Sceneggiati TV

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Sceneggiati TV

 

Lo sceneggiato è un adattamento letterario per il piccolo schermo di grandi opere italiane e straniere. Caratteristica del genere è proprio la sua origine letteraria della storia e la suddivisione in puntate secondo il modello del feuilletton ottocentesco, del fotoromanzo a puntate del dopoguerra e del successivo radiodramma.
La suddivisione in puntate, il breve arco narrativo e la sua chiusura avvicinano lo sceneggiato alla struttura della miniserie (forma seriale debole, lontana dalla forte serialità di tipo americano). Ma anche lo sceneggiato/miniserie si basa su meccanismi seriali che prevedono un ritorno del già noto a livello del contenuto.
Lo sceneggiato, anche detto teleromanzo, fa riferimento al modello teatrale e non cinematografico. I registi (Enriquez, Ferrero, Majano, Morandi, Fino, Blasi) reclutano interpreti provenienti dal teatro; gli studi di produzione sono allestiti con quinte e fondali, proprio come un palcoscenico. I dialoghi e i monologhi prevalgono sulle azioni; le sceneggiature sono scandite sulla base di una ideale divisione in atti.

Dal 1954, anno di inaugurazione delle trasmissioni Rai, al 1962 possiamo parlare di preistoria dello sceneggiato televisivo.
Dopo l’esperimento positivo del Dottor Antonio (1954), teleromanzo in quattro puntate diretto da Alberto Casella (drammaturgo a digiuno di regia che mette in scena drammi e amori impossibili di cui è protagonista il dottor Antonio, interpretato da Luciano Alberici), prende il via una lunga e fortunata età per la tv italiana, quella dello sceneggiato letterario.

I primi teleromanzi ricalcano le stesse routine produttive del teatro: scenografie parsimoniose, esterni ridotti al minimo, riprese in diretta solo con tre telecamere e senza nessuna possibilità di registrazione o di montaggio. Dopo una settimana o poco più di prove, si va in onda in diretta il sabato sera e si replica poi, sempre in diretta, la domenica. Con tutti gli inconvenienti di una rappresentazione dal vivo: papere degli attori, piccoli ritardi negli attacchi tra una scena e l’altra, problemi nei cambi dei fondali. Non possono essere evitati i tempi morti: se per esempio un attore deve attraversare una stanza o passare da un set all’altro per cambiarsi d’abito è necessario fermarsi con la telecamera su un personaggio, anche se questo non compie nessuna azione particolare.

I primi teleromanzi somigliano dunque a recite scolastiche in grande stile. Vengono trasmessi il sabato e la domenica sera quando tutti i componenti della famiglia sono davanti al televisore e hanno un carattere festivo, rappresentano un evento importante all’interno del palinsesto.

Anton Giulio Majano è stato considerato l’inventore dello sceneggiato. È nel 1955, con la trasposizione televisiva di Piccole donne che Majano intuisce le potenzialità dello sceneggiato. Nel 1959 si cimenta nella riduzione tv del romanzo L’isola del tesoro.

Il 1962 è un anno di cambiamento: viene introdotta la tecnologia Ampex per la registrazione su nastro. Diventa possibile registrare le riprese per trasmetterle in un secondo tempo e quindi pianificarle indipendentemente dalla loro successione cronologica. (in realtà, dal momento che almeno per i primi tempi il taglio del magnetico non è possibile, il montaggio viene utilizzato unicamente come ripulitura e le scene sono ancora girate tutte di seguito).
Tuttavia si nota un progressivo aumento delle riprese in esterni e uno sforzo scenografico maggiore.

Il 1964 è un anno di grandi successi per il genere dello sceneggiato. Mastro don Gesualdo di Giacomo Vaccari si distingue per due importanti novità: è il primo sceneggiato su pellicola della Rai, e per la prima volta si rompe nettamente del teatro filmato, riducendo drasticamente il primato dell’attore, indiscusso fino a quel momento. Vaccari raramente colloca gli attori al centro dell’inquadratura, sovrappone spesso voci chiassose nelle parti dialogate e si serve di caricature più che di profili interpretativi.
La Cittadella di Majano, il più famoso e replicato teleromanzo italiano, rappresenta invece un clamoroso caso di divismo televisivo. Alberto Lupo, interprete del dottor Manson, il protagonista del romanzo di Cronin, acquista una inaspettata popolarità: riceve lettere di ammiratori che lo interrogano su problemi di salute; viene addirittura invitato a un congresso medico come ospite d’onore.

