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Negli ultimi anni due nuove tecnologie, il cellulare ed internet, hanno trasformato profondamente l’uso del nostro tempo sia di lavoro che sociale.
In particolare il cellulare fu presentato come il sistema che ci avrebbe consentito di coniugare nel migliore dei modi il tempo di lavoro con quello personale.
Forse ricorderete i primi spot pubblicitari di lancio di questo prodotto.
Ricordate quell’uomo distinto, camicia e cravatta, ma scalzo e con i pantaloni arrotolati al ginocchio che stava lavorando con un cellulare ed un portatile in riva ad un lago osservando, di tanto in tanto, la sua canna da pesca?
Era un manager che si trovava nel suo nuovo ufficio, quello creato dalla tecnologia della comunicazione che si affacciava allora al mercato: il cellulare, o mobile telephone che dir si voglia.
Nei fatti, almeno per una parte della sua attività, il manager potrebbe con la nuova tecnologia liberarsi dai vincoli di spazio e di tempo, decidendo di collocare il proprio “ufficio virtuale” nel più bel posto che ci sia, ovviamente a suo modo di vedere.
Condizione questa che potrebbe consentirgli di scaricare lo stress cumulato nella sua usuale frenetica giornata, vivendo un periodo di fecondo ozio creativo, che associa il lavoro al divertimento e apre le porte alla fantasia, all’immaginazione e alla creatività. Senza con questo ridurre pesantemente le sue prestazioni efficientistiche.
Questo processo si avviava nel nostro Paese all’incirca dieci anni fa.
Ci si potrebbe così aspettare che almeno una parte dell’attività manageriale oggi si manifesti con questi caratteri di quiete che, a dir la verità, si presentano piuttosto attraenti.
Oltretutto, questa scelta appare ora ancor più seducente per il progredire della tecnologia che ha reso disponibile la possibilità di collegamento diretto ad internet - la rete delle reti - tramite il cellulare. Insomma, è come dire che si può stare “in capo al mondo”, ma in collegamento costante con tutti.
Come spesso avviene, però, un fatto è ciò che avrebbe potuto accadere, un altro ciò che è accaduto.
Intendiamoci, la nuova tecnologia si è ampiamente diffusa. Anzi si potrebbe dire che il modello di diffusione sia stato di tipo epidemico, come accade per un virus che, nel caso in specie, si è esteso alle persone di tutte le età e reddito.
Quello che non è dato osservare è il valore della “liberazione organizzativa” prospettata dall’innovazione in riferimento alla rigidità degli orari di lavoro.
In sostanza, l’invenzione si è trasformata rapidamente in innovazione, cambiando profondamente il modo di comunicare e anche di lavorare - almeno per quanto riguarda il lavoro intellettuale - senza però contribuire alla contaminazione del lavoro con il gioco e il tempo libero.
Anzi, al contrario, il dubbio, che trova conferma nella semplice attenta osservazione di ciò che accade nella vita di tutti i giorni, è che il telefono portatile abbia contribuito a introdurre nell’impresa una nuova forma di fordismo, una sorta di “fordismo del pensiero o fordismo intellettuale”.
Raccontando semplicemente alcuni eventi osservati in qua e in là e riunificati con il filo rosso dell’immaginazione, si può tentare di “materializzare” questa valutazione, così da consentire ad ognuno di poter valutare l’ipotesi assunta alla luce della propria esperienza quotidiana di relazione.
Ecco che le immagini stanno prendendo forma. Adesso si comincia a vedere nitidamente. Siamo nei pressi di una stazione ferroviaria, sull’auto, fermi ad un semaforo. D’un tratto l’attenzione è richiamata dal goffo ed affannoso procedere di corsa di due distinte persone. Dall’aspetto si direbbero manager o consulenti aziendali. E’ buffo osservare come il lavoro influisca sul modo d’essere di una persona, ma tant’è.
Stanno attraversando il passaggio pedonale davanti a noi. Uno dei due comincia a frugare nelle tasche della giacca. Un cellulare ha bussato al suo orecchio e occorre rispondere senza fermarsi per non rischiare di perdere il treno, almeno questa è l’impressione. Bruscamente si ferma a metà dell’attraversamento pedonale. Non c’è modo di trovare il cellulare, chissà dov’è finito. Con un trionfante sospiro di sollievo lo trova, riprende a camminare e comincia a parlare ansimante nell’apparecchio, trascinando una trolley che a stento, saltellando, riesce a seguirlo. La telefonata chiama in causa, però, il suo collega, con il quale tenta inutilmente di parlare in quella farsesca corsa, perché a sua volta aveva estratto il cellulare dalla “fondina” provando a “sparare” qualche parola.
Li abbiamo lasciati là che correvano all’impazzata parlando al cellulare, trascinandosi la trolley e cercando di non perdere il contenuto della preziosa ed elegante valigetta che portavano a tracolla. Forse sono ancora là.
