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L'espressione "tecnologie educative", equivalente a quella di "tecnologie didattiche", inizia ad essere utilizzata alla fine degli anni '50, nel dibattito scientifico anglosassone. Essa rinviava sia alle macchine utilizzabili nei processi formativi, come la radio, il cinema, la televisione; sia ai supporti tecnici ove poteva essere memorizzata dell'informazione finalizzata a processi educativi, come una pellicola o una registrazione.
Alla fine degli anni '60 si iniziò ad utilizzare l'espressione "Nuove tecnologie educative", per sottolineare l'irruzione nella formazione della tecnologia informatica, che apriva scenari metodologici e didattici inediti.
Alla fine degli anni Settanta, invece, prese forma il concetto di "Tecnologie dell'istruzione", sempre in ambiente scientifico anglosassone, per indicare, in una visione globale della problematica dell'apprendimento, "il modo sistematico di progettare, realizzare e valutare il processo globale dell'apprendimento umano e delle comunicazioni, con la combinazione delle risorse umane e non, per la realizzazione di un'istruzione più efficace" .
Luciano Galliani, alla luce del dibattito di questi ultimi anni, propone di utilizzare, perché "epistemologicamente più corretta", l'espressione "Tecnologie della Comunicazione Educative" . Essa infatti riuscirebbe a comprendere tutti gli aspetti più rilevanti della attuale problematica formativa: la pluralità delle tecnologie impiegabili nelle scienze dell'educazione; la stretta connessione esistente nelle strategie formative tra aspetti tecnici, comunicativi e metodologici; la distinzione tra tecnologie di processo - le varie fasi previste in sede di progettazione didattica - e le tecnologie di prodotto - materiali didattici e mezzi tecnici impiegati.
Quello che è essenziale cogliere, in questo dibattito, è l'invito ad una impostazione globale e sistemica delle strategie formative. Fra i media utilizzati, vecchi o nuovi, non esistono necessariamente delle gerarchie. Non è detto, a priori, che l'apprendimento sia inevitabilmente più efficace se supportato con un software didattico piuttosto che con il capitolo di un libro. Così come l'impiego di una presentazione multimediale non modifica di per sé la relazione pedagogico-didattica con la classe (che rimane sostanzialmente unilaterale e frontale).
La sfida che le nuove tecnologie pongono è quella di tratteggiare una strategia formativa in grado di combinare nel modo più efficace gli strumenti di comunicazione disponibili rispetto agli obiettivi didattici prefissati, secondo un paradigma di "progettazione didattica". La qualità dell'istruzione non è direttamente proporzionale al livello o alla qualità della tecnologia impiegata, ma alla concreta relazione pedagogico-didattica che si stabilisce con l'allievo sulla base di un utilizzo integrato di tecnologie.
In questo senso, le "Tecnologie didattiche" comprendono, in un rapporto di stretta interconnessione, tutti gli elementi, di processo e di prodotto, che sono oggi efficacemente impiegabili nell'azione educativa.
Le tecnologie informatiche hanno rappresentato una novità dirompente anche nella problematiche dell'istruzione,
innescando, dagli anni '60 in poi, un dibattito pedagogico-didattico intensissimo. Non è da allora, tuttavia, che il mondo della scuola si mette in discussione in virtù delle possibilità di intervento aperte dai media. Il primo "dipartimento di educazione all'immagine" nasce a Saint Louis nel 1905; del 1921 sono le prime cineteche scolastiche francesi; tra il 1932 e il 1939, in Iowa, si sperimentano trasmissioni di televisione educativa; nel 1956 nasce in Italia il Centro nazionale dei sussidi audiovisivi.
Il fatto è che quello tra media e scuola è stato in questo secolo un rapporto molto intenso e molto critico, passato attraverso fasi diverse, a volte di entusiasmo, a volte di ripulsa. Due mondi separati? Forse, almeno per un certo tempo. Sicuramente due mondi tradizionalmente dotati di strumenti d'azione diversi.
Concentrandoci sui media più rappresentativi di questo secolo - radio, e specialmente cinema e tv - si osserva come essi siano accomunati da una "integrazione sensoriale, linguistica e tecnologica tra parola, suono e immagine".
Nella comunicazione audiovisiva, specialmente, domina "la simultaneità, la complessità , la continuità, l'analogia, la sinestesia" . I media audiovisivi e ancor più quelli multimediali interattivi, hanno fatto riemergere il carattere onnisensoriale, corporeo, dell'esperienza conoscitiva. La realtà non è più rappresentata da forme simboliche, ma attraverso linguaggi analogici che ne riproducono la fisicità.
Viceversa, la cultura della scuola è stata dominata storicamente dalla monomedialità della parola scritta. Dal libro, dal testo scritto, non dall'immagine e dal suono. La realtà è stata rappresentata, indagata, problematizzata attraverso un linguaggio, quello verbale, rigorosamente codificato e formalizzato. Si sono affermati processi di apprendimento concettuale-dichiarativo delle conoscenze.
