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STORIA DELLA SCIENZA E DELLE TECNICHE
Storia = “narrazione di fatti d’ordine politico, sociale, militare, religioso, economico e simili, relativi ad una determinata epoca, a un determinato evento, a una determinata collettività umana”
Scienza = significa “conoscenza”, ma anche “insieme delle discipline fondate essenzialmente sul calcolo e l’osservazione, come matematica, fisica, chimica, scienze naturali, astronomia…”. Oppure “complesso organico e sistematico di conoscenze determinate in base a un principio rigoroso di verifica della loro validità”
Tecnica = la risposta dell’uomo alla necessità di costruire i mezzi con cui soddisfare i propri bisogni (a cui si arriva attraverso procedimenti empirici che non comportano una conoscenza di tipo sistematico-scientifico)
Tecnologia (technology, secondo una definizione diffusa tra gli storici soprattutto anglosassoni) è invece il prodotto di una relazione ben precisa tra sapere scientifico e attività di tipo industriale.
Storia della scienza e delle tecniche = definizione di compromesso: la scienza è intesa come un sapere unico e assoluto, mentre le tecniche sono considerate nella loro pluralità. E’ storicamente corretto ?
È difficile fare una storia “unitaria” della scienza: le storie delle singole scienze sono molto diverse fra loro e richiedono competenze specifiche, dalle scienze esatte alle scienze naturali.
Lo sviluppo della Storia della scienza nelle ultime tre decadi è stato caratterizzato da una proliferazione di metodi e prospettive, piuttosto che dall’emergere del generale consenso su cosa sia esattamente la disciplina.
Risulta problematico parlare di uno scopo generale della Storia della scienza; di seguito alcuni giudizi:
“La Storia generale e ragionata delle Scienze e delle Arti comprende quattro oggetti: le nostre conoscenze, le nostre opinioni, le nostre dispute e i nostri errori”
(D’Alembert 1759)
“Lo storico della scienza […] deve analizzare le interazioni costantemente prodotte tra le idee scientifiche e le altre manifestazioni intellettuali o economiche. […] La storia della scienza ha come scopo di stabilire la genesi e il concatenamento dei fatti e delle idee scientifiche, tenendo conto di tutti gli scambi intellettuali e di tutte le influenze che il progresso stesso della civiltà pone costantemente in gioco.”
(George Sarton 1913)
“La storia del pensiero scientifico, per come io l’intendo e mi sforzo di praticare, mira a cogliere il cammino di questo pensiero nel movimento stesso della sua attività creatrice. Per questo è essenziale ricollocare le opere studiate nel loro contesto intellettuale e spirituale, interpretarle in funzione delle abitudini mentali, delle preferenze e delle avversioni dei loro autori”
(Alexandre Koyré 1966)
“Non si conosce completamente una scienza finché non se ne conosce la storia.”
(Auguste Comte 1830)
“La scienza del presente è dunque necessariamente superiore a quella del passato e non c’è alcuna ragione di tentare un arricchimento della scienza attuale mediante le conoscenze degli antichi. Le loro teorie, necessariamente false, non assumendo in sé le scoperte successive, non sarebbero in grado di portare alcun contributo effettivo alle scienze attuali”
(Claude Bernard 1865)
“Per combattere il dogmatismo, è molto istruttivo constatare come i fondatori di nuove teorie si siano resi conto maggiormente e meglio dei loro continuatori e commentatori dei punti deboli e delle insufficienze dei loro sistemi. […] In conclusione, risalire alle origini significa chiarire le idee, aiutare la scienza anziché bloccarla”
(Paul Langevin, 1926)
La storia delle scienze ha anche un valore educativo per gli stessi scienziati.
Il rischio della semplificazione è particolarmente grave per la storia della scienza, che spesso rischia di ridursi ad un semplice e lineare resoconto cronologico composto da una serie di:
eventi
invenzioni
scoperte
innovazioni
POSSIBILI EFFETTI NEGATIVI:
compilazione di una storia di precursori, di pionieri, di eroi, le cui attività sembrano tutte essere state in funzione di ciò che è attualmente accettato come “verità scientifica”
“popular science” che utilizza i fatti storici in modo disinvolto e poco accurato
una narrazione storica dove scompaiono gli ‘errori’, i ‘perdenti’, i “vicoli ciechi”, i “nemici” della teoria poi vittoriosa, diversamente dalla narrazione storica tradizionale dove ogni fattore viene almeno riconosciuto.
QUINDI:
“Non si può fare storia della scienza, ma anche storia in generale, senza calarsi completamente nella mentalità dell’epoca che si vuole ricostruire”
(Dario Generali 2002)
E’ realmente possibile?
“Lo storico delle scienze subirebbe un’immensa perdita se non facesse appello alle conoscenze superiori di oggi per valutare le scoperte e le teorie del passato. Ma è proprio facendo questo che si espone al maggior pericolo. Perché la scienza compie autentici progressi facendo scoperte e facendo errori, si è tentati in modo quasi ineluttabile di considerare le scoperte del passato come semplici anticipazioni, e apporti della scienza moderna, e annullare gli errori come cose che non portano a nulla. E’ proprio questa tentazione che […] può condurre alla forma più insidiosa di falsificazione della storia”
(Alistair Crombie 1959)
“È un’interpretazione degli scopi delle concezioni e delle soluzioni del passato, del modo in cui si sono prodotti nel passato che costituisce la principale ambizione dello storico delle scienze”
(Alistair Crombie 1959)
QUINDI:
Flessibilità ed eclettismo dello storico delle scienze, in grado di lavorare in diversi ambiti disciplinari à superamento della barriera fra le “due culture” (Charles Snow 1959)
TRE APPROCCI DI RICERCA:
Scientifico à storia “interna” lineare con ricerca dei precursori à conoscenza approfondita delle teorie scientifiche
Filosofico à storia “interna” con adesione a schemi interpretativi à “continuità/ “discontinuità” (Rivoluzioni scientifiche)
Storico à storia “esterna”: contesti e biografie à rischio erudizione
Lo scienziato non possiede gli strumenti di ricerca che sono propri dello storico (la capacità di orientarsi tra FONTI e bibliografia, conoscenza del periodo storico da trattare, ecc.).
