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TESI I: Origini della musica – I primi strumenti – La musica della mitologia
Storia della musica tratta della musica colta europea. Sono escluse le musiche dei popoli primitivi, quelle orientali e quelle popolari. La difficoltà delle musiche primitive è la mancanza di scrittura. Passo decisivo per il superamento di questa difficoltà è stato il fonografo di Edison (1878). Con la raccolta e lo studio di fonogrammi nasce l’etnomusicologia. Primi etnomusicologi: Wallaschek, Stumpf, Sachs, Schneider, Bela Bartok
Darwin sosteneva che la musica nasce dall’imitazione dei suoni della natura. Wallashek e Bucher sostenevano che l’origine nella musica è nel ritmo, che accompagnava molte attività tribali collettive. E’ impossibile che una realtà varia come la musica possa avere un’unica origine, ma è diffusa la convinzione che la musica si sia sviluppata contemporaneamente al linguaggio
Spesso agli strumenti era associato un risuonatore che, messo a contatto col corpo vibrante, aumentava la sonorità
Molti popoli ritengono la musica dono degli dei (musica = voce della natura)
TESI II: La musica dei selvaggi e dei primi popoli storici: egiziani, cinesi, assiri e babilonesi, ebrei
Fin dall’antichità collegarono musica e religione. Il canto sacro era di pertinenza esclusiva dei sacerdoti, mentre la musica profana era affidata a musicisti di sesso maschile, che suonavano arpe e flauti. Dopo le conquiste militari dei secoli XVIII-XIV a.C. i contatti con altri popoli cambiarono la tradizione musicale: le esecuzioni vennero affidate a donne professioniste, in particolare di origine siriana.
Ci sono pervenuti alcuni strumenti musicali ritrovati nelle tombe, quali flauto in legno a canna singola o doppia, tromba, castagnette, sistri e crotali, arpa, cetra e pandora (di origine orientale). Sachs afferma che gli egiziani impiegassero scale pentafoniche discendenti, altri affermano che conoscessero, come i greci, anche la scala eptafonica.
Nel III sec. a.C. Ctesibio di Alessandria inventò l’organo idraulico.
Molte illustrazioni parietali illustrano cantori che atteggiano variamente mani e braccia. Sachs e Hickmann hanno interpretato gli atteggiamenti come una sorta di notazione, la chironomia.
La musica aveva funzioni religiose, più tardi fu usata anche in studi matematici. Gli strumenti più usati erano l’arpa (in particolare presso i sumeri), la cetra, flauti diritti in legno o metallo, castagnette, sistri e piatti. La musica fu anche usata dagli assiri per stimolare i soldati al combattimento.
La musica ebraica ebbe un periodo di splendore nel periodo dei re (XI-X sec. a.C.). Davide era un provetto arpista e compositore di salmi (si pensava che avesse composto lui stesso tutti i 150 salmi, ma così non è). Salomone organizzò professionalmente i cantori del tempio di Gerusalemme. Gli strumenti più usati erano il kinnor (strumento a 10 corde pizzicate), lo sciofar (corno di capra), l’ugab (zampogna o flauto diritto).
Uno studio condotto all’inizio del ‘900 da Idelsohn su alcune popolazioni ebraiche stanziate nello Yemen e in Palestina, mostra evidenti affinità con le melodie gregoriane. Studi successivi mostrano che modi esecutivi e forme del primo canto cristiano erano propri della musica ebraica ed estranei alla musica greco-romana. Le caratteristiche comuni sono:
I suoni venivano messi in relazione con l’ordine dell’universo (punti cardinali, stagioni, pianeti, colori…)
Attribuivano alla musica la capacità di influire sui costumi. Dalle prime dinastie la musica era basata su una scala pentafonica, ma già dal III sec. a.C si usava una scala di 12 suoni (non cromatica!) formata da 6 lu maschili e 6 lu femminili. Si usavano molti strumenti, spesso organizzati in organismi simili alle nostre orchestre. Gli strumenti più diffusi erano:
Il popolo extraeuropeo dalla storia musicale più varia ed estesa. Il sistema musicale, risalente al II sec. a.C. si basa su un gran numero di scale. Comune a tutte le scale è l’ottava, divisa, come nel sistema occidentale, in toni e semitoni. Ma l’organizzazione di tale scala è molto complessa in quanto ogni intervallo è diviso in 2, 3 o 4 srutis o elementi (in tutto 22). Questo sistema consente un gran numero di scale modali. Il modo è detto ragas (colore, stato d’animo) e ve ne sono diverse migliaia. Gli strumenti più usati: cimbali e tamburi (tra cui il tabla, tamburo doppio in ottone e legno), flauti e il vina, strumento a corde pizzicate con un plettro. Lo strumento ad arco più importante è il sarangi a 4 corde, tozzo e quadrato.
TESI III: La musica dei greci e dei romani
L’elemento di continuità tra musica ellenica e musica colta europea è il sistema teorico greco, precursore del sistema diatonico. Altro aspetto comune tra il canto greco e il primo canto cristiano è l’aspetto puramente monodico.
Sviluppavano con approccio matematico soprattutto il problema della suddivisione dell’ottava e la teoria degli intervalli. La tradizione vuole che i primi trattati furono scritti (non pervenuti) da Pitagora di Samo (sec. VI a.C.). A lui si fa risalire l’adozione del monocordo per definire i rapporti tra intervalli grazie alla lunghezza di una corda. Storicamente la trattatistica greca ebbe origine nel III sec. a.C. con Aristosseno di Taranto, discepolo di Aristotele, che scrisse gli Elementa Harmonica e gli Elementa Rhytmica. La nostra conoscenza della teoria musica greca si basa, oltre che su Aristosseno, anche sui suoi seguaci, gli “armonisti”: Euclide (III sec. a.C.), Plutarco (I-II sec. d.C), Tolomeo (II sec. d.C.), Quintiliano (II sec. d.C.), Alipio (IV sec. d.C.), la cui Introduzione alla musica contiene le tavole per trascrivere le musiche greche a noi pervenute.
Una ventina di brani sparsi scritti su pietra o papiro. Frammenti di tragedie, 2 inni delfici in onore di Apollo, l’epitaffio di Sicilo, 3 inni di Mesomede di Creta (II sec. d.C.). Lo scarso numero di frammenti musicali rispetto a quelli letterari indica che la musica era tradizione orale. La musica si svolgeva sulla base di nuclei melodici detti nomoi (norma, legge)
L’esistenza di una notazione, presente dal IV sec. a.C. non contraddice la condizione di documento orale di un brano. Essa era usata dal musicista per uso privato, non come mezzo di comunicazione. Vi erano 2 tipi di notazione, una vocale (lettere dell’alfabeto) e una strumentale (segni forse fenici)
Il canto poteva essere corale all’unisono (corodia) o solistico (monodia). Forme della lirica corale furono il peana in onore di Apollo, il ditirambo in onore di Dionisio, l’imeneo (canto di nozze), il trenos (canto funebre), il partenio (cori di fanciulle), e inni in onore di dei e uomini illustri. La monodia fu adottata nella poesia dorica e ionica.
Gli strumenti: Lira o cetra, strumento sacro ad Apollo, di varie dimensioni (la magadis era la più grande) prima di 4, poi di 7 corde. Aulo, strumento a fiato ad ancia doppia simile ad un oboe, importato dalla Frigia, era sacro a Dionisio
Giambo (breve, lunga), Trocheo (lunga, breve), Tribraco (una terzina), Spondeo (lunga, lunga)
La base era il tetracordo, successione di 4 suoni discendenti compresi entro una quarta giusta. Gli estremi del tetracordo erano fissi, i suoni interni mobili: diatonico, cromatico ed enarmonico (con 2 micro intervalli di ¼ di tono). Tre modi: dorico (semitono in basso, virile e grave), frigio (in mezzo, spontaneo e dolce), lidio (in alto, molle e conviviale). L’unione di 2 tetracordi avveniva per disgiunzione (diazeusi, punto di distacco tra 2 tetracordi disgiunti) o congiunzione (sinafè, punto comune di 2 tetracordi). Se si abbassa di un’ottava il tetracordo superiore si ha un ipomodo, mentre alzando di un’ottava il tetracordo inferiore si ha un ipermodo. Un’armonia dorica ottenuta tramite sinafè, diazeusi e sinafè + una nota, abbraccia 2 ottave ed è detta sistema perfetto (teleion)
Si ignora se a Roma la musica abbia avuto caratteri originali. Era probabilmente abbinata a spettacoli di origine etrusca quali il fescennino e l’atellana. Primi strumenti per uso militare: buccina di forma circolare, lituus col padiglione piegato indietro, tuba in bronzo a canna dritta. Fu importata la musica greca dopo la sua conquista (146 a.C.).
TESI IV: La musica dei primi cristiani: il canto gregoriano nei suoi caratteri modali e ritmici
In questo arco di tempo numerose vicende storiche, ma pochi fatti musicali, perché non fu produzione d’arte ma destinata inizialmente ad occasioni profane, poi a parte integrante della liturgia cristiana, fu espressione esclusivamente vocale, fu tramandata oralmente
Matrice del cristianesimo è l’ebraismo, così anche nella musica. La distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. causa la diaspora di ebrei e cristiani d’Israele. Si svilupparono così varie Chiese, quella di Bisanzio tra le più importanti, centro di sviluppo del canto liturgico bizantino. Da essa deriverà il rito greco ortodosso.
Prima dell’editto di Milano (313) i cristiani erano perseguitati e non vennero in contatto con altre realtà musicali, mantenendo così lo stampo giudaico. Nel 391 furono vietati i culti pagani e il cristianesimo divenne religione ufficiale. Con la sua espansione il repertorio musicale venne contaminato da musica locale: canto romano antico, ambrosiano, aquileiense, beneventino, mozarabico (in Spagna, presentava evidenti elementi arabici misti all’influenza dei Visigoti), gallicano (in Gallia rimase in uso sino al VIII sec, conteneva elementi celtici e bizantini, fu soppresso dagli imperatori carolingi). L’unico repertorio giunto in parte sino a noi è il canto ambrosiano. A S.Ambrogio (339-397) risale la diffusione dell’inno (ne compose almeno 4), del canto salmodico, dell’esecuzione antifonica e del jubilus (S.Agostino ne scrisse alcuni).
La Chiesa di Roma per mantenere autorità doveva mantenere un volto unitario sia sotto l’aspetto teologico (lotta all’eresie) che sotto l’aspetto liturgico (anche musicale): era richiesto un unico repertorio di canti. Ciò portò alla creazione del canto gregoriano. S.Gregorio I Magno (540-604) divenne papa dopo essere stato ambasciatore a Costantinopoli. Giovanni Diacono scrisse nella sua biografia che Gregorio compilò l’Antiphonarium cento e che fondò la Schola cantorum. Solo recentemente si è dimostrato che tali attribuzioni sono infondate. E’ certo che il lavoro di unificazione durò vari secoli, iniziò prima di Gregorio e fini diversi secoli dopo di lui. Momento importante di unificazione fu l’incontro tra la Chiesa e i Carolingi che portò al Sacro Romano Impero nel 799.
La Schola Cantorum esisteva già prima di Gregorio ed era la cantoria alla quale era affidata l’esecuzione dei canti nelle basiliche romane. La mancanza di notazione richiedeva lo studio a memoria per circa una decina d’anni. Alcuni cantori venivano inviati in altri centri religiosi per diffondere i canti.
Per liturgia si intende l’insieme dei riti nelle forme ufficiali ed ebbe formazione lenta e laboriosa, fu portata a compimento in età carolingia. Le principali cerimonie della liturgia romana sono l’Eucarestia e gli uffici delle Ore. La messa si divide in Introduzione, Liturgia della Parola e Liturgia Sacrificale. Ogni parte contiene preghiere e canti.
Le parti mobili che variano con il calendario liturgico sono il Proprium Missae, le altre fisse sono l’Ordinarium Missae. I brani dell’Ordinarium Missae sono 5: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei. I brani più importanti del Proprium Missae sono: Introito, Alleluja, Offertorio, Communio.
Gli uffici delle Ore erano 8: Mattutino, Laudi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro, Compieta. Erano celebrati entro comunità monastiche, i Vespri anche in comunità parrocchiali. Ogni Vespro comprendeva la lettura di salmi (di solito 5), il Magnificat, un inno e le litanie
Le melodie sono omofoniche e di andamento diatonico e si svolgono in ambiti melodici che raramente superano l’ottava. Tre stili di canto: l’accentus derivato dalla cantillazione ebraica che si svolge su una sola nota con lievi inflessioni melodiche; vocalizzi di derivazione ebraica (alleluja); il concentus, canto sillabico o semisillabico.
Tre tipi di salmodia: responsoriale, allelujatica, antifonica (versetti eseguiti alternativamente da solista e assemblea). Questi modi di esecuzione erano estesi anche ad altre parti della liturgia. Gli inni originari della Chiesa d’Oriente, introdotti da S.Ilario di Poitiers e diffusi da S.Ambrogio, erano sillabici, melodici, strofici. Sono il genere di canto liturgico più orecchiabile. Tra il IX e X sec. entrano in uso Sequenza, inizialmente accorgimento mnemonico, in seguito simile agli inni e diffusasi anche grazie all’impiego di melodie profane, e il Tropo, che nacque dalla sostituzione con testi sillabici dei melismi di alcuni canti, Kyrie in particolare; elemento caratteristico era la “farcitura”, introduzione di nuovi brani in un preesistente canto.
Il canto gregoriano si basa su scale eptafoniche ascendenti di genere diatonico appartenenti a 8 modi. Si distinguono in modi autentici e plagali (una quarta sotto il modo autentico). Ogni Autentico ha in comune col suo Plagale la nota finalis (la tonica: re, mi , fa, sol). Altra nota importante è la repercussio (dominante negli Autentici, mediante nei Plagali), la nota intorno alla quale si muove la melodia. In seguito ad erronea trascrizione delle scale modali greche, ai modi ecclesiastici vennero dati i nomi dei modi greci.
TESI V: Gli inizi della polifonia – Il contrappunto medioevale – Compositori e teorici
Il canto a più voci era sconosciuto ai primi cristiani. A partire dal IX sec. il desiderio di rinnovare il canto sacro (cantus firmus) senza alterarne la melodia fa nascere l’esigenza di un accompagnamento “nota contro nota” (contrappunto). Le età della polifonia sono: gli inizi (X – prima metà del XII sec.), Ars Antiqua (seconda metà del XII – XIII sec.), Ars Nova (XIV sec.), età fiamminga (XV – inizi del XVI sec.), polifonia rinascimentale (XVI sec.)
La prima forma polifonica fu l’organum, una melodia gregoriana (vox principalis) accompagnata da un’altra melodia (vox organalis) collocata più in basso di una quarta o di una quinta, che procedeva parallelamente. In alcuni casi la vox organalis inizia all’unisono con la principalis e poi si allontana per moto contrario fino alla quarta. Alla fine del XI sec. si affermò il discanto, in cui la vox organalis procede per moto contrario con intervalli giusti. Nel XII sec. in alcuni centri religiosi, in particolare a Limoges e a Compostella, si affermò un organum melismatico, in cui il cantus firmus era al basso, a valori interi, mentre la vox organalis, più acuta, svolgeva liberamente movimenti melodici ricchi di fioriture.
Dalla seconda metà del XII sec al 1320 ca. la polifonia si afferma e viene praticata nelle cantorie delle più importanti cattedrali di Francia. Fattori principali dello sviluppo furono la notazione su rigo per l’altezza dei suoni, l’assunzione di convenzioni e regole sulla durata dei suoni, prima i modi ritmici, poi la notazione mensurale.
Fu il più importante centro di musica polifonica tra il 1150 e il 1350, soprattutto grazie all’opera dei maestri Leonin, autore del Magnus liber organi (comprendente Graduali, Responsori e Alleluja a 2 voci) e Perotin, che continuò l’opera del predecessore e compose degli organa a 3 e 4 voci e dei conductus a 3 voci. Gli organa di Leonin e Perotin sono molto diversi da quelli dei tempi precedenti: la voce che faceva il cantus firmus a note lunghe era detta tenor, le voci superiori impiegavano i modi ritmici. La clausola era una sezione dell’organum costruita su un frammento melismatico del tenor. Il conductus poteva avere testo sacro o provano, ma comunque di ritmo sillabico ed il tenor procedeva insieme alle voci superiori; erano impiegati spesso come canti processionali.
Verso la metà del XIII sec. venne abbandonata la composizione di organa, clausolae e conductus, tramontò l’uso dei modi ritmici e presero piede la notazione mensurale franconiana e il mottetto, derivato della clausola, solitamente a 3 voci, dal testo latino se sacro, in lingua d’Oil se profano. Le voci utilizzavano valori sempre più brevi man mano che si andava verso l’acuto. Un procedimento usato sia nell’Ars Antiqua che in quella Nova fu l’hoquetus o cantus abscissus, in cui le varie parti di un brano si interrompevano alternatamente per frequenti e brevi pause.
TESI VI: La scrittura musicale medioevale considerata specialmente in relazione alle origini della scrittura odierna
La notazione si definì con notevole ritardo rispetto alla nascita dei canti. Il repertorio gregoriano fu trasmesso oralmente sino al VIII. La notazione neumatica e l’opera di Guido d’Arezzo (XI sec.) portarono alla creazione del rigo. Un secolo più tardi si avverti l’esigenza di stabilire la durata dei suoni. Nacque la notazione modale a cui seguì la notazione censurale.
LA NOTAZIONE NEUMATICA
Il nome deriva da neuma (segno). Si possono distinguere 3 fasi: chironomica, adiastematica-diastematica, quadrata.
I neumi semplici sono 8:
Esistono anche neumi composti, formati dall’aggiunta di una nota a quelli di 3 note, quelli ornamentali (tipo gli abbellimenti)e le liquescenze, note sfumate che si applicano ad alcuni dittonghi.
In uno studio sulla paleografia musicale gregoriana si individuarono 15 tipi di notazioni, tra cui spiccavano la notazione milanese, cassino-beneventina, anglosassone, tedesca, svizzera (S.Gallo), normanna, aquilana, di Metz, visigotica, catalana.
I neumi erano posti sopra le parole, ma in campo aperto, senza cioè precisazione degli intervalli (notazione adiastematica). Un notevole passo in avanti fu adottata con un rigo, poi con righe colorate (notazione diastematica, rosso per il fa, giallo per il do). Vennero introdotte le chiavi, poste prima delle linee del rigo e indicate con una lettera dell’alfabeto, F e C. Nei secoli X e XI furono adottati anche altri mezzi per indicare l’altezza esatta dei suoni, come sigle poste accanto ai neumi per indicare toni, semitoni e unisoni.
La diastemazia perfetta si raggiunse col tetragramma e col rapido declino dei vari tipi di notazione, a cui si sostituì quella quadrata
Boezio fu il primo trattatista che adottò le lettere da A a P per segnare i punti di suddivisione del monocordo. Oddone da Cluny (X sec.) applicò la notazione alfabetica al sistema perfetto greco, utilizzando i simboli di bemolle e bequadro per indicare il si bemolle e il si, creando la successione di suoni che Guido d’Arezzo pose a base della sua teoria
L’evoluzione della musica polifonica andò di pari passo con lo sviluppo delle notazioni per determinare la durata dei suoni. Fino alla fine del XII sec. gli organa non erano misurati. Tra la fine del XII sec. e la fine del XIV sec. si utilizzava la notazione nera, così chiamata perché utilizzava neumi neri. Dal XV sec. si utilizzò la notazione bianca, di scrittura più semplice;fu usata sino al XVI sec.
I segni della notazione quadrata gregoriana furono impiegati con funzioni metriche nella scuola di Notre-Dame: i segni di virga e punctum divennero longa e brevis, che si aggregarono in 6 differenti modi ritmici, che prendevano nome dalla metrica greca. Ogni voce era scritta in un determinato modo, l’uso dei modi era regolato dagli ordines, che indicavano quante volte un modo andava ripetuto
L’atto di nascita della notazione mensurale è l’Ars cantus mensurabilis (1260) di Francone da Colonia, sancisce il superamento dei modi. La longa è divisa in:
La brevis è divisa in :
La duplex longa valeva 2 longae
All’inizio del XIV sec. in Francia venne introdotta la minima. Nei trattati di questo secolo si diede spazio alla casistica della suddivisione dei valori, che prese il nome di modus (divisione della longa), tempus (divisione della brevis), prolazio (divisione della semibrevis, che può essere maior, 3 minimae, o minor, 2 minimae). Questi principi furono enunciati nel trattato di Philippe de Vitry. In questa notazione furono scritte le composizioni di Guillaume de Machaut
Al contrario di quella francese e franconiana, basata sulla notazione modale, la notazione italiana sembra provenire dal nulla. Le regole definiti da Marchetto da Padova non hanno antecedenti teorici. Scarsamente impiegate la maxima e la longa, l’unità di base è la brevis. La divisione era così organizzata:
TESI VII: Guido d’Arezzo e il sistema musicale medioevale. La solmisazione
Gli scrittori di musica medioevale si dividono in teorici (aspetto speculativo) e trattatisti (aspetto pratico). La cultura ecclesiastica prediligeva l’aspetto teorico. Mediatore tra mondo classico e medioevale fu Boezio (480-524) col suo De istitutione musica. Filosofo e consigliere dell’ostrogoto Teodorico, compendiò le nozioni di musica antica sulla base della concezione pitagorica, riconoscendo 3 tipi di musica: mundana (delle sfere celesti), humana (che congiunge in armonia anima e corpo), instrumentalis (prodotta dagli strumenti)
Nelle opere dei teorici venivano trattati argomenti circa la natura e l’origine della musica, i suoi effetti e aspetti matematico-acustici, mancavano riferimenti pratici. Regno della pratica erano le scholae presso cattedrali e monasteri. Solo a partire dal XI sec, con Guido d’Arezzo, si inizia a parlare di trattatistica
GUIDO D’AREZZO
Nacque nel 995 vicino a Ferrara, fu monaco benedettino ad Arezzo, dove fondò una scuola di canto. Il suo metodo di insegnamento innovativo fu molto apprezzato a Roma e la Chiesa si occupò della sua diffusione. Diventò priore a Camaldoli, dove morì nel 1050. Tra le sue opere Micrologus de Musica e Prologus in Antiphonarium nella nuova notazione
Guido inventò un metodo per facilitare l’apprendimento delle melodie sul rigo, la solmisazione, che si basa sull’esacordo, una successione di 6 suoni in cui il semitono è posizionato al centro in cui i nomi delle note (ut, re, mi , fa , sol, la) sono derivati dalle prime sillabe dell’inno di S.Giovanni, protettore dei cantori. Il “si” nacque dalle prime lettere di “Sancte Johannes”
Nella pratica musicale esistevano anche i semitoni corrispondenti al nostro la-si bem, e si-do. Guido risolse il problema con la successione di più esacordi: 3 duri in cui ut corrisponde al nostro sol, 2 naturali e 2 molli in cui ut corrisponde al nostro fa. Il nome solmisazione deriva dal nome delle note in cui si effettua la mutazione per passare dall’esacordo naturale a quello molle, appunto “sol” e “mi”. Grazie alla mutazione tutti i semitoni venivano indicato con “mi-fa”. La pratica della mutazione era difficoltosa. Per agevolarla Guido usò lo stratagemma della mano. Ad ogni falange della mano veniva associato un suono. A partire dal XII sec. si utilizzarono nuovi suoni alterati e vennero creati nuovi esacordi. Il nuovo sistema prese il nome di musica ficta, cioè “falsa”
TESI VIII: Musica popolare e teatro nel medioevo – trovatori e menestrelli
A partire dal X sec, accanto al repertorio gregoriano in latino, si svilupparono monodie sacre sia in latino, di carattere paraliturgico, che in volgare, di carattere extraliturgico. Nella stessa epoca apparvero i primi canti profani in latino, ma maggior successo ebbero i canti in lingua d’Oc (trovatori), d’Oil (trovieri) e tedesco (minnesanger)
La condanna da parte dei Padri della Chiesa degli spettacoli teatrali nel Basso Impero aveva sancito la scomparsa del teatro per vari secoli. Con la Rinascenza carolingia (IX sec.) ricompare il teatro con azioni sacre rappresentanti scene della vita di Cristo. La prima fase fu quella degli Uffici drammatici, nati dagli Uffici delle Ore. Successivamente (XI-XIII sec.) si passò ai drammi liturgici, in cui ogni personaggio era rappresentato da un religioso che eseguiva brani in latino (in versi o prosa). L’esecuzione avveniva davanti all’altare con uno scarno apparato scenico. Le melodie erano di varia provenienza (canto gregoriano, sequenze, tropi, musiche trovadoriche). Uno dei più noti, eseguito il venerdì santo era il Visitatio sepulchri
CANTI RELIGIOSI NELLE LINGUE NEOLATINE
L’azione dei grandi papi del XIII sec, a partire da Innocenzo III, stimolarono il sentimento religioso e trovarono nel volgare un utile mezzo di divulgazione alla portata di tutti. Il primo testo poetico in volgare italico fu il Cantico di frate sole di S.Francesco, scritto nel 1224. Dai movimenti di spiritualità collettiva itinerante e laica (Flagellanti e Disciplinati) nacque la lauda. Le confraternite percorrevano le strade cantando inni sacri in latino e questi nuovi canti in volgare, che ben presto furono raccolti in laudari. La struttura era quella della ballata, con l’esecuzione del solista (la ripresa e la volta) alternata a quella del coro(mutazioni). Mentre le prime laude presentano una natura sillabica, le più recenti presentano un andamento melismatico e ornato che preannuncia il madrigalismo.
Contemporanee alle laude sono le cantigas de Sancta Maria, una raccolta di oltre 400 canti dedicati alla Madonna e furono raccolte per iniziativa di re Alfonso X. Erano scritte in Gallego (la lingua di Galizia) perché era la lingua usata nella lirica. La forma era affine al virelai francese (ritornello e strofe) e la musica risente di influenze trovadoriche (I trovatori erano benvenuti alla corte di Alfonso X)
Ci sono giunti in notazione neumatica alcuni canti profani in latino, alcuni basati su testi dei classici latini (Orazio, Virgilio, Ovidio), altri su testi anonimi in latino volgare, come il Planctus Karoli per la morte di Carlo Magno (814) e O Roma nobilis, canto di pellegrini. Noti sono anche i Carmina Burana, una raccolta di circa 50 canti di goliardi.
LA LIRICA PROFANA DEI TROVATORI, DEI TROVIERI E DEI MINNESANGER
Dalla metà del XI sec. la diffusione delle lingue nazionali diede vita a produzioni liriche di spirito cavalleresco-cortese in cui musica e poesia si univano. Questo movimento nacque nella Francia meridionale ad opera dei trovatori e si estese poi in tutta Francia e Germania. La poesia trattava generalmente di argomenti amorosi, raramente di politica, morale o natura. Il patrimonio che ci è pervenuto, raccolto in “canzonieri”, è notevole
Verso la fine del XI sec. la vita nelle corti feudali diventa meno rozza. Cerimonie di investitura, nuovi valori, il castello non è più solo centro difensivo, ma anche centro culturale. I feudatari diventano promotori della cultura. Guglielmo IX d’Aquitania era il più potente signore della Francia Meridionale e fu il primo trovatore. L’esecuzione e la diffusione delle opere di trovatori, trovieri e minnesanger era affidata a menestrelli itineranti.
La concezione dell’amor cortese fu elaborata nei castelli della Francia meridionale e diffusa dalla lirica trovadorica in lingua d’Oc. La forma più diffusa era la cansò, la cui struttura era simile a quella di un inno con varie strofe (coblas). Altre forme erano lo joc parti, la pastorela e il planh (pianto). Vari erano gli stili: trobar plan (diretto e semplice), ric (complesso e con allusioni misteriose), clus (con frequente ricorso a metafore ed espressioni oscure. Dei trovatori ci sono giunti circa 2600 testi poetici, ma solo 350 melodie
Poeti musicisti in lingua d’Oil, sono molto simili ai trovatori, sia nei soggetti che nelle forme. La loro chanson è composta da strofe ripetute 2 volte, la prima in forma aperta, la seconda chiusa, a conclusione, come il moderno ritornello con forma variata. Il primo e più grande troviere fu Chretien de Troyes; anche Riccardo Cuor di Leone fu troviere.
Il matrimonio di Federico Barbarossa con Beatrice di Borgogna segnò la penetrazione degli ideali cavallereschi in Germania e la nascita dell’equivalente del trovatore, il minnesanger. Anche le forme erano molto simili a quelle dei trovatori: alla cansò corrispondeva il lied
I codici che riportano le melodie sacre e profane sono scritti in notazione gregoriana quadrata su quattro righe. E’ nota l’altezza dei suoni ma non il ritmo. Ancora non si è giungi ad una interpretazione convincente. Le ipotesi più accreditate sono quelle che pongono il verso a capo della ritmica
TESI IX: La prima rinascita italiana: l’Ars Nova (madrigali, cacce, canzoni, ballate) – Strumenti in uso nel tempo
Fino a tutto il XIII sec. la società medioevale era stata governata dal principio del primato della Chiesa, concezione che culminò nel ‘200 con gli ordini francescano e domenicano, con la Summa di Tommaso d’Aquino e la Divina Commedia. Dopo avvenne la secolarizzazione, cioè la laicizzazione della società, la separazione tra sacro e laico. Influì su questo capovolgimento la crisi politica e religiosa che portò al trasferimento della Curia Papale ad Avignone. Alla
Divina Commedia si contrapposero il Decameron e i Racconti di Canterbury di Chaucer. La stessa cosa avvenne nella musica: la produzione sacra nel ‘300 fu meno importante di quella profana. Notevole peso ebbero le critiche alla pratica del contrappunto mosse dalla Chiesa (artificio che distoglie dalla preghiera, inintelleggibilità delle parole)
L’ARS NOVA FRANCESE
La novità della musica che Philippe de Vitry aveva trattato nella sua Ars nova musicae riguardava soprattutto la notazione: pari dignità avevano la divisione imperfetta (binaria) e quella perfetta (ternaria). La forma più importante nel ‘300 francese fu il mottetto, spesso ornato da artifici contrappuntistici. Ebbe funzioni celebrative, di lode per personaggi pubblici, di denuncia politica o morale. Erano a 3, raramente a 4 voci (triplum, motetus, tenor, contratenor); al solito il tenor svolgeva un motivo gregoriano a valori larghi. Molti mottetti erano isoritmici (termine coniato da un musicologo tedesco per indicare l’organizzazione ritmica dei mottetti): la melodia gregoriana si chiamava color ed era combinata con uno schema intervallato da pause (talea)
il più importante compositore del XIV sec, oltre a essere anche Diplomatico e poeta. Grande è la produzione musicale che ci ha lasciato, che si ritiene posteriore al 1340: Messa di Notre-Dame a 4 voci fu la prima messa polifonica composta da un solo compositore, tutta scritta nello stile del mottetto, tranne Gloria e Credo che sono dei conductus; 23 mottetti a 3,4 voci, 15 in francese; 33 virelais da 3 strofe e un ritornello; 21 rondeaux e 42 ballades a 2,3,4 voci
L’ARS NOVA ITALIANA
Mentre in Francia la polifonia era pienamente sviluppata, in Italia era ancora a livello elementare. L’influenza francese si fece sentire in alcuni mottetti, uno dei quali fu composto da Marchetto da Padova per l’inaugurazione della Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto nel 1305. La nostra produzione polifonica sacra fu scarsa durante l’Ars Nova.