Queste due diverse modalità di rappresentazione e indagine della realtà hanno determinato dei recinti conoscitivi.
La scuola si è affidata a procedure di organizzazione cronologica, sequenziale e gerarchica del sapere; i media a processi analogici, reticolari associativi. Considerando che la scuola si occupa di giovani e che per i giovani il mondo dei media rappresenta una fondamentale esperienza culturale, era inevitabile che cultura della scuola e cultura dei media entrassero in uno stato di forte tensione, alimentando, a seconda delle circostanze, momenti di appassionata attrazione ed altri di rifiuto apocalattico.
Il fatto è che la scuola non deve abdicare alle sue insostituibili funzioni: favorire l'acquisizione di conoscenze selezionate; promuovere capacità di razionalizzazione delle esperienze; fornire strumenti critici per l'interpretazione e la trasformazione della realtà. La concorrenza di agenzie culturali così invasive, consegna oggi alla scuola una centralità educativa se possibile maggiore e non minore, che in passato. Una centralità che può essere mantenuta solo a patto di assumere consapevolmente lo scenario comunicativo attuale, costituito a ogni livello - relazionale, produttivo, culturale - dall'impiego di nuove tecnologie mediatiche.
Il rischio, altrimenti, è quello di una drammatica divaricazione fra i due circuiti comunicativi fondamentali sui quali ogni giovane struttura la sua esperienza del mondo. Da una parte, quello formativo della scuola, rigidamente compartimentato e gerarchizzato, codificato, ma fondato su un primato del linguaggio verbale, continuamente corroso dalla forza della comunicazione multimediale; dall'altra, quello informativo-mediatico, reticolare e associativo, potente, ma privo di un principio ordinatore, di un diaframma interpretativo e quindi potenzialmente ricchissimo di risorse ma potenzialmente disorientante.
Si tratta allora di coniugare assieme, nell'ambito di un progetto didattico globale, processi di conoscenza diversi e di pari dignità: quelli fondati sui procedimenti di formalizzazione della realtà; quelli fondati sui procedimenti di simulazione della realtà .
Non si può pensare, tuttavia, che il problema sia solo quello di affiancare o integrare due tecniche nell'ambito di un medesimo schema pedagogico.
L'intervento dei new media nella comunicazione sociale tende a destabilizzare gli schemi pedagogici tradizionali, riconducibili ad un atteggiamento trasmissivo del sapere. Nel momento in cui si riconosce che la scuola non è più l'unica agenzia culturale di fatto accreditata a livello sociale, si deve anche riconoscere l'esistenza di un discente che non è una "tabula rasa" sulla quale incidere conoscenze e competenze definitive, ma un soggetto che "sempre più (e sempre più aggressivamente) 'prende la parola' " .
Si apre così la strada ad una riflessione e ad una pratica pedagogico-didattica che vanno nel senso di un ruolo attivo, cooperativo, partecipativo del discente nella costruzione del proprio sapere.
Da una pedagogia centrata sull'insegnamento ci si orienta verso una pedagogica centrata sull'apprendimento.
Questa fondamentale evoluzione pedagogico-didattica non è l'espressione meccanica, diretta, delle nuove tecnologie della comunicazione. Essa partecipa semmai delle più generali trasformazioni epistemologiche proprie alla cultura del XX secolo. Da una visione del mondo di tipo oggettivistica, positivistica, scientista, si è passati, nel '900, ad una visione costruttivista, fenomenologica, ermeneutica, discorsiva della realtà. Non si tratta di raggiungere una verità per poi trasmetterla; ma di costruire una verità partecipandola.
Le teorie psicologiche e cognitiviste hanno percorso questo passaggio, anche se con una certa lentezza, passando da un approccio iniziale neo-comportamentista (Skinner) ad uno costruttivista (Vygotskij, Freinet).
Il neocomportamentismo di Skinner aveva trovato l'espressione più compiuta nel "mastery learning". I contenuti della disciplina venivano scomposti in sequenze (unità didattiche) che prevedevano con precisione metodi, mezzi, obiettivi, strumenti di verifica dell'apprendimento. Procedimenti di feedback promuovevano azioni di rinforzo e integrazione qualora gli obiettivi relativi non fossero stati raggiunti. L'insegnamento risultava fortemente individualizzato.
Fondamentalmente diverso l'approccio costruttivista. "Il costruttivismo considera la realtà come il prodotto stesso dell'esperienza di chi apprende; la mente è costruttrice di significati, strumenti usati per rappresentare la realtà di chi apprende" . L'espressione più compiuta di questa impostazione è la "comunità di apprendimento". Essa è formata da componenti eterogenee (pari, insegnanti, esperti); implica una condivisione sociale di compiti e strumenti; prevede momenti di riflessione metacognitiva. In questo quadro pedagogico-didattico "I nuovi strumenti tecnologici (in particolare gli ambienti di authoring o co-authoring ipermediale, e le tecnologie telematiche per la comunicazione in rete) possono diventare preziosi strumenti per la progettazione, organizzazione e sviluppo delle pratiche in queste comunità"
Anche in questo caso, gli usi linguistici tradiscono le premesse filosofiche. Per molto tempo si è parlato di audiovisivi in termini di "sussidi", a conferma del primato della parola. Oggi è corretto parlare di "tecnologie audiovisive", per riferirsi agli usi formativi e didattici di esse. Si tratta di strumenti caratterizzati, grazie all'alta carica analogica, da una grande capacità espressiva e didattica.