Utilizza le FONTI per fare una storia “interna” e lineare della disciplina, senza prendere in considerazione gli elementi esterni alle idee scientifiche e gli “errori” scientifici ( storia della scienza, costruita sulla base dei “precursori”).
Ha il vantaggio di dominare concetti e conoscenze scientifiche attuali, fondamentali soprattutto per la storia di scienze come la fisica o la matematica, ma in genere per tutte le discipline, soprattutto se in riferimento agli ultimi due secoli
Fare storia “interna” è spesso una tendenza propria anche del filosofo o dello storico della filosofia e delle idee.
Ma, mentre lo scienziato, naturalmente permeato della cultura scientifica del proprio tempo, tende ad interpretare i fatti del passato giudicandoli negativamente o positivamente con il metro di giudizio del presente (può quindi non ritenere necessario di occuparsi di coloro che, secondo la scienza attuale, hanno sbagliato), il filosofo o lo storico delle idee tendono a verificare nel corso della storia di una data disciplina l’adesione ad un grande schema interpretativo, come ad esempio quello basato su discontinuità e continuità.
La teoria delle RIVOLUZIONI SCIENTIFICHE, che fa riferimento agli scritti di Thomas Kuhn (The structure of scientific revolutions, 1962), prevede il verificarsi dirompente di elementi di discontinuità (le rivoluzioni scientifiche appunto). Si tratta di fratture improvvise nel corso di una scienza “normale” nella quale, durante i lunghi periodi intermedi alle rivoluzioni, non accade nulla di rilevante e la comunità scientifica si basa su solidi “paradigmi”. La RIVOLUZIONE SCIENTIFICA è un grande schema concettuale, occupa quasi un secolo e mezzo (tra metà Cinquecento e fine Seicento) e afferma la nascita della scienza basata sul metodo sperimentale. Non è un fenomeno dirompente e comunque agisce in vari contesti (astronomia, matematica, cartografia, fisica): l’uomo è scienziato, non più mago, studia la natura attraverso quelle che individua come le sue leggi: ad esempio, Galileo studia i fenomeni applicandovi criteri matematici e sottoponendoli a verifica sperimentale, mentre la natura viene classificata sistematicamente dai botanici sul terreno….
Opposto all’idea di una scienza che si evolve in modo discontinuo è il concetto di continuità: un accumularsi graduale di conoscenze in cui tutti gli elementi (grandi scoperte e teorie fallite o abbandonate) contribuiscono allo sviluppo di una scienza, evolutasi anche attraverso successive controversie collegate tra loro.
Lo storico agisce muovendosi dal particolare: da un caso locale significativo, da un periodo di tempo ben delimitato o, ad esempio, da una biografia intellettuale, egli ricostruisce una vicenda con l’ausilio indispensabile di una gran mole di documenti.
Si può fare una storia della scienza partendo dai singoli individui, per includere istituzioni, università, accademie, giornali, società scientifiche per la diffusione e promozione delle scienze nella società. Il rischio è una storia troppo “esterna”.
PITFALLS (TRAPPOLE): HOOYKAAS, 1982
Hero-worship: compilazione di una storia di precursori, di pionieri, di eroi, le cui attività sembrano tutte essere state in funzione di ciò che è attualmente accettato come “verità scientifica”.
Group chauvinism: un’esaltazione nazionalistica delle “priorità” nelle scoperte o affermazioni fatte da scienziati compatrioti dello storico.
Un sentimento di superiorità verso i predecessori che porta a guardare al passato con condiscendenza e scarso interesse a ‘calarsi’ nella mentalità e nel contesto dell’epoca in esame
Una forma di “popular science” o divulgazione scientifica che utilizza i fatti storici in modo poco accurato o come elementi ‘decorativi’
Una narrazione storica dove scompaiono gli “errori”, i ‘perdenti”, i “vicoli ciechi”, gli antagonisti delle teorie poi vittoriose (“whiggism”) e lo sviluppo storico è visto in funzione delle teorie scientifiche attualmente adottate (“presentism”)
Una FONTE è un elemento materiale del passato, un dato obiettivo creato da esseri umani; per esempio una lettera o un vaso di argilla. Ma tale elemento non è di per sé stesso una FONTE. Esso può detto un residuo del passato o un oggetto di FONTE. Se il residuo deve ottenere lo status materiale di FONTE, esso deve essere una prova del passato, deve dirci qualche cosa su questo. È lo storico che trasforma il residuo in una FONTE mediante la sua interpretazione. Ponendogli quesiti partendo da un’ipotesi particolare, lo storico “costringe” la FONTE a sprigionare un’informazione.
Diversamente dal residuo la FONTE, non è un elemento materiale, ma deve essere considerata come informazione che ne è stata ricavata. L’informazione ottenuta dalla FONTE, e in tal senso la FONTE stessa, diventa un gioco reciproco fra l’oggetto-FONTE e lo storico, un incontro fra passato e presente. Ne segue che mentre l’oggetto-FONTE è fisso, proprio la stessa FONTE può fornire informazioni diverse e forse contraddittorie.
“...La Storia della scienza continuerà a dipendere dalle FONTI disponibili al momento, ma la corretta valutazione e l’uso delle FONTI, dipenderà dall’abilità dello storico nel fare ricerca critica storica”.
Certe fonti sono relazioni sul passato scritte con lo scopo di dire qualcosa su quel che una volta fu il presente; o sono dirette ai contemporanei, o più raramente, a generazioni future. Le fonti come queste che intenzionalmente forniscono testimonianze, si dicono FONTI ELOQUENTI o SIMBOLICHE.