I centri di sviluppo più importanti furono le corti degli Scaligeri (Verona), Visconti e Carraresi (Padova) e alcuni centri di cultura laica come Bologna, città universitaria e Firenze, la più importante città del nostro ‘300. Importante per la comprensione della musica è il Dolce Stil Novo delle novelle di Boccaccio, Giovanni fiorentino, Giovanni Sercambi, Giovanni da Prato. La poesia per musica fu un vero e proprio genere della poesia volgare, comprendente madrigali, cacce, ballate. Il maggiore tra i poeti del genere fu Franco Sacchetti.
Lo stile italiano si distingue nettamente da quello francese: è caratterizzata da una minor rigidezza formale, da una distesa scansione melodica e fluidità ritmica. Le forme più importanti:
Uno dei più noti compositori fiorentini fu Francesco Landino (1325-1397), detto “degli organi”, abile anche come esecutore su ogni tipo di strumento, autore di 12 madrigali a 2e 3 voci e di ben 140 ballate a 2 e 3 voci nei quelli i passi melismatici si alternano a quelli sillabici con grande varietà melodica e ritmica.
Con il XV sec. e il ritorno del Papato a Roma, l’arrivo di musicisti d’oltralpe segnò il declino dell’Ars Nova italiana
Opere letterarie e figurative ci presentano numerosi strumenti. Infatti sebbene la maggior parte delle musiche del tempo fossero vocali, esse erano eseguite anche da strumentisti, che spesso raddoppiavano o sostituivano le voci di tenor e contratenor. Il compositore componeva per le voci, ma queste potevano benissimo essere sostituite da strumenti.
Lo strumento più importante fu l’organo, reintrodotto da Bisanzio nel 757, divenne lo strumento liturgico per eccellenza; l’iconografia del XIII-XV sec. ne raffigura 2: il portativo, piccolo e con poche canne, si suonava con la destra mentre la sinistra aziona il mantice; il positivo, più grande, ma ancora privo di pedaliera, si suonava a 2 mani perché il mantice era azionato da un’altra persona. Altri strumenti a corda erano lo scacchiere a corde percosse, precursore del clavicordo, e il salterio a corde pizzicate, precursore del clavicembalo. Lo strumento preferito dai trovatori era la viella a 5 corde di accordatura non fissa, che si suonava con un arco ricurvo. Tra gli strumenti a fiato, la tromba e il cornetto in legno munito di fori che permettevano di eseguire la scala cromatica. Poi arpe e vari strumenti a percussione.
TESI X: Lo sviluppo del contrappunto vocale: la scuola fiamminga
La guerra dei Cent’anni (1339-1453) causò il declino della cultura francese anche in campo musicale. Il baricentro della produzione musicale si spostò a nord, in Inghilterra e nelle Fiandre. Crebbe nuovamente l’importanza della musica sacra. Si sviluppò il contrappunto e si formarono le cappelle musicali che sostituirono le scholae gregoriane. Si affermò il ruolo di musicista professionista. Infatti l’esecuzione di alcune composizioni era affrontabile solo cantori professionisti, formati nelle cappelle musicali che si costituirono sia nelle basiliche e cattedrali di molte città, ma anche nelle corti. Uno dei primi modelli fu la cappella di Avignone per i servizi musicali della Curia Papale, poi tale cappella si trasferì a Roma
STILI E FORME
La tecnica contrappuntistica usata nel rinascimento (Palestrina), nel barocco (Bach) e nel nostro secolo (Schonberg) si definì nel XV sec. e si basa sull’imitazione che contraddistingue un tema (dux, comes, canone, fuga). Nei canoni enigmatici la risposta non è espressa dalla notazione, ma celata sotto un indovinello da risolvere. I canoni enigmatici sono una conseguenza di quella concezione intellettualistica che segnò il passaggio da Medioevo a Rinascimento, che portò in voga il gusto per gli artifici e i simboli.
Lo sviluppo di cappelle musicali favorì la musica sacra, espressa quasi sempre in messe e mottetti. La chanson invece raccolse quasi tutti i generi profani.
La messa si affermò come composizione polifonica grazie a Dufay. Per dare unità alle 5 parti dell’Ordinario, i compositori adottarono lo stesso cantus firmus per tutte le parti. Il cantus firmus fungeva da tenor e dava il titolo alla messa. Il mottetto era inizialmente una forma comune alla produzione sia sacra che profana. Presto scomparve l’isoritmia e al tenor furono affidate melodie prima d’origine gregoriana, poi di invenzione. Alla fine del XV sec. era diventata una forma esclusivamente sacra e cantata in latino. Dal punto di vista formale era organizzato come una successione di brani, ognuno dei quali sviluppava una singola frase del testo sacro.
La chanson in lingua francese riuniva le composizioni profane. Era a 3 voci (cantus, contratenor, tenor), spesso accompagnate da strumenti.
Sin dal XII sec. operava in Inghilterra una scuola contrappuntistica indipendente da quella continentale, caratterizzata per l’impiego di procedimenti paralleli dei terze e seste. All’inizio del XIV sec. teorici inglesi riconobbero come consonanti gli intervalli di terza e sesta, così la maggior parte dei conductus e mottetti inglesi erano a 3 parti distanziate da questi intervalli, intercalati da ottave in occasione delle cadenze. Le vicende militari portarono nel continente alcuni musicisti inglesi, che diffusero la polifonia inglese e dando origine al faux bourdon (falso bordone), il discanto inglese, ma con il cantus firmus alla voce superiore.
Il compositore più noto fu John Dunstable (1380-1453)), di cui ci rimangono circa 60 composizioni a 3,4 voci, prevalentemente sacre. Alcuni lo considerano il primo musicista del Rinascimento.
Feudatario del re di Francia, dopo la metà del XIV sec, il duca di Borgogna Filippo l’Ardito sottomise gran parte della Francia nord-occidentale e dell’attuale Belgio. Il successore Filippo il Buono era un mecenate e fece della cappella Borgognona la più ammirata d’Europa dal 1420 al 1467, i cui principali esponenti furono:
Erano i musicisti formatisi nelle città delle Fiandre nel XV e XVI sec; infatti Anversa, Cambrai, Bruges, Tournai avevano raggiunto una sicurezza economica grazie al commercio e al fiorire dell’industria laniera, che venne accresciuta grazie all’alleanza con gli inglesi durante la guerra dei Cent’anni.. Lo specchio della situazione economica fu la costruzione di cattedrali con le conseguenti cappelle musicali. Le Fiandre divennero il centro di sviluppo del contrappunto imitato. I più grandi esponenti dei maestri fiamminghi furono:
TESI XI: Le scuole polifoniche italiane del sec.XVI – Teorici e compositori – Semplificazione e purificazione della polifonia vocale – Riforma e controriforma: il corale – Palestrina – I due Gabrieli, Marenzio, Gesualdo, Vecchi, Banchieri, Croce, Gastoldi – La progressiva tendenza espressiva, drammatica, rappresentativa
IL CULMINE DEL RINASCIMENTO
Il termine “rinascimento” fu coniato dagli storici Michelet e Burckhard per indicare la civiltà artistica e il pensiero fiorito nato in Italia nel XV e XVI sec. La rinascita è dell’arte classica che proponeva ideali di vita che facevano credito alle virtù umane e alla fortuna, al contrario degli ideali di trascendenza e fede presenti nel medioevo. Il Rinascimento, nato a Firenze all’epoca di Petrarca e Boccaccio, toccò il suo culmine nel ‘500.
La musica è presente in tutte le attività della vita sociale. Un aspetto nuovo nel Rinascimento è il bisogno di “fare musica” anche da parte dei non professionisti: cantare e suonare diventano parte della formazione di un gentiluomo e materia di studio per lo stesso principe.
Mezzo secolo dopo la prima stampa di Gutenberg, Ottaviano Petrucci diede vita nel 1501 alla prima edizione musicale stampando una raccolta di 96 chansons a 3-4 voci di autori fiamminghi. Il parigino Pierre Attaignant stampò a partire dal 1528 varie raccolte stampando ogni nota col suo frammento di rigo. Inizialmente la stampa per musica polifonica aveva le varie parti affiancate, poi le musiche furono stampate in fascicoli, uno per ogni voce
I cantori e musicisti formati nelle scuole fiamminghe, affrontarono con successo le forme profane nazionali. Tra essi ricordiamo:
LA RIFORMA E LA MUSICA NELLE CHIESE PROTESTANTI
Per tutto il Medioevo il cristianesimo aveva mantenuto la sua unità religiosa. Questa unità viene a mancare all’inizio del XVI sec. coi vari movimenti di Riforma ad opera principalmente di Lutero (1483-1546), che fondò con l’affissione delle 95 tesi a Wittemberg la Chiesa Evangelica Protestante nelle regioni centro settentrionali della Germania, Calvino (1509-1564) che diede vita ad una Chiesa riformata che attecchì in Svizzera, Francia (ugonotti) Paesi Bassi e Scozia, Enrico VIII Tudor (1509-1547) re d’Inghilterra, fece approvare dal Parlamento l’Atto di Supremazia, che sanciva la nascita della Chiesa Anglicana, con a capo il re. Tutte le chiese riformate sostituirono il latino con le lingue nazionali.
Delle chiese riformate , quella che attribuì maggiore importanza alla musica fu quella luterana, probabilmente grazie alla sensibilità musicale di Lutero, che era cantore, suonatore di liuto e forse anche compositore. Fu determinante l’importanza che Lutero assegnava al canto corale. La messa luterana si basava sulle sacre scritture tradotte in tedesco, mentre la partecipazione dei fedeli era affidata al canto dei corali, canti assembleari di semplice melodia, struttura strofica e procedimento sillabico. Ebbe la stessa funzione del canto gregoriano durante il Medioevo cristiano. Gettò le basi per le composizioni organistiche tedesche in epoca barocca. I corali assunsero ben presto la funzione di cantus firmi nelle composizioni polifoniche su corale eseguite da cori professionisti. Compositori rinascimentali di polifonia su corale furono Michael Praetorius (autore della raccolta Musae Sioniae) e Heinrich Schutz
Secondo Calvino le manifestazioni di culto dovevano essere austere e ciò lasciava poco spazio alla musica. Distrutti o soppressi gli organi, fu ammesso il solo canto dei salmi. Clement Marot fornì una traduzione in francese di 50 salmi, che Louis Bourgeois musicò adattando melodie preesistenti
Il rinnovamento liturgico anglicano fu meno radicale di quello delle altre chiese riformate. I cambiamenti furono riportati nel Prayer Book nel 1549 e l’anno seguente il compositore John Marbeck stampò il libro delle preghiere comuni poste in musica. A forma propria della Chiesa Anglicana fu l’anthem, che deriva etimologicamente da “antifona”, ma designa una forma vocale polifonica simile al mottetto. Il “full anthem” era cantato solo dal coro, il “verse anthem” presentava brani corali alternati a brani solistici accompagnati da strumenti
LA CONTRORIFORMA CATTOLICA
Papa Paolo III convocò un consiglio a Trento tra il 1545 e il 1563 per affrontare un’azione riformatrice e definire aspetti fondamentali della dottrina e condannare abusi e lassismi. Per quanto riguarda la musica fu deciso di:
Nel clima di rinnovata pietà, S.Filippo Neri (1515-1595) fondò l’ordine dell’Oratorio (poi si chiamerà ordine dei Filippini). Presso gli oratori si tenevano funzioni extraliturgiche in cui sermone, letture e preghiere erano preceduti dal canto di Laudae polifoniche a 3-4 voci in stile accordale su testo italiano. Oltre alle laudae pubblicate tra la fine del XVI e l’inizio del XVII sec, erano in voga anche i travestimenti spirituali, in cui il testo profano di una canzonetta veniva sostituito da uno sacro.
La semplificazione del contrappunto vocale diede origine allo stile a cappella per sole voci (il quartetto classico), che costituisce il punto più alto della polifonia sacra
LA SCUOLA ROMANA
Fin dal XV sec. i papi si curarono attentamente delle cappelle musicali e questo impegno causò il primato della scuola romana. Vigeva il divieto di introdurre donne nelle cappelle, le voci alte erano affidate a voci bianche e a falsettisti. Tra gli esponenti della scuola romana figurano Costanzo Festa, Giovanni Animuccia, Giovanni Maria Nanino, ma il più grande fu
Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594) passò la maggior parte della sua vita a Roma, lavorando nelle varie cappelle con alterne vicende (fu anche licenziato perché sposato) finchè non prese la direzione della Cappella Giulia. La sua opera è costituita quasi interamente da composizioni polifoniche in latino destinate ai servizi sacri.
Compose 102 messe, in prevalenza a 4 e 5 voci; in numero minore sono quelle a 6 e 8 voci. La maggior parte sono messe “parodia”, altre sono basate su cantus firmus gregoriano o su tenor di varie origini. Le messe sono ritenute l’espressione più alta della sua produzione: in esse è presente abilità contrappuntistica, duttilità espressiva e intelleggibilità delle parole. Kyrie, Agnus Dei e Sanctus sono più contrappuntistici di Gloria e Credo, dall’andamento omoritmico. Accanto alle messe occupano un posto di rielievo i 307 mottetti a 4-8 voci (Stabat Mater a 8 voci), eseguiti nelle ricorrenze dell’anno liturgico, sottolineano musicalmente il testo poetico; le voci entrano generalmente in successione con un processo imitativo, come avverrà per il madrigale e successivamente per la fuga. Altre composizioni sono 75 inni a 4 voci, 35 Magnificat a 4-8 voci negli 8 modi ecclesiastici, 68 offertori a 5 voci. Su testi italiani scrisse 94 madrigali a 3-6 voci e 30 Madrigali spirituali a 5 voci
La musica di Palestrina incarnò lo spirito della Controriforma e rappresentò uno dei più puri e armoniosi esempi di canto sacro cattolico. Essa è priva di impeti dolorosi come in quella del Lasso, ma è sobria, composta serena, ma mai uniforme. I mezzi impiegati sono semplici (successioni di triadi, note di passaggio e ritardi preparati), movimenti ascendenti-discendenti che solitamente non superano salti di terza, mentre prevalgono gradi congiunti (non cromatici!)
Durante il Barocco si chiamò “stile alla Palestrina” l’insieme dei caratteri che contrassegnavano il contrappunto rinascimentale. Il culto di Palestrina continuò a crescere anche durante il Romanticismo
LA SCUOLA VENEZIANA
Il modello della scuola romana si diffuse in tutta Europa, ad eccezione di Venezia. Infatti nella cappella di S.Marco si preferirono allo stile a cappella per sole voci, musiche policorali sostenute da strumenti. Le musiche veneziane erano caratterizzate da fastosità, colore e ricchezza sonora. La cappella dipendeva economicamente dal Doge, ragione per cui essa non badava solo alla musica sacra, ma anche a quella celebrativa profana. Valenti musicisti ricoprirono il ruolo di maestri di cappella a Venezia: dopo Willaert, Zarlino, Croce, i 2 Gabrieli, Monteverdi…Le espressioni più tipiche della polifonia sacra veneziana si trovano nelle opere di Andrea e Giovanni Gabrieli
Andrea Gabrieli (1510 ca.-1586)
Dopo aver girato il nord Italia come organista e dopo aver fatto un viaggio con Orlando di Lasso a Monaco e Francoforte, fu chiamato a S.Marco come secondo organista, poi primo.
Compositore versatile, trattò tutti i generi: vocale sacro e profano, strumentale. La sua produzione sacra consta di Concerti a 6-12 voci, le Sacrae Cantiones, raccolte di mottetti a 5 voci, i Psalmi davidici a 6 voci. Nella produzione profana abbiamo un libro di madrigali a 3 voci, uno a 4 voci, tre a 5 voci, due a 6 voci, le Mascherate a 3-5 voci, i Cori a 4-6 voci per la tragedia Edipo Tiranno di Sofocle. Nella produzione strumentale scrisse un libro di Intenzioni d’organo, due libri di Ricercari per ogna sorta di strumenti, Canzoni alla francese per strumenti da tasto, L’aria della battaglia
Nelle sue composizioni tendeva a semplificare la struttura contrappuntistica per valorizzare la declamazione del testo. Nelle composizioni a più cori dava risalti alle opposizioni delle parti e agli effetti timbrici, spesso sostenuti da strumenti. La sua tecnica madrigalistica si allaccia a quella di Willaert: imitazione rigorosa e qualche cromatismo. Fu tra i primi a comporre madrigali a 3 voci in stile imitato e non nei modi omoritmici tipici delle forme popolari. Fondò insieme a Claudio Merulo la nuova scuola organistica. I suoi capolavori sono i grandiosi Concerti.
Allievo dello zio Andrea, lo superò in fama. La sua produzione è più scarsa di quella di Andrea e sparsa in numerose raccolte. L’unica raccolta completa è Sacrae Symphoniae costituita da composizioni corali (44 mottetti a 6-16 voci) e musica strumentale (canzoni per sonar a 8-15 voci). Pubblicate postume Symphoniae Sacrae, 82 mottetti a 6-19 voci “tam vocibus quam instrumentis” le Canzoni e sonate a 5-22 voci “per sonar con ogni sorte di strumenti”. Aiutò lo zio in alcune composizioni.
Giovanni proseguì sulla linea tracciata da Andrea, prediligendo la mescolanza di cori e strumenti. La sua concezione musicale precede il barocco e si può dire che il suo stile sia già “concertante”
Il contrappunto fiammingo aveva carattere internazionale. L’aspetto più noto di questo cosmopolitismo era la diffusione delle chansons in francese. Negli ultimi decenni del XV sec. la musica polifonica riallacciò i contatti con le lingue nazionali: villancicos in Spagna, lieder in Germania, canti carnascialeschi e frottole in Italia
LE FORME POPOLARESCHE ITALIANE
Dopo l’Ars Nova la poesia in volgare era stata eclissata agli inizi del ‘400 da un ritorno alla poesia latina, favorito dalla rinascita umanistica. Verso la fine del ‘400 si torna a cantare in italiano grazie agli stimoli forniti da due importanti personaggi: Lorenzo de’Medici detto il Magnifico (canti carnascialeschi) e Isabella d’Este (frottole). Queste forme, seguite da villanelle, canzonette e balletti, sono accomunate da struttura strofica, stile letterario popolaresco (anche in dialetto), scrittura omofona accordale a 3 o 4 voci. Era uso frequente cantare solo la voce acuta, affidando le altre voci a strumento, principalmente il liuto.
I canti carnascialeschi erano i canti che accompagnavano le mascherate, trionfi e carri allegorici che Lorenzo de’Medici organizzava per i fiorentini. Molti furono realizzati da Heinrich Isaac, musico di Lorenzo e maestro dei suoi figli.
Le frottole erano una forma poetica di origine popolare derivata dalla ballata, con strofe di 6,8 versi ottonari consistenti in una ripresa e due stanze. La frottola musicale si svolgeva su alcune forme poetiche: la frottola vera e propria, lo strambotto, l’ode, il sonetto. Si diffuse da Mantova in gran parte dell’Italia centro-settentrionale grazie all’opera di Isabella d’Este. Ottaviano Petrucci pubblicò 11 libri di frottole tra il 1504 e il 1520.
Le villanelle furono un genere divenuto di moda a Napoli intorno al 1550 e diffuse poi in tutta Italia e anche oltralpe. I testi poetici erano prima in napoletano, poi in italiano. Erano in strofe di endecasillabi e la musica a 3 voci (2 soprani e un basso) in stile omofonico orecchiabile e spigliato
IL MADRIGALE
La selezione qualitativa del testo, la scrittura musicale accurata e l’attenzione all’unione tra testo e musica fecero del madrigale la forma più raffinata e apprezzata di polifonia profana del ‘500. A parte il nome, il madrigale del ‘300 (di forma strofica e a 2,3 voci) non aveva nulla a che fare con quello del ‘500 (non strofico e a 4,5,6 voci). Erano eseguiti da voci soliste spesso raddoppiate dagli strumenti
Agli inizi del secolo si era proposta la “questione della lingua”, cioè il desiderio si superare i limiti del volgare per giungere ad una lingua di dignità letteraria. Bembo propose la scrittura del Petrarca come modello per la nuova lingua italiana. La poesia dei madrigali fu dunque di stampo petrarchesco. Oltre alle poesie di Petrarca furono musicate quelle di Boccaccio e di Dante, più avanti quelle di Ariosto, Bembo, Tarsillo, Tasso e Guarini. L’univocità del genere (lirica d’amore) e dello stile (petrarchesco) non condizionarono il ricchissimo panorama espressivo.
La prima raccolta di madrigali fu stampata nel 1530. I primi madrigali avevano lo stile della frottola, omoritmico-accordale con brevi imitazioni e melodia assegnata alla voce superiore; ma , a differenza delle frottole, la musica aveva forma aperta, cioè non aveva ripetizioni o ritornelli. I primi compositori furono di origine fiamminga.
Intorno alla metà del secolo si precisò la scrittura e la struttura definitiva del madrigale, col passaggio dallo stile omoritmico a quello contrappuntistico. Si affermarono le composizioni a 5 voci (ma si continuò a scrivere pure a 4!). Dopo il 1550 apparvero i madrigali cromatici. La fase più matura del madrigale fu la fine del XVI e l’inizio del XVII sec, con Marenzio, Gesualdo da Venosa e Monteverdi, quando il processo di integrazione tra poesia e musica toccò i livelli più alti, con movimenti melodici che riproducevano alcuni significati lessicali (i cosidetti “madrigalismi”)
Luca Marenzio (1553-1599) , cantore a Brescia e Trento, passò gran parte della sua vita artistica a Roma. Benchè immerso nella scuola romana di Palestrina, coltivò poco la produzione sacra: una raccolta di mottetti a 4 voci e una raccolta postuma di Sacrae Canzonae a 5-7 voci. La produzione profana fu invece notevole: 16 libri di madrigali a 4-6 voci, un libro di madrigali spirituali a 5 voci, 5 libri di villanelle a 3 voci, 10 brani per gli Intermezzi fiorentini del 1589.
Compositore essenzialmente lirico, soave, intimo e sereno, fu interprete del “petrarchismo musicale”
Carlo Gesualdo principe di Venosa (1560-1613) ebbe insegnamenti dai maggiori musicisti di Napoli. Anch’egli produsse poca musica sacra: 2 libri di Sacrae Canzonae (mottetti a 5-6 voci) e alcuni Responsori a 6 voci. Invece la sua produzione profana conta circa 110 madrigali a 5 voci, raccolti in 6 libri, parecchi su versi del Tasso.
La sua opera fu agli antipodi di quella di Marenzio. Gesualdo non amava le correlazioni tra parola e musica, non usò madrigalismi; esprimeva globalmente i sentimenti espressi dal testo senza indugiare sui particolari. Stupì i contemporanei per l’uso del cromatismo, per le insolite successioni di accordi e per i grandi salti melodici
Strettamente legato alla poesia italiana, il madrigale non era un genere da esportazione, tuttavia in Inghilterra, dove sin dai tempi di Enrico VIII la cultura italiana era gradita, se ne produssero alcuni. La voga partì dalla stampa di una raccolta di madrigali italiani tradotti in inglese. Inoltre il madrigalista italiano Ferrabosco visse alla corte della regina Elisabetta
Negli ultimi decenni del XVI sec, mentre dominava il madrigale petrarchesco, alcuni compositori andarono controcorrente e idearono il madrigale drammatico (o rappresentativo, o dialogico). Erano di genere comico, burlesco, realistico, caricaturale. Le vicende erano spesso ispirate dalla Commedia dell’Arte. Uno dei tratti caratteristici era il legame narrativo presente tra i madrigali della stessa raccolta. Il prototipo fu Il cicalamento delle donne del bucato di Striggio. La “commedia harmonica” L’Anphiparnaso di Vecchi è il capolavoro del genere. Diviso in 3 atti, nel prologo l’autore avverte di essere stato il primo a unire commedia e musica. Un altro musicista famoso per i suoi madrigali drammatici fu Adriano Banchieri
IN FRANCIA, SPAGNA E GERMANIA
Durante il regno di Francesco I si affermò la chanson, che poco aveva in comune con la chanson borgognona e fiamminga. Erano simili alle frottole italiane. I testi poetici sono spesso di Marot, mentre i compositori più famosi furono Claudin de Sermisy e Clement Janequin. Famose sono le chansons “Le chant des oiseaux” e “La guerre”
L’unificazione politica della Spagna avviata da Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia portò alla nascita di una cultura nazionale. La prima manifestazione musicale fu il villancico, simile alla frottola, con strofe (coplas) divise da un ritornello (estribillo), erano a 3-4 voci in stile omofono. Tra i compositori emerse Juan del Encina
I meistersinger o maestri cantori furono gli eredi dei minnesanger. La loro attività si svolgeva all’interno di corporazioni operanti nelle città libere di Magonza, Strasburgo, Augusta, Norimberga. I momenti più significativi della loro attività erano i concorsi. Tra i più eminenti meistersinger fu Hans Sachs.
I primi lieder tedeschi erano dei canti monodici o a 3 voci con melodia al tenor. Successivamente, fino alla metà del XVI furono composti lieder a 3-4 voci, in cui il contrappunto era più elaborato delle forme italiane e francesi. I lieder della seconda metà del secolo furono influenzati dallo stile madrigalistico italiano
TESI XII: Sguardo riassuntivo delle forme di musica polifonica cinquecentesca. Musica sacra: mottetti, messe, salmi, improperi – Musica profana: frottole villanelle, canzonette, madrigali, balletti, madrigali drammatici, intermezzi
MUSICA SACRA
Lo stile principe della polifonia sacra del ‘500 fu lo stile “a cappella”, cioè eseguito da sole voci, sempre accompagnamento strumentale; gli strumenti furono però impiegati nella musica sacra della scuola veneziana. Oltre a mottetti, messe, salmi e responsori, esistavano anche altre forme minori, come i madrigali spirituali in lingua volgare e le laude, nate in seno agli oratori di S.Filippo Neri.
Il mottetto del ‘500 è derivato da quello del ‘200 (Perotin) e si differenzia da questo perché rinunciò al testo profano, alla monodia e agli accompagnamenti strumentali, diventando cioè polifonico vocale su testo latino. Non era costruito su tema gregoriano, ma usava la tecnica dell’imitazione. Dal mottetto ha origine la forma strumentale del ricercare
La messa del ‘500 è generalemente a 5 voci e sono musicate solo le parti dell’Ordinarium Missae, come già d’uso nel ‘400 coi maestri fiamminghi. A dare unità alle 5 parti era lo stesso cantus firmus gregoriano, che dava anche il titolo alla messa. Palestrina fu il più grande compositore rinascimentale di messe (le più importanti furono la messa di Papa Marcello a 6 voci e la “Assunta est Maria”)
I salmi avevano la forma dei cori battenti anziché la gregoriana struttura del solista a cui seguiva la risposta, sempre uguale. I compositori preferirono per le manifestazioni extraliturgiche i Magnificat negli 8 modi ecclesiastici
MUSICHE PROFANE
All’inizio del ‘500 i compositori italiani mossi da un rinnovato desiderio di una musica originale nazionale, preferirono alle musiche fiamminghe le forme popolaresche: frottole, barzellette, strambotti, odi. Tutte composizioni a 4 parti in stile omofonico accordale a 4 voci, ma spesso cantava solo la voce superiore e le altre erano svolte da strumenti. Per i particolari, vedi TESI XI
Il madrigale ha poco a che fare col madrigale del ‘300, che era polifonico, a sole voci e di forma metrica fissa. Il madrigale cinquecentesco era caratterizzato da melodie ricercate ma di polifonia semplice, ammetteva l’accompagnamento strumentale e non aveva un preciso schema metrico né ritornelli, mentre i testi erano di stampo petrarchesco. Particolare attenzione veniva posta all’accostamento tra poesia e invenzione musicale (madrigalismi). Il madrigale ebbe carattere cromatico, successivamente imitativo. Da notarsi come il madrigale drammatico, e i madrigali che vennero inseriti come intermezzo (intermezzi appunto vennero chiamati) alle commedie, furono i precursori del nascente melodramma.
