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A. Perché la Grecia non fu mai realtà politica unita.
1.
La Grecia antica si identifica, come tutte le altre civiltà antiche, dalla Mesopotamia all’Egitto, dalla Persia a Roma, in comunità di fedeli basate sul rapporto tra uomini e dèi. La fede in una divinità si lega alla fede o in un particolare santuario, ove recarsi in periodico pellegrinaggio (gr. panegyris), occasione per trovarsi insieme e confermare vincoli secolari, o in un oracolo da consultare davanti alla paura dell’ignoto e del pericolo.
2.
La comunità dei credenti è la risposta a ciò che appare, agli uomini, come male: ci si riunisce attorno a questa o quella divinità, la si considera legata al proprio gruppo, al popolo cui si appartiene, alla terra in cui si è nati e a cui la divinità è a sua volta legata perché ivi ha il suo tempio e i suoi fedeli.
3.
Ogni pratica di culto è un segreto e una prerogativa dei capi dei ghéne (plur. di ghénos, gr. γένος): essi solo sanno come rivolgersi alla divinità, averne le risposte, interpretarne il volere. Nel naòs, tempio, abita il dio e solo i capi-sacerdoti ne possono vedere le effigi.
4.
L’ipotesi di unità di tutta la Grecia, perciò, era in contrasto con il carattere autentico della civiltà greca, basato su singole comunità di credenti legate a una sola particolare divinità. I devoti di Apollo o quelli di Demetra non si attendono nulla, per esempio, da Atena. Naturalmente negli anni, e precisamente a partire dal VII secolo, i privilegi religioso dei ghéne vennero lentamente erosi da un allargamento della sfera religiosa, dall’introduzione di altre divinità all’interno di comunità che si andavano estendendo. Tuttavia neppure con Zeus Olimpico, il padre e sovrano degli dèi, le comunità di lingua ellenica vennero unificate, poiché la sua sovranità veniva accettata ma non a discapito delle altre devozioni.
5.
La vera caratteristica della civiltà greca, e il suo più grande insegnamento, consiste proprio nella varietà di situazioni religiose e culturali. L’ideale greco della libertà e dell’autogoverno, eleutherìa e autonomìa (gr. ελευθερία καί αυτονομία), nasce nella pòlis e significava il contrario della schiavitù, ossia l’appartenere alla pòlis nel senso pieno dei diritti. Ma anche voleva dire non essere sottoposti al governo di chi non fa parte della propria gente, anche in riferimento a una popolazione greca che si considerasse diversa dalla propria stirpe, come venivano considerati i Joni dai Dori e viceversa. Essere autonomi significa essere governati con le proprie leggi.
6.
La civiltà greca classica ebbe origine nelle pòleis (plur. di pòlis, gr. πόλις). Furono precisamente le tirannidi a creare le vere e proprie pòleis, cioè le città-stato, fra il VII e il VI secolo a. C., salvandole dagli effetti di conflitti interni che avrebbero potuto distruggere l’unità delle singole comunità. Conflitti che avevano un carattere religioso e politico, tra forme più antiche e forme nuove emergenti, tra i vecchi ghéne e i non appartenenti ai ghéne, che avevano gli stessi obblighi dei primi ma ineguali diritti.
7.
Il sistema giuridico originario si basava sulla sovranità assoluta di Zeus. La legge tradizionale era una rivelazione della volontà divina, cui si faceva risalire il governo del mondo. Tale rivelazione era materia di fede e di culto, e solo il magistrato-sacerdote poteva realmente sapere quello che Zeus voleva. Le legislazioni scritte che compaiono in moltissime pòleis greche, come quella di Licurgo a Sparta, di Dracone e poi di Solone ad Atene, appartengono a personaggi che si confondono nel mito. Una spiegazione plausibile dell’origine delle Costituzioni nella maggioranza delle pòleis (esclusa Sparta) è quella della fine della proprietà collettiva della terra, che si accompagna alle trasformazioni di carattere religioso. Con le leggi scritte compare la città come formazione politica organica, che tende alla isonomìa, cioè all’accessibilità della legge a tutti, e al riconoscimento dell’autorità pubblica nel diritto privato e penale.
B. Sparta e Atene. L’Oracolo delfico.
1.
Sparta, la città-stato dei Lacedemoni, fu fondata da una popolazione dorica dopo l’età micenea. Tutto fa pensare che si trattasse di una comunità coloniale, trapiantata da padrona in una terra fertile, la Laconia, abitata da popolazioni sottomesse con la forza. Nell’Odissea omerica e nello storico Erodoto i Dori sono presenti a Creta e a Rodi, ed è facile capire come i Dori giungessero in Laconia (Peloponneso) attraverso vari approdi insulari del mare Egeo.
2.
I Dori di Sparta (Spartiati) assunsero il diritto esclusivo di portare la spada. Essi soli, rispetto alla popolazione sottomessa (Iloti), avevano la pienezza dei diritti politici, quali discendenti degli originari coloni di quella terra. I perieci, Dori del territorio della Laconia e della Messenia, erano liberi ma con l’obbligo di prestare servizio militare. Due basileìs (plur. di basileùs, gr. βασιλεύς, cioè “re”) avevano il comando militare in guerra. Ogni combattente spartiate disponeva di un lotto di terra (klèros di 15 ettari) sufficiente al fabbisogno famigliare, ma questo non era un trasferimento di proprietà, perché le terre continuavano ad appartenere ai templi, come nell’età micenea, ed erano inalienabili (non si potevano vendere o comprare). Del resto a Sparta non vi era vera e propria moneta circolante (tranne delle verghette di ferro, ma mai oro o argento). Perciò la moneta spartana non aveva circolazione al di fuori della città-stato. Gli iloti venivano assegnati al lavoro delle terre.
3.
Perciò gli Spartiati si dichiaravano fra loro pari (homòioi, cioè “uguali”), come era consueto anche nelle altre colonie greche. Dunque a Sparta non vi erano aristocrazie (ghéne), vi era una comunità di eguali. La forma di governo diarchica (invece che monarchica) assicurava gli Spartiati da ogni limitazione della loro indipendenza ed eguaglianza. Tuttavia prevalsero nella guida della città due famiglie: quella degli Agiati e quella degli Eupatridi, che quasi certamente avevano tradizioni sacrali. Più tardi il vero comando fu esercitato dagli èfori (gr. έφοροι). L'eforato era costituito da 5 membri, scelti per un solo anno tra tutti gli Spartiati. Uno di essi era il presidente della magistratura e dava il nome all'anno (eponimo).
4.
L’assemblea di tutti gli Spartiati era la apèlla, che deteneva la sovranità, affiancata da un consiglio degli anziani, gherusìa. Quest’ultimo col tempo ebbe una funzione sempre più importante, così che a Sparta si determinò una sorta di aristocrazia degli anziani. In seguito l’eforato divenne una vera magistratura politica e militare, completando la trasformazione della società spartana in una forma definitivamente aristocratica.
5.