In contrasto con queste, le FONTI MUTUE o NON SIMBOLICHE che sono quelle che danno informazioni soltanto non intenzionalmente o involontariamente. Le fonti SIMBOLICHE e NON SIMBOLICHE sono create da esseri umani è non è molto nitida la loro linea di separazione.
A differenza delle fonti non simboliche, esse possono contenere valutazioni sulla situazione esistente all’epoca in cui sono state scritte. Le fonti che hanno maggior importanza per la storia, appartengono a questo gruppo.
Esse possono fornire preziose indicazioni sugli aspetti sperimentali e tecnici della scienza, aspetti che facilmente possono essere sottovalutati, se lo storico si fida solamente di fonti scritte.
L’obiettivo dell’analisi fondata su fonti, è quello di determinare se esse siano attendibili oppure no. In tale contesto si usa far distinzione fra FONTI PRIMARIE e FONTI SECONDARIE.
Per FONTE PRIMARIA si intende una fonte che proviene dal tempo del quale essa fornice informazioni: come tale essa ha una connessione diretta con la realtà storica. Consente la ricostruzione del patrimonio di conoscenze, studi e attività di uno scienziato o istituzione:
Una FONTE SECONDARIA, proviene da un periodo più tardo di quello per cui serve da fonte. Sono gli studi che, basandosi sull’analisi delle fonti primarie, si occupano di singoli scienziati o dello sviluppo di alcune scienze e tecniche in un determinato periodo storico.
Si vuole ancora ribadire che la distinzione tra fonti primarie e secondarie non è cosi netta; poiché una fonte è tale soltanto in un contesto storico preciso, lo stesso oggetto della fonte può costituire tanto una fonte primaria quanto secondaria, a seconda dell’uso che se ne fa!
Un altro modo di classificare le fonti è la distinzione tra FONTI PERSONALI e FONTI ISTITUZIONALI.
Queste a loro volta si possono distinguere in:
Il valore delle fonti CONFIDENZIALI (non pubbliche), dipende dalle vedute e dagli interessi dello storico. Per quanto riguarda gli aspetti cognitivi della scienza, le fonti non pubbliche avranno una priorità assoluta. Ma ciò non vale se lo storico è ad esempio focalizzato sulla scienza come fenomeno sociale. Con questa prospettiva, taccuini, note di laboratorio, manoscritti saranno in gran misura irrilevanti. Il fatto è che queste fonti sono mezzi privati, e pertanto hanno poco a che dire con la storia sociale della scienza. Un manoscritto noto solo all’autore, non può avere avuto un’influenza sociale sull’evoluzione della scienza! Lo storico sociale si concentrerà quindi maggiormente su fonti PUBBLICHE. In generale, la storia sociale, richiede un approccio più complesso e diverso da quello della storia intellettuale. Lo storico sociale, avrà da esaminare non soltanto gli attori (gli scienziati), ma anche il loro pubblico!
È di fondamentale importanza la selezione e la valutazione dei materiali delle fonti, anche in relazione alla tipologia e ai diversi livelli di comunicazione.
Le dichiarazioni pubbliche e le affermazioni private degli scienziati vanno valutate alla luce di una loro possibile alterazione in funzione di un particolare obiettivo (ad esempio la carriera, l’avanzamento sociale, il consenso politico, questioni morali, etc.).
È spesso impossibile fare Storia della scienza non tenendo conto dei molteplici condizionamenti economici, ideologici e soggettivi a cui è sottoposta la ricerca (“storia esterna”)
Le fonti contraddittorie (idee diverse e spesso contrastanti sul medesimo processo scientifico): esprimono la complessità delle vicende storiche che portano a rilevanti eventi scientifici.
Diffidare delle ricostruzioni storico-scientifiche troppo lineari: una storia comparata delle scienze e delle tecniche, oltre a fornire un’immagine articolata e corretta, permette un approccio critico, basato sulla consapevolezza della tortuosità del procedere della ricerca e dell’elaborazione delle teorie, contro le tentazioni ad adottare modelli assoluti e rigidi.
Non esistono fonti “neutrali”: ogni fonte ha un’origine, una ragione d’essere, un significato…
Problema della eccessiva quantità e della difficile verificabilità delle fonti
Importanza dell’acquisizione degli strumenti interpretativi di base (lessicali, filologici, iconografici, paleografici,...).
Il processo di ricerca storica comincia con l’individuazione di una situazione problematica. Lo storico sceglie tale situazione, tale problema, in relazione al suo desiderio di occuparsi di un soggetto particolare. Egli pone i quesiti sul soggetto, costruisce un’idea di quel che desidera sapere. Tali quesiti conducono naturalmente a fonti particolari, che potrebbero forse essere idonee a rispondere alle domande. La situazione di partenza del problema si trasformerà mediante il processo di ricerca, in parte in conseguenza dello studio delle fonti.
Innanzitutto bisogna reperire ed identificare le fonti riguardanti il problema proposto. Ciò può richiedere una dura fatica. Spesso è buona idea prendere le mosse da fonti secondarie, in particolare da lavori che altri storici hanno scritto sugli stessi argomenti; in tal modo ci si può risparmiare una lunga ricerca di consultazione.
Qualunque sia l’approfondimento delle fonti, tuttavia lo storico non riuscirà mai a fondare uno studio su tutte le fonti attinenti. È impossibile sapere se un’informazione rilevante possa trovarsi in fonti che non sono state consultate.
Una volta scelte le fonti, lo storico dovrebbe sin dall’inizio, verificare la loro autenticità. In altre parole egli dovrebbe prestare attenzione all’eventualità che esse potrebbero esse state falsificate.
