stampa nazionale, che negli anni 50 assume dimensioni ragguardevoli. Si contano diverse centinaia di periodici rurali scritti in 31 lingue diverse e destinati alla propaganda ufficiale. Ma attraverso la lettura collettiva organizzata dalle struttura locali di partito, che si accompagna alle trasmissioni radiofoniche regolarmente in funzione del 1950, la propaganda raggiunge un pubblico molto più ampio. Dopo il 1989 e la repressione della rivolta studentesca di piazza Tien An Men, le maglie della censura si sono fatte assai più strette di prima, anche per quanto riguarda i 3 canali della televisione di stato, che ha avuto uno sviluppo impressionante: simbolo di quello 'sviluppo senza democrazia' che sembra riassumere la filosofia politica del gruppo di dirigenti al vertice del partito-stato cinese.
LA RETE (anni 90 del 1900)
La storia del giornalismo può essere descritta anche come una storia di generazioni, ciascuna delle quali succede alla precedente senza cancellarla, ma intrecciandosi ad essa. Così abbiamo:
Alla fine del 900 appartiene una quarta generazione: quella del giornalismo globale e della comunicazione-mondo. La sua data di nascita simbolica è il 1983, quando la rivista americana Time dedica la sua tradizionale copertina riservata all’'uomo dell’anno' ad una macchina: il personal computer. Per quanto la tecnologia elettronica sia già ampiamente diffusa nel mondo della stampa (soprattutto sotto la forma della videoscrittura e della fotocomposizione) e, in generale, della ricerca scientifica, la copertina del Time fotografa una rivoluzione in atto nella vita quotidiana di masse sempre più ampie di persone, concentrate nella parte ricca del pianeta. Come ognuna delle generazioni che l’ha preceduta, dunque, anche questa corrisponde ad una 'fase esplosiva' della tecnologia delle comunicazioni: la quarta. Ma a differenza delle altre, questa stagione è contraddistinta da una conquista che riassume e condensa tutte le innovazioni: la rete telematica. I caratteri di fondo di questa quarta fase esplosiva sono:
Sotto il profilo della domanda e del consumo, quindi, l’intreccio dei nuovi media si presenta potenzialmente come un processo di democratizzazione della 'società dell’informazione', attraverso lo sviluppo di reti orizzontali di comunicazione che prescindono da un controllo organizzativo centralizzato. Il potere politico delle istituzioni è rimasto ai margini di questo processo. Ma sotto il profilo dell’offerta e della produzione, la fornitura delle chiavi di accesso alle nuove tecnologie è andata restringendosi nelle mani di poche compagnie private. Più che le industrie produttrici di hardware (delle macchine), questo processo oligopolistico ha interessato nuove industrie produttrici di software (dei sistemi operativi di istruzioni, codici, formati attraverso i quali le macchine funzionano e comunicano fra loro).