Verso la fine del VI secolo Sparta era alla testa di un sistema di alleanze sparse in tutta il Peloponneso (Lega peloponnesiaca), fra le città favorevoli alla sua politica fortemente conservatrice. La Lega spartana era altresì un mondo spirituale e culturale, il cui punto di riferimento era Olimpia, centro del culto di Zeus. Fu a Olimpia che l’Heraìon (tempio di Hèra) e il tempio di Zeus segnarono la trasformazione del mégaron come luogo di culto nel tempio classico di stile dorico. Ogni 4 anni vi si svolgevano i giochi, il cui conteggio ebbe inizio nel 776. Sparta divenne il più grande centro di musiche, danze e poesie sacre della Grecia. La cultura a Sparta aveva un carattere prevalentemente religioso. In generale la civiltà spartana rivela la conservazione dei legami più antichi con le sue origini religiose ed etniche, ma da questo si sviluppò una potente creatività culturale non inferiore alla cultura ateniese.
6.
La città di Atene, nell’Attica, invece nasce intorno al santuario della dea vergine Athena, figlia di Zeus. Vicino c’era il santuario di Eleusi, sacro alla dea Demetra. La vicinanza di due porti marittimi, il Pireo e il Falero, aveva attirato una forte immigrazione di forestieri e di schiavi.
7.
La città-stato nacque da una lega di ghéne aristocratici, che si raccoglievano nelle quattro tribù ioniche. Attraverso la storia attica apprendiamo che il ghènos si forma con un frazionamento della tribù, allorché una casata aristocratica assume la guida di un gruppo impossessandosi di un’area coltivabile, nella quale si stabilisce con tutto il suo seguito di gente legata dai vincoli religiosi e di dipendenza lavorativa. I ghène, cioè gli eupatridi le cui genealogie risalivano agli dèi, si accordarono per la comune difesa e intorno ai santuari nacquero i primi nuclei di una città-stato di origine genetica, cioè locale e non coloniale.
8.
Come a Sparta, anche ad Atene la sanzione religiosa è alla radice dell’unità politica. Atene risaliva al mitico re Teseo e alle leggende legate al suo nome. In generale la sanzione religiosa assume carattere di storicità nel mito, che è sempre un mito genetico, cioè alle origini di una storia.
9.
Alla mitica monarchia succede l’arcontato. L’organizzazione della pòlis aristocratica ateniese sotto il governo degli eupatrìdi, capi delle casate dominanti, sostituì il monarca con il governo frazionato ed annuale di nove arconti. Il primo di essi esercitava le funzioni sacrali del basileùs; sei arconti formulavano le norme della convivenza e della giustizia; un arconte (eponimo) dava il nome dell’anno e amministrava la giustizia; un arconte polemarco aveva il comando dell’esercito.
10.
Accanto agli arconti c’era la bulè dell’Areopago, composta dagli ex-arconti. Essa sorvegliava l’applicazione delle leggi e giudicava i processi comportanti la condanna a morte. Per gli altri processi funzionava un altro tribunale, quello dei 51 efèti).
11.
Quanti non facevano parte dei ghène si raccoglievano in più semplici confraternite religiose (orghé thìasoi). Stranieri residenti e ex-schiavi erano totalmente esclusi dal diritto di partecipazione attiva alla vita politica. La città-stato era una sorta di alleanza fra i ghéne del territorio, ma il continuo accrescersi degli estranei ai culti dei ghène e la diffusione dei culti da essi importati resero necessario il ricorso alle leggi scritte (Costituzioni).
12.
Nel VII secolo Dracone cominciò a dare leggi penali scritte, il cui senso era quello di attenuare le decisioni arbitrarie degli eupatrìdi. Infatti i ghéne continuavano a detenere, nella pòlis, la vera sovranità, benché accettassero per convenienza un vincolo confederale tra di loro e un governo comune. Le famiglie degli eupatrìdi erano quelle che trattavano tutti gli affari di Stato.
13.
All’inizio del VI secolo Solone divenne arconte. Era poeta e membro dell’aristocrazia, e aveva una grande esperienza avendo molto viaggiato. Egli ottenne il mandato di fare opera di equilibrio nella città, segnata evidentemente da gravi tensioni sociali fra gli appartenenti e i non appartenenti ai ghéne. In Atene era particolarmente influente il ghénos degli Alcmeonidi.
14.
Le prime leggi di Solone furono:
Queste riforme colpivano gli interessi esclusivi dei ghéne.
15.
Dopo queste riforme , Solone creò una nuova divisione dei cittadini fondata sul reddito, creando quattro categorie di cittadini:
Questi due erano i redditi massimi, soggetti ai tributi; inoltre ambedue erano tenuti a prestare servizio militare in cavalleria, provvedendo al cavallo e alle armi.
16.
Tutti i cittadini erano elettori, ma solo le prime tre categorie erano eleggibili. La cariche finanziarie riservate solo alla prima, quelle politiche alle prime due, quelle amministrative alle prime tre. Si trattava dunque di una riforma timocratica (cioè ordinata secondo il censo), la cui concezione di base era il rapporto tra esercizio dell’autorità e obblighi militari e tributari, anziché l’appartenenza alla comunità confessionale-politica di un ghénos.
Il senso profondo della riforma di Solone fu che alla base della nuova pòlis vi erano culti propri dell’intera comunità, e non solo quelli particolari dei ghéne: soprattutto quello di Athena Pàrthenos (cioè “Vergine”) e Poliade (cioè “protettrice della città”), i cui templi sorgevano sull’Acropoli della città.
Solone, come testimonia la sua poesia, credeva nella sovranità di Zeus i cui frutti sono tre: Eunomia (il buon governo), Dike (la giustizia) e Eirene (la pace)
17.
La nuova comunità politica è il dèmos, che esclude i meteci, gli stranieri e gli schiavi, che non erano soggetti di diritto. La nascita della tirannide in Atene, attraverso la figura di Pisistrato, rappresenta una fase successiva di sviluppo delle riforme di Solone e di consolidamento della città-stato, al di sopra dei ghéne tradizionali.
18.
Pisistrato, nel trentennio della sua tirannìa, fra il 560 e il 527, dette vita all’affermazione politico-religiosa della pòlis attraverso la costruzione di nuovi templi riservati a culti non tradizionali o non solo ateniesi, come quello di Apollo di Delo (isola dell’Egeo, mitico luogo di nascita di Apollo e di Artemide, nati da Latona), su cui Pisistrato ottenne un predominio religioso, o quelli di Demetra a Eleusi e di Dioniso e dei Misteri orfici.
La città di Atene allargò la propria influenza nel Chersoneso tracico, controllando il Ponto Eusino (Mar Nero).
19.
La tirannia di Pisistrato mostrò che l’unica alternativa al governo oligarchico dei ghéne per una formazione come la città-stato era un governo concentrato in una sola persona, cioè “monarchico”, anche se inserito in un ordinamento giuridico conforme al prevalere delle oligarchie aristocratiche. Il suo nuovo sistema tributario (tutti i cittadini erano tassati per un ventesimo delle loro entrate) consentì di armare una flotta destinata a diventare lo strumento dell’espansione marittima politica ed economica di Atene. Pisistrato creò la magistratura militare degli strateghi, più adatta alle necessità di condurre impegni militari distanti dalla città e differenziati.