TESI XIII: Conquista della tonalità moderna e dei nuovi mezzi espressivi – Strumenti a pizzico, ad arco, a fiato
Tra la metà del XVI e la metà del XVII sec. la musica europea cambiò completamente carattere:
LA TRATTATISTICA NEI SECOLI XV E XVI
Partecipi a questi mutamenti furono i trattatisti. Ricordiamo
Il passaggio dai toni gregoriani ai toni moderni avvenne attraverso l’alterazione di un semitono. Tale alterazione modificava la natura della scala modale in cui avveniva l’alterazione. Ciò era avvenuto nel V e nel VI modo per evitare il tritono “fa-si”: nella nuova scala si usava un “si bem”. Nel Dodekachordon del Glareano vengono presentati due nuovi modi in aggiunta agli 8 ecclesiastici: l’eolio, il nostro minore, e lo ionico, il nostro maggiore. Questi rimasero ben presto i soli due modi, avendo assimilato in sé gli altri 8. Per le composizioni liturgiche il passaggio nei nuovi modi fu più lento che nelle composizioni profane
L’armonia si affermò empiricamente dalla pratica degli strumenti polifonici (liuto, organo, clavicembalo). Suonare questi strumenti infatti comportava la creazione di accordi. La teoria dell’armonia fu enunciata da Zarlino, che legittimò l’armonia come scienza in quanto conseguenza di leggi dell’acustica (triadi maggiori come successioni di suoni armonici). Zarlino costruì la nuova scala diatonica (i cui intervalli sono basati sui rapporti che intercorrono tra un suono e i suoi armonici), la scala naturale o zarliniana che sostituì la scala pitagorica
Fin dal XV sec. era diffusa l’usanza di sostituire alcuni voci con strumenti. Ciò aveva modificato la scrittura lineare-melodica contrappuntistica in quella verticale-armonica che si concretizzò nella scrittura accordale. La melodia era svolta dalla voce acuta, sostenuta da un basso, generatore di accordi che sostituivano le altre voci, che prese il nome di “continuo” in contrapposizione con quello “interrotto” delle composizioni polifoniche. Importante fu l’opera di Ludovico Grossi da Viadana, in quanto nella prefazione dei suoi Cento concerti ecclesiastici (mottetti) a 1-4 voci, con il basso continuo per suonar l’organo è presente la spiegazione del nuovo procedimento compositivo. Il b.c. fu utilizzato per tutto il barocco nell’accompagnamento della musica vocale e nella musica strumentale per strumenti non a tastiera. Esso era realizzato generalmente da 2 strumenti: uno melodico (generalmente una viola da gamba, poi un violoncello) che eseguiva il basso, e uno capace di realizzare accordi (clavicembalo, organo o liuto) secondo la numerica prescritta
Lo strumento più popolare era il liuto. Di origine orientale fu portato in Europa dalle Crociate e rivestì ben presto un ruolo da protagonista sia come strumento solista che da accompagnamento. I liuti più comuni avevano 11 corde: 3 doppie intonate all’ottava (sol, do, fa), 2 doppie all’unisono (la, re) e un cantino (sol). Alla fine del XVI sec, per dar maggior sonorità, si aggiunsero altre corde più gravi. Nacquero così nuovi strumenti affini al liuto: la tiorba a due manici paralleli, l’arciliuto e il chitarrone, alto quanto un uomo. Le composizioni per liuto erano scritte su intavolature.
Tra gli strumenti ad arco il più diffuso e antico era la viella. Da essa nacquero 3 nuovi tipi di strumento:
Questi strumenti caddero in disuso nel ‘600, quando vennero sostituiti dagli archi moderni (il primo violino si ha dopo il 1550). Tra gli strumenti a fiato più diffusi si hanno: cornetti dritti o ricurvi del tipo medioevale, trombe di vari tipi, tra cui il clarino, flauti dritti e traversi, fagotti e oboi derivati dalla bombarda (diversa dalla bombarda odierna)
L’organo rinascimentale era un ampliamento dell’organo positivo medioevale. Fu aumentato il numero dei registri (ai principali si aggiunsero i registri di mutazione), furono adottati tasti meno larghi e più profondi per esecuzioni più sciolte e fu adottata la pedaliera (prima in Germania e nei Paesi Bassi). Altri strumenti erano il clavicordo e il clavicembalo
La diffusione degli strumenti ebbe come conseguenza la trattatistica su di essi. I trattati di musica strumentale non avevano nulla a che vedere coi moderni metodi di tecnica. Si proponevano innanzitutto di insegnare a trasporre sui vari strumenti la musica vocale. Inoltre la maggior parte dei trattati conteneva un’antologia di composizioni per lo strumento. Molto importante per gli strumenti a tastiera fu Il Transilvano, dialogo sopra il vero modo si suonar organi et istromenti da penna (cioè clavicembalo) di Girolamo Diruta
TESI XIV: Origine del melodramma
Il Barocco si colloca tra Rinascimento e Classicismo (dall’inizio del XVII sec. alla metà del XVIII sec, tra l’età di Monteverdi e quella di Bach ed Handel). Si può dividere in 3 parti della durata di circa mezzo secolo: età di Monteverdi, Frescobaldi e Schutz; età di Carissimi, Lulli e Purcell; età di Vivaldi, i 2 Scarlatti, Couperin, Bach ed Handel
Cultura del Barocco: a Roma palazzi e fontane del Bernini, poemi e poesie del Marino. L’arte barocca rifiuta i canoni dell’estetica classico-rinascimentale (misura, equilibrio, sobrietà): l’obiettivo è ora stupire, rappresentare e “fare spettacolo”. La musica era la componente essenziale della manifestazione più originale del barocco: la festa. Per i regnanti dilettarsi di musica era un dovere di stato: l’organizzazione della musica si basava sulle cappelle delle corti
Lo stile della musica barocca:
Durante il Rinascimento era spesso normale che le voci inferiori di una composizione polifonica fossero sostituite da uno strumento polifonico quali liuto, organo e clavicembalo. Questa pratica monodica era comune in frottole, villanelle e canzonette, ma anche in madrigali, chansons e lieder. In realtà la monodia vera e propria nacque dai dibattiti che alla fine del ‘500 si svolsero alla Camerata Fiorentina. Nell’ultimo ventennio del XVI sec. si riunirono in casa del conte de’Bardi alcuni musicisti, gentiluomini e poeti, i quali volevano far rivivere la musica greca, secondo loro la più perfetta ed espressiva, osteggiando la polifonia. Le tesi della Camerata furono esposte nel Dialogo della musica antica e moderna di Vincenzo Galilei, ma l’opera che segna la nascita della monodia è la raccolta di madrigali monodici e arie di Giulio Caccini, Le nuove musiche per voce e basso continuo (1602). Contemporanea fu l’apparizione dei Cento concerti ecclesiastici a 1, 2 , 3 voci con basso continuo di Ludovico Grossi
Già nel XV sec. il movimento umanistico volto al recupero della cultura classica aveva riscoperto il teatro antico con commedie di Plauto e Terenzio e tragedie di Seneca. Ciò stimolò la produzione teatrale moderna: nacque così il teatro italiano (commedie di Ariosto, Machiavelli, Aretino e tragedie che non riuscirono a imporsi se non a strette cerchie di letterati). Accanto a commedie e tragedie nacque il nuovo genere della favola pastorale (Aminta del Tasso e Il pastor fido del Guarini). Altro genere di successo fu la Commedia dell’arte, basata su esili canovacci e con maschere come Pantalone, Brighella, Arlecchino, il Dottore, il Capitano, gli Innamorati…
La musica era presente nel teatro rinascimentale come musica di scena, valido esempio ne è il coro dell’ Edipo Tiranno di Sofocle, musicato da Andrea Gabrieli nel 1585. Gli Intermedi furono spettacoli rinascimentali di vasto impiego, utilizzati come riempitivo tra una scena e l’altra, costituivano entità autonome. I più importanti sono i 34 intermedi per La pellegrina, commedia di Bargagli rappresentata a Firenze nel 1589 per le nozze di Ferdinando de’Medici. A tali intermezzi collaborò la Camerata Fiorentina. Essi costituiscono il diretto antecedente dell’opera. I brani, molti dei quali in stile concertante, sono di grande varietà: “sinfonie” strumentali, madrigali da 3 a 30 voci, alcuni a cappella, altri con accompagnamento strumentale.
I primi drammi per musica nascono dal desiderio della Camerata fiorentina di emulare la tragedia greca fondendo linguaggio e musica: nasce il recitar cantando, cioè il nuovo modo flessibile di declamare un testo, cantandolo sulle note indicate dal compositore. Il primo dramma per musica fu Dafne di Peri su testo di Rinuccini, rappresentato nel 1597. Oltre a Peri, figurano tra i primi operisti Caccini e de’Cavalieri
TESI XV: Origini e primo fiorire dell’oratorio – Giacomo Carissimi – La cantata e il duetto da camera
Coesistono aspetti della tradizione rinascimentale (polifonia, modalità) e dell’innovazione barocca (monodia, armonia, tonalità). 3 stili:
Composizione sacra non liturgica che, in particolari ricorrenze, veniva eseguito nei luoghi di preghiera (distinti dai consueti luoghi di culto). Il carattere peculiare dell’oratorio è l’assenza di ogni elemento scenico e rappresentativo. I dialoghi sono eseguiti dai cantanti che impersonano i vari personaggi e un Historicus racconta la vicenda (storie ecclesiastiche e vite dei santi). L’oratorio latino si sviluppò in seno all’Arciconfraternita del S.Crocifisso e derivò dai mottetti concertanti su testi biblici. Il maggiore compositore di oratori latini fu Giacomo Carissimi (1605-1674). Scrisse 35 oratori, alcuni di vaste proporzioni (sino a 6 voci, 3 cori, archi e basso continuo) altri di piccola entità (4 voci). I testi, in latino, erano tratti dal nuovo e antico Testamento, con brevi tratti di invenzione. Compose anche 8 messe (da 3 a 8 voci con basso continuo), 172 mottetti (da 1 a 8 voci con b.c.), 227 arie e cantate profane (da 1 a 3 voci con b.c.). Sebbene visse nel periodo di fioritura della scuola operistica, Carissimi non si accostò mai al teatro. Il suo talento per la rappresentazione trovava spazio nella sua musica, robusta e compatta, ma anche capace di immagini descrittive, evocative e liriche. Il coro ebbe sempre un ruolo di rilievo per Carissimi, che lo tratto omofonicamente e solo di rado in contrappunto imitato. Eccelse nelle invocazioni, nelle espressioni di dolore e nella rievocazione del mondo soprannaturale e infernale. Assieme a Monteverdi e Schutz è tra i musicisti del XVII sec. che più profondamente espresse il sentimento religioso.
L’oratorio italiano nasce dalle laudi polifoniche e si diffuse da Roma alle altre città italiane. Il più importante centro dell’oratorio italiano fu la corte imperiale di Vienna, presso la quale gli oratori avevano funzione politica (decorare celebrazioni solenni, esequie di personaggi illustri, riunioni della Dieta…), ovvero laddove le rappresentazioni operistiche non erano adatte. Venne abolito lo Historicus e diminuì l’impegno del coro: l’oratorio divenne una successione di arie, duetti e recitativi (tipo opera: è da notare che gli oratori si eseguivano spessissimo durante la quaresima, quando i teatri d’opera erano chiusi). Alessandro Scarlatti ne scrisse 38.
L’oratorio in Francia fu introdotto da Charpentier, un allievo di Carissimi che fu, insieme a Lulli e Delalande, uno dei più apprezzati musicisti del tempo. I suoi oratori, la maggior parte su testi latini, pochi su testi francesi, fondono aspetti italiani ad elementi francesi, ma non ebbero molta influenza sulla produzione musicale sacra. L’assolutismo di Luigi XIV infatti patrocinava, oltre al gallicanesimo, uno stile di canto sacro peculiare francese. La forma preferita era il grand motet, ampia e fastosa cantata sacra per voci soliste; non avevano esclusivo impiego sacro. Il maggior compositore di grands motets fu Delalande (1657-1726).
Anche nel repertorio protestante coesistono aspetti rinascimentali e barocchi; in più si fa uso del corale. Esso poteva essere usato in 3 diversi modi:
I più noti musicisti luterani furono
Il passaggio dal madrigale polifonico alla monodia da camera fu graduale. Iniziò con le Nuove musiche del Caccini. Le composizioni cacciniane si dividevano in arie su testi strofici con musica ad andamento sillabico (melodia e basso) soggetta a ripetizioni e madrigali monodici con testi non strofici nei quali la musica ammetteva indugi e ornamenti sulle sillabe del testo per intensificare l’effetto espressivo della parola.
La cantata profana (o da camera)
Il termine “cantata” comparì a Venezia nel 1620 con le Cantate e Arie a una sola voce con b.c. di Grandi. Non differivano inizialmente dalle arie (stesso principio di variazione strofica). La cantata venne poi distinta in 2 parti: recitativo (momento narrativo) e aria (momento espressivo). L’alternanza di recitativo e aria divenne l’elemento strutturale fondamentale della cantata, ma anche della musica operistica italiana. La cantata profana influì molto sullo sviluppo espressivo del melodramma: ne attenuò gli impulsi drammatici e ne privilegiò la cantabilità elegante.
Tra i cultori della cantata profana si ricordano: Carissimi, Stradella (200 cantate), A.Scarlatti (700 cantate, la maggior parte con b.c., altre con strumenti; divenne il modello della cantata settecentesca)
Affini alle cantate per spirito e destinazione d’uso, hanno una forma più libera. Vi si alternano la scrittura omoritmica con le 2 voci che procedono parallelamente, solitamente per terze, e brani di contrappunto imitato. Il maggior compositore fu Steffani (1654-1728). Vescovo e diplomatico, compose oltre 10 duetti da camera.
TESI XVI: La scuola romana – Monteverdi e la scuola veneziana
L’opera nacque come spettacolo di corte, ma dal 1637 nacque a Venezia anche l’opera di tipo impresariale. L’architettura teatrale moderna nacque in Italia durante il Rinascimento e il primo barocco. Le opere di corte venivano invece allestite in sale provvisorie, le stesse sale che ospitavano le feste rinascimentali. I teatri stabili trassero origine da queste sale. La scenografia non nacque con l’opera, ma ereditò dal Rinascimento l’esperienza dell’invenzione prospettica. Congegni scenotecnici e macchine teatrali (Pratica di fabricar scene e macchine ne’ teatri trattato di Sabbatini nel 1638). La scenografia operistica barocca tocco i suoi vertici grazie a i Galli da Bibiena. Il cantante doveva anche essere attore. Anche le donne iniziano a cantare. Si sviluppa lo stile di canto legato all’opera barocca, il belcanto, con gorgheggi, fioriture e timbri caricaturali, piuttosto che vicini al reale. Qualche nome: Adriana Basile, Caterina Gabrielli, Luisa Todi, Marianna Bulgarelli; Farinelli, Caffarello, Senesino.
I drammi per musica attecchirono subito a Roma, anche grazie alla presenza del de’ Bardi e del de’ Cavalieri, che vi si erano trasferiti verso il finire del XVII sec., ma il momento culminante dell’opera romana coincise col lungo pontificato di Urbano VIII. I suoi nipoti trasformarono in teatro una sala capace di oltre 3000 persone, adiacente al loro palazzo alle 4 Fontane. Il teatro fu inaugurato nel 1632 con Sant’Alessio di Landi, opera che presenta una varietà di sentimenti, dal patetico al comico, nella cui musica prevalgono i recitativi, ma vi sono anche brevi arie con cori in stile madrigalistico. Il maggior compositore dell’opera romana fu Luigi Rossi (1597-1653), ricordato soprattutto per l’Orfeo. Con la morte di Urbano VIII si chiuse la breve stagione dell’opera romana. Le vicende dell’opera a Roma furono in seguito condizionate dai gusti dei pontefici. Nell’opera romana è superato il recitar cantando, a favore della differenziazione stilistica tra recitativo e aria: melodie brevi, arie strofiche, alcune in forma bipartita, altre su un basso ostinato. I recitativi sono strumentali e sostenuti dal basso continuo. La tradizione polifonica è conservata per le parti corali. I libretti non sono più di argomento mitologico-pastorale, bensì di carattere allegorico-morale oppure trattasi di vicende edificanti, spesso ispirate a episodi cavallereschi.
Nel carnevale del 1637 viene rappresentata a Venezia Andromeda di Manelli, su libretto di Ferrari, la prima opera impresariale. Inizia la storia dell’opera come spettacolo pubblico. Negli anni successivi si definì il tipo di opera veneziana e le opere nate nei teatri di Venezia si diffusero in altre città d’Italia e d’Europa. L’industria del teatro operistico. Con la scoperta dell’America il potere mercantile di Venezia inizia il suo declino, diviene il primo centro turistico internazionale. Le maggiori famiglie patrizie veneziane che possedevano luoghi adatti ebbero modo di affittare agli impresari i loro beni immobiliari. Tra il 1637 e il 1681 furono così attivi a Venezia ben 12 teatri. Il proprietario di un teatro lo affittava ad un impresario, il quale allestiva le stagioni, che si svolgevano sempre a carnevale e durante ogni stagione si presentavano 2 opere. L’impresario stipulava contratti pluriennali con compositori e librettisti, stagionali coi cantanti. Terminato il carnevale, i cantanti si organizzavano in compagnie che portavano le opere presentate a Venezia nei teatri delle maggiori città. L’opera impresariale doveva seguire i gusti del suo pubblico: virtuosi del canto solistico e drammi intricati anche se poco verosimili, svolti con vario numero di scene e sfarzo di costumi. I maggiori costi erano assorbiti dal cast vocale e dalla scenografia, a scapito dell’orchestra, costituita solo da archi e basso continuo; il coro era poco usato. La materia trattata dai librettisti inizialmente fu mitologico pastorale (Tetide e Peleo, Apollo e Dafne), come per i drammi di corte, poi si passò ad argomenti della mitologia classica più drammatici (Giasone, Medea), infine si toccarono eventi della storia romana (Pompeo, Annibale, Cesare), ma la necessità di stupire il pubblico spingeva i librettisti a discostarsi anche di parecchio dalla realtà storica. La parte più estesa del libretto era occupata dai recitativi, in endecasillabi o settenari sciolti; le arie, brevi e numerose, erano aggregazioni strofiche di versi misurati e ritmati, a volte mescolati insieme senza uno schema regolare.
I più noti operisti veneziani furono:
Claudio Monteverdi (Cremona, 1567-Venezia, 1643) Vissuto tra Rinascimento e primo barocco, si riconosce nelle sue opere il passaggio tra polifonia e monodia. Nel 1589 si trasferì a Mantova come suonatore di viola nella cappella musicale dei Gonzaga. Nel 1603 Vincenzo Gonzaga lo nominò maestro di cappella. Alla morte di Vincenzo, nel 1612, Monteverdi tornò a Cremona, poi Venezia, dove divenne maestro di cappella.
Opere: opera omnia, raccolta in “Tutte le opere di C.M.”, 19 volumi a cura Malipiero (1926-1942):
La personalità. Monteverdi fu capace di intuire e accelerare la trasformazione del comporre musica : dalla polifonia madrigalistica, allo stile concertato, alle monodie su b.c.; dallo stile recitativo alle forme d’opera, prima di corte, poi impresariale; dalla polifonia sacra a cappella ai salmi e mottetti concertati. Il rapporto parola-musica costituisce il nocciolo del pensiero estetico monteverdiano.
TESI XVII: L’opera napoletana – Alessandro Scarlatti – l’opera buffa e l’opera sentimentale
Nel ‘700 l’opera italiana si diffuse in tutta Europa ad eccezione della Francia. Il ciclo artistico dell’opera “internazionale” nacque a Venezia e si sviluppò principalmente grazie a compositori napoletani. I caratteri esterni non erano dissimili da quelli dell’opera veneziana.
I roboanti barocchismi vengono vinti dalla poesia ordinata e apparentemente dimessa dell’Arcadia.
Uno dei maggiori suoi meriti è quello di aver equilibrato il rapporto tra recitativi e le arie, attraverso l’espansione dell’aria con il da capo (ABA). Scarlatti accrebbe anche, rispetto all’opera veneziana, il ruolo dell’orchestra (sinfonia introduttiva e accompagnamento delle arie. Negli stessi anni anche Corelli e altri stavano affidando una crescente importanza all’orchestra.
L’opera a Napoli prima di Scarlatti
L’opera veneziana fu introdotta a Napoli a metà del XVII. Nel 1650 una compagnia nomade venuta da Roma, I Febiarmonici presentarono l’opera Didone di Cavalli, l’anno dopo L’incoronazione di Poppea di Monteverdi. Nel 1654 fu aperto il teatro di S.Bartolomeo, ma la maggior parte delle opere fu rappresentata a Palazzo Reale per vari decenni. Prima di Scarlatti si eseguivano solo opere veneziane, spesso rimaneggiate secondo le esigenze locali. Nel lavoro di adattamento si segnalò Francesco Cirillo, tenore dei Febiarmonici. Il primo operista napoletano fu Francesco Provenzale (1627-1707), le cui opere (a noi sono pervenute Il schiavo di sua moglie e Stellidaura vendicata) rivelano la conoscenza del teatro monteverdiano, il gusto per il patetico e una vivacità comica di stampo popolare. Nascevano in questo periodo i primi Conservatori. Inizialmente si trattava di 4 orfanotrofi, che nacquero durante il secolo XVI come istituzioni caritative assistenziali. Gli orfani ospitati partecipavano alle cerimonie di culto cantate e queste prestazioni resero necessario fornir loro una educazione musicale. La crescita della scuola napoletana ebbe il suo punto di forza nell’azione dei 4 conservatori e all’azione del maestro Francesco Durante (1684-1755) che ebbe tra i suoi allievi Pergolesi, Jommelli, Traetta, Piccinni, Paisiello, Sacchini
Guerre di successione, Napoli cambia più volte padrone: spagnola dalla seconda metà del XVI sec, austriaca dal 1707, spagnola dal 1735, con re Ferdinando di Borbone, figlio di Carlo III, re di Spagna. Queste vicende non ebbero effetti negativi sulla produzione musicale. Nel 1737 fu aperto il teatro S.Carlo, allora il più ampio esistente. L’opera buffa diventa un genere a sé, determinando il tramonto dell’inserzione di scene comiche nelle opere di argomento storico o mitologico, cosa che preparò la demarcazione del genere operistico: serio e buffo. La matrice dell’opera buffa era la Commedia dell’Arte. Le sedi teatrali che rappresentavano opere buffe furono differenti da quelle dell’opera seria.
I musicisti napoletani che si affermarono dopo Scarlatti furono:
La seconda generazione di musicisti napoletani contribuì non poco all’espansione della scuola napoletana in altre città italiane. I compositori svolsero buona parte della loro carriera lontano da Napoli.
L’opera napoletana non relegò in secondo piano l’opera veneziana. La macchina teatrale veneziana continuò a girare ancor più che nel XVII sec. I teatri continuavano a offrire grandi guadagni alle famiglie più illustri di Venezia: in media si rappresentavano 9 opere differenti all’anno. Rispetto al secolo precedente, Venezia aprì i propri teatri anche a illustri compositori non veneziani. Ma tra i maggiori operisti veneziani si ricordano almeno
I 4 Ospedali veneziani erano istituzioni affini ai conservatori napoletani, dove però venivano istruite unicamente ragazze.
L’opera italiana conobbe nel XVIII sec. una grande diffusione in ogni corte europea, in particolare Austria, Germania e Inghilterra. Ciò fu di stimolo ai compositori stranieri a imitare lo stile operistico italiano. Tra i compositori stranieri che produssero in stile italiano si ricordano: Handel, J.C.Bach (11 opere), Gluck (opere precedenti all’Orfeo ed Euridice), Haydn (le opere scritte per il teatrino di Esterhàz), Mozart. Ma il musicista più integrato nell’opera italiana fu
Johann Adolf Hasse (1699-1783), di Amburgo, sposò la famosa cantante veneziana Faustina Bordoni. Allievo di Scarlatti e Porpora, musicò quasi tutti i libretti di Metastasio e con le sue circa 60 opere si dimostrò uno dei più validi esponenti dell’opera napoletana. Usò frequentemente recitativi drammatici e prestò attenzione all’accompagnamento orchestrale. Compose anche intermezzi comici, oratori, musiche sacre e strumentali
TESI XVIII: Sviluppo musicale del melodramma (recitativo, aria, finale, strumentazione espressiva) – Decadenza artistica
L’antitesi tra opera seria e comica appartiene alla cultura storiografica moderna
Rispecchia l’idealità, i valori della società del 700, parlava di virtù, prima tra tutte, l’eroismo. L’opera seria era
Due particolari tipi di opera seria sono il pasticcio e l’azione (o festa teatrale)
Il pasticcio era un’opera seria su libretto originale ma con arie di vari autori, che ebbe molto successo nella prima metà del secolo. Esempi di pasticci: Tito Manlio (1720) su libretto di Noris, musica di Boni (atto I), Giorgi (atto II), Vivaldi (atto III); Partenope (1737) formato da arie già note e scritte per altre opere da vari autori, fu confezionato da Vivaldi con musiche di almeno altri 5 compositori tra cui Handel. L’azione era un’opera di ridotte proporzioni, solitamente di argomento mitologico, ma con finalità celebrative. Metastasio scrisse circa 40 libretti per la corte viennese
Il termine opera comica era estraneo al gergo settecentesco, fu coniato dai musicologi nell’800. Si dovrebbe parlare di opera non tragica. Il termine comprende i diversi generi del melodramma non serio: intermezzi, opere buffe, drammi giocosi, comici, semiseri, farse etc. Una delle forme più singolari fu l’intermezzo. Di dimensioni ridotte, era di viso in 2 parti che si eseguivano tra I e II e tra II e III atto di un’opera seria. Le vicende narrate erano esili, quotidiane. I personaggi (di solito 2 o 3, erano esclusi gli evirati) erano borghesi o popolani. L’organico era una piccola orchestra d’archi più clavicembalo. Il capolavoro del genere è La serva padrona, intermezzo dell’opera Il prigionero superbo (1733) di Pergolesi. Caratteristiche dell’opera comica:
Dalla seconda metà del 700 l’opera comica raccolse favori anche nel resto d’Europa. Gli enciclopedisti francesi ne apprezzavano la semplicità, contrapposta alla statica e geometrica teatralità dell’opera seria. Molti compositori prendono spunto da romanzi inglesi e francesi. Per esempio, Paisiello e Mozart, con Il barbiere di Siviglia e Le nozze di Figaro si ispirarono alla trilogia di Caron de Beaumarchais.
A parte il fatto che l’opera seria era sempre in 3 atti e la comica spesso in 2, non c’erano molte altre differenze dal punto di vista strutturale e formale. Le parti fondamentali dell’opera generalmente erano
Esempi:
TESI XIX : La riforma di Gluck e Calzabigi – Teorici del melodramma – Satire e parodie in Italia e fuori
Filosofi, scrittori e letterati criticavano aspramente l’opera italiana: pensavano che il rapporto tra musica e poesia fosse troppo sbilanciato a favore della musica. Per lo spirito razionalistico-cartesiano la poesia ha maggior valore perché si rivolge alla ragione, la musica ai sensi. Il primato della poesia sulla musica è affermato da alcuni letterati quali Crescimbeni, Muratori, Martello e Quadrio. Le critiche diminuirono quando si imposero i libretti di Metastasio, abile poeta d’Arcadia. Gli scrittori della generazione successiva, dalla metà del 700 in poi, sostennero la logica e la coerenza nel dramma e sollecitarono la riforma del teatro in tale direzione. Tra questi Algarotti, nel suo Saggio sopra l’opera in musica, lascia intravedere le scelte che, pochi anni dopo, effettuarono Gluck e Calzabigi. Anche in Francia la questione era accesa: durante il XVIII si pubblicarono molti pamphlets nei quali si intrecciavano le discussioni teoriche, le polemiche, la satira. Nacquero 3 querelles: lullisti contro ramisti, buffonisti contro antibuffonisti, gluckisti contro piccinnisti. Gli scritti più importanti appartengono a Saint-Evremond, Marmontel, barone Grimm, Rousseau
Il mondo dell’opera non era criticato solo dai letterati; spesso strano o addirittura assurdo, questo mondo si prestava a ironie e satire. Nacque così un piccolo filone letterario che si sviluppò sino ai primi decenni dell’800. La satira più famosa, Il teatro alla moda, la scrisse il compositore Benedetto Marcello, nobile veneziano, nel 1720. Sembra un manuale di consigli e suggerimenti indirizzati a tutti coloro che hanno a che fare con l’industria operistica, ma i consigli esortano in realtà a fare ciò che non va fatto! Più numerose furono le parodie, che spesso avevano la forma di libretti d’opera buffa o intermezzi. Tra le più note Prima la musica, poi le parole, musica di Salieri, libretto di Casti; L’impresario di Smirne di Goldoni; Il maestro di cappella, musica di Cimarosa; Le cantatrici villane, musica di Fioravanti; Der Schauspieldirektor di Mozart
Cristoph Willibald Gluck
Nato in Baviera nel 1714, trascorse l’infanzia in piccoli centri della Boemia, dove il padre lavorava coma guardaboschi. Dal 1731 studiò logica a Praga, ma più che altro musica. Nel 1735 era membro della cappella musicale viennese, dove conobbe il conte Melzi, che lo convinse a studiare a Milano da Sammartini, compositore apprezzato per la musica strumentale. Dal 1741 iniziò la carriera di compositore teatrale, a Milano e Venezia. Proseguì a Londra, dove conobbe Handel. Dopo alcuni anni passati con la compagnia d’opera ambulante dei fratelli Mingotti, prese dimora stabile a Vienna, nel 1752. Attraverso i contatti col conte Durazzo, sovrintendente dei teatri viennesi e col librettista Ranieri de’Calzabigi, Gluck maturò le linee di riforma dell’opera seria italiana, il cui primo frutto fu l’azione teatrale Orfeo ed Euridice (1762). Fu invitato a Parigi da alcuni intellettuali nel 1773, dove Iphigenie en Aulide e la versione francese dell’Orfeo scatenarono querelles che durarono anni. Dal 1779 non lasciò più Vienna, dove morì nel 1787.
Escluse poche composizioni vocali sacre e profane (tra cui 7 Odi su versi di Klopstock, che sono tra i più significativi lieder del XVIII sec.) e poche opere strumentali, la produzione di Gluck fu volta interamente al teatro e comprende 50 opere e 5 balletti. Nel periodo in cui lavorò in Italia, a Londra e in Germania, compose drammi, pasticci, feste teatrali italiane. Tra essi Artaserse (Milano, 1741), La caduta dei Giganti (Londra, 1746), La clemenza di Tito (Napoli, 1752), Le cinesi (Vienna, 1754). Parecchie opere sono su libretto di Metastasio. Lo schema drammaturgico metastasiano infatti, con la contrapposizione recitativo/aria e il primato delle voci soliste, domina la prima metà della produzione di Gluck. Su suggerimento del conte Durazzo, Gluck affronta l’opera comica francese, con Le cadi dupè (1761) e La rencontre imprevue (1764), mentre in collaborazione col coreografo Angiolini realizzò i balletti Don Juan ou le festin de pierre (1761) e Semiramis (1765). La confluenza di opera seria italiana, opera comica francese e balletto fu chiamata “riforma di Gluck e Calzabigi” e si realizzò col determinante contributo del librettista livornese nelle opere Orfeo ed Euridice (azione teatrale in 3 atti, 1762), Alceste (tragedia in 3 atti, 1767), Paride ed Elena (dramma in 5 atti, 1770).