L'utilizzo degli audiovisivi va problematizzato in ordine a tre particolari aspetti: l'essere, cioè, delle tecniche di innovazione didattica; l'essere portatori di linguaggi specifici; l'essere strumenti di conoscenza scientifica.
Secondo Galliani, gli audiovisivi svolgono all'interno della comunicazione didattica quattro funzioni principali.
Essi sono 1) "interruttori di circuito", in quanto aprono quello chiuso insegnante-allievo verso l'esterno; 2) " conduttori di metodo" , in quanto ogni mezzo tecnico pone una specifica problematica comunicativa (espositiva, interrogativa, individuale, collettiva…); 3) "sostitutori di esperienza", perché consentono di superare i limiti esperienziali diretti (entrano nel tempo e nello spazio, ecc.); 4) "induttori di interpretazione", dato che predeterminano inevitabilmente l'interpretazione della realtà esperienziale proposta (e sostitutiva) .
In quanto portatori di linguaggi specifici, il loro utilizzo didattico implica per i discenti un preliminare processo formativo, che li metta in grado di riconoscerne le caratteristiche semantiche, sintattiche, organizzative e le implicazioni psicologiche, ideologiche, culturali.
Come strumenti di conoscenza scientifica, le questioni rilevanti attengono innanzitutto alla qualità scientifico-didattica dei contenuti. Fino a che punto i linguaggi analogici sono adatti ala rappresentazione di problematiche - come quelle scientifiche - in cui dominano linguaggi formalizzati? Il secondo punto riguarda l'indispensabile mediazione didattica dell'insegnante, che deve essere svolta sia prima che durante che dopo la fruizione dell'audiovisivo stesso.
Vale la pena accennare brevemente all'evoluzione tecnologica dei computer, ricordando che esiste uno sviluppo dell'hardware, di cui si occupa l'elettronica; e uno sviluppo del sofrtware, di cui si occupa l'informatica.
La prima generazione di computer, negli anni della guerra, operavano con valvole termoioniche; "Mark 1" , del 1944, era lungo 18 metri e alto 3. La seconda generazione vide la sostituzione delle valvole con i transistor, che permise di ridurre drasticamente le dimensioni. Quelli di terza generazione, nella seconda metà degli anni Sessanta, si affidarono, attraverso processi fotochimici, alla stampa di circuiti miniaturizzati su piastre di silicio. Negli ultimi venti anni, le tecniche di miniaturizzazione dei circuiti hanno permesso di inserire in pochi millimetri quadri l'equivalente di milioni di transistor. Attualmente si stanno studiando i "biochip", ossia dei microcircuiti integrati su molecole organiche. Circa le prestazioni, negli ultimi anni si è passati dalle macchine megaflop, capaci di svolgere milioni di operazioni al secondo, alle gigaflop, da più miliardi di operazioni al secondo alle teraflop, in grado di svolgerne mille miliardi.
Questi impressionanti sviluppi si sono puntualmente trasferiti sul mercato degli utenti comuni. Durante gli anni Novanta, è stato possibile commercializzare a livello di massa i personal computer, capaci di svolgere operazioni notevolissime attraverso interfacce amichevoli. Il tema dell'interfaccia è notevolissimo. Solo le nuove, relativamente facili e intuitive modalità di interazione con la macchina, consentito da interfacce costituite perlopiù da icone e menu a tendina, ha permesso una socializzazione così estesa dei calcolatori. Un fenomeno del tutto analogo vale per Internet: già esistente da una trentina di anni, la rete è entrata in ogni casa grazie al codice html, che ha permesso di fare circolare informazioni in forma multimediale.
Si tratta quindi di fare i conti con tecnologie che stanno rivoluzionando la vita sociale in tutti i suoi aspetti. Se un tempo i computer erano utilizzati esclusivamente per svolgere operazioni logico-matematiche, ora sono utilizzabili per un ventaglio infinito di funzioni. Anche, perciò, nella comunicazione didattica.
Storicamente, i computer sono stati utilizzati nella didattica e nella formazione in diversi modi. Robert Taylor propone queste definizioni metaforiche : Tutor (insegnante); Tool (strumento); Tutee (lavoratore forzato).