20.
La morte di Pisistrato vide la riscossa dei ghéne, come testimonia l’uccisione del figlio di Pisistrato, Ipparco, e la lotta contro l’altro suo figlio Ippia. Emersero nuovamente gli Alcmeonidi, i quali a proprie spese avevano ricostruito, dopo un incendio, il santuario di Apollo a Delfi. La nobile famiglia ateniese degli Alcmeonidi, in cambio del finanziamento della ricostruzione del tempio di Delfi, ottenne l’appoggio di Sparta nella lotta politica. L’oracolo di Delfi proteggeva le aristocrazie e vedeva perciò di mal occhio i tiranni.
21.
Il culto di Apollo e la religione dell’oracolo delfico erano divenuti il centro di una religiosità panellenica (cioè di tutti i Greci). Il non seguire l’oracolo e i suoi consigli era considerata hybris (gr. ύβρις, cioè tracotanza empia, empietà). L’essere esclusi dall’oracolo era una maledizione, una scomunica. La pòlis era uno stato sovrano nei limiti della lealtà verso le formazioni religiose panelleniche e Delfi, dal VI secolo, deteneva il posto più alto come centro politico-religioso.
Infatti non bisogna mai dimenticare che l’unico vero legame fra le città-stato della Grecia erano le anfizionie, cioè le leghe sacrali di pòleis che gravitavano attorno a un santuario. L’anfizionia deifica, con il santuario di Demetra ad Antela, presso le Termopili, legava insieme dodici città-stato, tra cui Sparta e Atene.
22.
Fu quindi un capo degli Alcmeonidi, Clistene, come arconte a proporsi un radicale cambiamento dell’ordinamento politico di Atene, ponendo le ripartizioni territoriali alla base del nuovo sistema. Egli creò il sistema delle trittìe, cioè di trenta gruppi di dèmoi, dieci delle aree montane, dieci delle aree costiere, dieci delle aree pianeggianti, ma uniti in modo che ogni trittìa riunisse un dèmos di montagna, un dèmos di area costiera e un dèmos di pianura. Rimandando al libro di testo l’analisi dell’intero sistema, diciamo solo che Clistene impediva la prevalenza di un settore del territorio dell’Attica sugli altri.
28.
La creazione di organi come la pritanìa, l’ekklesìa e la bulé rispondevano al timore della monarchia, cioè della tirannia. Ma vi erano altri due scopi evidenti:
Era chiaro che Clistene favoriva i gruppi aristocratici delle maggiori casate, come gli Alcmeonidi, i Filaidi e i Butani, che avevano largo seguito.
Il sistema di Clistene era dunque una democrazia che da un lato impediva l’avvento della tirannia, dall’altro favoriva l’influenza determinante dei ghéne.
29.
Il nuovo regime democratico si creò uno strumento di difesa con una legge penale che dava luogo a una pubblica accusa di violazione della legalità, la grafé parà nòmon, una legge che istituiva la pena di morte o dell’esilio per chi si situasse al di fuori del quadro oligarchico che deteneva le leve del governo della democrazia. Con l’ostracismo un cittadino poteva venire esiliato per 10 anni senza alcun capo d’accusa (ma senza espropriazione dei suoi beni)..
(SEGUE PARTE III)
Solone
Ode al Buongoverno
Nei versi di Solone da un lato c’è il Malgoverno (cittadini folli affascinati dal denaro; demagoghi che si fanno ricchi dietro all’ingiustizia; spregio dei fondamenti di Giustizia), dall’altro c’è il Buongoverno (fonte di ordine e misura, getta i colpevoli in catene, cancella la prepotenza, diffonde saggezza ed equità).
Non perirà la patria nostra: non lo vuole Zeus né la mente degli dei beati;
veglia una dea magnanima, tiene su lei le mani: Pallade, figlia dell’Onnipotente.
Ma sono loro, i cittadini folli, affascinati dal denaro, che vogliono distruggerla,
e sono i demagoghi ingiusti: sconteranno con tanti guai la loro tracotanza.
Non conoscono remore agli eccessi, non sanno gustare gioie conviviali in pace.
Si fanno ricchi dietro all’ingiustizia senza riguardo a beni sacri o pubblici,
chi di qua chi di là saccheggiano, rapinano, spregiando i fondamenti di Giustizia.
Ella non parla: conscia del presente e del passato, arriva sempre, vindice, col tempo.
Piaga senza rimedio grava sulla città. È diventata schiava in un baleno.
La schiavitù ridesta lotte civili e guerre sopite, e tanta gioventù ne muore.
Per i nemici, la città diletta si consuma in convegni che pescano nel torbido.
Ecco i mali che girano nel popolo: dei poveri sono molti che migrano lontano,
all’estero, venduti schiavi, in ceppi indegni.
La rovina di tutti è, in ogni cosa, la rovina d’ognuno, e non c’è porta che la blocchi:
varca d’un balzo le muraglie, e coglie anche chi fugge e si rimpiatta in camere segrete.
Questo mi detta il cuore d’insegnare agli Ateniesi: il Malgoverno è fonte di rovina;
il Buongoverno è fonte d’ordine e di misura, getta spesso i colpevoli in catene,
appiana asprezze, limita la sazietà, cancella la prepotenza, secca in boccio i fiori del male,
addrizza le sentenze storte, mitiga la superbia, sopisce la discordia, la bile dei dissidi funesti:
allora gli uomini non hanno che saggezza ed equità.
Solone
Elegia alle Muse
Solone religiosamente concepisce la presenza di una giustizia divina nel mondo.
Figlie splendenti di Mnemosine e di Zeus Olimpio,
Muse Pieridi, ascoltate me che (vi) prego:
concedetemi felicità da parte degli dei beati e da parte di tutti
gli uomini di avere sempre buona fama;
di essere dolce così con gli amici, ma con i nemici amaro,
per gli uni degno di rispetto, per gli altri terribile a vedersi.
Desidero poi avere ricchezze, ma posseder(le) ingiustamente
non voglio: in ogni modo poi sopraggiunge giustizia.
La ricchezza che danno gli dei, rimane accanto all’uomo
salda dalla prima radice fino alla cima;
quella che gli uomini inseguono (spinti) dalla tracotanza, non secondo armonia
giunge, ma obbedendo ad azioni ingiuste
contro voglia segue, e velocemente (vi) si mescola rovina;
il (suo) inizio nasce da poca cosa, come (l’inizio) di un fuoco
(è) insignificante all’inizio, ma poi diventa alla fine (lett.: finisce) funesto:
infatti non a lungo durano per i mortale le azioni della tracotanza.