Criticismo Storico è il processo di analisi critica delle fonti eseguito per stabilire la loro autenticità e attendibilità. L’informazione presentata è di solito la versione che l’autore fornisce della realtà. Occorre analizzare i motivi che l’autore aveva per scrivere sull’argomento; stabilire la motivazione della fonte. A chi era rivolta originariamente? In quali condizioni è stata scritta? E soprattutto si deve confrontare l’informazione contenuta nella fonte, con altre testimonianze riguardanti lo stesso evento; in particolare si deve confrontare con altre fonti!
Alla luce di quanto esposto, sono possibili le seguenti considerazioni:
Quindi vanno considerati:
1 – il problema dell’ obiettività della ricerca storica
2 – il problema delle fonti
Quanto si può essere obiettivi nella ricostruzione di un fatto scientifico?
Quando si usa:
Perché si usa:
Esistono però alcune correnti di pensiero, che hanno una concezione negativa nei riguardi dell’utilizzo della storia ipotetica.
Secondo queste teorie, gli eventi storici, a causa della loro collocazione nel passato, non possono essere ricreati o manipolati; per queste ragioni le affermazioni ipotetiche e contrarie ai fatti, sono inaccettabili nelle opere storiche. Sarebbe certo inutile e probabilmente insensato chiedersi se un certo fatto sarebbe stato scoperto ugualmente da qualcun altro oltre al suo scopritore, se questi non fosse esistito.
Un’affermazione contro l’evidenza dei fatti è un’affermazione “fattualmente falsa”; in altre parole è inconciliabile coi fatti noti. Tali affermazioni sono anche chiamate “controfattuali”. Se non si fosse verificato il caso X, Y non sarebbe avvenuto, è un’asserzione controfattuale, in quanto il caso X si è di fatto verificato (che Y sia accaduto o no).
La storia controfattuale sembra presupporre che singoli eventi storici possano essere astratti dal loro contesto, senza disturbare niente più che alcuni altri avvenimenti. Secondo molti storici, con un punto di vista globale, questa presupposizione è fondamentalmente ingiustificata, dal momento che tutti gli eventi storici sono connessi gli uni agli altri. La presupposizione che un avvenimento reale non avesse avuto luogo, avrebbe cambiato tutti gli eventi successivi, in modo totalmente prevedibile. Nonostante queste obiezioni, situazioni storiche controfattuali hanno comunque valore nella storia.
In pratica le domande controfattuali non sono rare nella Storia della scienza:
“Noi dovremmo chiederci non solo come fu realizzata questa scoperta, ma anche perché non venne realizzata prima, e quale sarebbe stato il corso della storia se fosse andata diversamente” (Bernal 1969).
Alcuni importanti storici, ritengono insostenibile il rifiuto della storiografia ipotetica: “...nessuno storico nega la possibilità di capire ciò che è stato, immaginando cosa sarebbe potuto accadere invertendo, o al contrario, rimuovendo dei fattori causali. La immaginaria costruzione di un possibile futuro non deriva dal tentativo di negare al passato il suo corso effettivo. Al contrario, essa sottolinea la vera natura storica del passato, liberandolo da tutto ciò che potrebbe sembrare dettato e imposto dal destino”.
Biografie di eminenti scienziati, costituiscono una delle forme più antiche, fondamentali e di grande diffusione, di Storia della scienza. Anche se le biografie sono spesso di dubbia qualità, esse possono svolgere funzioni non consentite da altre forme di storia.
Dato che una biografia scientifica è costruita attorno a un individuo, essa può facilmente sconfinare e fornire un quadro distorto dell’evoluzione della scienza. Infatti, è nella stessa natura delle cose (se ci si concentra sulle conquiste dello scienziato la cui storia di vita viene narrata), esaltare i suoi successi mentre altri scienziati rimangono nell’ombra.
Esistono biografie scientifiche “eroiche” o “mitizzate”, ma anche molto negative o distruttive del mito, come nel caso di celebri personaggi storici. Per esempio in una delle biografie di Newton, il fisico è si dipinto come un genio, ma un genio umano che ha sofferto conflitti psichici al limite della paranoia e che non era assolutamente al di spora degli interessi di questo mondo.
L’approccio biografico consente di effettuare una ricerca storica rigorosa e articolata, ma nel contempo offre un punto di osservazione privilegiato sulla scienza del periodo in cui agisce l’oggetto della biografia.
Il rischio è pertanto l’identificazione del biografo con lo scienziato, presentato come un “eroe” mentre i suoi oppositori o rivali sono rappresentati come i “malvagi”. Quando ciò accade, la biografia degenera nella cosiddetta “agiografia”, una storia incolore e priva di senso critico.
Il secondo rischio è dettato dalla tendenza a “psicanalizzare” eccessivamente l’oggetto del proprio studio biografico. Se si usano estensivamente idee psicoanalitiche o simili, si può parlare di un approccio “psicobiografico”. Questa è un’arte difficile, piena di tranelli. Ad esempio Sigmund Freud, scrisse uno studio psicobiografico su Leonardo da Vinci, in cui analizzò le esperienze d’infanzia di Leonardo. In questo studio Freud commise un errore grossolano nella traduzione della parola italiana “nibbio”, che interpretò come “avvoltoio”: termine che nella psicanalisi ha un significato simbolico particolare e su cui Freud fondò parti della sua interpretazione di Leonardo.
Esiste inoltre l’autobiografia: è una fonte utile ma mai casuale, quindi da interpretare nelle sue motivazioni originarie.
La prosopografia è l’uso di biografie collettive nella ricostruzione storica. Questo metodo è caratterizzato dal fatto che esso usa come fonti i dati riguardanti più persone ed eventi (bibliografie collettive, tavole sinottiche di scoperte e invenzioni, registri e annuari). Si basa quindi sul concetto di comunità scientifica: studi sull’evoluzione e sui progressi delle comunità e discipline scientifiche, sono un genere storico che utilizza metodi simili a quelli della prosopografia.