Questa contraddizione tra fruizione pubblica delle reti telematiche e interessi privati dei produttori degli strumenti per accedervi è ben esemplificata dalla storia di Internet. Risale infatti al 1969 e al Pentagono, il cuore della struttura militare degli Stati Uniti, la creazione della prima rete telematica che le forze armate americane hanno attivato per lo studio di un sistema di comunicazioni flessibile e capillare, in grado di resistere e sopravvivere alla distruttività di un attacco nucleare nemico. Nel 1972 il nuovo sistema viene presentato al pubblico, insieme al primo programma per la gestione di 'e-mail', la posta elettronica. L’anno successivo la connessione in rete diventa internazionale. All’inizio degli anni 80 si perfezionano e si standardizzano i programmi per la trasmissione dei dati. Tutte le reti 'civili' si unificano quindi costituendo Internet: nella seconda parte degli anni 80 si sviluppano liste di discussione e comunità particolari di utenti sulla base di una filosofia comune di accesso libero e gratuito. Nel 1991 vengono elaborati i protocolli del World Wide Web ('la rete mondiale'), il sistema più popolare di uso di Internet. Negli anni immediatamente successivi nascono i primi siti, ai quali gli utenti possono accedere per via telematica, ricavandone informazioni di vario tipo e lasciando messaggi e domande nelle apposite caselle di posta elettronica. Si diffonde l’espressione 'navigare in Internet' ed escono i primi programmi finalizzati a trovare siti nella rete. Nel 1994 appaiono i primi siti dedicati all’'e-commerce', il commercio elettronico via Internet, e si affermano i grandi provider (fornitori di accesso alla rete) privati. Nella visione dei suoi protagonisti lo sviluppo di Internet simboleggia il processo di globalizzazione del mondo contemporaneo. La trasmissione delle informazioni in tempo reale trasforma in profondità molte attività umane (es: intere fasi di lavorazione del ciclo produttivo industriale possono essere controllate a distanza, l’accesso ai servizi più diversi diventa possibile senza muoversi da casa, l’incontro tra le persone si libera dalla necessità della prossimità fisica, ..). Ma è inevitabile che il massimo dell’informazione può corrispondere al massimo di passività. L’elaborazione giuridica si trova in ritardo rispetto al mutamento in atto. Nelle più recenti riflessioni dell’Unesco il concetto di libertà di stampa sembra passare in subordine rispetto a quello di diritto all’informazione dei cittadini. Si compie quindi un significativo passo in avanti rispetto alla Convenzione europea del 1950, svincolando la professione giornalistica dalla servitù politica nei confronti di una categoria come quella di 'sicurezza nazionale' che negli anni ha mostrato per intero la propria natura equivoca. Al contrario, si recupera la funzione di servizio sociale del giornalismo, fondando la sua legittimità e autorità sul rapporto con il pubblico dei cittadini anziché sulla contiguità con le istituzioni: il che implica l’impegno alla tutela di valori morali comuni (pace, diritti umani, privacy). Tuttavia questo significativo mutamento di impostazione avviene all’insegna di una ricoperta del concetto di 'informazione vera' e di 'dedizione del giornalista alla realtà obiettiva', che sembra voler di nuovo tornare ad una concezione neutra del lavoro giornalistico. Le stesse caratteristiche delle reti telematiche rendono difficile la misurazione della loro crescita. Uno degli indicatori più comunemente utilizzati a questo proposito è il numero di host ('ospite'), cioè di nodi della rete che costituiscono porte di accesso per più utenti individuali. Tra il 1995 ed il 1999 questa cifra è salita da quasi 6 a più di 43 milioni: la diffusione della rete rimane quindi limitata ad una piccola parte del mondo, stimabile attorno al 2% della popolazione mondiale. Quasi ¾ di essa si concentra negli Stati Uniti e la tendenza alla concentrazione della rete non diminuisce e anzi aumenta: il predominio statunitense è oggi maggiore che nel recente passato. Almeno fino ad oggi, quindi, la crescita di Internet non procede in modo diffusivo omogeneo, ma tende ad insistere nelle zone dove è già più radicata, allargando il fossato che le separa dal resto. Lo sviluppo nelle altre aree avviene a macchie di leopardo e i poli che si costituiscono non ne generano altri per contagio geografico, confermando che le logiche di Internet prescindono quasi completamente dalle coordinate spaziali. La diffusione di Internet ha avuto riflessi immediati sul mondo del giornalismo:
Un primo riflesso importante della presenza di Internet sul fronte informativo si è avuto nel 1998, in occasione della guerra del Kossovo: il rigido controllo delle notizie istituito in Serbia dal regime di Milosevic non riesce a sopprimere la voce di singoli e di gruppi affidata alla rete telematica, per sua stessa natura meno individuabile e neutralizzabile. È significativo, a questo proposito, il raffronto con la guerra del Golfo nel 1991, che ha invece segnato una secca sconfitta per giornali e giornalisti, determinata dalla nuova natura 'postmoderna' di una guerra a base di bombardamenti 'intelligenti' e teleguidati, prima ancora che da particolari regimi di censura militare. Le immagini della Cnn dai tetti di Bagdad, nella loro immediatezza e nella loro nullità informativa, sono state l’unica testimonianza pervenuta dall’altro fronte.