Ma Zeus osserva l’esito di tutte le cose e all’improvviso
come d’un tratto disperde le nubi il vento
primaverile, che del mare ondoso (e) infecondo
dopo aver smosso il fondo, sulla fertile terra
distrutte le belle opere, giunge alla sede inaccessibile degli dei
il cielo, e fa vedere di nuovo il sereno;
e splende sulla pingue terra la forza del sole
bella, e subito non si vede più nessuna nube,
tale è la punizione di Zeus, ma non contro ciascuno (oppure: per ogni occasione)
è pronto all’ira come un uomo mortale,
però mai e poi mai gli sfugge chiunque malvagio
animo abbia, e in ogni caso alla fine si manifesta:
ma uno paga subito, uno (paga) dopo; altri (può darsi che) sfuggano
essi stessi, e che il fato degli dei non (li) colga sopraggiungendo,
comunque prima o poi giunge: incolpevoli delle azioni pagano
o i figli di questi o la stirpe futura.
Ma (noi) mortali così pensiamo, sia il buono sia il cattivo,
che l’aspettativa che ciascuno ha, abbia buon esito,
prima di soffrire qualcosa: allora poi si affligge; ma fino a questo (momento)
stando a bocca aperta godiamo di vane speranze.
E chiunque sia tormentato da malattie dolorose,
pensa questo, (cioè) che guarirà (lett.: sarà sano);
un altro, pur essendo vile crede di essere un uomo valoroso
e bello pur avendo un aspetto non grazioso;
se uno poi (è) senza mezzi e lo opprimono i travagli di povertà,
crede che in un modo o in un altro acquisterà molte ricchezze.
Chi si dà da fare da una parte chi dall’altra: uno per il mare pescoso vaga
sulle navi, desiderando portare un guadagno a casa,
trasportato da venti impetuosi,
non facendo alcun risparmio della vita;
un altro dissodando un terreno pieno di alberi per un anno
lavora a mercede e gli stanno a cuore i curvi aratri;
un altro di Atena e di Efesto ingegnoso
avendo appreso le arti, mette insieme i mezzi per vivere con (il lavoro delle) sue mani,
un altro istruito nei doni delle Muse Olimpie (si guadagna da vivere)
conoscendo la misura dell’amabile sapienza;
un altro (lo) rende indovino il signore lungi-saettante Apollo
e (costui) conosce un male che arriva da lontano ad un uomo
a cui (ancora) si accompagnino gli dei; ma il destino in ogni caso
non (lo) allontaneranno né un auspicio né sacrifici;
altri, possedendo l’arte di Peone dai molti farmaci
(sono) medici, (ma) anche per questi non c’è nessun esito (garantito):
spesso da un piccolo dolore nasce una grande sofferenza
e nessuno potrebbe lenirla pur somministrando medicine calmanti;
un altro invece tormentato gravemente da malattie dolorose
avendolo toccato con le mani subito (lo) rende sano.
La Moira, certo, porta ai mortali male e bene,
e inevitabili sono i doni degli dei immortali.
Per tutti davvero c’è un rischio nelle azioni e nessuno sa
come andrà a finire un’impresa una volta incominciata:
ma uno mentre tenta di far bene, non prevedendo(lo)
cade in grande e rovinosa sventura,
invece ad un altro che agisce iniquamente un dio concede in tutto
buona fortuna, rimedio della stoltezza.
Per gli uomini non c’è nessun limite palese per la ricchezza:
infatti quelli di noi che adesso possiedono moltissimi mezzi per vivere,
si affannano il doppio; chi potrebbe saziarli tutti?
I guadagni ai mortali (li) elargiscono gli immortali,
ma da essi si palesa rovinoso accecamento, e quando Zeus lo
manda per punire, ora ce l’ha uno ora un altro.
APPUNTI DI STORIA GRECA. III
LE GUERRE PERSIANE. LA GUERRA DEL PELOPONNESO.
Le guerre persiane
1.
L’ateniese Clistene fece la sua riforma “democratica” fra il 509 e il 507 a.C. E’ possibile che per alcuni anni la pòlis ateniese sia stata costretta a entrare nella lega peloponnesiaca di Sparta, perché le fonti storiografiche s’interrompono fino all’inizio delle guerre persiane, quando Atene ricompare nella storia come città indipendente con Temistocle, Aristide e Milziade, tutti non appartenenti al ghénos degli Alcmeonidi, quello cioè di cui era stato capo Clistene stesso.
2.
Le guerre persiane, che si svolsero nella prima metà del V secolo, videro imporsi lo spirito di autonomia e eleutherìa delle pòleis greche, segnando il destino dell’intera regione greco-asiatica per tutta l’antichità, anche se alla fine del secolo l’Impero persiano raggiunse lo scopo che cercava nel 500 a. C. - ossia il riconoscimento da parte dei Greci del controllo persiano del Mediterraneo orientale.
3.
Infatti seguì nel secolo successivo il crollo dell’Impero persiano sotto le conquiste militari di Alessandro Magno (334 – 323 a.C.). Soltanto solo nell’epoca di Roma l’Impero iranico riapparve come “regno dei Parti” sotto gli Arsacidi (150 a.C. –226 d.C.).
4.
Bisogna ricordare che Ciro, Cambise e Dario avevano creato fra l?India e il Mediterraneo uno dei più vasti, forti ed efficienti Imperi della storia universale, il più grande del mondo antico prima di quello romano:
5.
Occorre qui studiare le dimensioni e i confini dell’Impero persiano, tenendo conto di cosa significa la parola “Impero”, che deriva dal latino “imperium”. In generale significa una realtà politica che unisce stabilmente molte nazioni sotto il segno dell’unità dei loro dèi nazionali, che vengono a far parte di un “politeismo”. Queste espressioni si riferiscono all’Impero romano, ma valgono anche per le grandi unificazioni realizzate dall’Egitto, dagli Assiro-babilonesi, e appunto dai Persiani. Lo scopo di un Impero consiste nel preservare la pace e la sicurezza di molti popoli sotto una sovranità che detiene l’autorità e stabilisce le leggi comuni.
6.
Sappiamo già invece che le pòleis della Grecia combattevano per la propria autonomìa e eleutherìa (libertà), sottraendosi quindi al disegno imperiale persiano. L’accettazione della supremazia persiana, già subita dalla Macedonia e dalla Tracia, comportava l’obbligo di pagamento di un tributo e la dipendenza politica, anche se questo le avrebbe largamente compensate coi vantaggi economici e della sicurezza, facendole inserire in una grandissima formazione politica, entro la quale avrebbero avuto larghe occasioni di lavoro, di commerci e di guadagni. Infatti l’Impero persiano avrebbe aperto ai greci l’intero mercato economico orientale, cosa che peraltro aveva già arricchito le città greche d’Asia Minore.
7.
Ma più che il senso di libertà, era il senso religioso dei greci a non poter tollerare la convivenza con le tradizioni religiose persiane. Il “re dei re” dei Persiani non imponeva forme religiose e lasciava liberi di praticare i vari culti etnici, ma la cerimonia annuale della “processione” di tutti i rappresentanti dei vari popoli dell’Impero – raffigurata nei grandiosi rilievi di Persepoli – in solenne presentazione dei doni (forse del tributo) al sovrano, e le forme protocollari che comportava, erano incompatibili con un omaggio quasi cultuale a un essere umano, come la prosternazione, proskynesis.
8.