La prosopografia privilegia lo studio delle “élites”scientifiche, spesso legate a un istituzione (per esempio la Royal Society nel XVII secolo o il circolo esclusivo di scienziati vincitori di premi Nobel del secolo presente). Come è stato però più volte sottolineato, una corretta esposizione della Storia della scienza sociale, dovrebbe ampliare le proprie indagini anche verso coloro che non hanno mai ricevuto un riconoscimento ufficiale, verso gli scienziati per così dire “normali”, oppure i molti che non sono scienziati veri e propri ma che appartengono alla periferia della scienza.
Offre anche un approccio di tipo statistico che assegna notevole importanza al dato numerico.
I risultati dell’indagine prosopografica non intendono interpretare i contenuti della scienza in questione, ma offrire dati empirici, non problematici. La prosopografia è infatti una forma di storia QUANTITATIVA.
Per denotare un insieme di metodi che quantificano l’evoluzione, il progresso e la distribuzione della scienza in un determinato periodo, si usa il termine di “SCIENTOMETRIA”.
Si possono distinguere due generi di studi nella Storia della scienza orientata scientometricamente:
La scientometria ricorre a due elementi di misura quantitativi:
Nel primo caso vi sono però ovvi problemi: quali persone dovrebbero essere classificate come scienziati?
Nel secondo caso, si presuppone che la comunità scientifica sia esclusivamente “papirocentrica”, in cui la pubblicazione è riconosciuta come virtù o necessità. Non vi è dubbio che la scienza-base oggi è governata dal fenomeno “pubblica o perisci”, ma in tempi più antichi, la tirannia della pubblicazione era meno evidente o non esisteva affatto.
Altri elementi che si possono misurare sono:
Le tecniche scientometriche sono fondate sulla largamente accettata supposizione che, almeno in linea di principio, sia possibile localizzare con precisione nel tempo le scoperte scientifiche ed isolarle come eventi singoli. Una tale visione è però fuorviante; le scoperte scientifiche non sono di solito eventi discreti. Esse sono processi che raramente possono essere localizzati in un tempo particolare o in un posto particolare.
Consideriamo ora un’altra specie di storiografia quantitativa, la tecnica cioè che fa uso dei concetti di frequenza delle CITAZIONI: ossia il numero delle volte che una pubblicazione scientifica è citata in altre pubblicazioni.
Una misura di questo tipo ha il vantaggio che può essere usata in relazione ad un singolo lavoro scientifico: se questo lavoro è frequentemente citato dai colleghi della disciplina, esso tenderà ad essere giudicato importante.
Lo svantaggio è che una parte importante di letteratura è omessa nelle citazioni, perché data come “tacita”, come conoscenza acquisita, nota cioè a chiunque si occupi della specialità. Inoltre, nei casi di conflitti di priorità o altre controversie, si verifica spesso che le pubblicazioni di un “antagonista” siano deliberatamente lasciate fuori (non vengono citate). Un esempio tipico è dato durante la prima guerra mondiale, quando gli scienziati militanti in Inghilterra e Francia, raccomandavano di ignorare i contributi provenienti dalla Germania.
Le suddette riserve portano alla conclusione che la tecnica delle citazioni, non può essere accettata come misura assolutamente attendibile. Non vi è dubbio che in molti casi la frequenza delle citazioni rispecchia un certo andamento degli eventi nella Storia della scienza, ma la misura non dovrebbe essere accreditata con alcun particolare status di attendibilità in confronto a valutazioni basate su una sima qualitativa.
Ora possiamo trarre alcune conclusioni sull’approccio scientometrico della Storia della scienza.
Dovrebbe essere ovvio che la scientometria non può in alcuna circostanza, esistere da sola! Se deve avere un valore storico, deve essere considerata come un supplemento e qualche volta, come un correttivo dei metodi storici tradizionali. Se la scientometria è usata accuratamente in combinazione con altri metodi, può avere una notevole importanza, specialmente nello studio della scienza moderna.
Si tratta di una tecnica storiografica che utilizza la ricostruzione di esperimenti storici come metodo supplementare per l’interpretazione dei testi. Lo storico italiano che ha sviluppato il metodo sperimentale è Luigi Belloni. Nel 1970 egli scrisse: “il metodo migliore e qualche volta unico per giungere ad una esatta interpretazione del testo considerato, consiste nel ripetere le esperienze nelle stesse condizioni in cui esse furono eseguite originariamente”.
La storia sperimentale della scienza può fornire informazioni sul fatto che l’esperimento sia stato realmente eseguito o solamente “pensato”. Se i testi storici descrivono risultati di esperimenti che sono in netto contrasto con le ripetizioni moderne, si avrà ragione di dubitare che l’esperimento sia stato effettivamente eseguito e abbia dato i risultati descritti. Se, d’altre parte, l’esperimento corrisponde alle ricostruzioni sperimentali, abbiamo ragione di credere nella veridicità della relazione.
Questo tipo di approccio, richiede una conoscenza approfondita dei metodi, dei tempi e degli strumenti usati che dovrebbero essere nuovamente utilizzati affinché la ripetizione sia un esatto esperimento storico. Tale conoscenza spesso non c’è e l’esperienza ricostruita è inficiata da livelli così elevati di incertezza rispetto all’originale che non è possibile trarne alcuna conclusione.
D’altro canto, vi sono degli storici che rifiutano per principio il metodo sperimentale; secondo questi non è possibile ripetere l’esperimento di “ieri”. Esso se ne è andato per sempre nel passato che è accessibile soltanto al tipo di indagine che si dice “storica”.
Questi due punti di vista non sono necessariamente contraddittori, ciascuno di essi è vero suo modo.
La ragione per cui una riproduzione sperimentale debba essere considerata come un metodo accettabile, consiste nel fatto che le leggi della natura non dipendono dal tempo (sono “astoriche”), quindi il legame tra esperimento e risultato oggettivo resta valido anche attraverso i periodi storici.