Le linee fondamentali della riforma erano:
Questi punti sono ricordati nella prefazione che Gluck premise alla stampa dell’Alceste
Con Handel e Mozart, Gluck fu uno dei più grandi drammaturghi del 700. Pochi compositori furono così chiari sui loro intenti artistici. La scelta dei libretti riflette il desiderio di voler tornare a sentimenti comuni, piuttosto che alle auliche stilizzazioni dell’opera metastasiana. Il suo intervento segnò il superamento dell’Arcadia e del rococò nel teatro. La riforma di Gluck e Calzabigi si colloca sullo stesso piano che segnò la poesia del Parini e dell’Alfieri
Verso l’opera nazionale
Nel 600-700 l’opera italiana ebbe diffusione europea, salvo che in Francia. Mentre nell’opera italiana l’elemento predominante era la vocalità, nell’opera francese si raggiunge un maggio equilibrio nello spettacolo (coreografia, poesia, musica). L’espressione dei sentimenti non doveva risultare enfatica, come nella musica vocale italiana. I due ministri Richelieu e Mazarino sostennero l’inclinazione di Luigi XIII per la musica e lo spettacolo
La monodia vocale:l’air de cour
Le airs de cour, composizioni strofiche di stile omofono, determinarono il passaggio dalla polifonia alla monodia. Accanto alla versione polifonica a 4 voci in omoritmia venne spesso pubblicata la trascrizione per voce e liuto. Le trascrizioni ebbero molta fortuna e vaste raccolte furono stampate tra il 1570 e il 1620. La poesia era di stampo petrarchesco, in quartine o sestine di ottonari rimati, con temi per lo più amorosi
Il balletto
Nel teatro italiano primeggiava l’opera cantata, in quello francese il ballo. Il ballo era però nato in Italia all’inizio del XV sec. I fondamenti della tecnica erano stati definiti da Domenico da Piacenza. Il primo ballo come spettacolo di corte fu rappresentato per le nozze di Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona nel 1489. Creatore del balletto francese fu il lombardo Baldassarre da Belgioioso
Il ballet de cour
Il primo balletto francese di Baldassarre da Belgioioso, il famoso Ballet comique de la reyne (1581), fu un’opera collettiva: oltre al coreografo vi parteciparono un pittore, un poeta e due compositori. Preceduto da un’ouverture, il balletto comprendeva arie e recitativi, cori, danze, pantomime e terminava con un Gran ballet. Comique non sta ad indicare una vicenda comica, ma solo il fatto che la vicenda ha una conclusione felice. Da questa formula naquero altri tipi di ballo, come il ballet mascarade e il ballet melodramatique, nel quale aveva maggior importanza la musica (uno dei più riusciti fu il Ballet de la delivrance de Renaud). Il Ballet a enrees, che dopo il 1620 soppiantò le altre forme di balletto, non sviluppava un argomento unitario (e non drammatico) ed è l’embrione dell’opera-ballet. Le rappresentazioni si svolgevano in grandi sale dove gli spettatori erano distribuiti lungo i lati lunghi. I danzatori erano spesso i nobili, tutti mascherati. Negli spettacoli a corte le esecuzioni strumentali erano affidate ai 24 violons du roi, la prima orchestra d’archi. Nel 1641 Richelieu fece rappresentare il Ballet pour la prosperità des armes de France come avviene oggi (platea e palcoscenico). Col balletto, divenuto un divertissement teatrale, si aprivano le strade alla creazione della tragedia in musica francese di cui fu ideatore Lulli
LA TRAGEDIE-LYRIQUE DI LULLI
Antecedenti
Mazzarino tentò invano di portare l’opera italiana in Francia. Il rifiuto di quest’ultima stimolò poeti e musicisti alla creazione dell’opera francese. Il primi veri tentativi fu fatti nel 1659 con una Pastorale d’Issy e nel 1671 con Pomone, ad opera dell’abate Perrin librettista e Cambert compositore. Perrin ottenne dal primo ministro l’esclusiva per rappresentare opere in Francia. Approfittando delle difficoltà economiche di Perrin, Lulli rilevò tale esclusiva.
Giovanni Battista Lulli (Firenze 1632 – Parigi I687), si trasferì a Parigi a 14 anni per diventare il valletto di una principessa. Qui proseguì gli studi musicali. A 20 anni passo al servizio di Luigi XIV, che poco a poco trasferì nelle sue mani l’organizzazioni degli spettacoli. Divenne così “sovrintendente della musica francese”. Negli ultimi 15 anni di vita definì e mise a punto la tragedie-lyrique.
La sua produzione si svolse attraverso poco più di un trentennio, ma impose forme e stili che dominarono la musica scenica francese sino a Gluck. Il primo ventennio della sua attività fu occupato dalla composizione di 31 balletti (spesso su trama di Benserade) e di 14 comedie-ballets in collaborazione con Moliere. Innovatore del tradizionale ballet de cour, diede una maggiore importanza al canto d aggiunse, accanto a correnti e gagliarde, anche nuove danze di recente voga, come passepied, rigaudon, bouree, gavotte e soprattutto minuetti. Il culmine dell’esperienza creativa furono le 13 tragedie-lyrique, composte tra il 1673 (Cadmus et Hermione) e il 1686 (Armide), spesso su libretto di Quinault. Tra le più importanti Alceste, Isis e Roland. Formalmente erano divise in 5 atti e i versi erano basati sull’alessandrino (verso classico della poesia francese, 14 sillabe con cesura). Le differenze tra le tragedie liriche e le contemporanee opere veneziane erano notevoli: l’opera francese distingueva meno nettamente arie e recitativi (forma bipartita AB oppure AABB). La tragedia lirica presenta cori introduttivi in tutti gli atti e danze. L’orchestra era più fornita che nelle opere veneziane; oltre ad accompagnare tutte le parti cantate e i balli, eseguiva l’ouverture alla Lulli, composta da un Adagio o Lento maestoso con ritmo puntato, una cadenza alla dominante lo separava da un esteso Allegro fugato. Compose anche una ventina di mottetti, salmi e inni per la cappella reale. Lulli, “principe della musica” impersonò l’assolutismo musicale in Europa creando l’opera barocca francese. Creò con essa l’equivalente in musica della tragedia in versi, sui modelli letterari di Racine, Corneille e Quinault.
Dopo la morte di Lulli si spezzò l’equilibrio della tragedie-lyrique e si affermò il nuovo operà-ballet, dove prevalgono danze e arie cantate. Al contrario di ciò che avviene con la tragedie-lyrique, viene smembrata l’unità di azione. Solitamente venivano rappresentate 3 vicende, una per atto. Accantonati gli argomenti eroici e mitologici, vennero ripresi quelli pastorali; infatti nel primo trentennio del XVIII sec. tornarono in voga le atmosfere bucoliche rappresentate nei quadri di Watteau e dall’italica poesia d’Arcadia. Nei brani cantati venne ripreso lo stile operistico italiano, osteggiato da Lulli. Ricordiamo L’Europa galante (1697) e Carnaval de Venise (1699) di Campra (italiano che si proponeva di “mescolare alla delicatezza francese la vivacità italiana”), La pastorale d’Issè (1697) e Les elements (1721) di Destouches (uno dei primi francesi a usare l’aria col “da capo”) e le Indes galantes (1735) di Rameau
Rameau (1689-1764), figlio di un organista di Digione, prima di stabilirsi nel 1723 a Parigi, insegnò in varie città francesi. In questo periodo compose la maggior parte della sua musica per clavicembalo e scrisse un trattato d’armonia. A Parigi conobbe il mecenate La Pouplinière, che lo convinse a cimentarsi nell’opera. La prima fu Hippolite et Aricie (1733). Compose 26 opere tra cui si ricordano le tragedie-lyriques Castor et Pollux (1737), Dardanus (1739) e l’opera-ballet Les Indes galantes (1739).
Il successo di Rameau fu osteggiato dai Lullisti, che gli rimproveravano di essersi troppo allontanato dal modello di Lulli. Ne nacque una querelle che si protrasse sino alla successiva querelles des Bouffons, che coinvolse i seguaci dell’opera buffa italiana e suoi oppositori, tra cui si trovarono insieme lullisti e ramisti. A dispetto dell’opinione dei lullisti, Rameau fu continuatore dell’opera di Lulli, mantenendo nel suo teatro la severa nobiltà drammatica (pur ammorbidendone le linee) della tragedie-lyrique e conservando il gusto del “meraviglioso”. Le caratteristiche peculiari della sua opera sono il senso armonico, la quantità e la qualità dei brani strumentali (“coreografiche” ouvertures)
nacque e si diffuse nel ‘700. Non ebbe il cosmopolitismo dell’opera seria, ma si sviluppò con differenti connotazioni nazionali. In Francia valeva il privilegio accordato a Lulli e al teatro de L’Opera che vietava a tutti gli altri teatri nazionali di inserire musica nei drammi. Si giunse al compromesso del pagamento da parte dei teatri periferici di royalty a L’Opera. Ma dal 1715 in avanti il Theatre de la Foire e il Nouveau Theatre Italien misero in scena le prime opera-comiques, caratterizzate da dialoghi e brevi canzoni, inizialmente di ispirazione popolare (vaudevilles), più tardi da arie, spesso di origine italiana. Il commediografo che per primo intuì le possibilità del nuovo genere fu Favart, ma il più celebre esempio fu Le devin du village (1752) di Rousseau. L’opera-comique aprì la strada ai “Bouffons” italiani, che riscossero successi e polemiche alla metà del XVIII sec. Librettisti e musicisti del genere non si limitarono a proporre vicende comiche, ma anche (oltre a pastorali e a farse amorose) drammi sentimentali e storici. Noti autori furono
La prima opera composta in Germania fu Dafne (1627) su libretto di Rinuccini tradotto da Opitz su musica (andata persa) di Schutz. Fino alla fine del ‘700 grande influenza dell’opera italiana. Amburgo col suo teatro cittadino “Del mercato delle oche” fu per l’opera tedesca ciò che Venezia fu per l’opera italiana. L’opera tedesca, non basandosi su alcuna preesistente forma di teatro musicale, prese spunto da modelli stranieri. I compositori più importanti:
Nato a Vienna verso la metà del ‘700 e diffusosi in Germania, è uno spettacolo misto di recitazione e musica affine all’opera-comique. Sebbene gli impresari capirono le possibilità di successo del nuovo genere, la cultura ufficiale fu indifferente e solo Goethe capì la novità. Noti compositori di singspiele:
L’importanza del singspiel sta nel fatto di aver offerto la matrice storica dell’operetta viennese dell’800, oltre ad aver offerto terreno propizio per la nascita di alcuni capolavori come Il Ratto dal Serraglio, Il Flauto Magico, Fidelio e Freischutz di Weber
Nell’Inghilterra dei Tudor (XVI sec.) masque indicava un trattenimento affine al ballet de cour, con dialoghi e arie affidate a musicisti e balli condotti da gentiluomini mascherati. Gli argomenti erano mitologici o allegorici. Mentre il livello della poesia era piuttosto alto, con librettisti come Ben Jonson e John Milton, eredi di Shakespeare, il livello musicale era basso. Era presente l’influenza dello stile recitativo italiano. La rivoluzione puritana di Cromwell e l’instaurazione della repubblica (1649-1660) ne segnarono la fine, anche se per ancora alcuni anni i masques vennero rappresentati nelle case dei nobili. Verso la fine della repubblica il drammaturgo D’Avenant ottenne l’autorizzazione ad aprire un piccolo teatro per le rappresentazioni in musica e fu usato per la prima volta il termine “opera” al posto di masque. La prima opera fu The Siege of Rhodes di D’Avenant, con musiche di vari autori, tra cui Locke (1622-1677), dalla particolare vena affettuosa. Altre opere furono rimaneggiamenti dei testi shakespeariani come La tempesta e Macbeth, entrambe su musica di Locke
Henry Purcell (1659-1695) seppe riconoscere e adattarsi agli ideali della società inglese della restaurazione, che alla musica chiedeva comportamenti di seduzione sensuale e gradevolezze decorative. La sua produzione fu summa della tradizione vocale italiana e di quella strumentale francese. Il suo capolavoro fu Dido and Aeneas (1689). Per il resto, la produzione teatrale di Purcell appartiene al genere che definiamo musica di scena
L’opera seria italiana ebbe successo solo tra i nobili e venne criticata dal resto del pubblico. Nacque un genere autonomo e popolare, la “ballad opera”, sulla scia del successo di uno spettacolo di John Gay, The Beggar’s Opera (1728) musicato con ballate popolari ma anche con arie di Purcell e Handel.
TESI XXI: Trapianto dell’opera italiana in Francia e Germania – L’opera italiana in Russia
Fin dalla prima metà del XVII sec. le opere italiane riscossero successo in città straniere. Iniziò un flusso migratorio di compositori, cantanti, librettisti e scenografi italiani all’estero, prima Austria e Germania, poi Inghilterra e Russia. In Francia, dove Lulli aveva realizzato un teatro nazionale, la presenza italiana fu limitata ad alcuni periodi
LE STAGIONI DELLA PRESENZA ITALIANA A PARIGI
Il potente cardinale Mazarino diede l’avvio ad un processo di italianizzazione al centro del quale era la rappresentazione di opere italiane. Le prime opere, di Sacrati, Cavalli, Rossi, furono accolte tiepidamente e apprezzate principalmente per la componente visiva affidata allo scenografo Torelli. Molti nobili erano contrari all’italianizzazione dell’opera. Per venire incontro al gusto francese si infrapposero balletti di Lulli alle scene
Sebbene Lulli nelle sue composizioni avesse assorbito i modi formali ed espressivi della musica italiana contemporanea, li aveva sviluppati nel suo personale linguaggio espressivo e si era opposto alla diffusione dell’opera italiana. Dopo la sua morte (1687) i fautori francesi dell’opera italiana ebbero più libertà. Inoltre la pace di Pinerolo (1696) stipulata tra Francia e Savoia favorì la ripresa dei rapporti con l’Italia. Si parlò di una “reunion des gouts” che ebbe il suo suggello artistico in Couperin, autore di due Apotheoses per archi dedicate a Lulli e Corelli.
Nel 1752 arrivò a Parigi una compagnia italiana di opere comiche, raccogliendo successi sin dalla prima rappresentazione della Serva Padrona di Pergolesi. Il successo però non fu unanime e suscitò la Querelle des Bouffons, che ebbe come risultato immediato nella chiusura della vecchia querelle di ramisti e lullisti. La querelle, a cui gli italiani non presero parte, venne combattuta con decine di opuscoli. Non ci si accorse che in realtà la querelle non aveva basi logiche, in quanto trattava 2 oggetti di natura diversa: l’opera comica italiana e l’opera seria di Rameau. L’opera buffa italiana fu il trampolino di lancio dell’operà-comique.
AUSTRIA E GERMANIA: L’OPERA ITALIANA COME VETRINA DI PRESTIGIO CULTURALE E STRUMENTO POLITICO
A partire dalla prima metà del ‘600 l’opera seria italiana fu di casa in Austria (prima a Vienna) e Germania. A differenza che in Italia, dove i centri di produzione teatrale erano i teatri impresariali, nei regni e nei principati dell’Europa centrale, questi erano sostituiti dai teatri di corte. L’interesse per l’opera seria italiana aveva due radici:
Le date delle rappresentazioni (spesso con libretto di Metastasio) coincidevano con eventi politici o dinastici della famiglia reale. In particolare per i genetliaci si preferivano le feste teatrali, un genere minore con fini celebrativi.
Le opere serie ricalcavano i modelli prima veneziani, poi napoletani e solitamente erano composte espressamente per i teatri di corte. L’esempio del teatro francese introdusse cori e balli, scarsi in Italia.
Verso la metà del ‘700 la forte richiesta di opere italiane fece la fortuna delle compagnie itineranti. La cultura illuministica mise in crisi i teatri di corte. L’opera era diventato uno spettacolo “per tutti”. Contemporaneamente l’opera seria perdeva il suo primato, a favore di opera buffa, operà comique e singspiel
Leopoldo I, imperatore d’Austria dal 1657 al 1705 contribuì a delineare i canoni dell’opera trapiantata a corte. Abile clavicembalista e compositore, fece rappresentare più di 400 opere, molte delle quali di Antonio Draghi. La più elevata fu il Pomo d’oro di Cesti. Leopoldo, a capo di un impero multietnico, comprese l’importanza di una lingua comune. Istituì per questo il ruolo di poeta cesareo, che traducesse in italiano, la lingua più adatta alle rappresentazioni, non solo le opere, ma anche le cantate e le azioni sacre; ricoprirono questo ruolo anche Apostolo Zeno e Pietro Metastasio.
Anche i successori di Leopoldo curarono il teatro, fino a Giuseppe II, che regnò alla fine del VIII sec, che comprese il mutamento culturale e favorì lo sviluppo del singspiel
Monaco fu una delle prime città tedesche a conoscere l’opera seria italiana. Nel 1656 fu inaugurato un teatro dell’opera, l’Opernhaus, su modello del Teatro Olimpici di Vicenza. Il più noto maestro italiano a Monaco fu Agostino Steffani (1654-1728), vescovo e diplomatico, operò oltre che a Monaco anche ad Hannover e a Dusseldorf, contribuì alla diffusione dello stile veneziano, influenzando la formazione di Handel e Telemann.
Il successo dell’opera italiana finì quando la Baviera passò sotto Carlo Teodoro duca del Palatinato, il quale aveva costituito la famosa orchestra di Mannheim ed era sostenitore dell’opera tedesca
La prima opera italiana rappresentata a Dresda fu nel 1662 Il Paride di Bontempi. Nel 1719 fu completato l’Opernhaus e inaugurato con un’opera del veneziano Antonio Lotti. Grande considerazione dell’opera italiana a Dresda dal 1734 al 1764 per la presenza di Hasse in città (e con lui la cantante Faustina Bordoni, sua moglie)
Qui la presenza dell’opera italiana fu un po’ più discontinua. La prima rappresentatazione fu nel 1700, La festa dell’Imeneo di Ariosti, che rappresentò sue opere per il decennio successivo. Poi fino al 1740, sotto Federico Guglielmo I, non ci furono altre rappresentazioni. L’opera tornò con Federico II il Grande, che fece costruire nel 1742 il Teatro Reale dell’Opera di Berlino. Fece rappresentare opere di stile italiano, composte però da tedeschi. Il suo successore, Federico Guglielmo II favorì l’opera tedesca. Dal 1819 Spontini ebbe la carica di Generalmusckdirektor di Berlino
L’OPERA ITALIANA A LONDRA E IL RUOLO DI HANDEL
Le prime opera londinesi alla maniera italiana erano musicate da compositori di scarso talento ed erano traduzioni inglesi di libretti italiani. Nel 1708 al Queen’s Theater fu rappresentato il Pirro e Demetrio di A.Scarlatti, cantato in parte in inglese in parte in italiano. Nel 1711 arrivò Handel col suo Rinaldo, iniziando l’attività di operista italiano e impresario. Nel 1720 un gruppo di gentiluomini fondò la Royal Academy of Music e ne stabilirono la sede al King’s Theater. Librettisti dell’Accademia erano Rolli e Hayn, mentre compositori erano Handel, Bononcini e Ariosti. La vita della Royal Academy fu densa di incomprensioni e rivalità tra i 3 compositori e le varie cantanti. Stanco delle lotte, Handel lasciò il teatro nel 1738 per dedicarsi interamente all’Oratorio
CATERINA II E L’OPERA ITALIANA IN RUSSIA
L’opera seria italiana giunse a S.Pietroburgo con l’arrivo nel 1757 col compositore e impresario napoletano Francesco Araja. Il periodo di massimo fulgore fu il regno di Caterina II la Grande (1762-1796). Di origini tedesche, sposò il debole Pietro III e lo fece deporre a suo favore. Zarina illuminata, svolse attività di divulgazione della cultura europea e fondò l’Hermitage. Operarono alla corte russa Galuppi, Traetta Paisiello, Sarti, Cimarosa, ancora Sarti, Cavos. Quest’ultimo, arrivato attorno al 1800, compose su soggetti di ambientazione e melodie russe, preparando la strada a Glinka, il primo degli operisti russi.
TESI XXII: L’opera italiana nel secolo XIX: Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, autori minori – Il melodramma contemporaneo
Il melodramma italiano dell’800 fu un gradito prodotto da esportazione culturale a livello mondiale. Mentre nel XVII e XVIII sec. diversi erano i generi musicali apprezzati dal pubblico, nel XIX sec. il melodramma è protagonista. Gramsci affermò che l’unica forma di teatro nazional popolare italiana sia il melodramma. Le spiegazioni di questo amore per l’opera sono essenzialmente due:
A teatro la vita di relazione e di società si svolgeva in modo più sciolto che in salotti e caffè. Nei palchi si poteva anche mangiare e bere. Il rapporto tra teatro e pubblico si mantenne straordinariamente inalterato per un secolo
ELEMENTI DEL MELODRAMMA
I nostri 5 maggiori operisti appartengono a generazioni successive e vicine tra loro: Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi e Puccini. Un gradino sotto erano Mayr, Pacini, Mercadante nella prima parte del secolo; Ponchielli, Boito, Gomez negli anni di Verdi; Catalani, Mascagni, Leoncavallo, Giordano e Cilea verso la fine del secolo. E’ in corso da alcuni anni la rivalutazioni dei librettisti come coautori dei melodrammi; prima erano considerati solo “artigiani dei versi”. Nel rapporto fortemente subordinato tra operisti e librettisti emerge la condizione di Verdi e Puccini, che partecipavano alla sceneggiatura e a volte alla versificazione. Nella maggior parte dei casi molte opere nacquero su lavori di abili letterati, conoscitori del gusto teatrale. I più noti erano:
Dalle cronache teatrali si evince che inizialmente opere di modesto valore raccolsero grandi successi. Questo era principalmente dovuto ai cantanti. Nacque infatti nell’800 la figura dell’ “artista di canto”, il cantante-attore.
I compositori e gli impresari del XVII e XVIII sec. non avevano la preoccupazione di coniugare le voci ai personaggi, infatti allora abbondavano le voci acute. Nel XIX sec. nasce l’esigenza di accostare coerentemente il timbro della voce con la natura del personaggio.
Le stagioni operistiche erano organizzate secondo i procedimenti delle aziende di produzione. Alla fine del secolo operavano in Italia più di un migliaio di teatri. Essi erano di proprietà pubblica (dei vari regni prima dell’Unità, poi dei comuni) o privata (nella forma di associazioni, i palchisti, formate da personaggi abbienti). Molto raramente la gestione delle stagioni teatrali era affidata ai proprietari; essa era affidata solitamente a impresari (tra i più noti Barbaja, Merelli e Lanari). Uno dei punti deboli dell’organizzazione era la quadratura del bilancio.
Il pubblico era eterogeneo: tutti, a parte contadini e lavoratori manuali dipendenti, frequentavano l’opera. Gli appartenenti alle diverse classi si incontravano, ma non si mescolavano. La struttura stessa del teatro era fatta per ordini e i posti migliori (i primi 2,3 ordini) erano venduti in abbonamento ai nobili e ai ricchi, mentre la platea aveva un pubblico eterogeneo (forestieri, militari)
L’editoria musicale iniziò acquistando i fondi musicali degli archivi dei teatri e riciclandoli noleggiando le opere ad altri teatri e stampando spartiti per canto e pianoforte. Giovanni Ricordi comprese nel 1808 che gli editori avrebbero avuto enorme vantaggio dalla mediazione tra impresari e compositori (si procuravano l’esclusiva dagli operisti in cambio di un corrispettivo economico commisurato alla “quotazione” e su questa base trattavano con gli impresari). Una delle piaghe del sistema è la mancanza di una protezione da copia, che poteva essere effettuata da impresari senza scrupoli col fine di non pagare gli autori. Nel 1865 il problema venne ovviato con la legge del diritto d’autore e la fondazione nel 1882 della SIAE. Verso la fine del secolo, per facilitare le rappresentazioni, l’editoria musicale fornì agli impresari
anche i bozzetti delle scene, i figurini dei costumi e volumi di Disposizioni Sceniche, raccolte di note di regia
Il melodramma del XIX sec. è l’erede dell’opera del ‘700. Recitativi, arie e pezzi d’insieme furono ancora le colonne portanti
Si apriva generalmente con una sinfonia (allegro in forma sonata con 2 temi senza sviluppo) o un preludio (breve, non di struttura fissa, serviva a creare il clima emotivo)
Il recitativo secco fu ancora impiegato, specie nelle opere buffe, sino al 1820. Fu sostituito dalla scena, svolta dall’orchestra che accompagnava le voci in modo più sciolto dei vecchi recitativi accompagnati, oppure da passi di arioso spiegati
Le arie avevano grande importanza perché erano il momento in cui i personaggi si presentavano nella loro emotività. Superato l’uso del “da capo”, le arie si presentavano in varie forme (ballata, romanza, cavatina…). La cavatina era già conosciuta dalla seconda metà del XVIII sec. e avevano carattere lirico e struttura semplice, appartivano nel primo atto ed erano affidate ai protagonisti come presentazione. La cabaletta era la seconda sezione di un’aria doppia o di un duetto; di solito di ritmo binario e in tonalità maggiore, si caratterizzava per un andamento mosso e sfoggio virtuosistico. Verso la fine del secolo le arie vennero progressivamente sostituite da ariosi e appassionate romanze
I pezzi d’insieme erano numerosi ed erano le occasioni in cui si incontravano e scontravano gli animi. Diventarono, come le arie, pezzi centrali del teatro. Gli atti si concludevano con un pezzo d’insieme chiamato finale (I, II, III)
Il coro aveva funzioni differente che in passato. Non era spettatore e commentatore esterno, ma attivo e partecipe. Spesso si inserivano nei pezzi d’insieme, cantano i finali e le introduzioni che seguono la sinfonia e il levarsi del sipario, con lo scopo di preannunciare la vicenda
Dall’opera wagneriana in avanti la struttura composta da pezzi chiusi venne abbandonata, vennero tuttavia mantenuti in alcuni momenti lirici i tratti del canto solistico
GLI OPERISTI
Il passaggio dal ‘700 all’800 avvenne nel teatro italiano senza soprassalti. All’inizio del secolo si presentavano ancora le opere dell’ultima scuola napoletana, con Cimarosa e Paisiello. Tra i compositori che adoperavano collaudati modi teatrali emerse
Giovanni Simone Mayr (Baviera,1763-Bergamo,1845), giunto a Bergamo nel 1802, fondò le “Lezioni caritatevoli di musica”, una sorta di conservatorio di cui fu allievo Donizetti. Compose una settantina di opere, tra cui L’amor coniugale, La rosa bianca e la rosa rossa, Medea in Corinto, oltre a una copiosa produzione sacra, musica strumentale e scritti didattici. Le sue opere serie ebbero l’importanza della maturazione del genere. La cura della strumentazione, l’attenzione al declamato eroico e al coro, appreso dalle opere francesi di Gluck sono i tratti caratteristici della sua opera, che indica la matrice donizettiana.
Gioacchino Rossini (Pesaro,1792-Parigi,1868), nonostante fosse conservatore nella vita e nemico delle novità, delineò i tratti del melodramma italiano e del Grand Opera parigino nel passaggio tra classicismo e primo romanticismo.
Studiò violoncello, pianoforte e contrappunto al recente Liceo musicale di Bologna. A 18 anni abbandonò gli studi e scrisse la sua prima farsa. Dotato di grande facilità e rapidità, ebbe subito successo. Nel 1815, raggiunta la celebrità, accettò un contratto con l’impresario Barbaja per i teatri napoletani da lui gestiti. Sposò nel 1823 la cantante Isabella Colbran. Nel 1824 si stabilì a Parigi, dove per 5 anni rimaneggiò opere napoletane per le scene francesi e ne scrisse di nuove. Dopo il Guillaume Tell (1829) abitò spesso a Bologna e Firenze. Sposatosi in seconde nozze, continuò a scrivere: musica sacra, arie da camera, pezzi per pianoforte.
Opere teatrali: ne compose 39 (23 serie, 16 buffe). Serie sono Tancredi, Otello, Armida, La donna del lago, Semiramide. Comiche sono La pietra di paragone, L’italiana in Algeri, Il turco in Italia, Il barbiere di Siviglia, Cenerentola, La gazza ladra. Opere parigine sono Il viaggio a Reims, Le passage de la Mer Rouge (rifacimento di Mosè in Egitto), Guillaume Tell.
Presso il pubblico ebbero molto successo le sue vivaci opere comiche, mentre quelle serie sono storicamente importanti per l’influenza che ebbero per il melodramma della generazione successiva. Rossini portò all’ultimo sviluppo i modi compositivi del genere buffo napoletano, intensificando l’uso di brevi e ritmicamente ossessive formule, da cui nacque il famoso crescendo rossiniano.
Nel genere serio Rossini di liberò gradatamente dei modelli settecenteschi. Alla conquista del realismo drammatico che caratterizzerà il melodramma della fine del secolo, rispetto alle sue prime opere meno espressive, Rossini contribuì particolarmente con Mosè in Egitto, La donna del lago e Guillaume Tell
Tra le composizioni non teatrali: tra le sacre Stabat Mater, Petite messe solennelle,vocali da camera Soirees musicales (arie e duetti con pianoforte), tra le strumentali 6 sonate per 2 violini, viola e contrabbasso; variazioni per fiati e pianoforte, Quelques riens pour album per pianoforte
Rossini suggellò l’opera del ‘700 e anticipò i moti del melodramma. Il romanticismo come campo di inquietudini e passioni gli fu estraneo, ma con la sua straordinaria fantasia musicale fu capace di uno spettacolo musicale scintillante fatto di continue invenzioni e gaiezza ritmica
Vincenzo Bellini (Catania,1801-Parigi,1835)
Apparteneva ad una famiglia di musicisti: il nonno era operista e autore di musiche sacre, il padre, anch’egli compositore, fu il suo primo maestro. Nel 1819 si trasferì a Napoli dove completò gli studi al conservatorio. Al termine degli studi, dopo aver raccolto successi con le sue prime opere, Adelson e Salvini e Bianca e Gernaldo, sotto consiglio dell’impresario Barbaja, andò a Milano, dove Il pirata (1827) riscosse gran successo. Dopo La sonnambula e Norma(1831) tornò a Napoli per poi andare a Londra e Parigi, dove si stabilì e conobbe Chopin, Hugo, de Musset e il poeta tedesco Heine. Il suo ultimo lavoro fu I puritani (1835), rappresentato al Theatre Italien di Parigi, rappresentata pochi mesi prima della morte.
Alla sua morte aveva composto solo 10 opere, circa una ogni anno. A differenza di Rossini e Donizetti, il suo modo di lavorare, meditato e pieno di ripensamenti, lo rendeva poco adatto ai ritmi di produzione che il teatro esigeva. A differenza di molti suoi contemporanei, rifletteva attentamente. Non compose opere comiche, da cui non si sentiva attratto. Lavorò per lo più con lo stesso librettista, Felice Romani, poeta classicista.