Naturalmente vi fu all’interno del mondo greco un aspro conflitto, nella scelta tra una sottomissione apportatrice di grandi vantaggi e benessere e il rischio di una guerra impari per non rinunciare alla propria libertà, che aveva un significato religioso oltre che politico. L’oracolo delfico e i ghène di Atene e altre città, nonché l’aristocrazia di Sparta erano tutti favorevoli a patteggiare un accordo con la Persia, che non avrebbe danneggiato le tradizionali posizioni delle aristocrazie greche.
9.
Fu soprattutto l’influenza di Milziade ad Atene a decidere per la guerra. Milziade apparteneva a uno dei potenti ghène ateniesi, quello dei Filaidi. Con l’aiuto di Pisistrato costituì una specie di principato nel Chersoneso tracico, per far controllare anche da ateniesi la navigazione verso il Mar Nero. Mentre gli Alcmeonidi erano filo-persiani, egli vide nella guerra contro la Persia la possibilità di fare di Atene la pòlis protettrice delle colonie ionie dell’Asia Minore. Insomma voleva fare di Atene, emancipandosi da Sparta, la guida di un ampio sistema di alleanze, destinate a creare la futura egemonia ateniese.
10.
Così Milziade entrò in conflitto con i potenti Alcmeonidi, cui era appartenuto Clistene, e venne eletto come uno dei dieci generali (strategoi) per il 490/489, all'età di 60 anni, dopo essere stato assolto da un processo intentato contro di lui dagli stessi Alcmeonidi. Con Milziade, assieme a Temistocle e a Cimone, il ghènos dei Filaidi cominciò una lunga stagione di predominio in Atene. Fu alla testa della fanteria pesante nella battaglia di Maratona (490) e conquistò alcune isole delle Cicladi. Solo la resistenza dell’isola di Paro offuscò il suo prestigio, dando all’avversa fazione gentilizia degli Alcmeonidi il pretesto per colpirlo con una ingente multa che non riuscì a pagare, anche perché morì in seguito alle ferite riportate nell’assedio dell’isola (la pagò poi suo figlio Cimone, una tonnellata d’argento!).
11.
Pochi anni dopo gli Alcmeonidi ateniesi furono a loro volta colpiti dall’ostracismo, e nuovamente i Filaidi ripresero il sopravvento con Temistocle. Egli riuscì a costruire una forte flotta da guerra, usando i proventi delle miniere d’argento del Monte Laurio, in Attica.
12.
Risulta chiaro che Atene dieci anni dopo Maratona, negli anni che seguirono alla guerra e alla morte di Dario, cui era succeduto Serse, aveva un carattere strettamente oligarchico. La lotta politica era ristretta a poche casate gentilizie, che erano alla testa di fazioni che comprendevano ghène minori. L’ostracismo, l’arma inventata da Clistene per ostacolare la tirannia, serviva a far tacere gli oppositori cacciandoli dalla pòlis. Il clima politico derivato dalle riforme di Clistene favorivano lo strapotere aristocratico.
13.
La guerra di Serse (480-79) richiese uno sforzo militare molto grande sotto la conduzione degli Spartani (Lega panellenica), ma la vittoria navale di Salamina fu un successo ateniese, dopo che la città di Atene era stata incendiata e l’Attica devastata dai Persiani. L’anno dopo Salamina gli Spartani vinsero a Platea (nel 481 avevano sostenuto l’eroico sacrificio delle Termopili) e gli Ateniesi con la flotta a Micale. Fu così che Serse venne sconfitto nel disegno di obbligare le città greche a riconoscere la supremazia persiana, abbandonando le colonie ioniche d’Asia all’Impero persiano.
14.
Le colonie ionie furono liberate da una flotta inviata dagli Spartani, sotto il comando di Pausania, che aveva comandato la Lega panellenica (da pan = tutto, cioè di “tutti” i Greci). Richiamato in patria dagli efori, poiché a Sparta non stava a cuore un’egemonia fuori dal Peloponneso, la potenza protettrice delle colonie greche d’Asia divenne Atene. Nel 477 nacque la lega delio-attica che comprendeva Atene e le città ioniche.
La Pentecontetìa.
15.
S’inizia da 478 a.C. il lungo perido detto Pentecontetìa, cioè “cinquantennio”, che segnò la grande crescita del prestigio di Atene a danno di Sparta, in preparazione della volontà di un’egemonia panellenica che Atene voleva togliere a Sparta. Questo periodo segna una splendida stagione della civiltà umana, che divenne base fondamentale della civiltà europeo-cristiana.
16.
Atene in questo periodo non fu egemone di tutta la Grecia, ma divenne una potenza marittima mediterranea, dapprima attraverso la supremazia dei Filaidi, rappresentati dalla figura di Cimone, il figlio di Milziade (ostracizzato nel 461 ma poi tornato al governo di Atene), e poi dal lungo potere personale di Pericle, l’avversario Alcmeonide dei Filaidi. In effetti la lotta politica in Atene fu una guerra tra Alcmeonidi e Filaidi.
17.
La lotta tra Alcmeonidi e Filaidi concerneva essenzialmente l’indirizzo politico da dare ai rapporti con l’Impero persiano.
Gli Alcmeonidi favorivano l’idea che il successo conseguito nelle due guerre del 490 e del 480 dovessero segnare un’epoca di collaborazione e di pacifica convivenza nelle rispettive aree territoriali e nel bacino dell’Egeo, dove i Persiani continuavano naturalmente a essere presenti (avevano tutto il bacino sud-orientale del Mediterraneo, con Siria, Fenicia, Egitto, Cartagine). Essi avrebbero voluto spostare il potenziale bellico di Atene ai fini imperialistici, cioè spodestare Sparta in un’egemonia panellenica.
Invece i Filaidi sostenevano la necessità di andare a combattere i Persiani in Asia Minore e in Egitto, per sottrarre all’Impero persiano i rifornimenti di cereali della valle del Nilo. Inoltre il richiamo delle città greche dell’Asia Minore era legato alla guerra di Troia e dell’epica di Omero, in cui i Greci riconoscevano le loro memorie eroiche.
18.
Mentre dunque Cimone e i Filaidi tendevano all’accordo con Sparta, gli Alcmeonidi e Pericle osteggiavano Sparta e ne erano ricambiati. Era chiaro che una parte degli ateniesi voleva fare dell’isola di Delo, luogo natale di Apollo e Artemide, il centro etnico panellenico, perché così si ricollegava anche al culto della sorella di Apollo, caro ai Greci d’Asia.
"
Le mammelle in più file sono un antico simbolo di fertilità e caratteristiche di Artemide di Efeso, città ionica in Asia Minore, dov’era il tempio più famoso dedicato a tale dea, elencato da Erodoto fra le sette meraviglie del mondo.
19.
Poiché i fautori di questa politica volevano fare del tempio di Apollo a Delo un centro più importante del santuario di Delfi, per gli Spartani, per l’oracolo e il ceto sacerdotale delfico era naturale che a questo punto, nonostante le passate alleanze, fossero contro gli Alcmeonidi e favorevoli a Cimone.