Gli eventi di scienze naturali “storiche” come biologia, evoluzionistica, geologia, astronomia, non sono invece ripetibili nell’esperimento.
Esistono due possibilità di tentare una storia sperimentale della scienza nell’ambito delle scienze della Terra:
Un modo per organizzare la Storia della scienza è quello di dividerla in sezioni “orizzontali” e “verticali”.
Per Storia della scienza orizzontale si deve intendere lo studio dell’evoluzione nel tempo di un argomento dato, molto specifico. La storia orizzontale è quella che tipicamente affronta la storia di una disciplina o di una sub-disciplina.
La Storia della scienza verticale rappresenta un metodo alternativo di organizzare la storia delle materie scientifiche. Lo storico incline a questo tipo di approccio, parte da una prospettiva interdisciplinare , dove la scienza è vista come un elemento che non deve essere isolato dagli altri dello stesso periodo.
Mentre la storia orizzontale è un insieme di fotogrammi, una pellicola dedicata ad una parte molto ristretta della scienza, la storia verticale è un’istantanea della situazione generale.
Nella storia organizzata orizzontalmente, lo storico isola una particolare disciplina o problema, dalle altre discipline contemporanee. Questo tipo di approccio implica il rischio di casere in anacronismi. Per concludere è possibile affermare che la storia orizzontale tende a diventare una sterile ricapitolazione dell’evoluzione e del decadimento degli spetti intrinseci, “interni” di una disciplina: come tale oltre che ad essere poco interessante, sarà anche delimitata.
In termini di suddivisione moderna della scienza, bisogna considerare che gli scienziati del passato operarono spesso in modo interdisciplinare (quindi verticalmente). Per esempio Copernico non dovrebbe essere considerato solo un astronomo; egli studiò medicina e legge, si occupò di economia. Se si isola il Copernico astronomo dal Copernico ufficiale (dottore, avvocato e umanista), non solo si dà un’immagine distorta dello studioso polacco, ma si escluderà la possibilità di fare connessioni verticali tra le concezioni di astronomia di Copernico e tutte le altre attività che dominarono la sua vita!
A dispetto delle critiche che si possono sollevare contro le storie organizzate orizzontalmente, sarebbe però erroneo rifiutare completamente questo tipo di approccio. Almeno in certi casi è possibile identificare discipline e temi specifici nei periodi passati senza peccare di anacronismo. Un crescente isolamento delle discipline, è tipico di una scienza altamente specializzata e organizzata, come quella di inizio secolo. Per quanto concerne la scienza moderna, è dunque meno problematico organizzare la storia orizzontalmente; se si debba adottare o meno un approccio verticale (interdisciplinare), non è quindi un problema di principio, ma di contingenza storica.
Un tipo speciale di organizzazione della storia, che comprende sia caratteristiche del metodo orizzontale che di quello verticale, è collegata alla “tesi dei temi storici invarianti” o più semplicemente “TESI DELL’INVARIANZA”.
È la tesi in base alla quale, la storia può essere vista come una variazione su un numero relativamente piccolo di temi costanti o di idee base, che si manifestano in differenti periodi e in tutte le branche importanti della cultura. Ma anche in questo caso, tale teoria non deve essere considerata come modello infallibile per l’organizzazione della Storia della scienza, ma come principio euristico .Infatti nella maggior parte dei casi, risulta difficile parlare di idee base realmente invarianti come quantità indipendenti dalla storia. I concetti e le idee non sono mai le stesse su un lungo arco di tempo, o lo sono raramente; i concetti fondamentali spesso si evolvono ben al di là della possibilità di essere riconosciuti attraverso il processo storico.
Storia SINCRONICA = la scienza del passato studiata alla luce delle conoscenze che possediamo oggi, nella prospettiva di comprendere i suoi ulteriori sviluppi, specialmente quelli che portano all’epoca attuale, al presente. È del tutto legittimo che lo storico intervenga sul passato con il bagaglio di conoscenze che possiede oggi. La storia sincronica in questo senso, comporta un certo tipo di anacronismo.
Raramente, al giorno d’oggi, la storia sincronica si configura come una strategia storiografica cosciente. Al contrario esiste un largo consenso sull’ideale non sincronico. Anche così, in pratica, la storia sincronica della scienza è molto diffusa e difficilmente evitabile. La storia sincronica viene utilizzata per trasmettere i “contenuti tecnici” della scienza del passato, agli scienziati del presente. Ad esempio secondo Truesdell, la conoscenza della termodinamica moderna, è la condizione necessaria per scrivere correttamente la sua storia. La visione di Truesdell, non è condivisa da molti altri storici, tuttavia se si tiene conto che lo scopo di Truesdell è quello di scrivere una Storia della scienza per scienziati, si può dire che questo sia un atteggiamento fruttuoso.
Quella che qui chiamiamo storia sincronica è quella conosciuta come “Whig interpretation” della storia, intendendo con questa interpretazione lo studio del passato con un occhio al presente. Il termine “Whig” fu inventato da Herbert Butterfield, il quale definì l’uso della storia sincronica come “la scrittura della storia al di fuori della storia” (“unhistorical history writing”). Ben presto il suddetto termine divenne di uso comune e generalmente visto con risvolti negativi. In un celebre scritto, Herbert Butterfield disquisì nel seguente modo contro l’approccio Whig: “...io credo che talvolta si sia dimostrato più utile imparare qualcosa dai fallimenti e dalle ipotesi erronee dei primi scienziati, e persino ricercare quegli sviluppi che portarono a vicoli ciechi, ma che tuttavia ebbero una certa influenza sul progresso della scienza...”.
Nella Storia della scienza, esiste una lunga tradizione che si interessa ai personaggi e alle teorie che hanno anticipato qualche particolare teoria moderna. Questo interesse è stato recentemente criticato da molti autori, anche se la critica non è del tutto nuova.