Nelle opere belliniane la musica si esprime in melodie purissime. Per questo fu definito il più grande lirico del teatro dell’800. Accanto a melodie gentili troviamo canti di grande tensione emotiva che rapidamente di placa. Qualche storico giudicò la semplice purezza delle melodie come conseguenza di una carenza nella preparazione contrappuntistica, ma è opinione dei più che lo stile di Bellini riconosce semplicemente il primato della melodia.
Gaetano Donizetti (Bergamo,1797-1848)
Di famiglia molto povera, fu ammesso nel 1806 alle “Lezioni caritatevoli di musica” di Simone Mayr. Aiutato da Mayr, si trasferì a Bologna dove studiò sotto la guida di Mattei, già maestro di Rossini. Tornato a Bergamo, scrisse quartetti per archi, concerti, sinfonie e musica sacra. Un amico d’infanzia, Merelli, che poi diventò impresario, gli fornì il libretto della sua prima opera, Enrico di Borgogna (1818). Seguirono opere su commissione a Roma e Napoli. Il successo ottenuto a Napoli convinse l’impresario Barbaja a offrirgli un contratto nel 1827. Vi rimase per 10 anni di alterne vicende artistiche, ma funestati da lutti familiari, al termine dei quali si trasferì a Parigi, ma non vi rimase a lungo, per intraprendere nei 7 anni successivi viaggi per i teatri di Milano, Bergamo, Roma, Bologna, Napoli, Vienna e Parigi. Ammalato e affaticato a Parigi, fu colto nel 1845 da paralisi cerebrale e fu riportato a Bergamo
La sua opera, che conta 65 titoli (solo quelle complete), appartiene straordinariamente a tutti i generi di teatro italiano e francese dell’epoca:
Le opere serie ebbero un rilievo superiore al resto del suo teatro. Le opere comiche furono le ultime geniali testimonianze di un genere in via d’estinzione, svolte all’interno di una tradizione teatrale antecendente alle opere comiche del ‘700 e basate su prevedibili contrasti amorosi; contengono però anche scene di sentimento patetiche e aggraziate, gradite al pubblico che non si accontentava solo di ridere. La preferenza dell’opera seria da parte del pubblico è legata alle inclinazioni di sentimentalismo di matrice inglese e francese, ricca miniera letteraria a cui i librettisti potevano attingere. Donizetti scelse la poetica di “amore e morte” come sua preferita, tematica a cui aderì con un’invenzione musicale di uguale vigore drammatico e intensità sentimentale, affidando spesso ad appassionate donne-eroine, destinate a soccombere per morte violenta o pazzia, il ruolo di protagoniste.
Tra le composizioni non teatrali:
Spesso, nella sua produzione c’è discontinuità nella qualità, spesso anche all’interno della stessa opera. Questo è , conseguenza del suo modo di comporre frenetico. Nato nel periodo in cui dominava Rossini, ne fu certamente influenzato, ma nella maturità si svincolò dalle convenzioni rossiniane al vantaggio di una più intensa drammaticità. Fu l’anticipatore d’opera di Verdi.
Pacini e Mercadante furono contemporanei di Rossini, Bellini e Donizetti
Di umile famiglia, fu preso sotto la protezione di un commerciante di Busseto che lo fece studiare col direttore della banda cittadina; ottenne una borsa di studio al conservatorio di Milano, ma non fu ammesso per aver superato i limiti d’età. Studiò privatamente e tornò a Busseto, dove sposò Margherita Barezzi, figlia del suo protettore. Quando l’impresario Merelli accettò la sua prima opera, Oberto conte di S.Bonifacio (1839), si trasferì a Milano. Dopo l’insuccesso dell’opera buffa Un giorno di regno, dovuto allo stato d’animo di Verdi, che aveva perso in pochi mesi la giovane moglie e i due figli, ottenne grande successo col Nabucco (1842). Il successo lo portò a comporre e viaggiare tra varie città italiane, oltre che a Londra e Parigi, per poi tornare a Milano, dove tra i suoi amici erano l’editore Ricordi e La contessa Clara Maffei, oltre a letterati e artisti. Nel 1849 tornò a Busseto e sposò la soprano Giuseppina Strepponi. Nacquero qui i capolavori della maturità. Dai tempi del Nabucco, Verdi e la sua musica furono legati ai moti per l’Indipendenza dell’Italia risorgimentale. Fu anche politico, ma frequentò poco la camera; nel 1875 fu nominato senatore del Regno. Avvertì che i tempi stavano cambiando e si stavano facendo avanti gli scapigliati, che chiedevano “aria nuova” dall’estero, soprattutto dalla Germania (Wagner). Fu accesa polemica tra i sostenitori di Verdi e quelli di Wagner, ma il compositore non vi prese parte. Concluse la sua vita artistica coi capolavori Otello e Falstaff. Fondò nel 1896 a Milano la casa di riposo per anziani musicisti dove è custodita la sua salma.
Verdi compose 25 melodrammi, tutti seri ad eccezione del secondo, lo sfortunato Un giorno di regno e l’ultimo, Falstaff. Dividendo la sua produzione in tre periodi, si ricordano:
Altre composizioni furono: Messa di Requiem (1874) per l’anniversario della morte del Manzoni, 4 pezzi sacri (Ave Maria su scala enigmatica, Stabat Mater, Te Deum, Laudi alla Vergine), quartetto in mi min, alcune liriche per canto e pianoforte
Il dramma di Verdi rispecchia i valori e le idee del XIX sec. Gli intrecci delle opere non erano creazioni originali, esclusa l’Aida, su soggetto originale dell’egittologo Mariette, messa in scena per l’inaugurazione del canale di Suez. Solitamente i libretti sono tratti da classici quali Shakespeare, Schiller, Hugo, Byron, Dumas, tradotti sotto lo stretto controllo di Verdi. Varie tipologie di dramma; in alcune vicende private mescolate a sentimenti collettivi (Nabucco, Battaglia di Legnano, Vespri siciliani), altre riscoprono il gusto del romanzesco caro a Donizetti (Trovatore, La forza del destino), in altre ancora l’intreccio è basato sul contrasti tra i protagonisti e le loro motivazioni (Ballo in maschera, Aida, Falstaff), oppure c’è un personaggio che col suo sentimento motiva l’intera storia (Macbeth, Rigoletto, Traviata, Otello).
La struttura del melodramma nel primo ‘800, frammentata in una successione di pezzi chiusi, ostacolava la credibilità dell’azione teatrale. Verdi operò un graduale avvicinamento alla continuità, rompendo gli schemi dei pezzi chiusi, abolendo le cabalette e creando nuove grandi strutture che contenessero arie, recitativi, ariosi e pezzi d’insieme secondo le esigenze del libretto. Tornarono così in gioco i rapporti tra parola e musica, gli stessi che in una situazione diversa aveva affrontato Monteverdi. Superate le arie agghindate da inutili vocalizzi estranei alle situazioni drammatiche, Verdi ideò la parola scenica, una sorta di recitativo-arioso che sfocierà nelle ultime opere (Otello e Falstaff) nel declamato melodico sostenuto dall’orchestra
Le prime opere sono donizettiane, ma ben presto Verdi adottò un proprio stile vigoroso, fatto di frasi concise su ritmi balzanti, con pochi compiacimenti canori. Raggiunse in breve tempo il successo perché seppe forzare il melodramma a rappresentare i sentimenti comuni di personaggi concreti, non gli eroi superumani dei melodrammi passati. L’opera del primo periodo rappresenta lo scossone al melodramma ancora frammentato e irrealistico; con quella del secondo periodo Verdi inizia il percorso di abbandono delle forme tradizionali alla conquista del “declamato melodico”, che si manifesterà pienamente nelle opere del terzo periodo, entrambe su personaggi di Shakespeare, il poeta drammatico più ammirato da Verdi
Per la prima metà del XIX sec. in Italia vennero rappresentate solo opere italiane. Solo nel 1855, quando il genere in Francia era già al tramonto, arrivano in Italia i primi Grand-opera, con Profeta di Meerbeer, Faust di Gounod, L’ebrea di Halévy, La muta di Portici di Auber. La rappresentazione Bolognese di Lohengrin (1871) di Wagner e quella del Franco cacciatore di Weber segnarono l’inizio dell’interesse per l’opera romantica tedesca in Italia. Il contatto con la realtà operistica d’oltralpe fece nascere in alcuni giovani musicisti italiani il desiderio di rinnovare il melodramma. Il movimento cui diedero vita si appoggiò alla letteratura degli Scapigliati (noti letterati erano Emilio Praga e Giuseppe Rovani): come questi erano antimanzoniani, essi furono antiverdiani. Più a parole che a fatti, perché la polemica non ebbe molto seguito nei teatri.
Le maggiori personalità del movimento furono:
Il verismo letterario fu corrisposto da un movimento musicale retto da Leoncavallo, Puccini, Mascagni, Cilea, Giordano, detto “La giovane Scuola”. Al di là del nome, non sottointendeva alcun sodalizio artistico e i suoi contenuti esponenti letterari del verismo furono Verga e Capuana; il verismo si proponeva di rinnovare lo stile con poche descrizioni e molti dialoghi parlati, nei quali, a seconda dei diversi livelli di realtà sociale, dovevano corrispondere diversi livelli di linguaggio (inevitabile la caduta nel bozzettismo, la tranche de vie)
Ciò che accomunò gli operisti fu lo stile del canto: derivato dal declamato melodico verdiano, fu caricato da modi espressivi accesi e talvolta agitati, con frequenti escursioni nel registro acuto. Inoltre tutti gli operisti raggiunsero la fama con una sola acclamatissima opera
Alla generazione post-verista appartengono Montemezzi, Alfano, Ermanno Wolf-Ferrari
Ottenne una borsa di studio dalla regina Margherita per studiare a Milano. Il suo primo lavoro fu Le Villi e il successo ottenuto indusse Ricordi a commissionargli Edgar. Maggiore fu il successo di Manon Lescaut (1893), nella quale già si notano il suo senso del dramma, la ricchezza nell’invenzione melodica e il sottile gusto armonico. Dal 1891 si stabilì presso Viareggio e qui compose tutte le altre sue opere: Boheme (1896), Tosca (1900), Madama Butterfly (1904), La fanciulla del West (1910), segno del suo desiderio di rinnovamento sia nei libretti che nelle innovazioni espressive nella musica e Turandot, non conclusa a causa della malattia, un cancro alla gola
Concluse il secolo felice del melodramma italiano ed ebbe il compito di farsi interprete dello stile tardo romantico e morbido dell’età umbertiana, che non guardava più ai grandi personaggi e alle tematiche nobili coinvolgenti un popolo, una famiglia, una fazione, ma si rifaceva alle piccole cose del quotidiano, al particolare. Nel suo teatro rimane costante il tema di “amore e morte”; come e più che in Donizetti occupano grande spazio i personaggi femminili. Alcuni critici superficiali affermano che Puccini indovinò una formula e la ripropose costantemente. Invece le sue opere, numericamente poche, sono frutto di intensa ricerca musicale, frutto dello studio di Debussy, Stravinski e Schonberg, e drammatica, con l’attenta scelta dei libretti e il continuo lavoro sulla dizione cantata, segni evidenti di una volontà di stare al passo coi tempi pur rimanendo fedele a se stesso
TESI XXIII: Richard Wagner: importanza musicale e artistica, caratteri nazionali della sua produzione. I post-wagneriani
L’OPERA IN FRANCIA
Grandi mutamenti politici nella Francia del XIX sec: prima repubblica, impero napoleonico, breve seconda repubblica e secondo impero, comune di Parigi e terza repubblica. Non così numerosi, ma comunque in linea col mutamento dei costumi è il cambiamento nel teatro musicale: ultime vestigia della tragedie-lyrique, Grand-opéra, dramma lirico, dramma verista. I musicisti che emersero nel primo periodo non furono francesi: Cherubini, Spontini, Rossini, Bellini, Donizetti e Meyerbeer. Tra i francesi si ricordano Gounod, Bizet, Massenet e Berlioz.
La sede principale del teatro parigino era (e ancora lo è) l’Opéra. Fondata nel 1671 col nome di Academie Royale de musique e de danse, cambiò nome e sede varie volte; vi venivano rappresentate opere serie o tragiche cantate da capo a fondo, secondo la tradizione di Lulli.
Altro teatro frequentato era l’Opéra Comique, sede delle rappresentazioni di vario contenuto (serio compreso), in cui le parti dialogate non erano cantate. Quando queste opere venivano rappresentate all’Opéra, diventavano tutte cantate.
Il Théatre Italien era il più antico (inizio XVII sec.) e vi furono rappresentati per più di un secolo le Commedie dell’Arte italiane; verso la metà del ‘700 divennero più frequenti le rappresentazioni d’opera italiane
Nella Parigi della seconda metà dell’800 ebbe grande importanza il Théatre Lyrique, che mise in scena opere francesi e straniere tradotte in francese, generalmente di nuovissima uscita
Il passaggio dal gusto del tardo ‘700 al gusto del Grand-Opéra avvenne gradualmente, senza querelles. Escludendo pochissimi titoli, i toni romantici erano ancora lontani. I principali operisti di quel periodo furono:
Tra gli altri italiani che ebbero successo a Parigi, Fernando Paer di Parma con Le maitre de chapelle (1821) e che diresse il Théatre Italien, Michele Carafa di Colobrano, di illustre famiglia napoletana e ufficiale del generale Murat, e soprattutto Gioachino Rossini, a Parigi dal 1824 al 1829. Noto operista francese del primo ‘800 fu Francois-Adrien Boieldieu (1775-1834), che ottenne successo con Le calife de Bagdad, Le petit Chaperon Rouge, ma soprattutto con La dame blanche (1825), capolavoro di grazia leggera, spontaneità e naturalezza (Boieldieu come un Mozart francese)
Negli anni della restaurazione dei Borboni i più grandi successi furono la Dame blanche di Boieldieu, La muete de Portici di Auber e Guillaume Tell di Rossini. Questi successi furono in parte dovuti ai libretti, portatori di rivoluzionamento sociale e libertà, cioè le idee dell’alta borghesia parigina, ceto che avrebbe dominato con la monarchia costituzionale di Luigi Filippo d’Orleans. Sensibile agli ideali del tempo, Eugéne Scribe confezionò gli intrecci di molte nuove opéra-comique e molte Grand opéra, genere affermatosi intorno al 1830 le cui caratteristiche sono l’appariscente grandiosità, i soggetti storici ma romanzati, colpi di scena e violenti contrasti di passioni, messinscena spettacolare. Chi diede veste musicale a questo genere tipicamente francese fu un tedesco:
Grand-opéra e opéra-comique avevano soddisfatto sino alla metà dell’800 il gusto del pubblico francese, ma dalla seconda metà il popolo del Secondo Impero aveva nuove esigenze, che vennero intuite e soddisfatte da Léon Carvalho, impresario del Théatre Lyrique. Fu questo il tempo in cui i francesi conobbero la produzione teatrale di Mozart e Weber, dell’ultimo Verdi e dei compositori francesi nati tra il 1810 e il 1840, scarsamente apprezzati nelle sedi dell’Opéra e dell’Opéra Comique: Thomas, Gounod, Bizet e Messenet sono i maggiori esponenti del “dramma lirico”. Il pubblico non era più quello dell’alta borghesia, che si riconosceva nel fasto del Grand-opéra o nel disimpegno dell’opéra-comique, ma il ceto medio che costituiva il nerbo della società del Secondo Impero di Napoleone III. Il nuovo pubblico, più che soggetti originali e d’invenzione, gradiva la trasposizione in melodramma di opere celebri, spesso ridotte a canovaccio librettistico dalla coppia Barbier-Carrè, che aveva sostituito l’anziano Scribe. I maggiori operisti del dramma lirico furono:
Il teatro francese subì gli influssi wagneriani. Musicisti di quest’epoca furono:
L’OPERA IN GERMANIA
All’inizio dell’800 vi era grande attività teatrale, sia puramente drammatica che melodrammatica. Situazione esemplare quella di Weimar, in cui tra il 1791 e il 1817 sovraintendente del teatro di corte fu Wolfgang Goethe. Il genere musicale più acclamato era da oltre un secolo l’opera italiana, sostenuta dalle nuove creazioni di Rossini e Donizetti e gestita da personalità quali Salieri e Barbaja a Vienna, Spontini a Berlino. Pochi erano i teatri in cui si rappresentavano singspiele, più adatto al ceto medio, senza dimenticare che a questo genere appartiene il Fidelio e alcune opere di Schubert
L’affermazione del nazionalismo germanico e la consapevolezza del determinante apporto viennese alla musica europea alimentarono il desiderio di un teatro musicale tedesco. Il critico, narratore, compositore e direttore d’orchestra Ernst Theodor Amadeus Hoffmann affermò che l’opera tedesca doveva avere un indivisibile carattere unitario e ricordò che Gluck si era mosso in questa direzione, anticipando la proposta wagneriana. Vero creatore dell’opera romantica fu
Carl Maria von Weber (1786-1826) era figlio di un direttore di una compagnia teatrale ambulante. A causa dei continui trasferimenti studiò con vari maestri. Dopo la direzione di alcuni teatri di città minori, esordì come esecutore pianistico, proseguendo gli studi di composizione. Nel 1813 divenne maestro di cappella a Praga, poi diresse il teatro dell’opera di Dresda, che rappresentò ancora opere italiane, in mancanza di un repertorio tedesco. Le sue opere più note appartengono esclusivamente al periodo della maturità: Preciosa (1820) il capolavoro romantico Der Freischutz (1821), le opere romantiche Euryante (1823) e Oberon (1826). Le prime opere invece, di minor valore, sono tributarie di uno stile a metà tra il singspiel e l’opera-comique. Con la maturità il suo stile approda all’opera romantica: nuovo nell’umanità dei personaggi e nei loro fremiti romantici, nuove le melodie, particolarmente cantabili, nuova l’orchestrazione, con la messa in valore di nuovi timbri (clarinetto e corno), nuovi i soggetti delle opere: demonismo in Freischutz, esotismo in Preciosa, fiaba in Oberon. Tra le composizioni non teatrali primeggiano le composizioni per pianoforte: 4 sonate, bilanciate tra il conflitto della forma e lo slancio del virtuosismo romantico, alcune composizioni virtuosistiche (Momento capriccioso, Grande polacca, , Rondò brillante, Invito alla danza), concerti per solista e orchestra (2 per pianoforte, 2 per clarinetto), numerosi lieder, alcune sinfonie, poca musica da camera.
Weber è considerato uno dei grandi esponenti del romanticismo tedesco. Freischutz è la spia della nuova musica che precorre l’opera wagneriana.
Di tutte le sue opere Wagner scrisse pure i libretti. Dopo i primi lavori sotto il segno dei Grand-opera, fu negli anni di Dresda che, con L’Olandese volante, Tannhauser e Lohengrin, Wagner giunse al genere dell’opera romantica. Queste 3 opere hanno in comune il tema della redenzione dal male con un atto d’amore e l’ambientazione non è più storica, ma mitologica medioevale. Formalmente Wagner cercò di superare la strutturazione in pezzi chiusi, e vi riuscì in Tannhauser, non più diviso in brani ma in scene. Il superamento dell’opera romantica si ebbe con Tristano e Isotta e le successive, che appartengono al nuovo genere di “dramma musicale”: ogni atto del dramma wagneriano si presenta come una sinfonia o un tempo di sinfonia con i suoi temi e lo svolgimento ininterrotto dell’azione; questa caratteristica tecnica, chiamata leitmotive (anche se Wagner la chiamò originariamente “Grundtheme”) era costituita da decine di temi a cui erano associati gli elementi del dramma (un personaggio, un oggetto, una situazione, un sentimento) e che potevano combinarsi in accordo a quanto accadeva nella vicenda. In questo modo veniva presentata nel dramma una “melodia infinita”, dall’inizio alla fine dell’atto. La conseguenza nei libretti di questo modo di comporre fu il naturale abbandono della distribuzione in strofe e dell’impiego della rima. Dal punto di vista dell’orchestrazione, Wagner, sostenuto dai compositori contemporanei, superò i limiti del sistema tonale attraverso il largo impiego di accordi dissonanti già da Tristano e Isotta. Nella sua orchestra accolse i nuovi strumenti: l’ottavino, il corno inglese, il clarinetto basso, il controfagotto, il trombone basso, oltre alla tuba wagneriana, inventata da lui stesso.
Unico tra i musicisti, Wagner assorbì le nuove voci della letteratura, del teatro, della musica, del pensiero filosofico e le ordinò in un’opera teatrale di valore unico nella sua novità, determinando il culmine dell’arte romantica. Oltre al raro istinto drammatico e l’incessante fluire melodico, possedeva un fortissimo senso della storia. I legami con Beethoven e Weber diedero alla sua opera il senso di una missione in favore dell’arte tedesca e del suo primato. Pochi compositori come lui suscitarono seguaci, ma anche opposizioni: sulla sua scia il teatro di R.Strauss, di Humperdinck (Hansel und Gretel), mentre in Francia il teatro di Reyer, Chabrier, d’Indy. L’atonalità di Schoenberg e di Berg germinò dal cromatismo di Tristano e Isotta. In Italia le opere di Wagner tradotte in italiano suscitarono molte polemiche e un moto di reazione antiverdiana, all’insegna di un imprecisato rinnovamento generazionale (scapigliatura), a cui Verdi scelse di non prender parte, né reagire
TESI XXIV: Origini e prime forme della musica strumentale moderna: canzone, fantasia, ricercare, toccata e fuga
La musica puramente strumentale come atto di creazione artistica ebbe vita a partire dal Rinascimento. Tuttavia ciò non sarebbe avvenuto se durante il Medioevo non si fossero utilizzati strumenti per raddoppiare le voci o sostituirle, come di solito avveniva nelle frottole e più avanti nei madrigali. Questi impieghi sostitutivi delle voci, dalle sonorità prolungate, con alcuni strumenti a corda, dalle sonorità esili e brevi, favorì lo sviluppo di abbellimenti riempitivi, che nei trattati rinascimentali erano chiamati coloriture, diminuzioni, passaggi.
Le composizioni strumentali del primo ‘500 erano legate alla musica vocale, inizialmente semplici trascrizioni. Le prime ad essere autonome dalla vocalità furono le forme che richiamavano l’improvvisazione (toccate) e le musiche per la danza.
La distinzione tra ‘500 e ‘600, col passaggio dalla polifonia vocale alla monodia, non è valida per la musica strumentale. Ci sono solo sporadiche composizioni per violino e b.c., mentre per gli strumenti polivoci (organo, clavicembalo, clavicordo e liuto) ci fu continuità tra Rinascimento e primo Barocco
LE FORME STRUMENTALI NEL RINASCIMENTO E NEL PRIMO BAROCCO
Furono numerose e varie, come vari e contraddittori erano i nomi attribuiti a ciascuna forma (accadeva anche che una stessa forma avesse nomi differenti). Per non creare confusione, le composizioni strumentali verranno divise in:
Il ricercare era una severa forma di contrappunto strumentale. Non è derivata dal mottetto, come si pensò per anni, perché nel mottetto la fisionomia dei temi è subordinata dal testo, mentre nel ricercare si ricorre con libertà agli artifici della scrittura contrappuntistica; inoltre il mottetto è formato da molti brevi brani, a differenza del ricercare, formato da pochi (spesso uno solo) brani estesi, derivanti generalmente da un soggetto per sezione (a volte il soggetto del primo brano veniva usato anche nei seguenti). Lasciarono ricercari A. Gabrieli, Padovano, Merulo, Trabaci, ma soprattutto Frescobaldi. Il ricercare ebbe fortuna anche in Austria e Germania con Hassler, Froberger, Fischer e Bach (con l’Offerta musicale). In Spagna il ricercare, col nome di tiento, fu coltivato da Cabezon.
La canzona strumentale detta anche canzona da sonar, canzona sonata o canzona francese nacque all’inizio del XVI sec.(Cavazzoni) come trascrizione strumentale della chanson polifonica francese. Si svincolò dai modelli vocali gradatamente (A. Gabrieli, Merulo) per poi giungere all’autonomia con Ingegneri, Maschera e Frescobaldi (e allievi, tra cui Kerll e Froberger). Conservarono e accentuarono gli attributi fondamentali (espressivi, formali e stilistici) del modello vocale, vale a dire: vivacità melodica e ritmica, al contrario della severità del ricercare, alternanza di sezioni contrastanti per ritmica (binaria-ternaria) e scrittura (contrappunto imitato-libero ). Di solito era destinata al clavicembalo o all’organo.
La fuga prima del Barocco era sinonimo di canone e solo dopo la metà del XVII sec.divenne quella che ora conosciamo come la più elaborata delle composizioni strumentali. Erede della canzona strumentale e del ricercare a un solo soggetto, si differenziava da esse per la maggior ampiezza e complessità, oltre che per l’adozione delle moderne scale tonali e delle modulazioni. Spesso non è una composizione isolata, ma è preceduta da un’altra composizione in stile libero, ma nella stessa tonalità. (…solite chiacchere sulla fuga…)
La fantasia mescola variamente stile imitato e libero. In Inghilterra fu chiamata fancy, da ricordare il compositore inglese Byrd. (…solite chiacchere sulla fantasia…)
La toccata, composizione per strumento a tastiera, nacque attorno al XVI sec.probabilmente dall’esigenza di anticipare con l’organo, con un breve preludio improvvisato, un canto liturgico. Gli elementi tipici della toccata sono massicci accordi inframmezzati da rapide scale e arpeggi. Questo tipo di toccata fu perfezionato da Merulo, Rossi, Pasquini, Zipoli, D.Scarlatti in alcune sue sonate, ma soprattutto da Frescobaldi, che fu esempio per i compositori d’oltralpe: Hassler, Froberger, Kerll, Muffat, Pachelbel. Al contrario delle toccate italiane, in quelle tedesche era solitamente assente lo stile imitato, mentre si sviluppavano fantasiosi passaggi. Lo sviluppo di questo tipo di toccata andò di pari passo con le tecniche costruttive dell’organo tedesco, ben più avanzato di quello italiano. Maestri della toccata tedesca furono Reinken, Tunder, Buxtehude e Bach. Con loro entrò in uso l’accoppiamento (solo organistico) tra la toccata e la fuga. Lo stile della toccata per strumento a tastiera ha riscontro nei ricercare per liuto, meno frequentemente nelle raccolte per viola.
Fin dal ‘400 i balli, al centro delle cerimonie di corte, ma anche nelle riunioni dei nobili e nella vita di società della classe media, erano accompagnati da musica strumentale, ma sino al XVI sec, con la stampa, non ci sono giunte molte composizioni, essendo per lo più improvvisate o manoscritte. Negli usi esecutivi le danze erano a gruppi contrastanti di 2 o 3: lenta e binaria la prima, danzata con portamento solenne, mossa e ternaria la seconda, danzata con grazia e leggerezza o esuberanza. Classici erano gli accoppiamenti pavana e gagliarda, poi passamezzo e saltarello. In questo periodo si affermarono l’allemanda e la corrente.
Grande impiego per la musica strumentale del ‘500 ma soprattutto del ‘600. Si distinsero le variazioni su basso (basso ostinato di 4, mai più di 8 battute con variazioni alla voce superiore, come nei ground, passacaglie e ciaccone dall’andamento ternario) e le variazioni melodiche (…un po’ delle solite chiacchere sulle variazioni…).
Da ricordare le diferencias spagnole, basate su noti motivi popolari e le variazioni su canzoni popolari inglesi di Byrd. In Italia all’inizio del XVII sec. si chiamavano “partite” le variazioni costruite su melodie note (La Follia, Il Ruggero, La Monica, La Bergamasca…), che spesso avevano carattere di danza.
Una parte non piccola della musica liturgica per organo era costituita da variazioni su cantus firmus (cattolici) o corali (luterani). Il procedimento di alternare parti organistiche al più comune repertorio gregoriano diede origine alla composizione delle messe d’organo. Analogamente nelle chiese luterane nacque il Choralvorspiel (preludio al corale), con le melodie del corale, a valori larghi, usato come cantus firmus, mentre le altre voci svolgevano il contrappunto. Il coronamento e la conclusione storica di questo tipo di composizioni furono le 150 composizioni organistiche su corale di Bach
I COMPOSITORI
Alcune connotazioni accomunano i compositori di musica strumentale del ‘500 e primo ‘600:
Tra le spiegazioni della diffusione del liuto nella civiltà rinascimentale e post rinascimentale vi erano la facilità di maneggio dello strumento, la facilità del suo impiego grazie alle intavolature, il suono dolce e rotondo di dimensione cameristica, la possibilità di usarlo anche come strumento solista.
La scuola liutistica italiana durò circa 100 anni, a partire dall’inizio del XVI sec. I primi strumentisti furono Spinacino e Dalza. Famoso improvvisatore e compositore fecondo fu Francesco Canova da Milano. Anche Vincenzo Galilei, padre di Galileo, scrisse per liuto.
Nella produzione liutistica francese dopo il 1550 ebbe grande importanza la musica da ballo e gli airs de cour. Tra i nomi più noti Adrian Le Roy, anche editore, mentre nella successiva generazione i cugini Gaultier. La tradizione liutistica francese influenzò la nascente scuola clavicembalistica.
In Germania il liuto ebbe lunga fortuna, fu infatti usato come strumento solista sino alla prima metà del ‘700. Tra i noti compositori per liuto tedeschi, Schlicht, Neusiedler, Weiss, Telemann e Bach.
La produzione liutistica inglese fu dominata tra il XVI e il XVII sec. da Dowland.