20.
Cimone usò la lega delio-attica, creata da Aristide, come uno strumento di potenza militare e di talassocrazia (dal greco “thàlassa” = mare, e kratos = forza, potenza, “dominio marittimo”), utilizzando le risorse finanziarie del tributo dato da ogni città alleata (460 talenti) per la guerra contro i Persiani, il cui scopo era il loro allontanamento dal mare Egeo – cosa che peraltro era gradita anche agli Spartani. Nel 465 la Lega delio-attica batté l’esercito persiano per terra e per mare sulla foce dell’Eurimedonte, in Asia Minore.
21.
Cimone riuscì a estendere la Lega di Delo a duecentocinquanta città, fra cui quelle della Licia e della Caria, in Asia Minore. Egli fu il vero signore della Pentecontetia e questo ci rivela che la riforma di Clistene aveva sì creato la città-stato (con l’istituzione delle dieci tribù, delle trittìe e dei demi, con la bulésorteggiata e il turno delle pritanìe, dandole un significato religioso con il culto poliate di Athena Parthénos, ma al centro dell’ideologia politica della democrazia sussisteva l’elemento genetico e trainante del ghénos.
22.
La costituzione popolare di Clistene aveva parificato i meteci e i liberti ai cittadini e i nuovi ricchi dei commerci e delle industrie all’aristocrazia fondiaria, facendo tramontare il sistema dei ghéne come fondamento giuridico dello Stato, tuttavia al centro della vita politica di Atene restava pur sempre quel carattere di confraternita di fedeli che costituiva l’appartenenza al ghénos.
23.
Questo significa che la storia è fatta dagli uomini e dalle loro relazioni, non dalle strutture giuridiche. D’altra parte la preminenza di figure di singoli individui, come Temistocle, Cimone (Filaidi) oppure come Pericle o Alcibiade (Alcmeonidi), mostra che sono le personalità singole a determinare i cambiamenti politici e sociali.
24.
Così si verificò in Atene uno scontro senza precedenti per orientare la politica militare o in senso antipersiano o in senso antispartano. Puntare sull’allontanamento della Persia dal mare Egeo oppure sull’inclusione di Sparta in una lega panellenica capeggiata da Atene. Sui due orientamenti influirono diversi fattori. Allontanando la Persia si liberavano le rotte marittime verso il mar Nero e si agevolavano liberi commerci verso l’India e l’estremo Oriente. Con l’egemonia panellenica si sarebbero aperti ad Atene tutti i porti del mare Egeo, con una preminenza su tutti i mercati greci.
25.
Le ragioni religiose come sempre nel mondo antico avevano un grande peso nelle decisioni, poiché erano stati proprio i culti, i Misteri, gli oracoli e le tragedie a determinare la nascita delle pòleis. Per questo i due partiti ateniesi, Filaidi e Alcmeonidi, giocarono principalmente il loro prestigio sul piano religioso.
26.
Pericle, discendente dagli Alcmeonidi per via materna, aveva promosso da giovane la rappresentazione della tragedia I Persiani di Eschilo. La tragedia, che fu rappresentata nell’anno 472 a.C., rappresentava il punto di vista dei Persiani sconfitti e perciò celebrava la vittoria di Atene proponendo implicitamente un programma politico e religioso.
Ritratto di Dario su un vaso greco
La tragedia di Eschilo “I Persiani” è ambientata a Susa, la residenza del re di Persia, dove Atossa, madre del regnante Serse, ed i dignitari di corte attendono con ansia l'esito della battaglia di Salamina (480 a.C.).
In un'atmosfera cupa e colma di presagi funesti, la regina racconta un sogno angoscioso fatto quella notte. Poco dopo arriva un messaggero, che porta l'annuncio della totale disfatta dei Persiani. La battaglia viene raccontata accuratamente, dapprima con la descrizione delle flotte, poi con l'analisi della fasi dello scontro e infine con il quadro desolante delle navi distrutte in mare e dei soldati superstiti privi di aiuto.
Lamenti e pianti riempiono la scena fino alla comparsa del defunto padre di Serse, Dario, marito di Atossa. Lo spettro di Dario, venuto dall’Ade, dà una spiegazione etica alla disfatta militare, giudicandola la giusta punizione per la hybris (tracotanza) di cui si è macchiato il figlio, nell'aver osato cercare di conquistare il Mar Egeo con la sua flotta. Nella tragedia di Eschilo la figura di Dario viene rappresentata come grande e giusta, per poter rendere tracotante e meschina quella del figlio Serse.
Arriva infine il diretto interessato, lo stesso re Serse, sconfitto e distrutto, che unisce il proprio lamento di disperazione a quello del coro, in un canto luttuoso che chiude la tragedia.
27.
La pace di Callia (449 a.C.) venne stipulata fra il re di Persia Artaserse I e il delegato ateniese Callia, cognato di Cimone, dopo che questi aveva distrutto la flotta fenicia presso l’isola di Cipro. Atene rinunciava a interventi a Cipro e in Egitto e la Persia ai tributi delle città greche dell'Asia minore, pur mantenendo la sovranità su di esse, e a tenere navi militari nell'Egeo. Lo stretto rapporto tra la Persia, l’Egitto (che pagava un tributo) e la flotta dei Fenici era ormai riconosciuto anche dal Greci, che dovettero rinunciare al programma di controllare le coste dell’intero mare Egeo.
28.
Ma Pericle, che con Efialte (altro esponente degli Alcmeonidi) dal 462, dopo l’ostracismo dato a Cimone, rinnovava di anno in anno la funzione di stratega e aveva perciò la continuità di figura istituzionale nella città, cercò di assegnare all’alleanza panellenica nuovi scopi, come quello di liberare il mare dai pirati e di ricostruire i templi distrutti dai Persiani durante la guerra. In questo trovò l’opposizione di Sparta.
29.
Fu Pericle a ricostituire in modo forzato la Lega delio-attica dopo la morte di Cimone, trasportandone il tesoro ad Atene. Alla fine della guerra con la Persia lo scopo della Lega sarebbe dovuto cessare, poiché essa era nata per combattere la Persia con un compito difensivo e offensivo. Infatti gli alleati avevano cessato ormai di pagare il loro tributo al tesoro federale e di mandare le loro navi alla flotta di Atene.
30.
La concentrazione ateniese sul predominio nella Lega delio-attica diede grandi mezzi e poteri alla città, e Pericle ne approfittò per attuare un programma di dominio sistematico su un sistema panellenico. Sparta era risoluta a impedire questo progetto soverchiatore, e anche in Atene la fazione dei Filaidi faceva opposizione alla guida di Tucidide, un congiunto di Cimone.
31.
Ma Pericle stabilì un dominio personale (“demagogia” = guida del popolo) attraverso una riforma costituzionale, che ridusse l’influenza dell’Areopago a vantaggio della Bulé e dell’Ecclesìa (l’assemblea popolare dei teti) e dei giudici popolari dell’Eliea. Gli zeugiti vennero ammessi all’arcontato. Ma la novità era che adesso la partecipazione popolare alle assemblee è pagata con un (modesto) salario. Si ebbe così un forte coinvolgimento popolare che sosteneva la causa di Pericle, rimasto solo dopo l’assassinio di Efialte per mano degli oppositori. La cittadinanza ateniese era negata a chi non fosse figlio di ambedue i genitori ateniesi.