L'utilizzo del computer come Tutor ha caratterizzato le esperienze dei programmi Cai (Computer Assisted Instruction) statunitensi. Si tratta di software didattico destinato a supportare o sostuire (in parte) l'insegnante. Possono proporre dimostrazioni, spiegazioni, esercitazioni, test. In ogni caso, all'utente è lasciato una debole capacità di iniziativa. I "tutoriali" traducono applicativamente il modello dell'istruzione programmata (IP) dello psicologo comportamentista Frederic Skinner. Corollario di essa è il Mastery Learning (apprendimento per la padronanza), teorizzato da Block. L'insegnamento è individualizzato, in genere per livelli; segmentato in step che prevedono sistematiche prove di autovalutazione ed eventuali azioni di rinforzo.
Altre esperienze, di tipo Cal (Computer Assisted Learning), centrate sull'apprendimento, chiamati anche "software creativo", hanno previsto uno spazio maggiore di iniziativa all'utente. Tipici i game didattici, nei quali la decisione è per il giocatore obbligata. Oppure le simulazioni, si pensi ai piloti o ai macchinisti dei treni. A questi si possono aggiungere oggi i programmi di navigazione ipermediali. In questi ultimi, il discente opera continue scelte assecondando i suoi interessi o gli obiettivi di ricerca che si pone. Sempre più spesso, la presenza di strumenti di editing (blocco note, archiviazione, assemblaggio di materiali, funzioni di copiatura) permette di svolgere operazioni di co-authoring. Questi programmi, nei quali l'iniziativa dell'utente è possibile e significativa, configurano degli "ambienti di apprendimento" e non più dei "programmi didattici", nozione che richiama concezioni rigide e sequenziali dell'apprendimento.
La seconda metafora di Taylor è il computer come Tool, come strumento. Rientrano in questa categoria gli applicativi di videoscrittura (Word); calcolo (Excel); elaborazione grafica (Image Composer), ecc. Molto rilevanti, da un punto di vista didattico, sono gli authoring-ipermediali, che consentono, grazie ad un'interfaccia amichevole, di elaborare complesse applicazioni ipermediali off-line (Toolbook) e/o on line (Front Page). Da considerare anche i programmi di presentazioni (Power Point). Infine, vanno considerati i tool che operano nell'ambito della telematica: dai browser che permettono la navigazione in Internet ai programmi di gestione della posta elettronica, delle chat, dei newsgroup.
L'ultima metafora di Taylor - tutee, lavoratore forzato - è quella che assegna al computer una funzione puramente esecutiva, sulla base di istruzioni apposite: ci si riferisce ai linguaggi di programmazione.
L'introduzione di tecnologie informatiche nell'azione educativa deve essere frutto di una strategia. "Applicare tecnologia ai sistemi formativi significa…introdurre criteri di progettazione, di gestione e di valutazione nei processi di insegnamento-apprendimento, utilizzando i media dell'informazione e della comunicazione" . Ciò significa interrogarsi sulla specificità comunicativa del pc nell'organizzare i contenuti; nel definire gli obiettivi di apprendimento al raggiungimento dei quali il pc appare particolarmente adatto; nel definire un coerente ruolo dell'insegnante.
Prima di entrare nel merito della questione "multimedialità", è utile ricordare alcuni aspetti tecnici che presiedono alle tecnologie informatiche. Come è noto, i calcolatori ragionano sulla base del codice binario. Questo significa che i dati che entrano per essere archiviati o elaborati da un computer sono rappresentati da successioni di "bit" (binary digit) costituiti dalle cifre "0" oppure "1". Una lettera dell'alfabeto è rappresentata da una successione di 8 bit: un "byte". Così un numero. Così il 64miladucentosessantreesimo pixel di un immagine; così la settima nota dell'Ouverture del Fidelio. Ciò significa che attraverso il codice binario, i calcolatori traducono in infinite successioni di byte i dati testuali, numerici, sonori, visivi che vi immettiamo. Questo fenomeno tecnologico si chiama "convergenza al digitale". La convergenza al digitale ha conseguenze di enorme portata. Ad esempio, cambiando le successioni di bit si possono modificare i dati immessi. Una vaso blu può essere ricolorato in rosso e rimpicciolito. Un testo può essere riscritto. Un suono mescolato ad un altro suono. In primo luogo, quindi, possiamo "lavorare" su quei dati. Questo aspetto ci porta alla nozione di "interattività". Il computer è una macchina con la quale possiamo interagire, impartendole di vola in volta istruzioni diverse, "scegliendo" cosa fare con un programma.
In secondo luogo, la disponibilità di un unico linguaggio - la codificazione digitale - per rappresentare informazioni di tipo diverse, e di una sola macchina elaborare queste informazioni permettono un altissimo livello di integrazione fra codici diversi: suono, scrittura, animazione, immagine. Multimedialità significa integrazione elettronica su base digitale di più media. E' questo che divide la multimedialità presente in un cd-rom da quella di una rivista illustrata. Tutti i media nati analogici - dalla fotografia alla radio alla televisione - subiscono un processo di digitalizzazione. Dal continuo al discreto. Dai linguaggi analogici a quelli digitali.
L'evoluzione della civiltà umana può essere ripercorsa anche attraverso l'evoluzione delle forme della comunicazione. E dobbiamo allo studioso canadese Marshall McLuhan l'idea che lo studio della comunicazione umana non possa prescindere da una analisi delle tecnologie della comunicazione.