Il successo delle riduzioni televisive di opere letterarie è tale da rinvigorire la passione degli italiani per la lettura e da aumentare la vendita di romanzi in contemporanea alla trasmissione televisiva dei loro sceneggiati.

Durante gli anni ’60 vengono utilizzate, anche se raramente, forme seriali differenti dalla miniserie/sceneggiato. Esistono serie come Le inchieste del commissario Maigret di Mario Landi, ispirata ai romanzi di Georges Simenon, protagonista Gino Cervi. La serie va in onda dal 1964 al 1972, suddivisa in quattro stagioni. Ciascuna di queste è caratterizzata da un basso numero di episodi, ibridazione fra le strutture della serie e quelle della miniserie, ampio lasso di tempo tra una stagione e l’altra. Ad esempio, la prima stagione del 1964 è composta da quattro storie, due costituite da un episodio unico, due suddivise in tre puntate; la seconda stagione del 1966 è costituita in vece di quattro storie, una episodica e le altre suddivise in puntate.

A metà degli anni ’60 la produzione narrativa della tv italiana si divide in due linee fondamentali: permane la tradizione del teleromanzo tratto da opere letterarie ottocentesche e realizzato in studio, ma cresce parallelamente anche la produzione di sceneggiati filmati che sempre più si avvicinano al modello produttivo del cinema italiano ed europeo.

Nel 1966, Leonardo Cortese per realizzare lo sceneggiato Luisa Sanfelice adotta per la prima volta, per le cene in esterni, la ripresa con telecamere invece che cineprese, mentre il sonoro è registrato in presa diretta anche per gli esterni.
Nello stesso anno la Rai ultima la costruzione del suo più grande studio televisivo lo Studio 3 di Milano. Propri            o in questo studio si realizzala produzione del romanzo sceneggiato I promessi Sposi, ma per la prima volta le scene di massa vengono girate con l’utilizzo di una scenografia di una Milano seicentesca ricostruita tutta in esterni. Questa fu l’ultima grande produzione realizzata dalla televisione pubblica italiana con mezzi propri.

Dalla fine degli anni ’60 inizia la produzione di sceneggiati su pellicola piuttosto costosi. La loro produzione non avviene più internamente all’azienda, ma viene data in appalto a grandi produttori cinematografici. I prodotti importati vengono realizzati in collaborazione con l’industria cinematografica, sperimentando formule varie di coproduzione della Rai con enti televisivi stranieri (all’inizio soprattutto con quelli francesi e tedeschi). Il primo sceneggiato di questa nuova fase è L’Odissea (1968) di Franco Rossi.
Cinema e tv comincino a stringere rapporti produttivi. Nei cast degli sceneggiati iniziano a comparire divi internazionali e del cinema.
Tra la fine degli anni ’60 e metà anni Settanta Roberto Rossellini realizza film tv suddivisi, come gli sceneggiati, in puntate (Atti degli apostoli, Socrate, L’età di Cosimo de’ Medici…).
Negli anni ’70 la Rai comincia a finanziare film destinati alle sale che successivamente, grazie al “diritto di antenna”, vengono trasmessi sulle reti pubbliche (I clowns di Federico Fellini e Strategia del ragno di Bernardo Bertolucci, entrambi del 1970).
La Rai in questi anni conquista i mercati esteri con grandi produzioni come l’Eneide (1971), Mosè (1974), Gesù di Nazareth (1977) e La vita di Leonardo da Vinci (di Renato Castellani del 1971) acquistato da Usa, Giappone e Australia: fu il primo prodotto di fiction europea per il quale gli americani si preoccuparono di curare il doppiaggio.

Per circa venti anni, con lo sceneggiato la fiction italiana si è modellata su una serialità di breve respiro, ha fatto uso di un apparato produttivo originale e non industriale e ha utilizzato storie già consolidate, limitando la capacità di realizzare storie originali. Questa impostazione segnerà la futura produzione italiana di fiction, anche quando lo sceneggiato sarà ormai tramontato.