In Spagna per gran parte del ‘500 ebbe successo la vihuela de mano, simile al liuto. Noti compositori Luis de Milan, Luis de Narvaez, Antonio de Cabezon. Negli ultimi anni del secolo la vihuela de mano fu soppiantata dalla guitarra espanola a 5 corde
ORGANISTI E CLAVICEMBALISTI
Nel XVI e XVII sec.la distinzione tra musica per organo, clavicordo e clavicembalo non era netta, anche se nelle chiese si suonava l’organo e ai balli il clavicembalo. Sebbene infatti differenti per timbro, le composizioni potevano essere indipendentemente eseguite su tutti e tre gli strumenti. A riprova di questo fatto i titoli delle raccolte “per ogni sorta di strumenti da tasti”
La scuola organistica italiana trattò tutte le forme di musica per strumenti a tastiera, cosa che non si verificò oltralpe
I 2 organi di S.Marco furono il centro della produzione organistica italiana nella seconda metà del secolo; uno tra i maggiori organisti fu, accanto ad
Nell’ultimo quarto del XVI sec.e nel primo quarto del XVII sec. si affermò la scuola cembalo-organistica napoletana, i cui precedenti si riconoscono nel madrigale di Carlo Gesualdo da Venosa. I napoletani risentivano più che dell’influenza veneziana, di quella spagnola di Cabezon e anticiparono lo stile frescobaldiano. Esponenti della scuola:
Le composizioni sono prevalentemente per strumento a tastiera. Scrisse numerose raccolte:
Fu il maggior compositore strumentale europeo della prima metà del ‘600. Operò la sintesi delle scuole veneziana e napoletana. Caratteristiche della sua arte sono la padronanza virtuosistica del contrappunto, come i massimi maestri fiamminghi, e la grande libertà di immaginazione. Si poneva problemi di scrittura per il solo gusto di risolverli (“capriccio cromatico con ligature al contrario”, “ricercare con l’obbligo di non uscir di grado”. La sua fantasia è evidente nelle tecniche di variazione, e persino nei ricercare, che formalmente sono le forme più lontane dall’espressione liberamente fantasiosa
Nel periodo di Elisabetta I Tudor e Giacomo I Stuart, tra la fine del XVI sec. e l’inizio del XVII sec., si affermò la scuola virginalistica inglese. Gli inglesi chiamavano virginals gli strumenti a corde pizzicate e a cassa rettangolare o oblunga, come la spinetta. I maggiori esponenti, Byrd, Bull e Gibbons, nacquero a circa 20 anni di distanza e morirono tutti tra 1620 1630. La scuola non ebbe antecedenti, se non quelli riferibili alla musica organistica, né un seguito, dopo la morte dei 3 maggiori esponenti
Patria per 2 secoli della scuola vocale contrappuntistica sacra, il Belgio cattolico e la Fiandra protestante diedero scarso contributo allo sviluppo della musica da tastiera. Unico compositore da ricordarsi fu Sweelinck (1562-1621), organista nella Chiesa Vecchia di Amsterdam. Autore di circa 70 composizioni per organo (elaborazioni di corali) e clavicembalo (variazioni su canti popolari), oltre che fantasie e toccate, si rifece sia scuola dei virginalisti inglesi che alla lezione della scuola veneziana di Merulo e dei Gabrieli. Strano il fatto che egli, convinto calvinista, abbia scritto rielaborazioni di corali, probabilmente lo fece per i suoi allievi tedeschi oppure per riproporre tali composizioni al di fuori della liturgia
La musica da tasto esplose in Germania all’inizio dell’età barocca. In un paese politicamente frazionato il decentramento delle manifestazioni artistiche facilità la diffusione della pratica organistica e clavicembalistica anche nei centri minori: infatti si distinguono storicamente 3 scuole: la meridionale, nell’Austria e nella Baviera (cattoliche), la centrale con Halle, Norimberga e Lipsia, e la settentrionale con Amburgo e Lubecca (entrambe luterane).
Tra una folla di validi organisti spiccano:
TESI XXV: La musica strumentale nel secolo XXVII: la suite e le sue origini; la partita. Sonate da chiesa e sonate da camera. Compositori organisti, violinisti e cembalisti italiani e stranieri
Durante il periodo di mezzo del Barocco, la seconda metà del XVII sec, molte forme del primo Barocco si estinsero, ma rimasero sempre presenti toccate e forme derivate dall’elaborazione del corale, e si imposero nuove forme strumentali: la suite e la sonata barocca. Crebbe l’importanza del clavicembalo e del violino
DALLE DANZE RINASCIMENTALI ALLA SUITE BAROCCA
Hanno in comune il fatto di essere basati su ritmi di danza.
I balli di società servivano per l’intrattenimento della nobiltà e delle classi abbienti e si svolgevano in vari modi: coppia chiusa, aperta, in gruppo; con passi strisciati, sollevati, saltati. Elevato era il numero di balli: pavane e gagliarde, passamezzo e saltarello, branle, courante, passepied. Molti balli avevano origini popolari francesi. Era indifferente che le musiche avessero dignità artistica, poiché esistevano solo in funzione dei movimenti coreutici delle danze.
I balletti, danze di teatro nacquero nel XVII sec.quando il pubblico smise di partecipare alle danze e divenne spettatore, non più in grado di eseguire le complesse coreografie e i difficili passi.
La suite era una forma musicale da ascolto che aveva ritmi di danza. Indirettamente fu tributaria della creatività di Lulli.
Nacque dall’abitudine di collegare 2 o 3 danze. “Suite” è un vocabolo francese che significa successione, ma non fu usato dai francesi, che preferirono il termine pieces de clavecin, mentre fu usato dai tedeschi, anche col sinonimo di partita, mentre nel caso di insiemi non da tasto fu chiamata ouverture o suite-ouverture. In Italia le successioni di danze si trovarono spesso in sonate da camera per violino e basso. In Inghilterra si chiamò lesson.
(… solite chiacchere sulla suite…)
Fu diffusa soprattutto in Germania e Francia, ma anche in Inghilterra (Purcell) e scarsamente in Italia (Pasquini). La successione delle 4 danze principali fu definita da Froberger. In Francia le danze non erano distribuite secondo il modello formale (per questo non si chiamarono suite, ma pieces de clavecin) e spesso vi erano altre danze estranee alla suite tradizionale. L’uso massiccio di abbellimenti nei pieces de clavecin rese necessaria l’adozione di tavole in prefazione che ne spiegassero la risoluzione
Nella Germania settentrionale l’elaborazione organistica del corale si deve principalmente a Buxtehude, Reinken e Bohm. Alla fine del XVII sec. si giunse alla sintesi di 3 forme fondamentali del corale per organo:
ORGANISTI E CLAVICEMBALISTI
Dopo Frescobaldi la produzione cembalo-organistica italiana si inaridì, in coincidenza con il crescente sviluppo della musica per strumenti ad arco. Tra i musicisti che lasciarono notevoli composizioni per strumenti a tastiera figurano Alessandro Scarlatti, con circa 50 composizioni per tastiera, quasi tutte toccate, ripartite in più sezioni, dai caratteri brillanti e clavicembalistici; spesso studi brillanti, rivelano il piacere dell’improvvisazione, si concludono spesso con libere fughe.
Bernardo Pasquini (1637-1710), organista a Roma, clavicembalista per il principe Borghese e direttore dei concerti di Cristina di Svezia, maestro di Muffat e Gasparini, scrisse una dozzina di opere teatrali, cantate, mottetti. La produzione da tastiera comprende 35 toccate, 17 suites, 35 sonate scritte solo come basso numerato, brani in contrappunto imitato (capricci e ricercari), 18 serie di variazioni (tra cui le Partite diverse di La Follia), 25 arie, danze. Il meglio lo espresse col clavicembalo, semplice nel pensiero melodico. Fu il primo italiano a comporre suites. Trattò magistralmente le variazioni
Vienna fu il principale centro della musica da tasto europea. Vi operarono Kerll, Poglietti, Strunck, Muffat, Fux e
Johann Jacob Froberger (1616-1667), allievo di Frescobaldi, fu organista alla corte di Vienna, ma fece numerosi viaggi ed esperienze, che si riflettono nella sua opera. Lasciò toccate, capricci, canzoni, fantasie, e ricercari per organo, 30 suites per clavicembalo. Tratti autobiografici emergono da alcune allemande, commossi lamenti o compianti per la morte di alcuni personaggi conosciuti e ammirati dall’autore
Le chiese luterane delle principali città furono sede di importante produzione organistica, spesso accompagnata dall’elevata tecnica costruttiva degli organi, di grandi dimensioni rispetto al resto d’Europa. Tra gli organisti più noti, che si mossero spesso entro i confini del corale per organo ricordiamo
Era il luogo dove crebbe, visse e operò la famiglia Bach. Caratteristico di questa zona è il gran numero di città e chiese in cui la musica da tastiera era coltivata. Si ricordano Heinrich Bach, prozio di J.S., e i suoi figli. Le personalità maggiori però furono:
La musica organistica era ben separata da quella clavicembalistica (“Livres d’orgue”, con brani di musica sacra cattolica, e “pieces de clavecin”, con danze profane). Così separati erano anche i compositori d’organo (Nivers, Gigault, Boyvin) da quelli di clavicembalo (Louis Couperin, Jean Henry d’Anglebert). Anche in Inghilterra la musica per organo (coi Voluntaries e i Verses) è divisa da quella per clavicembalo (Lessons e danze)
Alla fine del ‘500 il nome “sonata” indicava il contrasto con la musica cantata, in luogo di abbreviazione di canzona da sonar. Come la canzone strumentale, le prime sonate avevano un solo tempo, diviso in brevi sezioni di ritmo e andamento differente. Solitamente, mentre le canzoni da sonar erano destinate a strumenti a tastiera, le sonate erano scritte per violino e basso continuo; la nascita delle sonate fu infatti contemporanea allo sviluppo della grande liuteria padana (Amati, Guarneri e Stradivari a Cremona, oltre ai liutai di Milano, Brescia e Venezia). Il distacco dalla forma della canzona strumentale si ebbe con la trasformazione in un organismo strutturato in più tempi. A partire dal 1635 si iniziò a ridurre il numero dei tempi, che diventarono progressivamente più lunghi
La distinzione tra le 2 forme non fu mai rigida. Erano pubblicate tradizionalmente in fascicoli separati. Generalmente le formazioni erano da 2 violini + b.c. (sonata a 3) o violino solo + b.c. (sonata a solo). Se il basso non era continuo, ma melodico, poteva essere affidato a violoncello o viola da gamba, raramente ad uno strumento a fiato
VIOLINISTI COMPOSITORI
Prodotti italiani sia il violino che la sonata, italiani furono la maggior parte dei violinisti compositori. Creatore della sonata per violino e b.c. fu probabilmente Biagio Marini nel 1617, lo seguirono Farina e Merula. Tra i più noti ci fu
Arcangelo Corelli (1653-1713) studiò con Benvenuti e Brugnoli a Bologna, a quel tempo il più avanzato centro di studi per strumenti ad arco. Si trasferì nel 1671 a Roma. In città vi erano i mecenati Cristina di Svezia e i cardinali Pamphili e Ottoboni. Corelli, immerso nel nascente clima d’Arcadia, a contatto con Pasquini e, più avanti, con A.Scarlatti ed Handel, la figura del violinista crebbe di statura e autorità, sia come compositore che come esecutore e direttore.
La sua opera è incentrata unicamente sul violino: 4 raccolte di sonate a 3 (op.1-4), da chiesa e da camera, di scrittura semplice sia violinisticamente che contrappuntisticamente; una di sonate per violino e cembalo op.5 (raccolta molto nota, ha ancora valore didattico), ancora senza passaggi violinistici troppo arditi, ma con note doppie e arpeggi, l’op.5 si chiude con 24 variazioni sul tema della Follia; una di concerti grossi (vedi tesi XXVI). Si può dire che le ultime 2 raccolte precorrano i tempi.
Fu uno dei pochi compositori barocchi la cui fama si prolungò per parecchi decenni dopo la morte. La sua musica era fatta di chiarezza, di simmetrie, espressività e aristocratica varietà
La sonata a 3 e la sonata a solo per violino fu coltivata anche all’estero, con Purcell, Handel, Couperin, Muffat, Reinken, Buxtehude, Fux per le sonate a 3; Walther e von Biber per le sonate a solo. Tutti presero a modello, soprattutto nelle sonate a 3, le sonate italiane
TESI XXVI: La musica strumentale italiana nel XXVIII sec: concerto grosso e concerto solista. Origini italiane della sonata e della sinfonia moderna. Cenni storici sull’organo, sul violino, sul pianoforte e sul clavicembalo (cembalari, organari e liutai)
IL CONCERTO BAROCCO
“concerto” significa sia “legare insieme” che “lottare con”, è quindi una composizione in cui coesistono elementi sia aggreganti che contrastanti. Lo stile concertante del XVII sec., dei Gabrieli, Banchieri, Viadana, Monteverdi, indicava la mescolanza di voci e strumenti. Invece il concerto barocco fu forma strumentale dedicata agli archi + b.c. e l’elemento caratterizzante era il contrasto Soli/Tutti. Si affrancò dalla scrittura contrappuntistica grazie a nuovi elementi linguistico-strutturali, in particolare:
Il principio fondamentale è il contrasto tra concerto grosso e concertino. L’ “inventore” del Concerto Grosso fu Alessandro Stradella, che intuì l’effetto che poteva ottenere raddoppiando in alcune parti le voci della sonata a 3. Poco più avanti, intorno al 1680, Corelli scriveva 12 Concerti Grossi, 8 da chiesa (l’ottavo è il famoso “fatto per la notte di Natale”) e 4 da camera. Ogni concerto è diviso in 4-6 tempi. La scrittura assomiglia un po’ a quella corale, molto equilibrata tra le parti.
Se il concerto grosso ebbe origine romane, quello solistico ebbe origini bolognesi, prima di passare a Venezia. Particolare merito ebbe Giuseppe Torelli
La storiografia classica fece spesso una distinzione netta tra concerto solistico e concerto grosso. Invece non sono poche le raccolte che sotto il nome generico di “concerti” uniscono a concerti grossi concerti solistici, inoltre in raccolte di concerti grossi possono essere presenti concerti solistici, come nell’op.8 di Torelli. Un elemento di distinzione stilistica tra concerto grosso e concerto solistico è che nel primo il concertino tende ad integrarsi nel Tutti, mentre nel secondo il Solo tende da contrapporsi al Tutti
La produzione fu copiosa in Italia nella prima metà del ‘700, poi andò scemando e si esaurì. Importanti contributi diedero gli allievi di Corelli, Geminiani in Inghilterra e Locatelli in Olanda, i compositori veneti, tra cui Albinoni, Marcello e Vivaldi, oltre a A.Scarlatti, Manfredini, Tessarini
Tra gli stranieri il primo che pubblicò concerti grossi fu Muffat. Handel in Inghilterra con l’op.3 e 6. Bach con i 6Concerti Brandeburghesi. Il concerto grosso influì anche sulle suites orchestrali di Fux e Telemann
All’inizio della sua storia il concerto solistico era già definito nella sua forma. Era in 3 tempi, veloce-lento-veloce. Il contrasto Soli/Tutti si aveva solo nei tempi veloci. I Tutti eseguono i ritornelli, che aprono e chiudono gli Allegri, oltre a intercalare i Soli. I ritornelli sono fatti della stessa materia musicale, il primo e l’ultimo in tonalità d’impianto, gli altri modulanti alla dominante o in tonalità vicine. Il concerto barocco si definì nella forma delle circa 450 composizioni di questo tipo ad opera di Vivaldi:
Rit I (tonica), Solo I (da ton. a dom.), Rit II (dominante), Solo II (da dom. a rel.min.), Rit III (nel rel.min.), Solo III (dal rel.min. a ton), Rit IV (tonica). Lo schema è valido per il concerto in tonalità maggiore, se è in tonalità minore al posto della modulazione alla dominante ve n’è una al relativo maggiore, mentre al posto della mod.al rel.min. si passa alla dominante.
I ritornelli vivaldiani non sono veri e propri temi, ma sono formati da più motivi interconnessi tra loro . Le virtuosistiche sezioni solistiche modulanti derivano spesso da motivi presenti nel ritornello, ma possono anche essere indipendenti. Nel tempo lento il lirismo è affidato principalmente allo strumento solista, tenuemente accompagnato dal b.c., e rari interventi dei Tutti. Vivaldi fu l’unico italiano che affidò la parte solistica non solo a violino, ma anche a violoncello, viola d’amore, strumenti a fiato (flauto, ottavino, oboe, fagotto, tromba) e a pizzico (mandolino). Dopo Vivaldi furono personalità di spicco nel concerto solistico solo
Locatelli, ricordato per L’arte del violino con 12 concerti per violino solo e 24 capricci in appendice, che hanno funzione di cadenze (2 per ogni Allegro di concerto) e Tartini
Conobbe grande diffusione in Germania. L’alto numero di corti principesche e la formazione nelle città libere di un collegium musicum formato da strumentisti dilettanti, fu terreno propizio per la diffusione del concerto. Torelli e Vivaldi influenzarono notevolmente i maestri sassoni (Pisendel, Heinichen, Graupner) e berlinesi (Quantz, Gottlieb, Graun) oltre a Bach e Telemann. Il numero assai alto di concerti solistici si spiega con la crescente passione del pubblico per il facile virtuosismo, anche a scapito dei pregi musicali. Lo strumento solista privilegiato non fu più il violino, per la mancanza di validi solisti, ma gli strumenti a fiato e il clavicembalo
Georg Philipp Telemann (1681-1767) coetaneo di Bach, svolse la maggior parte della sua attività ad Amburgo coltivando tutti i generi, dal teatro alla musica sacra luterana (circa 1400 cantate), oratori, lieder e musica da camera. La sua musica strumentale era basata sul contrappunto, sulla ricchezza formale della suite francese, e sulla tecnica del concerto italiano. Godeva della fama di massimo compositore strumentale tedesco, più di Bach, conosciuto poco e male.
Bach studiò molto e a lungo il concerto solistico italiano, estraneo alla sua formazione strumentale. Trascrisse per organo o clavicembalo numerosi concerti italiani, tra cui 9 di Vivaldi. Bach fu tra i primi a scrivere concerti solistici per clavicembalo.
In Francia il concerto solistico fu portato nel 1733 da Somis, allievo di Corelli e successivamente dall’allievo
Leclair (1697-1764), che pubblicò 2 raccolte che ricalcano i modelli di Vivaldi e Locatelli e 48 sonate per violino e basso. E’considerato il fondatore della scuola strumentale francese e dosò la purezza classica della melodia corelliana, con la ricca ornamentazione della scuola clavicembalistica.
In Inghilterra il concerto solistico comparve tardi, con i concerti per organo op.4 e 7 di Handel. Gli organi inglesi non avevano ancora la pedaliera e la scrittura solistica assomigliava molto a quella per clavicembalo. Uno tra gli autori più apprezzati fu Giuseppe Sammartini, fratello del più noto Giovan Battista
L’altra forma coltivata dai violinisti compositori, oltre al concerto, era la sonata. La produzione sonatistica tardobarocca fu molto influenzata dalle sonate op.5 di Corelli, caratterizzate da una cantabilità umana, quella dei grandi maestri del melodramma. La grande operosità degli allievi della scuola di Corelli diffusero la sua arte in tutt’Europa, in particolare nella “palladiana” Inghilterra, dove soggiornarono a lungo Veracini, Castrucci, Geminiani. Ad Amsterdam operò Locatelli.
La distinzione tra sonata da chiesa e sonata da camera svanì rapidamente. Erano generalmente in 3 o 4 tempi La struttura è bipartita con modulazione I-V, poi V-I. La seconda parte riprendeva il materiale tematico della prima
VIOLINISTI COMPOSITORI
Vivaldi fu insieme ad Handel, il compositore più apprezzato d’Europa , sebbene in altre regioni vivessero contemporanei di livello uguale o superiore (Bach in Germania e Rameau in Francia). La fama, che deriva dai concerti, di Vivaldi oltrepassò le frontiere (grande l’accoglienza ad Amsterdam). Le ragioni del suo successo sono dovute alla qualità della musica e alle chiare connotazioni dei suoi concerti: motivi tematici incisivi e chiaramente inseriti nella struttura formale, Allegro balzanti e dai ritmi stimolanti, che contrastano la distesa serenità degli Adagio, la marcata tensione tra Soli e Tutti. Questo antagonismo rivelò una forza drammatica precedentemente sconosciuta al concerto. Il senso del tempo psicologico risparmia cadute di tensione, lungaggini e indugi
Influenzato inizialmente da Corelli, se ne allontanò presto alla ricerca di tematiche personali, soprattutto nel primo tempo, e un approfondimento espressivo nell’Adagio. Nei concerti la consueta alternanza Solo/Tutti si accompagna ad un primo avvicinamento alla forma sonata classica
LA MUSICA PER STRUMENTI A TASTIERA
Dopo l’epoca della scuola di Frescobaldi, l’importanza dell’organo nell’Europa cattolica diminuì a favore di quella del clavicembalo. Le motivazioni sono di ragione liturgica: nelle regioni protestanti il luteranesimo favorì la conservazione del corale per organo e delle composizioni affini, sostenute anche dalla tecnica costruttiva superiore degli organi. In Italia, Francia, Austria e Baviera invece gli organi erano modesti e spesso privi di pedaliera; la musica sacra era prevalentemente vocale e bastava un organo positivo per realizzare il b.c., oppure il sostengo degli archi.
Nella stampa in Italia si conservò la tradizione di Frescobaldi e Pasquini, cioè rimasero unite nelle stesse raccolte musiche per organo e clavicembalo. In Francia le raccolte rimasero distinte (“livres d’orgue” e “pieces de clavecin”). Distinte erano anche in Germania, per quanto il termine “clavier” indicasse genericamente uno strumento a tastiera.
Oltre alla suite, la sonata coltivata dagli italiani divenne presto la forma prevalente, comunemente di forma binaria (I-V, V-I. Nuova forma apprezzata soprattutto in Francia fu il rondeau (ABACA)
COMPOSITORI DI MUSICHE PER CLAVICEMBALO E PER ORGANO
Prevale la sonata bipartita, da ricordare le raccolte per organo e clavicembalo di Domenico Zipoli, Bernardino della Ciaja, Giambattista Martini; scrissero solo per clavicembalo Benedetto Marcello, Francesco Durante, Domenico Alberti (a cui è attribuita l’invenzione del basso albertino). Ma il più grande clavicembalista italiano fu
Domenico Scarlatti (1685-1757) studiò con col padre e con Francesco Gasparini a Venezia. Maestro in S.Pietro. Si trasferì a Lisbona nel 1720 come insegnante alla principessa portoghese Maria Barbara. Si trasferì con lei a Madrid, dove compose la maggior parte delle sue opere, in particolare le 550 sonate per clavicembalo, composte si pensa tra il 1735 e il 1750 (…chiacchere…)
Da quando si stabilì in Spagna rimase estraneo alle esperienze dei musicisti europei e questo spiega il perché della sua personale scrittura, che non ha avuto né modelli ne continuatori. Influenzarono la sua musica le melodie popolari spagnole, ritmi di danza, e modi di esecuzione di origine chitarristica, oltre a temi e ritmi tipicamente italiani
Molta fu la musica clavicembalistica tedesca, spesso dalle melodie facili e gradevoli. I compositori per clavicembalo più noti erano:
Graupner, Telemann, Mattheson, noto anche come teorico e musicologo, Gottlieb Muffat, figlio di Georg.
I compositori per organo più attivi nella Germania protestante erano:
Bohm, Zachow, Walther, oltre naturalmente a Bach ed Handel, vissuto in Inghilterra
I principali autori di pieces de clavecin e livres d’orgue furono Clerambault, Daquin, autore dello spiritoso “Le coucou”, D’Andrieu, autore di divertissement sulla guerra, la caccia e la festa nel villaggio. Ma le maggiori personalità in Francia furono:
Francois Couperin (1668-1733), nipote di Louis Couperin, apparteneva ad una famiglia di organisti da varie generazioni. Organista prima a St.Gervais, poi nella cappella reale, fu a contatto con grandi personalità i corte, ma non aspirò mai alle prestigiose attività artistiche dell’opera e del balletto.
Scrisse 4 libri di Pieces de Clavecin che contengono 254 composizioni raggruppate in 27 ordres. L’ordre è un vocabolo coniato da Couperin, che indica una struttura di brani (non una suite) il cui numero va da 4 a 23; ogni brano porta un titolo. La scrittura è a 2, 3 voci, generalmente binaria, ma anche in forma di rondeau. Generalmente ogni ordre disegnava un “quadretto”: spesso di persone reali, altre volte di sentimenti o atteggiamenti. Ricca l’ornamentazione: Couperin descrisse il modo di eseguire gli abbellimenti (a cui teneva molto) nel suo lavoro didattico L’art de toucher le clavecin.
Scrisse anche musica da camera, interamente scritta a 3 parti con b.c., come le sonate a 3 italiane. Due dei suoi concerti furono dedicati uno a Lulli, l’altro a Corelli; importanti i 10 nouveaux concerts ou Les Gouts reunis, attraverso cui Couperin predicò, nella polemica tra musica italiana e francese, la riunione dei due stili
Scarsa numericamente la musica sacra: 2 messe d’organo e 3 Lecons de tenebres a una e 2 voci
Profondamente francese, espresse nella sua musica eleganza e magniloquenza, risaltò le melodie ornate e ricche armonie, senza nascondere elementi tipici corelliani quali la passione per le simmetrie e l’uso del contrappunto, senza tradire il primato melodico. Amante delle forme brevi e dei piccoli complessi, fu tra i più grandi musicisti francesi
Jean-Philippe Rameau (1689-1764), figlio di un organista di Digione, prima di stabilirsi nel 1723 a Parigi, insegnò in varie città francesi. In questo periodo compose la maggior parte della sua musica per clavicembalo e scrisse un trattato d’armonia. A Parigi conobbe il mecenate La Pouplinière, che lo convinse a cimentarsi nell’opera. La prima fu Hippolite et Aricie (1733). Compose 26 opere tra cui si ricordano le tragedie-lyriques Castor et Pollux (1737), Dardanus (1739) e l’opera-ballet Les Indes galantes (1739). Fu continuatore dell’opera di Lulli.
La sua opera per clavicembalo è costituita da 4 raccolte di pieces de clavecin, di cui la più importante è la terza, comprendente 2 ampie suites che hanno, oltre alle consuete danze, anche brani liberi, sull’esempio di Couperin, in cui si rivela la sua forte natura di armonista
I PRINCIPALI STRUMENTI DELL’ETA’ BAROCCA
Già noto nell’antichità e diffuso nel Medioevo, fu perfezionato a partire dal XVI sec., con l’introduzione di un certo numero di registri e pedaliera. Particolarmente noti per la loro perfezione costruttiva erano gli organi tedeschi.
I principali organari furono:
Il clavicembalo è uno strumento a corde pizzicate da punte di penna di corvo poste su saltarelli, che sono collocati all’estremità interna dei tasti. Ne esistono a 1 o 2 manuali
La spinetta (il virginale inglese) è basata sullo stesso principio, ma le corde sono parallele o oblique alla tastiera
I principali costruttori erano i Ruckers di Anversa, i nostri Baffo e Trasuntino, l’inglese Tschudi
Il clavicordo, antecedende al clavicembalo, era a corde percosse da tangenti infisse nella parte interna del tasto. Di forma rettangolare e piccola era adatto alla musica domestica. Diffuso soprattutto in Germania, era apprezzato dai Bach
Non è noto chi fu l’inventore del violino, ma il primo famoso costruttore fu Gaspare Bertolotti da Salò (1540-1609), iniziatore della scuola bresciana. Duratura fama ebbe la scuola cremonese con gli Amati (Andrea il capostipite, nato nel 1505; i Guarneri (Andrea il capostipite, allievo di Nicola Amati); gli Stradivari, con Antonio (1655-1737), allievo di Nicola Amati; nel XVII sec. ebbe notorietà la scuola tirolese con Steiner, probabilmente allievo di Nicola Amati
Nato durante l’età barocca, fu trascurato inizialmente dai compositori; il suo impiego iniziò nel 1770 con la sensibilità galante dello stile preclassico, causando la scomparsa graduale del clavicembalo.
Inizialmente chiamato clavicembalo col piano e col forte, fu inventato dal padovano Bartolomeo Cristofori. La sua invenzione fu annunciata da Scipione Maffei. I primi perfezionamenti si ebbero con il tedesco Silbermann, poi da Stein e da Erard
TESI XXVII: Bach e Handel
JOHANN SEBASTIAN BACH
Dal capostipite Veit (sec.XVI) a Wilhelm Friedrich Ernst (morto nel 1845) vantò più di un centinai di organisti, compositori e maestri di cappella attivi in Germania, soprattutto in Turingia e Sassonia. I membri più importanti furono, oltre a J.S., i tre figli Wilhelm Friedemann, Carl Philipp Emanuel e John Christian.
Trattò tutti i generi musicali della prima metà del ‘700 esclusa l’opera. La sigla BWV sta per Bach Werke Verzeichnis. Le composizioni sacre occupano i 2/3 della sua produzione:
MUSICA SACRA
MUSICA PROFANA
Difficilmente catalogabile è L’arte della Fuga (1749-1750) saggio di altissima scrittura contrappuntistica dagli aspetti sia teorici che pratici
In vita, J.S. fu apprezzato come esecutore e insegnante, ma non come compositore, ritenuto attardato su stili non più di moda, anche se la bravura di contrappuntista gli era riconosciuta. Fu la sintesi del barocco luterano, italiano e francese. Dalla tradizione luterana attinse lo studio delle le forme organistiche della Germania centro settentrionale: preludio, toccata, fuga ed elaborazione su corale. La studio della tradizione italiana e francese (grazie alle trascrizioni) gli procurarono esempi del concerto vivaldiano e delle danze tipiche dei pieces de clavecin francesi.
La sua musica era specchio di un’epoca che andava tramontando: dopo il 1750 le pratiche liturgiche diminuirono rapidamente, l’uso del contrappunto subì la stessa sorte a favore delle pratiche armoniche che si sarebbero realizzate nel classicismo. Col tramontare del mondo luterano delle piccole corti tedesche la musica di Bach fu dimenticata. La “Bach-Renaissance” iniziò nel 1829, grazie alla storica riesumazione della Passione secondo Matteo diretta da Mendelssohn. La Renaissance prese aspetti istituzionali nel 1850 con la fondazione della Bach Gesellschaft
Georg Friedrich Handel (Halle,1685-Londra,1759)
Ebbe Zachow come maestro, il più autorevole musicista di Halle. A 18 anni fu nominato organista, ma pochi mesi dopo andò ad Amburgo, dove nel 1705 fece rappresentare Almira, la sua prima opera. Dal 1706 al 1710 soggiornò in Italia: Firenze, Venezia, ma soprattutto Napoli e Roma, dove conobbe Scarlatti, Corelli e Pasquini. Durante questo periodo scrisse 2 oratori, mottetti latini e l’opera Agrippina (1709). Lasciata l’Italia, dopo un brevissimo soggiorno ad Hannover, si recò a Londra, dove rappresentò con successo il Rinaldo. Accolse l’invito della regina Anna a rimanere. Fino al 1738 si dedicò all’opera italiana e le opere composte per la Royal Academy e per il King’s Theatre sono tra gli esempi più significativi di opera seria. Alla ricerca di un genere musicale gradito al grande pubblico borghese e che fosse meno costoso in termini di produzione, cominciò a scrivere oratori di soggetto biblico in inglese. Sostenuto dal successo di Saul e Israele in Egitto (1739) continuò su quella strada
OPERE TEATRALI
Ne compose 42, tutte del genere serio su libretto italiano, ad eccezione delle poche opere tedesche scritte in gioventù per il teatro di Amburgo.