Alla partenza abbiamo la comunicazione interpersonale, attuata attraverso i linguaggi del corpo (gestuali, cinetici, vestimentari); della parola (linguistici, prosodici, paralinguistici); dell'ambiente (prossemici, architettonici, oggettuali). Il progresso tecnologico ha permesso, da un certo momento in poi, di conservare i messaggi, moltiplicarli e trasmetterli a distanza. Si è avuto così un processo di "mediatizzazione della comunicazione": la stampa, la fotografia, la televisione, il registratore…
Recenti ricerche neurologiche hanno individuato una sorta di specializzazione delle funzionalità conoscitive del cervello fra l'emisfero destro e quello sinistro. L'emisfero sinistro sarebbe più orientato a rappresentazioni logico-analitiche, deduttive, semantiche e fonetiche. Quello destro a rappresentazioni immaginative, spaziali e intuitive della realtà. Il primo è il cervello degli ingegneri, il secondo quello degli artisti. Questa scansione può essere riproposta sulla base della dicotomia digitale-analogico.
La differenza fra analogico e digitale corrisponde alla differenza fra una rappresentazione continua e una rappresentazione discreta di determinate grandezze; una rappresentazione continua o analogica è ad esempio quella fornita da una lancetta che si sposta sul quadrante di uno strumento, una rappresentazione digitale avviene tipicamente attraverso numeri. E' digitale il linguaggio verbale o quello matematico; è analogico quello fotografico o televisivo. I due emisferi, in realtà, operano congiuntamente, interagendo. E proprio questa interazione consente di aggiungere conoscenza a quelle acquisite indipendentemente. "Sistemi formativi e ambienti didattici tecnologici, fondandosi sulla plurilinguisticità, cioè sull'uso comunicativo differenziato dei diversi linguaggi, favoriscono innanzitutto un riequilibrio fra analogico e digitale, fra moduli di conoscenza, tra sistemi di codificazione, attraverso l'escursione dei diversi gradi della scala che vanno dal concreto all'astratto e dal cinetico allo statico" .
Alcuni studiosi motivano l'efficacia dell'apprendimento multimediale sulla base della possibilità di adattare sistematicamente la Communication Structure (CS) alla Knowledge Structure (KS) . L'apprendimento consiste di riprodurre nella propria mente la struttura logica di un argomento (KS). Nell'insegnamento tradizionale, il docente traduce la Ks mediante una Cs: i discenti, a loro volta, devono ritradurre la CS nella loro KS. La doppia traduzione sarà tanto più agevole quanto maggiore sarà l'"isomorfismo" tra KS e CS, tra campo della conoscenza e struttura della comunicazione. Se il codice verbale è funzionale al racconto di una storia, non lo è affatto alla descrizione della geografia dell'Italia.
"Si può dire multimediale un ambiente formativo determinato dall'uso integrato di tecnologie dell'informazione e della comunicazione" . Informazione e comunicazione sono due concetti ben distinti.
La teoria dell'informazione, formulata rigorosamente da Shannon nel 1948, studia le modalità attraverso le quali un segnale, inviato da un dispositivo trasmittente arriva ad un dispositivo ricevente, secondo un certo codice. Nei computer, le informazioni si registrano e si trasmettono grazie ad una codificazione digitale binaria. In un registratore, il suono si memorizza attraverso un dispositivo analogico. Le tecnologie dell'informazione sono rappresentate perciò da media diversi: tv, radio, cinema, pc, differenziati dalla specifica modalità di trasmissione del messaggio.
I messaggi, a loro volta, si presentano come linguaggi specifici. Ogni medium propone un proprio sistema simbolico di codificazione dell'informazione, dotato di potenzialità rappresentative, semantiche ed espressive particolari. L'utilizzo integrato di media diversi implica la compresenza di diverse strategie di comunicazione. Le teorie della comunicazione più accreditate sono quelle, ancora, di Shannon e quella di Jakobson.
Un ambiente formativo multimediale non è dunque, necessariamente, un ambiente dominato da una o più stazioni elettroniche multimediali. Ma un ambiente nel quale operano secondo rapporti integrati media diversi - audiovisivi, informatici, telematici - e quindi linguaggi diversi - analogici, digitali, virtuali .
E' vero tuttavia che il pc multimediale, grazie alla sua straordinaria polivalenza comunicativa, è destinato ad occupare la scena sempre più massicciamente. In un'accezione più recente, un ambiente multimediale è costituito da un software ipermediwle che coordina congiuntamente più sistemi simbolici (testo, audio, ecc.).