A metà anni Settanta, con la fine del monopolio Rai, inizia una nuova fase della fiction italiana. I palinsesti conoscono un ampliamento delle fasce orarie: si trasmette 24 ore su 24 e le diverse reti pubbliche e private corrono alla ricerca di nuovi contenuti da opporre alla concorrenza. Mentre la Rai si lancia in costose produzioni internazionali, le reti private si specializzano nell’importazione di prodotti seriali americani, che si adattano perfettamente alla conquista degli ascolti a vantaggio degli inserzionisti pubblicitari.
Tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta il pubblico italiano comincia così a far conoscenza con nuovi prodotti televisivi contraddistinti da una forte serialità, come le soap opera, le telenovelas, le serie (soprattutto polizieschi e sitcom).

I responsabili della programmazione Rai dimostrarono una certa diffidenza verso i prodotti americani e non capirono i loro meccanismi di funzionamento seriale. Nel 1981 la Rai acquistò Dallas, ma lo trasmise senza seguire la scansione cronologica delle puntate: fu un insuccesso. Passato alle reti private e programmato correttamente, Dallas divenne l’appuntamento di successo del prime time di Canale 5.

Negli anni Ottanta mentre la Rai produce solo brevi serie di argomento sociale, familiare anche di successo, ma che non lasciano il segno (a parte qualche produzione impegnativa per il mercato internazionale come: Marco Polo, Cristoforo Colombo, I promesi sposi). La Fininvest, invece, autoproduce serie che si ispirano direttamente ai modelli americani come I ragazzi della terza C e Casa Vianello.

Con gli anni Novanta si assiste al progressivo crollo della fiction domestica: i formati non seriali cari alla tradizione italiana, di stampo cinematografico, hanno costi elevati e non assicurano un’ampia copertura del palinsesto. Vanno di più i programmi di informazione, attualità, quiz e talk show.
Nonostante gli anni 1995-1996 rappresentino il punto più basso per la produzione di fiction, i rari prodotti raggiungono ascolti elevati. Oltre alla produzione di miniserie colossal come La Bibbia e minserie come Un cane sciolto, vengono prodotte serie episodiche di successo, modellate sull’esempio della telenovela, come I ragazzi del muretto e serie all’italiana come Amico mio.

Nel 2000 la fiction nostrana comincia a far propri i meccanismi della lunga serialità e della produzione industriale: il modello non è più il teatro o il cinema, ma la fiction americana.
Accanto alle soap opera (la prima italiana è Un posto al sole) prende piede la formula della serie serializzata, composta di solito da 12-28 episodi a stagione, della durata di 60-120 minuti lordi (comprese le interruzioni) di palinsesto (in genere sono trasmesse due puntate alla volta, ciasuna di 60 minuti).
La serie all’italiana è composta da 4 a 8 episodi della durata di 90 minuti con struttura narrativa a incastro (simile alla serie serializzata), e di solito prevede una conclusione nell’ultimo episodio (come la miniserie). Difficilmente queste serie riescono ad avere una continuità multistagionale, come avviene per la fiction americana, i rari casi indicano ogni nuova serie annuale con un numero progressivo (Distretto di polizia 2, La squadra 3…)

Difficilmente la fiction italiana si confronta con le tematiche della società contemporanea o sa rappresentare realisticamente la quotidianità, ma preferisce investire su un eroe comune, di solito un uomo, che affronta problemi non molto distanti da quelli dello spettatore. Si assiste progressivamente a una maggior presenza di ruoli femminili, sia in serie di azione (Linda e il brigadiere) sia in serie melodrammatiche (Commesse, con la prima coppia gay della fiction italiana, Il bello delle donne). Si riscontra un successo delle serie ispirate a figure professionali: poliziotti, avvocati, medici… Emerge anche la figura del sacerdote, spesso inserita in detective story (Un prete fra noi, Don Matteo). Sono proprio le detective story e il poliziesco i generi più frequenti nelle fiction italiane: Il maresciallo Rocca, Il commissario Montalbano, La squadra, Distretto di polizia, Linda e il brigadiere.
Le miniserie che in genere prevedono la suddivisione in sole due puntate, si dividono in tre filoni. Il filone storico e biografico (Padre Pio, Perlasca…), quello incentrato sugli adattamenti letterari del passato (Il conte di Montecristo, I miserabili, Cuore…) e quello che si ispira all’attualità (Uno bianca, Il sequestro Soffiantini…)

 

 

Tratto da “Che cos’è la televisione” di A. Grasso e M. Scaglioni.

Fonte: http://www.regesta.com/wp-content/uploads/2015/08/sceneggiatoFiction.doc

Sito web da visitare: http://www.regesta.com

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

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