Le più note sono Agrippina (1709), Radamisto (1720), Giulio Cesare (1724), Rodelinda (1725), Admeto (1727), Siroe (1728, su libretto di Metastasio), Orlando (1733), Alcina (1735), Serse (1738). Stilisticamente affini sono le serenate, tra cui Aci, Galatea, Polifemo.
L’opera seria italiana di Handel costituisce l’esempio più alto del genere. I soggetti erano le vicende dei personaggi storici o di eroi mitologici. Ciascun atto era una sequela di recitativi (secchi o accompagnati) e arie (spesso col “da capo”). Pochi i duetti e i cori, in stile accordale. Gli elementi drammatici avevano nelle sue opere un rilievo assai maggiore che in quelle dei contemporanei
ORATORI
La sua vera gloria, a cui lavorò, se si escludono 2 composti a Roma, negli anni della maturità.
I più noti furono Esther (1732), Saul (1739), Israel in Egypt (1739), Messiah (1742, il suo capolavoro, presentato a Dublino), Sanson (1743), Judas Maccabaeus (1737), Salomon (1749), Jephta (1752).
Il loro successo è dovuto al fatto che essi rispondevano alle esigenze culturali dei ceti medi: erano frutto di una concezione teatrale (a differenza degli oratori italiani, simili a opere serie), avevano libretto in inglese (comprensibili a tutti, narravano storie dall’Antico Testamento, che per i medi protestanti inglesi erano un po’ il corrispondente dei miti classici per le classi aristocratiche. La struttura era simile a quella di un’opera, con recitativi e arie. C’era però il coro con funzione di narratore ma anche di personaggio, come negli oratori di Carissimi, che certamente Handel conobbe; inoltre il coro era una tradizione ben radicata in Inghilterra, con gli anthems.
ALTRE COMPOSIZIONI
La sua vita e la sua opera fu agli antipodi di quella di Bach. Mentre Bach riassumeva la tradizione, il primato della fede, il contrappunto, Handel era immerso nel presente, seguiva il gusto del suo tempo, pensa armonicamente. Handel visse da protagonista nei maggiori centri della vita musicale. Tedesco di nascita, visse in Inghilterra come compositore e impresario. Cosmopolita in un’epoca in cui le barriere nazionali erano tali anche per il gusto, assimilò le caratteristiche di varie scuole europee. Il suo stile tende al grandioso, alla nettezza della linea melodica, alla mobilità dell’espressione. Benchè avesse trattato tutti i generi, non in tutti fu grande: la musica strumentale non fu efficace come quella teatrale
TESI XVIII: Haydn, Mozart, Beethoven
TRA IL BAROCCO E IL CLASSICISMO: IL ROCOCO’
Tra il 1740 e il 1770 ci fu un periodo cuscinetto, il cui nome deriva dallo stile architettonico e d’arredo: il rococò. La musica del rococò, solitamente brillante e gradevolmente ornata, “comunica l’impressione del decorativismo barocco privato della sua grandeur”. Il rococò è stato chiamato, soprattutto dai francesi, ma non solo, il periodo dello stile galante
“Galanteria” è una parola chiave per comprendere la nuova sensibilità dei decenni di mezzo del XVIII sec. Al primato della ragione illuministica si sostituì il sentimento, la spontaneità. I 2 romanzi epistolari La nouvelle Eloise (1761) di Rousseau e I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe furono testimonianze eloquenti del modo di sentire.
La musica si adattò: scomparsa graduale del contrappunto e conseguente importanza della melodia, sostenuta ancora dal b.c., in rapido declino a favore dell’armonia, mentre la forma sonata, da quella del tardo barocco, divenne quella che ora noi conosciamo
dalla bipartita barocca alla bitematica tripartita (esposizione, sviluppo, ripresa) e altre chiacchere sulla forma sonata…
Deriva dalla sinfonia d’opera scarlattiana in 3 tempi. Presero gradatamente il posto del concerto grosso dal 1730. Uno dei primi maestri a coltivare questa forma fu
Giovanni Battista Sammartini (1701-1775), maestro di cappella in varie chiese di Milano, ebbe Gluck tra i suoi allievi. Le sue sinfonie erano principalmente per archi. Dopo di lui la sinfonia si sviluppò nei paesi tedeschi, in particolare alla corte di Berlino (con Graun e C.Ph.E.Bach), ma soprattutto a
Mannheim, sotto il governo del principe elettore Carlo Teodoro, appassionato di musica, che ebbe dal 1741 una delle orchestre migliori d’Europa, sotto la direzione del virtuoso violinista Stamitz, intorno al quale si sviluppò la “scuola di Mannheim”, laboratorio musicale per lo sviluppo del linguaggio pre-classico, soprattutto negli aspetti dinamici
Durante il rococò ci fu un avvicinamento delle varie forme in quella che poi sarebbe diventata la comune struttura di sonate, sinfonie, concerti, quartetti… Grande diffusione ebbero le sonate per clavicembalo, che dal 1770 fu sostituito dal forte-piano e le sonate per violino e clavicembalo. Il consolidamento della struttura sinfonica andò di pari passo a quello delle orchestre che, a parte quelle dei Collegia Musica cittadini, erano alle dipendenze di facoltosi principi
Col tramonto della sonata a 3, la forma principale d’insieme diventò il quartetto. Sembra che il primo a scrivere per questa formazione fu A. Scarlatti, autore di 4 Sonate a 4 senza b.c., seguito da Antonio Caldara. Fu Franz Xavier Richter, maestro di Mannheim, a definire lo stile del quartetto d’archi classico, mentre di fatto furono Haydn e Luigi Boccherini a definire lo stile di “conversazione musicale” proprio delle formazioni cameristiche classiche
I musicisti più rappresentativi del rococò furono i figli di J.S.Bach: Wilhelm Friedeman, Carl Philipp Emanuel e Johann Christian. Sebbene accomunati dalla scuola paterna, non composero come il padre musica organistica e cantate sacre, segno che i tempi erano cambiati. Il centro di interesse creativo che li accomunava era il clavicembalo.
IL CLASSICISMO
È il periodo che segue il rococò e precede il romanticismo. Cronologicamente è il mezzo secolo tra 1770 e 1820 ca.
Il termine viene usato per indicare quei movimenti artistici che riconosco il valore dei modelli greci e romani. L’apprezzamento per le opere antiche non venne mai meno nel Medioevo, ma nel Rinascimento e fino all’800 il confronto col mondo antico fu fondamentale per l’arte europea. L’etichetta di “classico” si può attribuire alla poesia d’Arcadia, ai drammi del Tasso e del Guarini, alle tragedie di Corneille e Racine, alla pittura di Raffaello e Poussin, agli edifici di Bramante e alle ville del Palladio. Classico nell’arte è sinonimo di grazia, magnificenza, decoro, equilibrio e senso della proporzione. Questo stile si manifestò anche nella musica dando vita ad una omogeneità del gusto non pensabile in precedenza
Il periodo classico coincise con il graduale passaggio da governi aristocratici assolutisti a governi ispirati dalla borghesia liberale. Assieme all’interesse per il teatro, in particolare quello italiano, crebbe anche quello per la musica strumentale, non più bene esclusivo di privati, nobili e facoltosi, ma accessibile al grande pubblico. Si svilupparono i concerti pubblici soprattutto a Londra, Parigi e Lipsia, dove furono costruite o riadattate le prime sale da concerto. Accanto ai professionisti, numerosi erano i dilettanti che si accostavano alla musica strumentale, soprattutto al pianoforte
All’inizio del XVIII sec. il musicista era uno stipendiato da una congregazione religiosa, o da un principe, o da un teatro. Haydn e Mozart vissero in prima persona il passaggio da questa situazione a quella di liberi professionisti. Questo cambiamento portò più libertà ai compositori, liberi di comporre secondo il proprio gusto, e non secondo quello del committente, e più possibilità agli esecutori di suonare in pubblico. Importante per la professione di musicista fu la fondazione di un Conservatorio Nazionale a Parigi (1795), che servì da modello per altri conservatori. Contemporaneamente si determinò un rinnovamento degli strumenti didattici.
Fino al XVIII era raro che un trattato teorico uscisse dalla cerchia degli addetti ai lavori. Col completamento dell’Enciclopedia (1751-1777) la cultura musicale era accessibile a tutti, grazie alle numerose voci che si riferivano alla materia musicale. Inoltre fu pubblicata a Londra la poderosa Storia generale della musica dai Greci al 1789 di Burnay e le prime monografie su Bach e Palestrina. Anche l’editoria musicale si sviluppò, con l’utilizzo del nuovo metodo della litografia accanto a quello tradizionale su lastre incise
FRANZ JOSEPH HAYDN (Rohrau, Tirolo,1732-Vienna,1809)
Studiò canto ad Hainburg, poi alla scuola di canto corale della cattedrale di S.Stefano a Vienna, dove proseguì gli studi anche di clavicembalo e composizione. Negli anni 1750-60 insegnò, suonò in piccoli complessi e fece piccole composizioni, ma nel 1761 fu assunto come vice maestro di cappella dalla potente famiglia aristocratica ungherese Esterhàzy, col principe Nicola, appassionato di musica. Nel trentennio al suo servizio Haydn svolse una intensa attività di compositore e direttore e le sue composizioni furono conosciute in tutta Europa. Nel 1790, alla morte di Nicola, Haydn divenne libero professionista perché gli Esterhazy sciolsero l’orchestra per motivi economici e accordarono al maestro di cappella. Accolse così l’offerta del violinista impresario Salomon di comporre e dirigere sinfonie per la sua società di concerti a Londra, nacquero così le 12 “sinfonie londinesi”. L’impatto con gli oratori di Handel lo portò a comporre musica sacra per la ricostituita cappella Esterhazy. Morì durante l’occupazioni di Vienna da parte delle truppe napoleoniche
Toccò tutti i generi e le forme coltivate tra il 1750 e il XIX sec, ma, a differenza di Mozart, con alcune limitazioni: opere teatrali composte per il teatrino di corte, scarsa produzione di concerti per strumenti solisti, musica sacra composta solo dopo il ritorno da Londra
Il catalogo dell’Hoboken (da cui la sigla Hob) riconosce autentiche 108 sinfonie, tutte in 4 tempi, ad eccezione dei lavori giovanili. Fino alla n.81 sono state scritte per la cappella degli Esterhazy (circa 20 strumentisti), più ampie ed elaborate le 6 “parigine” nn.82-87 e le 12 “londinesi” nn.93-104, che già presentano pienamente maturato lo stile sinfonico: l’individuazione della scrittura timbrica degli strumenti e il loro impiego (autonomo, per famiglie, per combinazioni timbriche)
Rilievo inferiore hanno i concerti solistici, scritti nei primi anni del servizio presso gli Esterhazy. E’ possibile che il concerto non fosse particolarmente gradito al suo protettore, o che il Soli-Tutti non fosse congeniale alla natura di Haydn
Circa 13, prevalentemente buffe per il teatrino degli Esterhazy. Le più note sono Lo speziale, Le pescatrici, Il mondo della luna, tutti “drammi giocosi” su libretto di Goldoni
Ad eccezione di un oratorio e di poche messe, la produzione sacra fu successiva al soggiorno in Inghilterra. La maggior parte delle messe hanno un pretesto esterno dovuto a committenze. Decise invece autonomamente di comporre 2 oratori: La creazione (1798) e Le stagioni (1801). Opera singolare è Le 7 ultime parole di Cristo sulla Croce (1785), nata per orchestra e poi trasformata in oratorio
Il suo più alto merito è quello di aver convogliato gli elementi a volte contraddittori dello stile classico e di averlo realizzato nei quartetti e nelle sinfonie. Il valore artistico è la felicità dell’invenzione musicale. Il suo equilibrio, la facilità con cui realizzava le melodie e gli spunti tematici, a volte presi a prestito dalla musica popolare, spiegano il successo che ebbe in tutta Europa. Segno evidente della sua popolarità fu l’influenza che ebbe sui compositori contemporanei e i successori, primo tra tutti Mozart
WOLFGANG AMADEUS MOZART (Salisburgo,1756-Vienna, 1791)
Figlio di Leopold, violinista, compositore e didatta della cappella musicale della cappella musicale di Salisburgo, sede di un principato ecclesiastico semi-indipendente. Leopold intuì il precoce ed eccezionale talento del figlio e si occupò della sua formazione musicale. Dal 1762 al 1772 Wolfgang compì numerosi viaggi di studio in tutta Europa in compagnia del padre. Numerose furono le sue esibizioni in pubblico, e tra un viaggio e l’altro tornava a Salisburgo per studiare e comporre. Ma la vita musicale della cittadina, nonostante fosse abbastanza attiva, gli andava stretta, così cercò sistemazione a Mannheim e a Parigi, dove morì la madre nel 1778. Nel 1781 avvenne la rottura con l’arcivescovado di Salisburgo e lasciò il posto alla cappella per stabilirsi a Vienna, dove sposò Costanza Weber. I primi anni ottenne successo, suonando in pubblico i suoi concerti per piano e orchestra, dava lezioni e gli editori, soprattutto Artaria, pubblicavano volentieri i suoi lavori, tra cui Il ratto dal serraglio. Ironicamente, il favore del pubblico andò scemando quando compose i suoi più grandi capolavori: Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, le ultime sinfonie, i quintetti, le memorabili musiche da camera. Anche la situazione economica non era rosea. Morì colpito da febbre reumatica e fu seppellito in una fossa comune
OPERE TEATRALI (il K sta per von Kochel)
24 sono le opere per il teatro, raggruppabili in: opere serie su libretti italiani, opere buffe in italiano e singespiele
MUSICA VOCALE SACRA
17 messe, mottetti, litanie e offertori per soli, coro e orch. furono composti in gioventù per gli uffici sacri a Salisburgo. Tra le opere più note i Vesperes solemnes de confessore K.339 e il Kyrie K.341. La sua ultima composizione, non terminata, fu il Requiem per soli coro e orch., i cui brani mancanti furono scritti dall’alunno Sussamayr
SINFONIE
La maggior parte delle 49 sinfonie fu composta tra il 1765 e il 1779 e mostra l’evoluzione orchestrale. Negli anni viennesi ne compose 6, che costituiscono l’apice del loro genere. Tra queste la Haffner, la Linz, la Praga, la Jupiter
CONCERTI SOLISTICI
Al contrario di Haydn, scrisse molti concerti per vari strumenti solisti. I 17 per pianoforte scritti a Vienna ed eseguiti da lui stesso furono veicolo di grande popolarità. In questi il concerto solistico classico trova una delle sue più alte espressioni. Il pianismo non è mai fine a se stesso, né ostentazione e il rapporto tra solista e orch. ha carattere unitario
QUARTETTI E QUINTETTI
Sono la forma in cui Mozart sente di più Haydn, senza mortificare la sua personalità. I più noti sono i quintetti K.515 e 516 e il quintetto per clarinetto e archi K.581
ALTRI GENERI
Coltivò tutte le forme di musica da camera per pianoforte: sonate a 2 mani (17), a 4 mani (5), fantasie, variazioni, 42 sonate per violino e pianoforte. Al periodo salisburghese risalgono la maggior parte delle serenate, dei divertimenti e delle cassazioni (generi per altro molto simili)
Mozart non acquistò tra i contemporanei il consenso europeo come Haydn, certamente perché mori troppo giovane. Un’altra ragione era la qualità della musica, che, in parole semplici, era più difficile di quella di Haydn. In un’epoca in cui la “facilità” era un grande pregio. Analizzando la musica di Mozart si notano infatti la pluralità di temi negli Allegro, la concatenazione varia e fantasiosa dei periodi, con le loro asimmetrie fraseologiche. Spiegare l’incanto della musica di Mozart è impossibile. Molto importante l’economia musicale: mai troppo prolisso, mai troppo stringato. La tavolozza di sentimenti, su cui però prevale un sereno ottimismo, è vastissima
LUDWIG VAN BEETHOVEN (Bonn,1770-Vienna,1827)
Discendente da una famiglia di origine fiamminga, era figlio di un modesto e alcoolizzato tenore nella cappella di corte che lo avviò presto alla musica sperando in un bambino prodigio. A soli 14 anni divenne organista di corte e in seguito le amicizie amicizie influenti, soprattutto col conte Waldstein, lo convinsero a partire per Vienna nel 1787. Vi rimase stabilmente, dopo l’occupazione della Colonia da parte dei francesi. Ricevette lezioni più che da Haydn, da Schenk, Alvrechtsberger e Salieri, intanto che stringeva amicizia con i più influenti membri della famiglia reale, a cui dedicò molte delle sue composizioni. Intorno al 1802, anno del “testamento di Heiligenstadt” si accorse di star diventando sordo, cosa che minò la sua volontà di affermarsi. Dovette interrompere l’attività di concertista e si dedicò completamente alla composizione. Di tanto in tanto organizzava “accademie” cioè concerti a pagamento dove presentava le nuove composizioni. Per assicurargli la tranquillità economica alcuni amici e ammiratori tra cui l’arciduca Rodolfo e i principi Lobkowitz e Kinsky si impegnarono nel 1809 a corrispondergli una pensione di 4000 fiorini all’anno. Dopo il 1815 iniziò un periodo difficile: molti amici morirono o lasciarono Vienna e le esecuzioni delle sue composizioni diminuirono. Alla morte del fratello Carlo ebbe in tutela il nipote, ma da lui e dalla madre del ragazzo ebbe noie anche giudiziarie. Dal 1820 alla morte, colpito da cirrosi epatica seguita da idropisia, è il periodo delle grandi, ultime creazioni: le ultime sonate per pianoforte e quartetti, la 9° sinfonia e la Missa solemnis
La sua produzione fu numericamente inferiore a quella di Haydn e Mozart, basta pensare alle 9 sinfonie contro le 108 e 39 degli altri due. Le sue composizioni erano certamente più ampie di quelle di tutti i precedenti maestri, inoltre non scriveva di getto, ma il lavoro maturava attraverso una lunga serie di appunti , abbozzi e continui rifacimenti. Tranne che per lavori da poco, per accontentare editori o estimatori e amici, non scrisse mai su commissione, ma per sé stesso, e per questo poteva permettersi audaci innovazioni che superavano le convenzioni correnti. Alcuni musicologi, con a capo Wilhelm de Lenz, individuano 3 periodi stilistici:
COMPOSIZIONI PER ORCHESTRA
COMPOSIZIONI PER PIANOFORTE
MUSICA DA CAMERA
OPERE TEATRALI
Una sola, il Fidelio (1805), la storia di Leonora travestita da uomo che salva il marito, condannato a morte da un nemico politico. Il libretto, nella forma del singspiel è una traduzione da un fortunato libretto francese. Non ebbe inizialmente fortuna (troppo lunga, accusa di trattare le voci come strumenti). Come nella 9° sinfonia, compare l’umanità di Beethoven, con tutte le sue aspirazioni (omaggio alla libertà e all’amore, condanna della tirannia)
COMPOSIZIONI VOCALI SACRE E PROFANE
Scarso rilievo hanno le cantate, i lieder, le poche composizioni a cappella, l’oratorio Cristo sul monte Oliveto. Capolavoro invece la Missa solemnis op.123 (1823) dedicata all’arciduca Rodolfo, quando fu nominato arcivescovo
Fu il primo compositore a rappresentare con la sua opera gli avvenimenti che si svolgevano nel mondo, dalle vicende storiche ai mutamenti dell’animo dell’uomo (lui stesso, ma anche l’Umanità). La sua filosofia aderisce a quella illuministica prima, poi a Kant, Klopstock, Goethe, Schiller. Grande fede nell’umanità, l’amore e la fratellanza, la lotta contro il dolore e il destino, tutto questo trovò terreno fertile nell’antitesi tra i 2 temi della forma sonata, così come il frequente ricorso alla modulazione e alla variazione armonica sono proiezione di lotta interiore
ALTRI COMPOSITORI
Durante il classicismo aumentò l’interesse per la musica, in confronto alle altre epoche, con il conseguente aumento di musicisti. Si ricordano Karl Ditters von Dittersdorf (1739-1799), autore di molti singespiele, 120 sinfonie e 44 concerti, Johann Friedrich Reichardt (1752-1814), instancabile viaggiatore, compositore e autore di scritti teorici, o l’altrettanto prolifico boemo Antonin Reicha (1770-1836), oltre a Carl Czerny (1791-1857), il cui catalogo superò le 1000 composizioni, in grandissima parte pianistiche. Oltre a questi si ricordano i nostri
TESI XXIX: Il periodo romantico
IL ROMANTICISMO
Le prime definizioni di romanticismo furono ad opera del “gruppo di Jena” guidato dai fratelli Schlegel, e al quale appartennero il filosofo Fichte e i poeti Tieck e Novalis. Il romanticismo esordì con il rifiuto del primato della ragione illuministica e dell’arte classica, con i luoghi comuni della cultura greco-romana, i principi d’imitazione e di unità aristotelica. Al repertorio di ispirazione classica, i romantici opposero fonti di ispirazione medioevale (storia e leggenda), mentre alla ragione opposero i sentimenti e la spontaneità. Non fu un semplice cambiamento di gusto, ma una rivoluzione culturale dettata da un nuovo sentimento secondo cui i supremi valori dell’esistenza sono le misteriose forze della natura. Interessò in primis la letteratura; i poeti e letterati più noti furono Shelley, Byron, de Musset, Heine, Manzoni, Hugo, Coleridge…
Il romanticismo è il periodo che segue il classicismo, periodo che va dal 1820 al 1914, ma i pareri dei musicologi sono discordanti. Alcuni infatti pensano al classicismo-romanticismo come ad un periodo unico. Il concetto romantico della musica nacque prima della musica romantica, per quanto possa sembrare strano. Le prime testimonianze del nuovo modo di intendere la musica, cioè il più vero modo di espressione dell’anima, si trovano negli scritti di Hoffman (1776-1882), apprezzato letterato e ministro della giustizia prussiana. I caratteri della musica romantica non sono univoci, abbondano i segnali contraddittori, come l’affermazione del primato della musica strumentale su quella vocale (fatto nuovissimo) e il grande interesse dei romantici tedeschi per l’opera. Atteggiamenti contrastanti anche nelle pagine di uno stesso compositore, che poteva affiancare pagine di profondo intimismo ad esibizioni virtuosistiche; o il concetto di musica pura che convive con le tentazioni di quella a programma. Ma tra i caratteri che distinsero il romanticismo, ne vanno citati almeno 2: il superamento del cosmopolitismo, a favore del riconoscimento delle culture nazionali e il liberarsi dal primato della forma-sonata a favore di nuove forme più libere e asimmetriche
LE ESPRESSIONI PRIVILEGIATE DELLA MUSICA ROMANTICA
Dall’orchestra delle sinfonie classiche, che oggi chiameremmo “da camera” si ha un progressivo incremento di mezzi strumentali: si passa dai 25-40 esecutori al centinaio. All’orchestra romantica accadde più o meno quello che si riscontra nella pittura dell’800: da Delacroix agli impressionisti si riscontra il bisogno di un nuovo cromatismo e nuove luminosità. Nell’organico delle orchestre vennero inseriti nuovi strumenti quali ottavino, controfagotto, trombone, basso tuba, arpa, vari strumenti a percussione, mentre verso la metà del secolo entrò in uso la divisione in file tra gli archi. I compositori che diedero apporti decisivi allo sviluppo dell’orchestra furono Beethoven, Berlioz, Liszt, Wagner, Mahler, Debussy
Sparito il clavicembalo e ignorato l’organo, fu il re incontrastato della musica strumentale romantica. A partire dal 1820-30 la letteratura per pianoforte, accanto alle sonate, comparvero forme dall’architettura più semplice basate sul Lied che diedero vita a 2 tendenze opposte: l’intimismo e il virtuosismo
Si distinguono il Lied strofico, quello vero e proprio che accompagna il canto con la stessa melodia, a volte lievemente modificata, e il Lied “durchkomponiert”, che presenta da una strofa all’altra sempre nuovo materiale melodico
I MUSICISTI DELLA PRIMA GENERAZIONE ROMANTICA
Franz Schubert (Vienna,1797-1828)
A 11 anni ottenne una borsa di studio presso la cappella di corte e potè frequentare la Stadtkonvikt, dove scrisse un centinaio di composizioni, quartetti e 2 sinfonie. Fu affidato a Salieri perché gli insegnasse la composizione vocale e intorno al 1815 naquero i primi capolavori liederistici, Margherita all’arcolaio e Il re degli elfi. Non amava insegnare e dovette affrontare ristrettezze economiche. Fu aiutato da alcuni amici e ammiratori. In una città dove la vita musicale era vivacissima, viveva appartato. Non gradiva i salotti e non osava nemmeno avvicinare Beethoven, che venerava. La composizione lo assorbiva completamente e le sue composizioni erano ascoltate nei circoli musicali della media borghesia, dove si tenevano le famose “schubertiadi”. Solo nel 1828, pochi mesi prima della morte per tifo, la Vienna ufficiale conobbe la sua arte grazie ad un concerto organizzato dagli amici
Le sue composizioni portano la sigla D, da Otto Erich Deutsch, che fece il catalogo completo delle sue composizioni
E’ errato definirlo un romantico tout-court. Fu a metà tra classicismo e romanticismo. La sua formazione fu esclusivamente classica. Il nucleo centrale della sua personalità è il lirismo, sereno e limpido, capace di dilatarsi moltissimo nelle ancora presenti strutture derivate dal classicismo
Hector Berlioz (1803-Parigi,1869)
Figlio di medico, si iscrisse alla facoltà di medicina, ma la sua vera passione era la musica. Prese lezioni da Lesueur e nel 1826 entrò al Conservatorio di Parigi dove studiò contrappunto e composizione. Era molto curioso dal punto di vista artistico. La conoscenza del Faust di Goethe lo convinse a mettere in scena le Huit scenes de Faust (1829). L’anno seguente compose l’opera più conosciuta, la Symphonie fantastique. Vinse il Prix de Rome con la cantata Sardanapale, a Roma conobbe Mendelsshon e Glinka, e scrisse Lelio ou Le retour a la vie. Tornato a Parigi sposò un’attrice irlandese di teatro, ma non fu un matrimonio felice. Si occupò di giornalismo e poco di composizione, sino al 1842, quando iniziò una tournee europea con la soprano Maria Recio. All’accoglienza all’estero però non corrispondeva la considerazione del pubblico francese, che accolse freddamente Les Troyens (1863)
Impersonò, nella vita come nell’arte alcuni aspetti caratteristici del romanticismo. Vissuto a Parigi, dove il pubblico apprezzava ancora gli ideali di grandiosità della Grand-opera e gli aspetti virtuosistici della musica strumentale, si sentì spesso isolato. Raccolse grandi favori invece presso il pubblico tedesco, dal gusto più simile al suo. La sua idealità lo spingeva verso concezioni drammatiche e musicali di vaste proporzioni, che il suo istinto tumultuoso frenava appena. Fu grandissimo maestro della strumentazione nello spiegare grandi mezzi e valorizzare i timbri di tutti gli strumenti, molti dei quelli erano stati tenuti prima di lui in posizioni subordinate
Felix Mendelsshon (Ambugo,1809-Lipsia,1847)
Apparteneva ad una agiata famiglia di origine ebrea, però di religione protestante. Iniziò lo studio del pianoforte con la madre, poi proseguì a Berlino con Berger e Zelter (amico di Goethe). A contatto con poeti, artisti e filosofi che frequentavano il suo salotto, frequentò i corsi di filosofia di Hegel. Riportò alla vita la Passione secondo Matteo di Bach. Viaggiò molto e conobbe diversi musicisti, tra cui Berlioz, Chopin, Liszt, Rossini e Meyerbeer. Fu virtuoso del pianoforte e fondò a Lipsia nel 1843 il Conservatorio in cui insegnarono Schumann e Moscheles. La morte dell’amata sorella Fanny, anche lei pianista e compositrice, lo colpì nel profondo, morì pochi mesi dopo la sua morte
Più di tutti i contemporanei ebbe la fortuna di trovarsi in un ambiente che facilitò il suo talento. Questa fortuna si manifesta nella sua opera, priva di conflitti interiori, in cui prevale equilibrio e armonia. Il suo romanticismo non era urto di passioni, ma sereno, a volte un po’ maliconico. Alfred Einstein lo defini “il classicista romantico”
Robert Schumann (Zwickau, Sassonia,1810-Endenich, vicino a Bonn,1857)
Il padre, era libraio ed editore, gli instillò l’amore per la letteratura. Iniziò a studiare pianoforte a 7 anni. Il suo temperamento irrequieto gli vietò uno studio regolare. Fu in sostanza un autodidatta che imparò molto dalle opere del passato, specie da Bach. Si iscrisse a giurisprudenza, ma non terminò gli studi, presa la decisione di diventare pianista e compositore, e studiò con Wieck, ma dopo la paralisi di 2 dita della mano destra dovette dedicarsi interamente alla composizione, oltre che di direttore e redattore del noto periodico musicale da lui fondato. Sposò felicemente la figlia del suo maestro, Clara Wieck, che diventò un’ottima concertista. La malattia mentale ereditaria da cui era affetto gli procurava visioni e disturbi all’udito e peggiorava rapidamente, così fu internato in una casa di salute, dove morì.