Raggiungiamo così la stazione. Il nostro treno è in orario perfetto. A bordo di un elegante e comodo eurostar troviamo tutto in ordine, persino il collegamento con la filodiffusione funziona.
Il treno sta per chiudere le porte quando, trafelati, trascinando le borse e continuando la telefonata ci ritroviamo i nostri due compari incontrati poco prima ad un attraversamento pedonale.
Il dialogo telefonico non si ferma. Stanno discutendo di affari, di imprese, di persone, nomi e cognomi. Tanto, pensano, sul treno nessuno ci ascolta. Sono ancora in piedi si sistemano e con l’espressione eroica e soddisfatta di chi sta affrontando una missione quasi impossibile, posizionare la trolley intanto che si parla al telefono, finalmente prendono posizione ai loro posti.
Un attimo di respiro, tra gli sguardi un po’ perplessi e forse anche irritati di alcuni compagni di viaggio che già immaginano cosa potrà accadere durante il tragitto.
Puntualmente avviene quanto temuto. Un cellulare suona. Uno dei due avvia un’amabile conversazione che dai toni pesantemente ossequiosi si presenta piuttosto lunga. Ma ecco, improvviso, uno squarcio in questo grazioso dialogo. Un secondo cellulare che portava dentro la giacca richiama la sua attenzione.
In difficoltà chiede aiuto al collega che goffamente si mette a rovistare dentro la giacca dell’amico sino a quando, visibilmente soddisfatto, estrae il secondo cellulare e apre la conversazione con un soave, “ può attendere un attimo?”. Ma il tutto, anche se non sembrerà vero, continua con un terzo cellulare, sempre della stessa persona, che stavolta reclama attenzione dalla valigetta. Impossibile a questo punto raccontare la comicità della situazione, la lasciamo alla vostra immaginazione.
Non appena tutto questo sconquasso termina, per prudenza, tutti e due estraggono la loro batteria di cellulari, tre ciascuno, e la ripongono sui tavolinetti di fronte a loro.
Passano così i primi minuti, poi ancora altri, forse quasi mezzora. Sono là, sguardi sospesi nel vuoto e sgomenti. Fissano esausti i cellulari e i loro occhi si chiedono, “perché non parli?”. A breve, irrefrenabile subentra l’impulso di afferrare un cellulare e chiamare, chiamare, chiamare.
Possiamo anche dire che, avendo dovuto, purtroppo, sentire tutte le loro conversazioni, abbiamo capito che si trattava del responsabile marketing e analisi strategica di una famosa azienda alimentare italiana, della quale riteniamo però corretto non fare il nome.
Può darsi che la fantasia ci abbia preso un po’ la mano in questo racconto. Comunque il lettore con la propria esperienza non avrà difficoltà a dare una risposta.
Certo è che osservare i nostri due soggetti durante una riunione cercare in modo impacciato sotto il tavolo la luce della tastiera del telefonino che richiama l’attenzione attraverso le vibrazioni dovrebbe essere divertente. Come pure osservare il modo con cui, fingendo di seguire la riunione, automaticamente, senza guardare, rispondano alla chiamata con un sms. Vederli correre nei corridoi tutti presi dalle loro conversazioni telefoniche è poi la norma, mentre l’eccezione è coglierli all’uscita del bagno dolcemente immersi in una conversazione.
Che dire? Un’osservazione è immediata: questa nuova tecnologia ha impresso alle comunicazioni una considerevole accelerazione. Il fatto che sia più semplice contattare le persone rispetto a quanto accadeva con il telefono fisso, esaspera a dismisura le chiamate, anche per futili motivi. Il cellulare dispone cioè dello strano potere di trasformare le banalità in leggendarie urgenze. Poiché tutto può essere fatto in qualunque momento, diviene necessario farlo, non ha alcun peso nella decisione la rilevanza o meno di ciò che si fa.
La “smisurata” disponibilità di istanti che ogni giorno ci mette a disposizione si dissolve, così, in una serie di azioni e reazioni che sostituiscono il pensiero. Il tempo dedicato al telefono nella giornata di lavoro tende ad aumentare. Aumentano in questo modo anche i contatti raggiungendo livelli di efficienza forse impensabili sino a qualche tempo fa. Le decisioni sono più rapide, si fanno più cose. Se ne fanno talmente tante di più che, comunque, si è sempre in ritardo. Si usa sempre più il telefono che si propone come mediatore delle relazioni umane, quasi che fosse possibile sostituirle.
In realtà, è possibile a patto che si accetti di convivere con la routine e la superficialità, rinviando l’approfondimento ad un momento successivo che però non verrà mai, perché le parole della fretta incalzano i nostri due manager: fast, quick, speed, time to market, time to order.