La trasformazione non investe solo il processo produttivo del giornale ma anche la sua stessa natura di prodotto e merce. Nascono infatti 'giornali elettronici' che non vengono stampati su carta e che possono essere letti (e riprodotti) attraverso Internet, rimanendo sempre entità virtuali all’interno delle memorie del computer. Nel 1992 il Chicago Tribune è stata la prima testata a creare un’edizione elettronica 'on-line' del quotidiano cartaceo. Negli anni successivi vi è stata una grandissima fioritura di questi giornali elettronici che non deve stupire più di tanto. Di fatto il quotidiano elettronico si presenta, almeno all’inizio, come una semplice ricaduta passiva della routine quotidiana del mestiere di giornalista. Quasi ogni articolo scritto e composto per l’edizione cartacea, infatti, passa obbligatoriamente attraverso il calcolatore e la rete: farcelo rimanere a disposizione di chi voglia vederlo comporta soltanto la realizzazione di un sito web con bassi costi. Tuttavia i primi giornali on-line che si limitavano ad essere la semplice copia elettronica dell’edizione cartacea sono stati ben presto sostituiti da siti web sempre più autonomi, con articoli, fonti, servizi e ritmi di aggiornamento delle notizie diversi dal giornale di carta. Si è sviluppata sempre di più l’interattività, vale a dire la caratteristica veramente nuova che la rete offre rispetto alla carta: la possibilità per l’utente di percorrere un proprio originale sentiero nelle pagine virtuali dell’edizione elettronica. Il formato in cui il giornale on-line è composto, infatti, è quello dell’ipertesto: cioè una concatenazione multipla (non sequenziale e obbligata come le pagine di carta) di link, di collegamenti con testi, immagini, altri siti web, raggiungibili a scelta del navigatore. La distribuzione geografica dei giornali elettronici ricalca da vicino quella degli host di Internet: gli Stati Uniti si confermano come il principale protagonista dell’editoria elettronica. Nel 1991 l’avvento di Internet determina infatti il definitivo abbandono dei progetti di giornale su videotex e l’anno successivo arrivano i primi quotidiani in rete. Nel 1992 la rete televisiva Cnn apre la propria edizione elettronica. Dal 1996 comincia la fase di potenziamento dei siti: quello del News York Times, ad esempio, si dota di un archivio che risale fino all’annata 1969 del giornale e consente la possibilità interattiva di ricerche per parole chiave. Il 1997 appare come l’anno delle definitiva consacrazione di Internet. All’inizio del 1999, dal punto di vista della presenza di testate on-line, il predominio statunitense si ridimensiona molto rispetto al primato saldamente detenuto nello sviluppo della rete. Numerosi sono anche i periodici locali on-line: il loro straordinario incremento testimonia la perdurante funzione di identità comunitaria locale esercitata anche dall’editoria elettronica. Al tempo stesso, uno dei caratteri fondamentali di Internet (nel bene e nel male) è la pariteticità degli accessi: ogni sito web è uguale agli altri e non esistono filtri preventivi capaci di qualificarli e selezionarli. Questa condizione offre l’opportunità a realtà periferiche, a gruppi e anche a singoli individui di farsi conoscere e guadagnare una tribuna mondiale che 10 anni fa sarebbe stata impensabile. Tuttavia la logica preminente che sembra sottostare agli investimenti in rete dei grandi gruppi editoriali è una logica prettamente commerciale. Oltre al beneficio di un’immagine aggiornata e innovativa, la versione on-line quel quotidiano è considerata, prima ancora che il laboratorio sperimentale di un nuovo giornalismo, la testa di ponte in un nuovo mercato pubblicitario: il giornale in rete si offre insomma come veicolo a pagamento per inserzionisti