L'inserimento della macchina nella comunicazione educativa opera uno spiazzamento pedagogico-didattico di notevole portata. Gli ambienti formativi tradizionali sono stati caratterizzati, storicamente, da un rapporto faccia a faccia tra insegnanti e allievi, da una interazione dominata dal linguaggio verbale; dall'utilizzo di un supporto monomediale scrittura/stampa, da un circuito comunicativo chiuso. Questi aspetti hanno favorito un'azione didattica tendenzialmente trasmissiva ed autoritaria. L'evoluzione degli ambienti tecnologici di apprendimento fa presagire un rapporto di comunicazione educativa trilaterale, basato sugli allievi, sugli insegnanti e sulle macchine; una interazione dominata da linguaggi non solo verbali ma anche analogico-digitali, sulla base di supporti multimediali e audiovisivi; un'apertura dei circuiti comunicativi verso l'esterno. Si aprono le condizioni per l'affermazione di didattiche partecipative, dialoganti, cooperative.
A media diversi corrispondono abilità cognitive diverse e aspetti diversi della realtà raggiungibili con essi.
La problematica essenziale del formatore che opera in ambiente multimediale è la definizione di una strategia comunicativa in grado di individuare i singoli media da utilizzare e la loro integrazione. Le variabili da combinare saranno le caratteristiche linguistiche dei media; la fase psicologica attraversata dal soggetto di apprendimento; gli obiettivi didattici; le risorse effettivamente disponibili; il contesto didattico in cui si opera. Si raggiunge così, idealmente, un obiettivo limite dell'azione didattica, quello di utilizzare lo strumento giusto al momento giusto. In questo senso, l'insegnante non viene assolutamente decentrato, dalla presenza delle macchine o dei programmi, a patto che sappia adeguare il suo nuovo ruolo, diretto in queste condizioni alla "selezione quantitativa delle strategie dello scambio comunicativo, secondo criteri metodologico-didattici (azioni razionalmente destinate ad uno scopo) e psico-pedagogici (benessere ed autostima)" .
La nozione di ipertestualità è centrale, in una riflessione dedicata alle Tecnologie didattiche, sotto diversi punti di vista. In sé l'ipertestualità è una particolare modalità di organizzazione e gestione delle informazioni; ma essa ha assunto un carattere paradigmatico nel campo della progettazione didattica, delle teorie dell'apprendimento, della concezione del sapere umano. Ci si riferisce all'ipertestualità per favorire l'acquisizione di capacità metacognitive negli allievi; per conformare l'organizzazione dei contenuti di una disciplina ai meccanismi di conoscenza del cervello umano; per decostruire l'artificiosa compartimentazione dei saperi; per descrivere la (ana)logica di Internet.
Una genealogia dell'ipertesto non può partire che da Vannevar Bush, scienziato americano, consulente del presidente Roosvelt durante la seconda guerra mondiale. In un breve saggio pubblicato nel 1945 sulla "Atlantic monthly", As we may think, Bush teorizza, trenta anni prima che sia tecnicamente realizzabile, l'ipertestualità. In questo articolo Bush descrive concettualmente una macchina definita Memex (Memory Extender). Memex è un sistema associativo di organizzazione del materiale di tipo documentario. Bush era angosciato dalla inevitabile dispersione della ricerca scientifica, che impediva materialmente agli scienziati di comunicare in tempo reale i risultati delle loro ricerche. Memex è una sorta di archivio meccanizzato nel quale possono essere archiviati testi, rapporti, schede su microfilm visibili su un apparecchio di proiezione a schermi multipli. Memex faceva sì che un elemento richiamato potesse immediatamente richiamarne un altro ad esso correlato. L'intuizione prodigiosa, nella sua semplicità, riguardava la contraddizione tra il modo in cui noi pensiamo - associativo, analogico - e la modalità assurdamente sequenziale, lineare, con cui siamo stati abituati ad utilizzare le informazioni sulla base della tradizione testuale: un documento dopo l'altro, un libro dopo l'altro, una pagina dopo l'altra. Bush coglieva che solo un modello di reperimento ipertestuale delle informazioni avrebbe potuto permettere di governare l'immensa massa di dati prodotta dalla civiltà contemporanea.
Il secondo passaggio di questa genealogia passa attraverso Ted Nelson, che nel 1965 coniò il termine stesso derivandone il significato da quello dato comunemente al prefisso iper in campo matematico. Il progetto proposto da Nelson era denominato Xanadu (il nome di un'isola citata in una poesia di Samuel Taylor Coleridge) e prevedeva la realizzazione di una 'macchina letteraria' globale in grado di gestire i processi di memorizzazione, diffusione ed accesso alla conoscenza.
In seguito gli ipertesti furono oggetto di studi, ricerche e tesi fino a quando la dinamica Apple non pensò di farne un proprio veicolo di propaganda fornendo ai propri Clienti un tool comunemente noto come HyperCard in grado, tra l'altro, di generare applicazioni ipertestuali.