A questa fretta si associano il frastuono e la confusione che riempiono le giornate in modo da impedire di guardare se stessi, rincorrendo un mondo disordinato, cui si ha la sensazione di appartenere grazie alla rete, grazie, nel nostro caso, al cellulare.
Il silenzio invece di essere avvertito come momento di feconda riflessione viene avvertito come una minaccia. Come un isolamento, come l’esclusione dalla vorticosa girandola della vita professionale: la confusione è vita, il silenzio è morte.
Accade così che questa meravigliosa innovazione tecnologica si sta trasformando in un Golem della fretta che si alimenta di tempo, tempo sottratto al pensiero, quindi al dubbio ed alla creatività.
E se non si può ricorrere al cellulare per chiamare, certo non si perde l’occasione per comunicare con l’sms, tecnica che a sua volta dispone dello straordinario potere di distruggere il linguaggio attraverso la comunicazione telegrafica ed abbreviata.
Il tutto diviene approssimativo, schematico, frettoloso, confuso e chiassoso. Situazione questa che alla lunga rende incapaci di sostenere l’ansia di un percorso creativo. Ansia nella quale ci si imbatte nel momento in cui si è alla ricerca dell’idea, a stretto contatto con se stessi, ma anche inseriti in un contesto di relazioni vive ed umane.
Momento questo che richiede capacità di ascolto, di riflessione, di dialogo, di relazione, di convivenza con il dubbio e con il silenzio.
Il risultato: si diventa sempre più efficienti, ma sempre più incapaci di produrre reale innovazione, quindi nel breve periodo forse vincenti, ma certo perdenti nel medio periodo. Ancora: si diffonde una scelta competitiva di tipo efficientistico compatibile con le fasi di eccesso di domanda sull’offerta, ma non certo con quelle attuali dove le imprese dei paesi ad economia avanzata operano, o dovrebbero operare, in contesto di “economia del pensiero e della creatività”.
Seguendo questi pensieri sembra quasi che noi si voglia imputare buona parte dei problemi avvertiti dalle imprese del nostro Paese alla diffusione del cellulare e delle altre tecnologie di comunicazione on line.
Al contrario, quello che desideriamo sottoporre alla riflessione è la dimensione dell’occasione perduta con un uso scorretto, o quanto meno maldestro, di questa nuova portentosa tecnologia.
Possiamo forse dire che stiamo impiegando in forma primitiva un sofisticato strumento che, se adeguatamente utilizzato, potrebbe consentire al management di recuperare un tempo di lavoro lontano dai problemi della quotidianità, ma contemporaneamente ad essi vicino.
Un tempo dedicato alla riflessione ed alla creatività, vissuto in un luogo qualunque ma capace di ritemprare lo spirito, di forgiare pensieri e di prospettare soluzioni innovative da proporre nell’ambito della molteplicità di relazioni che l’azienda intesse nel suo divenire.
Purtroppo, però, se il cellulare continuerà ad essere scambiato per uno strumento di relazione piuttosto che di semplice contatto, se lo si continuerà a utilizzare per sfuggire alla solitudine ed evitare di guardare se stessi, se lo si vivrà come uno strumento a sostegno dell’efficienza piuttosto che dell’efficacia dell’agire, lo si trasformerà in quello che già oggi in parte è: un ladro di tempo. Uno strumento che alla pari, per altri versi, della posta elettronica e della televisione riduce il contenuto culturale e di approfondimento dei messaggi omologando ed appiattendo il pensiero e quindi raffreddando la vivacità intellettuale di una comunità, riducendone la capacità di produrre soluzioni innovative in un contesto dove ormai tutto sembra fatto.
L’azienda non ha bisogno di omologazione e di appiattimento, ha bisogno di diversità, di differenze, di complementarità, ha bisogno di sogno, ha bisogno di poter proiettare l’azione al di là dei limiti dell’orizzonte visibile.
Già il fordismo manifatturiero aveva incrinato a fondo questa capacità che il total quality management aveva tentato di rivitalizzare con alterni risultati. Il cadere ora nella trappola di un “fordismo intellettuale” risulterebbe devastante per la competitività di imprese il cui valore dipende dalla qualità del pensiero che fluisce nell’organizzazione.
Infatti, “un’impresa fatta di guerrieri iperattivi, assillati dal lavoro come categoria onnivora, compiaciuti dei loro ritmi stressanti, tesi fino allo spasimo all’eliminazione del concorrente, nemici a tutti gli altri e, in fondo, anche a se stessi, è un’impresa senz’anima e senza felicità”, incapace di progettare e vivere il futuro.
Claudio Baccarani Gaetano M. Golinelli
Fonte: http://www.dea.univr.it/documenti/OccorrenzaIns/matdid/matdid755146.doc
Sito web da visitare: http://www.dea.univr.it/
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
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