Il problema delle anticipazioni, consiste nel fatto che queste implicano interpretazioni a posteriori, alla luce di una più ampia conoscenza del fenomeno. Le scoperte scientifiche andrebbero infatti giudicate rispettando il loro significato storico.
Per la sua stessa natura, l’anticipazione implica una prospettiva sincronica. Ciò non è problematico in sé stesso, ma lo diventa se si attribuiscono ai predecessori capacità straordinarie e se le teorie posteriori vengono proiettate sistematicamente sulle loro opere.
Storia DIACRONICA = la scienza del passato alla luce delle situazioni e concezioni reali dell’epoca, trascurando tutti gli avvenimenti successivi.
Questo è un ideale, in quanto lo storico non può liberarsi completamente della “forma mentale” e degli “standard” del suo tempo. Idealmente lo storico intende agire come un osservatore nel passato e non del passato.
Una Storia della scienza completamente diacronica, forse potrà dare una reale rappresentazione del passato, ma risulterà anche “antiquaria”, erudita e inaccessibile se non a pochi specialisti. La Storia della scienza non è una relazione a due fra il passato e lo storico, ma una relazione a tre: fra il passato, lo storico ed il pubblico odierno! Nell’insieme la storiografia diacronica fallisce nell’espletare la sua funzione di comunicare la storia; avrà piuttosto la tendenza a trasmettere una dettagliata ma passiva descrizione di dati storici, mentre si trascurano l’analisi e la spiegazione.
Concludiamo con la considerazione che in pratica lo storico non deve fare una scelta definitiva tra storia sincronica e diacronica. Di solito entrambi gli elementi dovrebbero essere presenti nell’indagine storica.
Lo storico della scienza deve avere la testa del Giano Bifronte, ed essere in grado quindi di rispettare nello stesso tempo punti di vista contraddittori come quello diacronico e sincronico.
“Per avere un giudizio obiettivo, lo storico deve avvicinarsi al pensiero, alle osservazioni e agli esperimenti dei predecessori con comprensione: egli deve avere un potere di immaginazione sufficientemente grande, tanto da “dimenticare” ciò che divenne noto dopo il periodo che sta studiando. Nello stesso tempo, deve saper confrontare le concezioni del passato con quelle odierne, per essere compreso dal lettore moderno e per rendere viva e attuale la storia ed attribuirle un interesse diverso e superiore a quello di puro antiquariato erudito”.
Non appena l’evidenza documentata viene distorta, ignorata oppure investita di un’importanza spropositata affinché si adatti meglio a una morale particolare che ha una funzione sociale, ecco che la storia diventa ideologica.
Un’ideologia è il complesso delle motivazioni ideali che legittima le vedute e gli interessi di qualche particolare gruppo sociale o individuo.
La distorsione connessa ad una dottrina ideologica, può essere operata deliberatamente, ma normalmente non avviene così. Le ideologie raramente sono riconosciute dagli ideologi o dai gruppi sociali verso gli interessi dei quali sono orientate.
Gli scritti storico-ideologici ricoprono una vasta gamma; in casi estremi essi sono apertamente delle versioni storico-ideologiche, per esempio, di fini politici. Tali ideologie “ESTERNE” sono dirette verso un pubblico profano o verso gruppi politici. Esse possono legittimare particolari sistemi politici rappresentandoli come superiori in funzione dell’evoluzione scientifica.
Una storia ideologica ESTERNA, si trova tipicamente in connessione con scritti storici nazionalistici. Un esempio a sostegno di quanto detto, ci viene dato immediatamente dopo la prima guerra mondiale, dove un imminente fisico e matematico francese scrisse una Storia della scienza nella quale si dimostrava che tutto ciò che c’era di buono nell’evoluzione della scienza era dovuto a scienziati francesi e tutto ciò che vi era di scadente, era opera di scienziati tedeschi. Oppure ancora, un altro fisico vincitore di un Nobel, scrisse 20 anni più tardi una “Storia ariana della scienza”, in cui dimostrava che tutti i contributi positivi alla Storia della scienza erano fatti da ariani, mentre molti scienziati ebrei, o avevano fatto ricerche scadenti o avevano rubato idee ai non ebrei.
Le ideologie “INTERNE” invece, sono rivolte alla comunità scientifica, ad altri scienziati o ai novizi del campo scientifico e anch’esse servono da avallo, da giustificazione, ma in modo più sottile, meno politico. Forse si dovrebbe parlare di MITIZZAZIONE della Storia della scienza. La funzione sociale del mito sta nel consolidamento del prestigio, dell’unità e dell’autocoscienza di un gruppo sociale, in questo caso degli scienziati stessi.
L’elemento storico, compare specialmente nei modelli: vari tipi di soluzioni concrete che servono da esempi sul come una specialità debba essere messa in pratica. La conoscenza dei modelli storici, dei padri di una disciplina o di una istituzione, vedere come la sua disciplina si sia sviluppata, quali metodi abbiano importanza, chi siano i fondatori e le autorità in materia è una parte fondamentale del processo di socializzazione che lo scienziato deve esaminare per essere considerato fra i praticanti della disciplina. Questa specie di storia istituzionalizzata della scienza, è stata chiamata “Working history” degli scienziati, “storia per gli addetti ai lavori”. Una storia pratica, che dà istruzioni sui metodi da seguire a coloro che lavorano nella disciplina o desiderano parteciparvi. Grazie alla sua funzione pratica nella sociologia della comunità scientifica, la Working history è mitica. Essa è essenzialmente statica e svolge una funzione socializzante.
Quindi:
la dipendenza della tecnica dalla ricerca scientifica è un fenomeno recente, successivo alla cosiddetta “prima rivoluzione industriale” (dopo il 1750). In questo periodo, con “tecnologia” si indicano le macchine e i congegni utilizzati per la produzione industriale.