Cos'è, in definitiva, un ipertesto? Esso consiste di gruppi di informazioni collegati elettronicamente tra loro secondo rapporti analogici. Nell'ipertesto le informazioni sono raccolte in nodi che hanno tra loro dei rapporti diversi, giustificati non secondo una necessità lineare e sequenziale, come accade tra i capitoli di un libro, ma attraverso una possibilità analogica. Il fruitore dell'ipertesto, in sostanza, può decidere di esaminare una serie di nodi di suo interesse ed escluderne altri, senza che l'insieme delle informazioni acquisite su quell'argomento perda carattere di coerenza. Naturalmente, per garantire che questo avvenga, è necessario che ogni nodo sia autosufficiente, sotto il profilo informativo.
"Il fatto è che i confini di un libro non sono mai netti né rigorosamente delimitati: al di là del titolo, delle prime righe e del punto finale, al di là della sua configurazione interna e della forma che lo rende autonomo, esso si trova preso in un sistema di rimandi ad alti libri, ad altri testi, ad altre frasi: il nodo di un reticolo" . Così Michel Foucault, nell' Archeologia del sapere.
L'osservazione di Foucault è, d'altra parte, l'esperienza di ogni lettore. Le sollecitazioni di un testo ci spingono oltre e fuori dal testo: la letteratura ci rimanda alla filosofia e questa alla scienza, in un gioco di rimbalzi apparentemente senza fine. Esiste una tensione tra la logica inevitabilmente sequenziale e lineare dell'autore e quella ipertestuale e associativa del lettore. La grande valenza dell'ipertestualità è di avvicinare in modo decisivo questi due atteggiamenti. L'ipertesto asseconda l'atteggiamento conoscitivo del lettore, che assume una posizione centrale rispetto all'utilizzazione delle informazioni. Non più costretto a seguire gli imperativi della linearità testuale, capitolo dopo capitolo, il lettore sceglie quali "nodi" del reticolo ipertestuale è interessato a visitare.
Presupposto tecnico dell'ìpertestualità è l'elettronica, che consente un passaggio quasi istantaneo da un nodo all'altro. Presupposto organizzativo è la struttura associativa del reticolo. I "link" che collegano un nodo all'altro sono frutto delle scelte attuate in sede di progettazione. L'obiettivo limite di una struttura ipertestuale è quella che permette di passare da un qualsiasi nodo a un qualsiasi altro nodo del reticolo. Un obiettivo irraggiungibile - anche tecnicamente, per l'eccessiva ampiezza di spazio dello schermo che si dovrebbe garantire in ogni nodo agli strumenti di navigazione - non appena il numero dei nodi si eleva solo di un poco. In realtà, esistono modelli di strutture ipertestuali finalizzate agli obiettivi culturali che l'ipertesto si propone di raggiungere. Tuttavia, in sede di progettazione, occorre evitare che rientri dalla finestra quella logica lineare che si è cercato di espellere dalla porta. Molti ipertesti didattici, più che ipertesti sono applicazioni che facilitano elettronicamente l'accesso alle informazioni. Condizione irrinunciabile perché un ipertesto sia tale è che il fruitore abbia spazi reali di scelta, di determinazione autonoma dei percorsi. Non è sufficiente che esista una struttura tecnicamente ipertestuale, comprensiva di pulsanti, hotword e aree sensibili: occorre che essa sia ipertestuale anche (ana)logicamente.
Gli ipertesti possono avere natura multimediale e sono ipermedia. In questo caso, i nodi associati hanno diversa natura mediale: un nodo testuale rimanda ad un nodo sonoro…Più spesso. L'integrazione multimediale avviene all'interno dello stesso nodo: sullo schermo appare un testo, un'immagine e contemporaneamente si ascolta una musica di sottofondo.
"Gli ipertesti e gli ipermedia non intendono offrire soltanto modalità di trasmissione dell'informazione più flessibili, ma adottando il paradigma non sequenziale, si propongono come sistemi più aderenti e fedeli alle caratteristiche dei processi di pensiero" .
Sotto il profilo cognitivo, l'ipermedia sembra quindi assecondare nel modo più completo due aspetti centrali del modo in cui l'essere umano conosce: la multimedialità innesca azioni di rinforzo-integrazione tra gli emisferi cerebrali, intrecciando le sollecitazioni dei linguaggi analogici e digitali; l'ipertestualità accompagna lo svolgersi del pensiero attraverso il reticolo associativo.
3.4. La progettazione didattica multimediale
Un' esperienza didatticamente molto significativa, non è tanto quella della fruizione di ipertesti, ma quella della progettazione ed elaborazione di ipertesti. Si tratta di potenziare attraverso l'ipermedialità una didattica per concetti.
Una mappa concettuale, che lega attraverso legami causali e associativi gli elementi concettualmente rilevanti di un argomento, è un ipertesto in potenza. L'elaborazione di mappe concettuali, dalle quali poi derivare strutture ipertestuali, diventa in questo modo un'attività didatticamente molto significativa, perché permette all'allievo di costruire-ricostruire l'ossatura logica di un argomento. Le fasi della progettazione ipertestuale - progettuale, propositiva, organizzativa, realizzativa e valutativa - favoriscono negli allievi un atteggiamento consapevole e partecipativo.