In ogni fase sviluppò un genere compositivo: 1830-39 composizioni per pianoforte, nel 1840 moltissimi lieder, dal 1842 la musica da camera. Nel periodo 1842-53 le composizioni sinfoniche e sinfonico-corali
Molto la sua musica deve all’influenza delle idee letterarie. Il suo modo di comporre non mostra svolgimenti consequenziali, bensì la composizione è frutto del fantasticare. Questo tipo di sintassi, basata sull’urgenza delle idee, dà ai suoi lavori una concentrazione intensa di sentimenti senza sosta
Figlio di un insegnante francese emigrato in Polonia, iniziò giovanissimo lo studio del pianoforte e si rivelò subito un bambino prodigio. Dal 1823 al 1826 frequentò il liceo e studiò con Elsner, il miglior insegnante di musica di Varsavia. Cagionevole di salute, trascorreva le estati in campagna, dove venne a contatto con la musica popolare polacca. Lasciò definitivamente la Polonia nel 1830, quando fu occupata dalle truppe zariste, andò a Vienna e nel 1831 si stabilì a Parigi. Inizialmente non fu facile, ma poi venne accettato nei più prestigiosi salotti, dove conobbe Liszt, Berlioz, Bellini, Rossini, Meyerbeer, Heine, Balzac, Delacroix. Diventato il più prestigioso insegnante di pianoforte di Parigi, alternò l’attività didattica a quella di compositore. Ebbe una relazione di una decina d’anni con la scrittrice George Sand, finita la quale, nel 1847 si recò in Inghilterra e Scozia, per un lungo periodo di concerti. Il clima umido non giovò alla sua salute precaria, minata dalla tubercolosi. Rientrato a Parigi, si spense assistito dalla sorella e dagli amici. Il suo cuore è conservato in una teca d’argento a Varsavia
Escludendo il Trio op.8, la sonata per violoncello op.65 e una ventina di canti polacchi per voce e pianoforte, la sua produzione fu essenzialmente pianistica
Fu tra le personalità più rappresentative del romanticismo. Fu definito “poeta del pianoforte”, definizione tanto generica quanto valida. Poche volte nella storia della musica un artista si identificò tanto nello strumento. Bach con l’organo e il clavicembalo, Paganini col violino, Chopin col pianoforte. Le sue composizioni si caratterizzano per l’idiomaticità: la sua musica per pianoforte è “pianistica”. Anche Mendelssohn e Schumann si avvicinarono alla “pianisticità” ma non quanto Chopin
Franz Liszt (Doborjan, oggi Raiding, sud-est di Vienna,1811-Bayreuth,1886)
Il padre, amministratore di una tenuta degli Esterhazy, fu il suo primo insegnante di pianoforte. A 10 anni andò a Vienna grazie ad una borsa di studio per studiare pianoforte con Czerny e composizione con Salieri, 2 anni dopo andò a proseguire gli studi a Parigi con Paer e Reicha. Si fece presto ottimo concertista e fece amicizia con Berlioz, Paganini, Rossini, Chopin, Hugo, Lamartine, Heine, Delacroix. A casa di Chopin conobbe e s’innamorò della contessa Marie D’Agoult, amica della Sand e come lei scrittrice, dalla quale ebbe 3 figlie (tra cui Cosima, futura moglie di Hans von Bulow e poi di Wagner). Tra il 1835 e il 1839 viaggiarono in Svizzera e in Italia. Liszt rievocherà i paesaggi in Annees de pelerinage. Il successo strepitoso ottenuto come concertista a Vienna lo convinse imitare Paganini. Fu impegnato nell’attività concertistica in varie città d’Europa dal 1839 al 1847. Aveva “inventato” la formula del moderno recital: un intero programma di musica per pianoforte eseguito a memoria. I concerti non lo distoglievano dalla composizione: scrisse in quegli anni i Grandi Studi e gli Studi di esecuzione trascendentale, oltre a molte altre tra cui le Consolations e le Rapsodie ungheresi. Stanco di viaggiare, accettò nel 1848 la nomina a kapellmeister a Weimar, dove rimase per 13 anni. Presentò al teatro di corte, tra le tante opere, il Lohengrin di Wagner. Inoltre diresse opere sinfoniche di Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Berlioz, Wagner. Anche la sua attività di compositore si orientò verso la musica sinfonica, senza trascurare il pianoforte, con la sonata in Si min dedicata a Schumann. Contrasti e incomprensioni, anche a causa della sua relazione adulterina con una principessa russa, lo convinsero a spostarsi a Roma, dove restò dal 1861 al 1869. Qui, ritrovata l’aspirazione giovanile alla vita religiosa, prese gli ordini minori. Si mise a comporre messe oratori e salmi. Ricominciò a girare l’Europa, dirigendo, componendo e insegnando. Recatosi nel 1886 per assistere alle rappresentazioni wagneriane, fu colpito da un malore e morì
Il più attivo dei musicisti della prima generazione romantica, rimase sulla scena per mezzo secolo. Diede vita alla nuova figura di interprete virtuoso. Nel suo ecletismo confluirono la tradizione musicale tedesca, l’educazione letteraria e culturale francese, il gusto melodico italiano (influenzato soprattutto dall’opera di Bellini), il fascino della musica tzigana-ungherese. La sua fantasia era catalizzata dalla realtà, spesso da viaggi, immagini o letture. Tra i contemporanei, nessuno più di lui fu tanto lontano dalla tradizione classica, anche quando ne assumeva le strutture esterne. Nelle composizioni sufficientemente ampie adottò 2 principi conduttori: la trasformazione di un tema in altri temi differenti, ma mai estranei alla matrice originale, l’introduzione di un “principio ciclico” secondo il quale un tema riappariva nei successivi movimenti, adeguandosi alle situazioni psicologiche. Anche dal punto di vista armonico, fu anticipatore dei suoi tempi
TESI XXX: La musica strumentale dei secoli XIX e XX. Il poema sinfonico e la musica a programma da Vivaldi in poi
MUSICA ASSOLUTA E MUSICA A PROGRAMMA
L’autonomia musicale si arrestò con l’affermazione dell’estetica romantica: spesso i compositori cercavano in elementi extramusicali i pretesti per le loro composizioni. Nacque così la musica a programma, nella quale, teorizzò Liszt, i temi e i loro sviluppi sono condizionati dal loro rapporto con l’idea poetica, e non seguivano più le regole formali della musica assoluta. I postulati della musica a programma si realizzarono nel poema sinfonico, ma ebbe antecedenti nella musica descrittiva e nella sinfonia a programma
I primi esempi di musica descrittiva risalgono alle composizioni polifoniche vocali nella quale le parole del testo sollecitano risposte musicali, come nel caso dei madrigalismi, o in alcune cacce dell’Ars nova italiana, e in alcune chansons di Janequin sul canto degli uccelli o su battaglie. Un esempio più recente è La vittoria di Wellington op.91 di Beethoven. In Froberger episodi di vita di personaggi. In Vivaldi Il cimento dell’armonia e dell’invenzione. Tuttavia in tutte queste composizioni, l’elemento extramusicale non influiva sulla forma
La sinfonia a programma
È il termine per indicare quelle sinfonie del primo ‘800 in cui sono inseriti nella forma classica elementi romantici. Spesso i tempi delle sinfonie portano in testa titoli e didascalie esplicativi. Gli esempi più noti sono la 6° sinfonia Pastorale di Beethoven, la Symphonie Fantastique di Berlioz, 5 “episodi di vita di un artista” di cui l’autore stesso fece conoscere la chiave di lettura (“il programma dev’essere considerato come il testo parlato di un’opera”), e sulla stessa linea pose Lelio, ou le Retour a la vie e Harold en Italie, ispirato al poema di Byron. Sono sinfonie a programma anche la Faust-symphonie e la Dante-symphonie di Liszt
Il termine fu adottato la prima volta da Liszt e a partire dal Tasso da Goethe (1849) fu adottato per le sue composizioni sinfoniche del genere, anche quelle scritte in precedenza. I 12 poemi sinfonici di Liszt esprimono con “programma” un’idea poetica, una scena, un’atmosfera o un personaggio che sono enunciati in un brano stampato all’inizio della composizione. Secondo l’aspetto formale, il poema sinfonico è un unico tempo, spesso però costituito da più brani di carattere contrastante. Il più autorevole seguace di Liszt fu R.Strauss, che cominciò con Don Juan (1889) la serie dei suoi poemi sinfonici, con una raffinata orchestrazione di ascendenza wagneriana. Furono i musicisti delle scuole nazionali a riconoscere nel poema sinfonico un mezzo efficace per esaltare la loro terra e le loro origini, oltre che forma musicale estremamente duttile. Tra i compositori che coltivarono il poema sinfonico tra il 1870 e il 1930: i francesi e tedeschi Saint Saens, Cesar Frank, Paul Dukas, Claude Debussy, Arthur Honegger; i russi Piotr Ciaikovski, Aleksander Borodin, Igor Stravinski; il boemo Bedrich Smetana (Moldava); il finlandese Jan Sibelius; l’ungherese Bela Bartòk (Kossuth); il viennese Arthur Schoenberg; l’italiano Ottorino Respighi (La Trilogia Romana); l’americano George Gershwin (Un americano a Parigi) e Aaron Copland
L’estetica romantica del poema sinfonico fu contestata dal critico viennese Hanslick, col suo libro “Del bello musicale”. Egli riteneva che la musica esprimeva solo idee scaturite dalla musica stessa. Questo pensiero fu caldeggiato da alcuni compositori nella prima metà del XX sec, tra cui Stravinski, che scrisse in un passo della sua biografia che “se la musica sembra esprimere qualche cosa, non è che un’illusione”. Fu così che nella seconda metà del XIX sec. e nel primo trentennio del XX, musica a programma e musica assoluta convissero. Molti compositori dalla classica formazione viennese o formatisi nell’area Germanica (Brahms, Bruckner, Dvorak) rimasero fedeli alla musica assoluta, mentre altri, in particolare quelli delle scuole nazionali, furono presenti in entrambi i campi
I PRINCIPALI COMPOSITORI IN AUSTRIA E GERMANIA
Nei decenni di declino degli Asburgo Vienna visse una fioritura culturale eccezionale (la psicoanalisi di Freud, architetti e urbanisti tra cui Gustav Klimt). Qui si operò il recupero del classicismo musicale. Ad eccezione di R.Strauss, i maggiori compositori che gravitavano attorno a Vienna rifiutarono la musica a programma
Johannes Brahms (Amburgo,1833-Vienna 1897)
Figlio di un modesto contrabbassista, già da giovanissimo si guadagnava da vivere suonando nelle orchestrine. Nel 1853 fu decisiva la tournee con un violinista ungherese, perché conobbe a Dusseldorf Clara e Robert Schumann: egli aveva infatti scritto nel suo periodico un articolo intitolato Vie nuove in cui portava l’attenzione sul giovane Brahms. Rimase con Schumann fino alla fine di quest’ultimo. Nacque una passione con Clara, ma Brahms la troncò subito. Rientrato ad Amburgo nel 1857 si fece apprezzare come pianista, direttore e compositore. Dal 1863 abitò a Vienna. Si dedicò prevalentemente alla composizione e dopo la morte di Wagner era considerato il maggior compositore tedesco
La sua opera segue un processo di gradualità alla Schumann. Fino al 1853 scrisse soprattutto per pianoforte, Lieder e musiche da camera, nei 5 anni seguenti anche composizioni per piccola orchestra, dal 1858 si occupò di composizioni corali a cappella e a quelle per soli, coro e orchestra. Dal 1876 scrisse le sinfonie. Dal 1887 tornò al pianoforte e alla musica da camera, mai abbandonati
Autorevole messaggero di musica pura di fronte a numerosi colleghi che componevano musica a programma, di fronte ai progressisti Liszt e Wagner, Brahms era accusato di essere restauratore, mentre in realtà l’esperienza romantica era profondamente penetrata all’interno delle strutture classiche che soleva usare. Dal punto di vista della musica strumentale, continuò l’opera di Schumann, anche nella scelta della forma, il Lied. La musica da camera costituisce il cuore della sua produzione. Insieme alla forma, la sintassi di Brahms deriva dal più dinamico principio della classicità: l’elaborazione del tema. Fu tra i più ispirati compositori di Lieder, dal tono elegiaco e intimo
Organista nel duomo di Linz, andò a Vienna nel 1868 come organista aggiunto di corte e come professore di contrappunto al conservatorio.
Scrisse inizialmente messe e mottetti, cantate solistiche e corali con o senza orch, senza trascurare la musica da camera. E’ ricordato per le sue 9 sinfonie, alcune delle quali hanno anche 2 o 3 versioni, segno delle varie revisioni. Snobbato dal pubblico e accusato di essere un “sinfonista wagneriano”, solo recentemente si è compreso che Bruckner non è debitore nè di Wagner nè di Brahms. Le sue sinfonie, tramite l’accostamente di grossi blocchi sonori, ricordano l’organo, mentre i temi rinviano alla lezione dell’ultimo Beethoven
Hugo Wolf (1860-1903) era un grande ammiratore di Wagner. Scrisse l’opera Der Corregidor, alcune musiche strumentali tra cui la Serenata italiana e 250 Lieder su testi di Eichendorf, Morike o Goethe, o su traduzione da italiano e spagnolo. Suo modello furono i Lieder wagneriani, soprattutto nella relazione tra poesia e musica, poste sullo stesso piano, e nel rifiuto delle strutture strofiche
Richard Strauss (Monaco,1864-Garmish,1949)
Figlio di un cornista dell’orchestra di corte di Baviera. Ebbe formazione in un ambiente musicalmente stimolante e per il suo apprendistato fu importante la figura di Hans von Bulow, che lo consigliò e diresse i suoi primi lavori sinfonici. Oltre all’attività di compositore svolse anche quella di direttore d’orchestra. Diresse il teatro di corte di Weimar e il teatro dell’opera di Monaco e di Vienna. Dal 1924 si ritirò nella sua villa a Garmish per dedicarsi alla composizione
Non scrisse lavori religiosi, essendogli estraneo il senso del trascendente. Caratteristiche della sua musica è la ricchezza dell’invenzione melodica, le sonorità sensuali, le due opposte ispirazioni di potente vitalità e di soave tenerezza. A volte però la tensione drammatica viene meno
Gustav Mahler (Kalitsch,Boemia,1860-Vienna,1911)
Discendente da una famiglia di ebrei poveri e laboriosi, studiò al conservatorio di Vienna e a 20 anni cominciò la carriera di direttore d’orchestra, diresse numerosi teatri, ultimo quello di Vienna, che gli diede onori e amarezze. Lavorò anche a New York, ma la malattia lo costrinse a tornare a Vienna
Si dedicò alla composizione solo nei mesi estivi, quando era libero da impegni di teatro. Compose esclusivamente per orchestra: 9 sinfonie (n.1 “Il titano”, n.2 “La resurrezione”, n.3 “Della Natura”, n.5 quella con l’Adagietto, n.6 “Tragica”, n.7 “Il canto della notte”, n.8 “dei Mille”). Inoltre scrisse numerosi Lieder per voce e orchestra, tra cui Il Lied lamentoso, Lieder di un artigiano ambulante, Lieder dei bambini morti, Il Lied della terra
La sua produzione sinfonica riassume la tradizione classico-romantica e segna l’apogeo e la rapida estinzione della musica tardo-romantica. Esteriormente fu un compositore di musica programmatica, visti i titoli che dava alle sue composizioni. Capitava però che eliminasse anche tali titoli. Impiegò mezzi grandiosi. I materiali sonori che utilizzava avevano varie provenienze, anche popolari. Valorizzò i timbri puri e le aggregazioni di pochi colori.
Tra i numerosi musicisti tedeschi della seconda metà del XIX sec. e dell’inizio del XX meritano un cenno
IL RINNOVAMENTO STRUMENTALE IN FRANCIA
Nell’800 i destini musicali di Francia e Italia furono affini. In Francia il ritorno alla musica strumentale fu più rapido che in Italia. La rinascita francese ebbe il via dalla fondazione della Società Nazionale per la Musica Francese nel 1871. La tappa successiva fu l’apertura di una Schola Cantorum nel 1894, che riproponeva il canto gragoriano, valorizzando il metodo storico. Il recupero della musica strumentale scaturì in parte dai wagneriani, in parte dal recupero della tradizione classica e francese
Considerato uno dei maggiori organisti del suo tempo e grande improvvisatore, fu spesso accusato di germanofilia, ma riuscì ugualmente a infondere nei parigini il gusto per musica non teatrale. Le sue creazioni sono caratterizzate da una fluente e duttile melodia, che grazie al movimento delle parti risolve le dissonanze senza durezza
Vincent d’Indy, allievo si Frank, fervente wagneriano, fu anch’egli presidente della Società Nazionale, riorganizzò la Schola Cantorum, insegnò composizione (il suo Corso di composizione musicale si usa ancora). Le sue composizioni riflettono l’insegnamento di Frank. Si ricordano la Symphonie sur un chant montagnard francais e le variazione sinfoniche a ritroso Istar
Gabriel Faurè (1845-1924) fu allievo di Saint Saens, organista e maestro di cappella, insegnò al conservatorio di Parigi e ne fu direttore. Autore di 2 opere, di un Requiem, di una Ballade per pianoforte e orch, diede il meglio di sé nelle piccole composizioni pianistiche (preludi, notturni, improvvisi) e nelle melodie per canto e pianoforte, tra cui emergono le Cinq melodies e il ciclo La bonne chanson su versi di Paul Verlaine. Affrancatosi dall’influenza di Wagner e Chopin, espresse nella maturità un gusto melodico pronunciato ma elegante
Claude Debussy (Saint-Germain-en Laye,Ile de France,1862-Parigi,1918) studiò al conservatorio di Parigi, vinse il Prix de Rome, ma il soggiorno italiano si rivelò improduttivo per il suo carattere ribelle. Si interessò alla musica di Giava, presentata all’esposizione universale del 1889 e frequentò poeti, musicisti, letterati, pittori nel salotto di Mallarmè. Cominciò a farsi conoscere come compositore dopo il 1890. Nei 25 anni successivi era riconosciuto il leader del rinnovamento musicale
Il linguaggio di Debussy segna il superamento delle posizioni tardo romantiche. Fu essenzialmente un lirico che si rivela nella melodia, una melodia nuova fatta di scale modali, pentafoniche e per toni interi, che si identificava nell’arabesco. Innovativi gli aspetti armonici. L’armonia scolastica gli andava troppo stretta, rifiutò così il sistema gerarchico dell’armonia tonale e delle cadenze “obbligate”. Spesso evitava nelle sue scale di mettere una sensibile per non essere costretto a risolvere. La novità dell’armonia debussiana fu il concepire ogni singolo accordo come unità sonora libera dai precedenti e senza obblighi verso i seguenti; creò quindi successioni di suoni regolati solo dalla bellezza della melodia
LA RIPRESA DELLA MUSICA STRUMENTALE IN ITALIA
Il predominio del melodramma non annullò la musica strumentale, sebbene l’opera assorbisse i migliori compositori e interpreti; ne sono prova le composizioni non teatrali di Rossini e Donizetti, e, in misura minore di Bellini e Verdi. La tradizione violinistica di Paganini fu viva e presente grazie ad Alessandro Rolla, Camillo Sivori e Antonio Bazzini. I veri animatori della rinascita strumentale italiana furono
Ebbero fortuna nei nostri salotti le romanze, versione nostrana del Lied. Oltre a Rossini, Bellini e Donizetti, coltivarono questo genere alcuni “specialisti”, tra cui Stanislao Gastaldon, Pier Adolfo Tirindelli, ma soprattutto Francesco Paolo Tosti (1864-1916) che fu maestro di canto alla corte italiana e successivamente della famiglia reale inglese; compose oltre 300 romanze in italiano e in inglese
TESI XXXI: Le giovani scuole nazionali: Russia, Norvegia, Finlandia, Cecoslovacchia, Spagna
La presa di coscienza dell’identità nazionale sbocciò in seno a quasi tutti i popoli e operò un’inversione di tendenza rispetto al cosmopolitismo illuministico. Il concetto di “nazionalità” era volutamente generico, ognuno vi leggeva ciò che preferiva: i liberali concetti di libertà e sovranità popolare, i conservatori la fedeltà alle tradizione e all’ordine costituito. L’affermazione del principio di nazionalità avvenne in modi cruenti: cospirazioni, rivolte, rivoluzioni, moti; la presa di coscienza passò attraverso il pensiero filosofico e politico di Mill, Fichte, Hegel, Mazzini, Gioberti…Strettamente legato al concetto di nazionalità era quello di una lingua nazionale; di conseguenza, lo era anche il linguaggio musicale. Dopo il Congresso di Vienna del 1815 la carta politica europea era profondamente modificata. Risultati appariscenti del desiderio nazionale furono l’unità d’Italia (1861) e Germania (1871), ma anche altri popoli ottennero risultati concreti, anche se meno appariscenti: riconoscimenti delle specificità etiniche e linguistiche, rappresentanze parlamentari, forme di autonomia
Tra l’inizio del ‘600 e la metà dell’800 la musica europea era la somma di quella italiana, francese e tedesca. Gli altri paesi furono musicalmente “colonizzati”. L’affermazione del nazionalismo diede vita alle scuole nazionali, che si proponevano il recupero della tradizione musicale nazionale, spesso basati su scale modali e danze dai ritmi ignoti al precedente repertorio europeo. Nelle opere vennero proposti libretti ispirati alla storia e a leggende nazionali. Una precisazione: alcuni esponenti ebbero formazione tedesca ma portarono con sé le loro origini (Grieg, Smetana, Dvorak), altri composero in un contesto di assestata scrittura europea, ma impiegarono i moduli folcloristici delle loro terre (Albèniz, Granados), altri aderirono solo in parte alla cultura nazionale (Sibelius). Solo per la Russia si può parlare di una vera e propria scuola nazionale, che si identifica col movimento artisticamente patriottico del Gruppo dei Cinque
NAZIONALISMO ED EUROPEISMO IN RUSSIA
All’inizio del XIX sec. dominavano musicalmente la Russia l’opera italiana e la musica strumentale tedesca. I primi passi in direzione dell’autonomia furono ad opera di Glinka e Dargomizski
Negli anni tra il 1830 e 40 il movimento più importante del nazionalismo russo fu quello slavofilo, in cui i seguaci esaltavano la Patria russa e le attribuivano l’ambiziosa missione di trascendere la nazionalità. Questi principi ispirarono i musicisti di S.Pietroburgo intorno al 1860, guidati da Mili Balakirev, il solo musicista professionista, in mezzo ai giovani aspiranti cui fu dato il nome di Gruppo dei Cinque. Essi non innovarono le forme, ma all’interno di esse portarono elementi nazionali originali: scale modali impiegate nel rito ortodosso, canti popolari, danze contadine, scene operistiche basate su storia russa, o scene di vita rurale. Tra i Cinque i minori sono Cui, delicato miniaturista, e Balakirev, oggi ricordato per la fantasia Islamey per pianoforte. I maggiori furono invece Borodin, Rimski-Korsakov e Mussorgski
Non tutti i compositori aderirono all’integralismo del Gruppo dei Cinque. Al contrario, dopo il 1860 il russo colto sentiva di essere parte integrante dell’Europa. Così i musicisti, tra cui
Figlio di un ing.minerario, ebbe le prime lezioni di pianoforte dalla madre. Entrò nella facoltà di diritto a S.Pietroburgo e frequentò il conservatorio. Ottenne la cattedra di armonia. Sposò un’ex allieva, ma fu un’unione disastrosa. Grazie agli aiuti economici di una ricca ammiratrice, ebbe modo di dedicarsi interamente alla composizione. Si fece apprezzare anche come direttore d’orchestra
La sua musica esprime la fase finale del romanticismo europeo, quella delle eleganze decadentistiche e patetiche. La spontaneità di Ciaikovski è grande pregio, ma anche limite, perché l’effusione lirica a volte cade nel languore, e gli accenti vigorosi diventano enfasi
COMPOSITORI NAZIONALI IN BOEMIA, NORVEGIA, FINLANDIA E SPAGNA
Era parte dell’impero austriaco. Nel 1848 scoppiarono moti rivoluzionari. I Cechi non rivendicavano l’indipendenza, ma condizioni di parità con gli altri popoli sotto gli Asburgo. Vantava solide tradizioni musicali. Gli esponenti più noti del nazionalismo musicale boemo furono
Niels Gade (1817-1890) Nielsen (1865-1931) in Danimarca, Franz Berwald (1796-1868) in Svezia, Stanislaw Moniusko (1819-1872) in Polonia, Grieg in Norvegia e Sibelius in Finlandia. Tutti di formazione tedesca, innestarono nelle loro composizioni elementi popolari della propria terra. Solo Grieg e Sibelius lasciarono durevoli impronte
Dopo la fioritura polifonica e la musica strumentale per vihuela, la Spagna, escludendo Scarlatti e Boccherini rimase estranea allo sviluppo musicale. Intorno alla metà del XIX sec. il genere preferito era la zarzuela, spettacolo teatrale simile al singspiel, in cui le parti cantate erano influenzate dal canto operistico italiano e francese. La scuola nazionale spagnola si avvalse dei nomi di compositori di origine catalana, ma residenti all’estero, Parigi in particolare
LE SCUOLE NAZIONALI, FASE SECONDA
La seconda generazione di musicisti delle scuole nazionali non si limitò a utilizzare materiale sonoro etnico, ma riuscì a farlo proprio assorbendo l’essenza della propria terra d’origine. Tra questi il polacco Szymanowski, il brasiliano Villa-Lobos, il messicano Chavez, oltre a
TESI XXXII: sguardo riassuntivo alle forme di musica svoltesi dalla fine del ‘500 in poi
Sopravvivono le forme delle composizioni richieste dall’esercizio del culto (messe e parti di messe, salmi, Magnificat, vedi TESI XI, XII, XV). Assumono lo stile concertante, per soli, coro e orch. Nascono, in stile monodico, l’oratorio cattolico e la cantata luterana da chiesa (TESI XV)
Al madrigale polifonico succedono, in stile monodico, l’aria con testo in italiano, duetto da camera (TESI XV)
Nacque a Firenze alla fine del ‘500. Nel ‘600 le 3 scuole: romana, veneziana, napoletana (TESI XVI e XVII). Nel ‘700 l’opera napoletana diventa europea, distinzione tra opera seria e buffa (TESI XVIII). Nell’800 il grande melodramma italiano (TESI XXII)
In Francia: nel ‘600-‘700 il ballet de cour, la tragedie-lyrique, l’opera-ballet, l’opera comique (TESI XX); nell’800 il Grand-opera (TESI XXIII)
In Germania: nel ‘700 il Singspiel (TESI XX); nell’800: il dramma romantico, Wagner (TESI XXIII)
Altrove: il masque in Inghilterra, la zarzuela in Spagna, l’opera nazionale in Russia e in Boemia
Nel ‘500 e primo ‘600: trascrizioni da musiche polifoniche vocali e composizioni cembalo-organistiche (TESI XXIV)
Nel ‘600: la suite, le sonate da chiesa e da camera (TESI XXV)
Nel ‘700: la sonata solistica e il concerto barocco. La sonata, il concerto e il quartetto classici (TESI XXVI)
Nell’800: sono ancora coltivate le forme classiche, ma si affermano il poema sinfonico (per orch) e tutte le forme derivate dal Lied per pianoforte (TESI XXIX)
TESI I: Origini della musica – I primi strumenti – La musica della mitologia
TESI II: La musica dei selvaggi e dei primi popoli storici: egiziani, cinesi, assiri e babilonesi, ebrei
TESI III: La musica dei greci e dei romani
TESI IV: La musica dei primi cristiani: il canto gregoriano nei suoi caratteri modali e ritmici
TESI V: Gli inizi della polifonia – Il contrappunto medioevale – Compositori e teorici
TESI VI: La scrittura musicale medioevale considerata specialmente in relazione alle origini della scrittura odierna
TESI VII: Guido d’Arezzo e il sistema musicale medioevale. La solmisazione
TESI VIII:Musica popolare e teatro nel medioevo – trovatori e menestrelli
TESI IX: La prima rinascita italiana: l’Ars Nova (madrigali, cacce, canzoni, ballate) – Strumenti in uso nel tempo (XIV sec.)
TESI X: Lo sviluppo del contrappunto vocale: la scuola fiamminga (XV e XVI sec.)
TESI XI: Le scuole polifoniche italiane del sec.XVI – Teorici e compositori – Semplificazione e purificazione della polifonia vocale – Riforma e controriforma: il corale – Palestrina – I due Gabrieli, Marenzio, Gesualdo, Vecchi, Banchieri, Croce, Gastoldi – La progressiva tendenza espressiva, drammatica, rappresentativa
TESI XII: Sguardo riassuntivo delle forme di musica polifonica cinquecentesca. Musica sacra: mottetti, messe, salmi, improperi – Musica profana: frottole villanelle, canzonette, madrigali, balletti, madrigali drammatici, intermezzi
TESI XIII: Conquista della tonalità moderna e dei nuovi mezzi espressivi – Strumenti a pizzico, ad arco, a fiato
TESI XIV: Origine del melodramma
TESI XV: Origini e primo fiorire dell’oratorio – Giacomo Carissimi – La cantata e il duetto da camera (seconda metà del ‘600, primo ‘700)
TESI XVI: La scuola romana – Monteverdi e la scuola veneziana
TESI XVII: L’opera napoletana – Alessandro Scarlatti – l’opera buffa e l’opera sentimentale
TESI XVIII: Sviluppo musicale del melodramma (recitativo, aria, finale, strumentazione espressiva) – Decadenza artistica
TESI XIX : La riforma di Gluck e Calzabigi – Teorici del melodramma – Satire e parodie in Italia e fuori
TESI XXI: Trapianto dell’opera italiana in Francia e Germania - L’opera italiana in Russia
TESI XXII: L’opera italiana nel secolo XIX: Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, autori minori - Il melodramma contemporaneo
TESI XXIII: Richard Wagner: importanza musicale e artistica, caratteri nazionali della sua produzione. I postwagneriani
TESI XXIV: Origini e prime forme della musica strumentale moderna: canzone, fantasia, ricercare, toccata e fuga
TESI XXV: La musica strumentale nel sec.XXVII: la suite e le sue origini; la partita. Sonate da chiesa e sonate da camera. Compositori, organisti, violinisti e cembalisti italiani e stranieri
TESI XXVI: La musica strumentale italiana nel XXVIII sec: conc.grosso e conc.solista. Origini italiane della sonata e della sinf. moderna. Cenni storici sull’organo, suo violino, sul pf e sul clavicemb (cembalari, organai e liutai)
TESI XXVII: Bach e Handel
TESI XXVIII: Haydn, Mozart, Beethoven
TESI XXIX: Il romanticismo
TESI XXX: La musica strumentale dei secoli XIX e XX. Il poema sinfonico e la musica a programma da Vivaldi in poi
TESI XXX: Le giovani scuole nazionali: Russia, Norvegia, Finlandia, Cecoslovacchia, Spagna
TESI XXXII: Sguardo riassuntivo alle forme di musica svoltesi dalla fine del ‘500 in poi
Fonte: http://kypmusic.altervista.org/documenti/storia%20della%20musica.doc
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