32.
La politica di Pericle fu quella di imporre con la forza una unità politica delle pòleis. Per divenire la città-guida di una grande unità politica, Atene aspirò a gareggiare con le sedi imperiali della Persia e dell’Egitto. Pericle elaborò un grandioso piano di politica culturale, urbanistica e religiosa. Fu in questo ambito che vennero progettati il Partenone e il tempio di Poseidone a capo Sunio, i Propilei, l’Eretteo (sull’Acropoli), il tempio di Efesto sull’Agorà. Architettura e arti dell’età di Pericle rivelano il proposito di imitare e pareggiare i sovrani orientali, come il Re dei Re di Persia, nel riferire alla religione l’ideale politico, dando splendore all’uno e all’altra.
33.
Per consacrare l’alleanza dell’aristocratico Pericle con i ceti imprenditoriali e i lavoratori delle industrie si diffuse il culto accoppiato di Atena e di Efesto (quest’ultima divinità del lavoro industriale). Il tempio di Efesto ad Atene era in prossimità del quartiere industriale, il Ceramico. Il dio era rappresentato con il grembiule e il berretto dell’operaio. Non era, si badi, “propaganda” o roba del genere. La presenza degli dèi e la bellezza dei templi si riflette su tutta la comunità umana. La civiltà classica distingueva le comunità umane dai branchi d’animali in quanto le intendeva sempre come comunità di fedeli, cultori delle divinità che sono proprie del gruppo di appartenenza.
34.
Le Panatenee erano la festa religiosa più importante dell'antica Atene, in onore della divinità protettrice della città, Atena (con l'appellativo di Poliàs, Poliade). Si tenevano ogni 4 anni il giorno della nascita della dea (il 28 del mese di Ecatombeone, corrispondente alla fine di luglio) e vi partecipavano tutti i cittadini liberi, comprese le donne. La processione panatenaica portava il dono di un peplo tessuto dalle ateniesi nobili (Ergastìne) e ricamato con episodio della Gigantomachia. La processione si radunava prima dell'alba nei pressi della porta del Dipylon, attraversava l'agorà e giungeva all'Acropoli, dove potevano entrare solo i cittadini ateniesi. La processione passava quindi davanti al Partenone e si fermava al grande altare di Atena.
L’esaltazione della perfezione del tipo umano, raffigurato nei kùroi (adolescenti) e nelle kòrai (fanciulle) scolpiti nei fregi dei templi (come nel Partenone) doveva essere il segno di una superiorità della gente ateniese grazie a un’elezione divina, analogamente a come era avvenuto con gli antichi ghéne di origine divina e perciò “eupatrìdi” e “kaloìkagathoi”.
35.
Come abbiamo già visto nella tragedia di Eschilo ‘I Persiani’, si trattava di sovrapporre alla tradizionale fede nelle potenze extra-umane, che guidano gli uomini e i loro governi, un nuovo mito – o almeno un tentativo di mitopea (creazione di miti) – l’idea che gli Ateniesi fossero una stirpe eletta di eroi, e che gli dèi li aiutavano a essere superiori agli altri uomini, greci e non greci, per renderli adatti a governare e guidare secondo la giustizia divina. Questa mitopea si basava sullo straordinario potere della parola umana del quale si erano fatti interpreti i Sofisti, un vasto movimento di cultura che corrisponde all’età di Pericle.
36.
I fregi del Partenone, con la processione delle Panatenee, opera di Fidia, erano ispirati all’analoga processione dell’Apadana di Persepoli (vedi immagini punto 7 più sopra), in vista di un progetto politico-religioso che intendeva concorrere con quello persiano. Anche il rilievo persiano, infatti, celebrava il trionfo di un Impero attraverso la rappresentazione di un’armonia umano-divina. Sembra che le feste panatenaiche, istituite alla fine del VI secolo, avessero un carattere molto affine a cerimonie analoghe dell’Impero persiano.
37.
La realtà politica dell’età di Pericle, che dura ben trent’anni, dal 462 al 429, è dunque caratterizzata da un duplice aspetto: da una parte la funzione demiurgica (ossia “che agisce in favore del δῆμος = popolo”) della divinità di Atena, dall’altra la forze del ceto popolare dei “teti”, i nullatenenti fino ad allora esclusi dalla vita politica, i quali ora potevano essere pagati (ma con il denaro degli alleati della Lega). Gli oratori di mestiere, al seguito degli strateghi (Pericle era istituzionalmente “stratega”) si indirizzavano all’assemblea per ottenere il consenso facendo leva sui bassi istinti, cioè corruzione e sperpero del denaro pubblico in salari e feste.
38.
La comunità ateniese di Athena Parthénos costituita da Pericle, in realtà, poteva vivere solo a spese del tributo, estorto con la forza, delle quattrocento pòleis della Lega, togliendo loro anche dei pezzi di terra (kleruchìai) per darle a coloni di Atene. In questo modo le tradizioni del passato venivano negate e addirittura irrise, perché il clima culturale del regime di Pericle aveva creato un mito nuovo, fondamento di un dominio politico (egemonia, gr. ηγεμονία = guida, comando) che reprimeva spietatamente ogni tentativo di distacco.
39.
Tutta la tradizione greca più consolidata era dalla parte di Sparta. Il culti e il centro sacrale di Zeus Olimpico erano in Peloponneso sotto il controllo spartano: e così anche l’oracolo di Delfi era sottoposto alla supremazia spartana. Da quando gli Ateniesi aveva spogliato l’isola di Delo della funzione di centro della Lega e di custode del suo tesoro, avevano perso una parte della loro forza ideale, in quanto Delo era l’unico centro cultuale di Apollo che potesse competere con Delfi.
I resti del tempio di Apollo delfico, dove aveva sede l’oracolo più importante della Grecia.
40.
Nonostante la stupefacente dimostrazione di grandezza dell’Atene di Pericle, la forza ideale di Sparta era superiore perché da secoli gli Spartiati vivevano dell’idea della superiorità della loro stirpe, nata per dominare. Di fronte al carattere illusionistico della grande stagione artistica di Atene, e della celebrazione esclusiva delle sue glorie nella guerra persiana, Sparta poteva contare su una storia di secoli di isolamento armato e poteva credere di essere sempre il popolo dei suoi dèi.
41.
La guerra contro Sparta era appena iniziata, con una pesante avanza degli Spartani nel territorio dell’Attica, quando in un’Atene assediata e sovraffollata di profughi scoppiò un’epidemia di peste. L’opposizione contro Pericle allora lo trascinò in tribunale. Condannato alla multa di 50 talenti (il costo di 50 navi da guerra!) e addirittura all’atimia (una sorta di privazione dei diritti civili e politici) ma poi graziato, il grande statista ateniese morì tuttavia colpito anche lui dalla peste (429).