La rilevanza di questa attività scolastica è data anche dalle implicazioni pedagogico-didattiche. La progettazione ipertestuale di gruppo vede l'insegnante assumere un ruolo di primus inter pares, di collaboratore, più che di leader, anche per la frequente diversificazione di competenze esistenti tra i membri del gruppo; mentre tra i ragazzi lavorano sulla base di rapporti cooperativi o collaborativi. "Allora l'allievo vede, ascolta, manipola, interagisce con le forme di un universo testuale da destrutturare, elabora collegamenti, attiva percorsi informativi, sceglie snodi diversi, contratta significati con gli esperti ed il gruppo, decide conclusioni e soltanto attraverso questo complesso di azioni riesce contemporaneamente a "leggere" ed "interpretare".
E' questa la strada attraverso la quale si sta affermando una concezione "antropocentrica della tecnologia informatica applicata alla didattica e alla formazione" .
Nello stesso spirito, si apre la strada alla costituzione delle "comunità di apprendimento": un modello di formazione alternativo a quello tradizionalmente scolastico e vicino a quello dell'apprendistato, della formazione sul lavoro, delle comunità scientifiche. Si tratta di gruppi eterogeni (pari, esperti, insegnanti); che prevedono una condivisione di compiti e degli strumenti; che incorporano momenti di "apprendistato cognitivo", nei quali ci si interroga e si interroga su quanto si sta facendo, si chiedono consigli, si socializzano difficoltà e competenze. Sotto il profilo tecnico, le comunità possono formarsi utilizzando gli ambienti di authoring multimediali e le tecnologie telematiche per la comunicazione in rete, attuando, in questo secondo caso, delle comunità virtuali on line.
La formazione on line sembra dotata di molti vantaggi. Per esempio, essa riproduce in una situazione di indipendenza spazio-temporale dinamiche comunicative di tipo dialogico (uno a uno); frontale (uno a molti); collaborative (molti a molti) . Essa favorisce atteggiamenti collaborativi e interattivi, permette di individualizzare l'offerta formativa; promuove l'iniziativa e l'individuazione di più percorsi di ricerca e approfondimento da parte dei disscenti; presenta una grande flessibilità rispetto alle necessità didattiche e metodologiche del corso; consente di monitorare in tempo reale i livelli di apprendimento e di valutare in itinere sia il corso che i partecipanti.
L'utilizzo di tecnologie multimediali in campo educativo sta quindi facendo emergere nella teoria e nella prassi didattiche un paradigma progettuale della didattica, che riconosce all'impiego di tecnologie multimediali un ruolo fondamentale. Si tratta di fare dialogare due modelli apparentemente contrapposti: quello algoritmico, rigidamente definito nella sequenza di azioni, obiettivi, metodi; e quello euristico, orientato alla creatività, al protagonismo discente, alla riformulazione degli itinerari.
Rapporto 1979 dell'Association for Educational and Comunication and Technology, Usa, 1979, citato in Luciano Galliani, Le tecnologie didattiche, Pensa, Bari, 1998, pag.16.
vedi Luciano Galliani, op.cit., pag.16
idem., pag. 56
Su questi problemi, anche in chiave fortemente critica nei confronti delle didattiche multimediali, vedi Luigi Russo, Segmenti e bastoncini, Feltrinelli, Milano, 1998.
Roberto Maragliano, Manuale di didattica multimediale, Laterza, Bari, 1998, pag. 91
Bianca Maria Varisco, Le teorie e le pratiche didattiche, Pensa, Lecce, 1999, pag. 141.
Idem, pag. 143
Luciano Galliani, op. cit., pag. 21
Robert Taylor, The computer in the school: Tutor, Tool, Tutee, Teacher College Press, Columbioa University, New York, 1980.
Luciano Galliani, op. cit., pag. 23
Marshall Mac Luhan, Gli strumenti del comunicare, klsklsl
idem. Pag. 19
idem pag. 21
Antinucci, ……
Luciano Galliani, Ambienti multimediali di apprendimento, Pensa Multimedia, Lecce, 1999, pag. 11
idem, pag. 29
Michel Foucault, L'archeologia del sapere, Rizzoli, 1971, Milano, pag. 31
Riccardo Fragnito, "Logica e metodologia della didattica ipermediale", in Rossana Costa, Riccardo Fragnito, Didattica della scrittura multimediale, Pensa Multimedia, Lecce, 1999, pag. 84
Luciano Galliani, "I linguaggi ed i processi", in AA.VV., Ambienti multimediali di apprendimento, Pensa Multimedia, Lecce, 1999, pag. 53
Bianca Maria Varisco, Le teorie e le pratiche didattiche, in AA. VV. Ambienti multimediali di apprendimento, op. cit., pag. 139
vedi Bruno Trentin, Didattica in rete, Garamond, 1996
Fonte: http://www.marcopolovr.gov.it/risorgimento/officina/materiali/La%20didattica%20multimediale.doc
Sito web da visitare: http://www.marcopolovr.gov.it
Autore del testo: A. Battaggia
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