Le tecniche sono attività umane molto più antiche rispetto alle scienze. I primi documenti archeologici sono infatti gli attrezzi prodotti da una tecnica.
Secondo Donald Cardwell (1994): la storia delle tecniche = storia di base most basic, most comprehensive, ovvero comprensiva di tutte le altre storie.
Le periodizzazioni preistoriche che seguono le ere geologiche si definiscono età della pietra, età del ferro, del bronzo, in quanto si basano sulle diverse tecniche sviluppate dall’uomo per il trattamento semplice di materiali immediatamente disponibili (come la pietra) e la produzione di altri che invece devono essere “estratti” dal suolo e lavorati con procedimenti più complessi (ferro, bronzo). Tutti questi materiali vengono modellati per farne oggetti, armi, utensili, suppellettili, strumenti (più tardi macchine).
Storia della tecnica = Storia della conquista dei materiali
Questa conquista dei materiali ha condotto fin dall’Antichità all’esplorazione del sottosuolo, sia pure inizialmente limitata ai minerali nativi più facilmente disponibili e a poca profondità ® ricerca dei metalli
La metallurgia (cioè la tecnica per la fusione ed il trattamento dei metalli quali ferro, rame poi leghe di bronzo), diventa una delle tecniche più sviluppate e diffuse in Asia, Vicino Oriente ed Europa. E’ una tecnica così antica che già presenta una combinazione piuttosto complessa di conoscenze nei primi metodi di fusione, come quello detto della “cera persa”.
ATTIVITÀ MINERARIA E METALLURGICA
Il progredire della tecnica metallurgica è legato all’attività mineraria cioè di ricerca ed estrazione dei minerali metalliferi (ferro e rame, poi argento e oro), che è a sua volta molto antica. Attività mineraria ® armi, attrezzi, utensili, ma anche monete e metalli preziosi.
L’attività mineraria si espande su scala molto ampia rispetto ad altre tecniche (ad esempio realizzate nelle botteghe artigiane), in quanto deve affrontare problemi logistici legati al controllo delle forze naturali (gallerie, acqua, grandi fusioni).
Inoltre, in diversi periodi storici, l’attività mineraria si collega alla nascita o allo sviluppo di alcune discipline scientifiche: in primo luogo geologia e mineralogia, ma anche a chimica, idraulica, ingegneria e meccanica.
Il rapporto scienza/tecnica non è “unidirezionale”: se la geologia nasce come disciplina scientifica su una base “tecnica”, non altrettanto può dirsi di scienze come la zoologia o la biologia. È nello stesso periodo di fine Settecento in cui la geologia si forma su basi “minerarie”, sono invece gli studi scientifici che determinano i primi passi dell’industria chimica.
Un altro momento significativo di incontro tra scienza e tecnica è la progettazione e produzione di strumenti scientifici, costruiti dai tecnici per le osservazioni degli scienziati. Casi di collaborazione e interazione, in particolare a partire dal Seicento.
PROBLEMI DI STORIA DELLE TECNICHE
I tecnici (ad esempio quelli attivi nelle “botteghe artigiane” a Firenze tra Quattrocento e Cinquecento), trasmettono il loro sapere oralmente e attraverso l’apprendistato: questa cultura dei pratici, può assumere connotazioni diverse, a seconda del contesto e del tipo di tecnica applicato, ma non è facilmente ricostruibile e in questa difficoltà sta il problema di fare storia delle tecniche (quale insieme di nozioni e abilità esclusivamente pratiche).
L’invenzione della stampa (grande risultato di una raffinata attività tecnica), non contribuisce a lasciare testimonianze dirette dello sviluppo delle tecniche, a parte alcuni casi come i Teatri di Macchine, “genere letterario” di fine Rinascimento.
In mancanza di fonti cartacee e “simboliche”, aumenta l’importanza di oggetti, strumenti, edifici, luoghi...
Il problema del linguaggio tecnico non è solo visivo (es. disegni di macchine o schizzi minerari). È necessario identificare gli oggetti delle diverse tecniche e le parole che li definiscono: il lavoro storico anche su questo materiale è complesso e impegnativo. Non è la stessa cosa, ad esempio, analizzare la tecnica mineraria del Cinquecento in Sassonia e la produzione della carta nel Seicento in Liguria.
La storia della tecnica deve applicarsi ad ambiti definiti e ristretti, soprattutto se considerata anteriormente alla rivoluzione industriale, per l’estrema specificità degli oggetti.
La tecnica come categoria astratta non è storicizzabile, così come non lo è la scienza in senso astratto e unico: ci sono le tecniche e le scienze diverse tra loro, con storie diverse e diverse interazioni.
Due direzioni di ricerca
La storia delle tecniche non è una semplice storia cronologica delle scoperte e delle invenzioni. E’ invece una storia su “cosa” sono e “come” funzionano le tecniche; su come esse si siano sviluppate nel tempo, in modo differente ed autonomo, in luoghi e tempi diversi, attraverso l’interazione con fattori essenziali di tipo sociale, economico e politico, nonché nel rapporto con le varie scienze.
Storia della scienza = Storia della Scienza
Ideologia = complesso di idee e delle mentalità di una società o di un gruppo sociale in un determinato periodo storico.
Pragmatica = Preminenza dell’aspetto pratico e sperimentale, rispetto a quello teorico ed astratto.
Empirici = pratici, sperimentali.
Interdisciplinare = interazione tra 2 o più discipline; che riguarda cioè più discipline aventi diversi punti di contatto.
Euristico = ipotesi di lavoro assunta come guida nel corso di una ricerca scientifica
Fonte: http://www.scicom.altervista.org/storia%20scienza%20e%20tecnica/Riassunto%20Kragh%20e%20slideA.doc
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Autore del testo: Mauro Crippa
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