42.
Cleone, industriale della concia delle pelli, fu il primo protagonista della vita pubblica ateniese privo di precedenti gentilizi e appartenente al mondo dei ricchi imprenditori. Questo era un fatto senza precedenti nella storia ateniese. Come era stato possibile?
43.
Un secolo prima la riforma di Clistene, pareggiando i maggiori patrimoni dell’aristocrazia a quella dei nuovi ricchi delle attività imprenditoriali, aveva aperto la strada alla creazione del nuovo ceto timocratico. Così era sorto un nuovo ceto di governo, una oligarchia in cui agli antichi ghéne di Atene si erano aggiunti i nuovi ricchi. Inoltre la politica tributaria stava distruggendo la vecchia aristocrazia fondiaria (cioè che aveva il possesso fisso di terre), con forti prelievi sul capitale per costruzioni navali, celebrazioni teatrali e altro, mentre lo sviluppo degli affari dava forza a una nuova classe possidente di origine mobiliare (cioè che possedeva beni mobili, da vendere e comprare).
44.
Cleone apparteneva a quest’ultimo ambiente. La fine delle casate aristocratiche si faceva evidente, perciò. Era mutato il criterio della discendenza nobiliare e questo si legava a una variazione dei rapporti religiosi. L’esaltazione di Atena, Efesto, Teseo faceva passare in ombra certe divinità, semidei o eroi delle genealogie eupatrìdi (“genealogie” = discendenze). Ma era anche profondamente cambiata la valutazione degli ideali di vita ateniesi, i fattori culturali e spirituali.
45.
Il massimo valore di un tempo era stata la areté (che in greco significa “virtù”), il valore militare, la prestanza guerriera. Nel corso del V secolo “areté” era diventata la capacità oratoria, qualità necessaria per imporsi nella bulé e nella ecclesìa. Lo stesso Pericle era esaltato per la sua capacità oratoria. Proprio i nuovi ricchi, i pentacosiomedimni, di origine commerciale o industriale, dovevano rendere possibile il loro accesso al governo sostituendo alla selezione aristocratico-religiosa la selezione puramente culturale e in particolare quella oratoria.
46.
D’altra parte Sparta non vedeva con simpatia i governi che si sostenevano con la demagogia verso i ceti popolari, perché aveva ragione di temere che i suoi iloti, che non erano né liberi né schiavi, si identificassero nei teti ateniesi. La parola “democrazia” divenne il sistema sia della “monarchia” populista di Pericle sia l’attributo di qualsiasi città, fazione o persona che simpatizzasse con Atene o fosse costretta a subirne l’egemonia.
47.
Nel 422 morirono in battaglia i due condottieri dell’esercito ateniese e spartano in guerra fra loro: Cleone e Brasida. L’ultima personalità ateniese di grande rilievo ad Atene fu Alcibiade. Erede della casata alcmeonide di Clistene e parente di Pericle, si formò alla scuola filosofica di Socrate. La sua ricchezza gli permetteva di vivere come gli antichi eupatrìdi.
48.
Un fatto nuovo intanto si era verificato nel corso dell’ultimo quarto del quinto secolo a. C., il nascere delle eterìe (gr. hetairìai), cioè di consorterie politiche che parallelamente alle istituzioni della città, dominate dalla democrazia di Pericle e dal terrorismo della grafé parà nòmon (la legge che rendeva punibile ogni opposizione), rappresentavano l’unica difesa dalla demagogia delle masse popolari. Le eterìe operavano in modo più o meno segreto come gruppi di pressione per influire sulle decisioni del governo.
49.
Alcibiade grazie all’appoggio di tali eterìe, benché non avesse cariche istituzionali ma fosse un semplice cittadino, riuscì a stipulare un accordo di assistenza difensiva con alcune città del Peloponneso per tagliare fuori Sparta dalle vie di comunicazione con l’Attica.
50.
Il progetto politico di Alcibiade era quello di colpire la fenicia Cartagine, padrona del mare di Sicilia e di gran parte del Mediterraneo occidentale. Se la Persia dominava le vie delle spezie e della seta tra Asia e Europa, Cartagine dominava la via dello stagno (essenziale per la produzione del bronzo). Inoltre Cartagine era colonia dei fenici, tradizionali alleati dell’Impero persiano. Alcibiade sperò di raggiungere il suo scopo con la spedizione contro Siracusa, che terminò invece con un disastro completo (413 a.C.).
51.
La conseguenza immediata del disastro di Sicilia, in cui andarono perduti l’intero corpo di spedizione ateniese e la flotta, furono l’invasione dell’Attica da parte di Sparta e il riapparire della Persia nel mar Egeo, infrangendo gli accordi della pace di Callia.
52.
Nel 411 a.C. la democrazia ateniese e la sua egemonia marittima erano finiti per sempre.
Il nuovo assetto istituzionale di Atene fu una oligarchia controllata da Sparta, che limitava il numero dei cittadini elettori ed eleggibili soltanto a cinquemila, tra i quali si doveva reclutare una bulé (assemblea) di 400 membri. La pienezza dei diritti politici era data non solo in ordine al censo (a chi pagava le tasse) ma anche a chi ricevesse un riconoscimento di operare a vantaggio dell’intera cittadinanza.
53.
Alla fine della guerra del Peloponneso (Atene capitola definitivamente nel 404 a.C.) l’Impero persiano fu il vero vincitore. L’assetto politico greco, escludendo egemonie, permetteva al mondo persiano di esercitare una larga influenza sulle città greche, mentre molti Greci erano arruolati negli eserciti del Re dei Re e molti artisti venivamo chiamati nei paesi persiani. Il denaro persiano ora circolava largamente in Asia Minore e in Grecia.
54.
Quello che invece non andò perduto, di Atene, fu il grande percorso culturale e artistico elaborato dagli ateniesi nel corso dell’intero V secolo (e ancora del IV), che attraverso le personalità eminenti dell’arte, della filosofia, del teatro, della retorica elaborarono un paradigma universale che resta ancor oggi la base dell’intera civiltà europea.
55.
Si può dire che fu merito di Pericle e del suo secolo il valore universale della civiltà greca, una delle più grande venture dello spirito umano, una delle più determinanti. Atene rimase la scuola non solo della Grecia, ma di tutto il mondo antico. Da Gandara nell’India a qualunque centro romano a ovest e a settentrione, si ripercorsero tutte le vie della cultura ateniese. La civiltà romana, la scienza araba, l’arte persiana e l’arte cristiana si svilupparono sugli esempi delle arti e delle scuole di Atene.
56.
Caduto il disegno ateniese di egemonia e scomparso il sogno talassocratico (dal gr. thàlassa = mare e kratos = dominio), quanto era stato creato nel campo del pensiero, dell’arte e dell’educazione della vita rimase vivo per sempre.
Fonte: http://www.istituto-santanna.it/Pages/LiceoScientifico/storia%20greca%20II%20classe%20prima.doc http://www.istituto-santanna.it/Pages/LiceoScientifico/APPUNTI%20DI%20STORIA%20GRECA%20III.doc
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