privati. Nel 1998 Usa Today risulta il quotidiano on-line più visitato in rete: il sito presenta mediamente circa 30 pagine, suddivise in 5 sezioni; una redazione di quasi 100 persone provvede ad aggiornarle 24 ore su 24, offrendo quindi un servizio informativo assai più tempestivo ed efficiente dell’edizione stampata. Gli inserzionisti che vi pubblicano i loro annunci commerciali a pagamento sono circa 400 e costituiscono la principale entrata del quotidiano on-line, una volta verificata l’impossibilità pratica di imporre tariffe di abbonamento in rete. È importante notare che l’espansione del pubblico elettronico non sembra aver tolto spazio alla tiratura dell’edizione su carta. Una politica diversa è quella seguita dal Wall Street Journal Interactive che vanta numerosissimi abbonati paganti. Una redazione poco più numerosa di quella di Usa Today ha dato particolare impulso all’interattività: il lettore ha la possibilità di personalizzare il proprio giornale chiedendo aggiornamenti specifici su alcuni tipi di notizie, costituendo una propria sezione di 'favoriti'. L’edizione elettronica non punta quindi alla conquista di nuovi mercati pubblicitari, ma ricerca una fetta di pubblico non troppo diversa da quello tradizionale della testata. È difficile stabilire l’esistenza o meno di una correlazione tra diffusione della rete e circolazione della carta stampata. Tra il 1993 ed il 1997 il numero di testate quotidiane cartacee è ulteriormente diminuito negli Stati Uniti e in Europa, è rimasto stabile in Giappone ed è fortemente aumentato nel resto del mondo. La tiratura complessiva ha seguito un andamento simile, contraendosi vistosamente negli Stati Uniti e in Europa, aumentando di poco in Giappone e sviluppandosi nel resto del mondo, con un incremento di oltre 6 milioni di copie che in larga parte si è concentrato in India. In effetti la crisi della stampa quotidiana corrisponde ad una tendenza degli ultimi decenni che risale a prima di Internet e il caso in controtendenza del Giappone (dove pure si viene concentrando una quota significativa di host della rete) sembra scagionare la telematica dall’accusa di affossare i giornali di carta. L’Italia figura agli ultimi posti della graduatoria europea di diffusione di Internet, ma registra ugualmente un calo di lettori dei quotidiani. Gran Bretagna e Francia che invece vi compaiono ai primi posti accusano un calo di vendite dei giornali di carta assai contenuto. Anche per quanto riguarda le possibili 'turbative' del mercato pubblicitario è difficile trarre conclusioni attendibili. Tra il 1993 ed il 1997 nei bilanci della stampa quotidiana americana la quota (già molto alta) coperta dalla pubblicità è ulteriormente cresciuta a scapito di quella detenuta dalle vendite. In Giappone la vendita per abbonamento costituisce un ancoraggio molto saldo e la quota coperta dalla pubblicità è salita; in Francia e Germania è invece scesa, mentre è salita in Italia e in Gran Bretagna. A prima vista sembrerebbe quindi che un grado maggiore di sviluppo della rete e del commercio elettronico non sottragga investimenti pubblicitari alla carta stampata. Ma è chiaro che siamo appena ai primi passi di una situazione in rapido movimento.
Molti studiosi dei media non hanno dubbi nel ritenere le nuove tecnologie veicoli di libertà. Secondo alcuni, anzi, la rivoluzione informatica in atto rende obsoleto lo stesso concetto di mass media: la possibilità di un controllo personalizzato e interattivo delle telecomunicazioni multimediali apre la strada ad una fase di democrazia pluralistica nell’accesso dell’informazione e nel consumo di notizie, all’insegna di una sorta di bricolage domestico nella confezione del prodotto giornalistico che cancella il carattere standardizzato della cultura di massa.
- Internet non mostra capacità autonome di diffusione oltre le barriere economiche del sottosviluppo: la sua logica di crescita è una logica ineguale che accresce le differenze anziché attenuarle (questo problema investe non soltanto il giornalismo telematico, ma l’insieme di quei processi che siamo soliti rubricare sotto l’etichetta di globalizzazione)
- con Internet si crea una maggiore 'opacità sociale' frutto della sovrabbondanza di notizie; l’affollamento di giornali elettronici determina una sovrapproduzione di contenuti informativi; fra radio, televisioni, quotidiani si crea una tendenza involontaria ma potente all’omologazione, che nel caso dei giornali on-line appare ancora più paradossale, se posta a raffronto con l’assenza di ricavi effettivi da parte dei quotidiani che investono nella rete
Fatta eccezione per il Wall Street Journal Interactive, la maggior parte dei quotidiani on-line infatti o rasenta il pareggio o ha il bilancio in perdita. La formula fondata sugli abbonamenti a pagamento appare tuttora largamente minoritaria rispetto alla formula e alla logica che concepisce la rete essenzialmente come un potenziale veicolo pubblicitario e commerciale, dotato della caratteristica, del tutto nuova rispetto ai media finora utilizzati, di entrare fisicamente nella case, ma con un messaggio personalizzato e una corsia preferenziale per acquisti immediati.
+ l’interattività garantita dalla rete consente non solo un meccanismo di feed-back immediato e costante sul gradimento e i gusti del pubblico, ma anche la collaborazione diretta del consumatore nella scelta e nella modulazione del prodotto
+ l’interazione in tempo reale con gli utenti consente di personalizzare la produzione fino a farla diventare il frutto di una collaborazione tra produttore e consumatori, trasformando i secondi da soggetti passivi delle strategie di marketing in soggetti attivi delle stesse scelte produttive
Ciò non toglie che il giornalismo telematico abbia fatto emergere alcune importanti novità nella storia del giornalismo:
Il caso italiano segue alla lontana quello statunitense, sulla base dei ritmi e delle modalità particolari con cui la famiglia italiana si adegua all’innovazione tecnologica. L’alfabetizzazione informatica segna quindi il primo passo rispetto all’appropriazione utilitaristica di nuovi e più facili sistemi di comunicazione. Il processo di informatizzazione delle famiglie italiane rimane quindi ancora ad un livello elementare, che deriva principalmente da un ritardo dell’istituzione scolastica nell’educazione all’uso del computer. A partire dal 1995, quando l’Unità e L’Unione Sarda hanno fatto la loro comparsa in rete, l’avvento dei quotidiani on-line in Italia ha percorso 3 tappe successive:
Nel giro dei 2 anni successivi arrivano in Internet Stampa, Corriere della sera, Manifesto, Sole-24 Ore, Gazzetta dello Sport, Repubblica. In seguito è anche quintuplicato il volume degli investimenti pubblicitari in Internet. Solo una ristretta parte dei quotidiani elettronici si differenzia in modo sostanziale dalla versione cartacea, tra questi spiccano:
Il ristretto pubblico italiano dei navigatori di Internet appare comunque molto fedele. Differenze significative con il caso statunitense emergono dalla rilevazione dei suoi interessi: negli Stati Uniti la grande maggioranza dei lettori visita i siti web dei quotidiani per informazioni pratiche relative a cinema e ristoranti, scienza e salute, tecnologie, finanza, condizioni meteo e solo il 40% per le notizie politiche. In Italia, viceversa, gli interessi del lettore in rete sono simili a quelli del lettore di stampa quotidiana e ne riflettono l’attenzione preponderante per la politica, lasciando in subordine quella per sport, cultura, tecnologia e cronaca. Dal punto di vista della professione giornalistica, l’editoria elettronica italiana appare ancora un mondo in costruzione, ma più di 2/3 dei giornalisti intervistati affermano di utilizzare concretamente Internet per la propria attività giornalistica: soprattutto per reperire informazioni attraverso i motori di ricerca. Soltanto ¼ si dedica affettivamente al giornalismo on-line, producendo contenuti destinati ad andare in rete.
Fonte: http://rouge1986si.altervista.org/Appunti_storia_giornalismo_gozzini.doc
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