Talk show

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Talk show

 

INTRODUZIONE

Questo studio verte sull’analisi di due trasmissioni di talk show, Porta a porta (Raiuno) e Sciuscià (Raidue), con particolare attenzione alle dinamiche di selezione degli ospiti e alle modalità di interazione tra gli stessi all’interno della ribalta televisiva.
La ricerca si è articolata in due livelli, uno fenomenico, centrato sul comportamento degli ospiti in trasmissione, l’altro sul ‘lavoro’ invisibile soggiacente alla messa in scena televisiva. Quest’ultimo prevede l’esplicitazione di alcune logiche ricorrenti che guidano gli ‘addetti ai lavori’ nell’individuazione e nella scelta dei partecipanti al talk show, nel quadro dei principi di funzionamento delle trasmissioni in esame e del medium televisivo in generale.
L’indagine si è sviluppata in due momenti distinti, dei quali questo lavoro costituisce una sintesi.
In primo luogo si è fatto ricorso, in quanto strumento operativo, a due interviste realizzate nel giugno del 2002 a Roma, nelle redazioni di Porta a porta e Sciuscià: sono stati intervistati Sandro Ruotolo, collaboratore di Michele Santoro, e Rossella Livigni, programmista e redattrice della trasmissione condotta da Bruno Vespa. Si è cercato in questo modo di raccogliere sul campo informazioni che fornissero spunti utili per la costruzione dell’apparato teorico.
In secondo luogo la definizione di un’impalcatura concettuale ha costituito un nodo centrale nell’evoluzione del nostro lavoro: data la complessità dell’oggetto di studio e la multidimensionalità degli aspetti implicati, si è rinunciato all’adozione di una prospettiva unitaria in favore di una serie di ‘puntelli’ teorici che, integrandosi l’un l’altro, forniscano una adeguata chiave di lettura dei diversi fenomeni emergenti dall’analisi. Il quadro teorico di riferimento si compone pertanto di un insieme di paradigmi esplicativi ricavati da differenti ambiti disciplinari.
Da una prospettiva storica tesa a evidenziare l’evoluzione del talk show nell’ambito dei mutamenti che hanno investito la società italiana negli ultimi decenni, si è passati all’adozione di un punto di vista fondato su alcune teorie sociologiche della comunicazione televisiva, con particolare riferimento alle riflessioni di Pierre Bourdieu, utili a chiarire le dinamiche di selezione degli ospiti. D’altra parte lo studio di quest’ultimo aspetto non poteva prescindere da un’analisi del format e delle peculiarità che riconducono le trasmissioni analizzate al genere conversazionale del “talk show del dibattito” all’interno di una prospettiva semiotica. Da questa sono state ricavate alcune categorie utilizzate per l’analisi dettagliata di un corpus di puntate in esame.

 

1  IL TALK SHOW

 

1.1  Storia del talk show

Dotato di una sua necessità, il talk show è esistito ancora prima di essere inventato, e potrebbe continuare anche nella più improbabile delle ipotesi, cioè dopo la decisione (ma presa da chi?) di sopprimerlo.

Scrive Jurgen Habermas che “la sfera pubblica borghese può essere concepita in un primo momento come la sfera dei privati riuniti come pubblico”. Questo è lo spazio della discussione, della circolazione delle idee, delle notizie, e di tutto ciò che inerisce alla regolamentazione dell’agire quotidiano (economico e quindi anche politico, in primo luogo) dei privati cittadini. È uno spazio ideale, prima che fisico, poiché il cittadino rivendica il diritto ad avere voce in capitolo, e ciò non presuppone né un luogo fisico effettivo in cui incontrare gli altri cittadini (il confronto potrebbe avvenire per lettera, sui giornali, firmando petizioni ecc.), né tantomeno una partecipazione diretta a questa sfera pubblica: il privato potrebbe cioè eleggere rappresentanti che si occupano della regolamentazione vantaggiosa della propria sfera pubblica, limitandosi perciò periodicamente all’espressione di un voto e esercitando un controllo più o meno continuativo sulla classe dirigente, accertandosi che essa non tradisca l’ideale vincolo di mandato conferitogli. Su questi presupposti si basa sia la democrazia rappresentativa, sia l’ideologia retrostante al giornalismo watchdog, che si pone in difesa degli interessi della collettività.
Dato che la società e prima di essa la sua unità minima, la persona, non è solo un aggregato di simboli, idee, esigenze e passioni, ma anche un aggregato di corpi fisici, per comunicare ha bisogno di riunirsi in un luogo fisico. Ciò potrebbe non essere più vero con l’avvento dei personal media, che permettono all’utente di vedere tutto e parlare con tutti senza in realtà incontrare direttamente niente e nessuno.Mentre prima dell’avvento dei mass media gli individui dovevano riunirsi in un luogo fisico per comunicare, successivamente questa necessità viene meno perché diventa possibile la comunicazione mediata.
Possiamo quindi tracciare una prima conclusione: la circolazione, l’efficacia e lo spettacolo della parola appartengono alla cultura e alla società umana fin dalle origini. In un certo senso non c’è nulla di nuovo, ancor più se si pone attenzione alle modalità con cui la televisione cerca di riprodurre in varie forme un modello di comunicazione faccia a faccia. Da qui si comprende in prima battuta il senso dell’‘agorà’ dei programmi di Santoro, dove il conduttore-Socrate esorta i suoi ospiti al ragionamento e al dialogo, o il ‘salotto buono’ di Vespa, dove il conduttore-padre di famiglia chiede, interroga, spiega e commenta i fatti.
La novità importante è dunque un'altra: dicevano Searle e Austin che le parole sono atti linguistici, cioè producono sempre un’azione. Va però ricordato che la dimensione linguistica deve essere intrecciata alla dimensione del potere, vale a dire che l’efficacia di un atto linguistico dipende dal contesto in cui viene prodotto e dalla posizione di potere del parlante. Per questo il talk show è, in qualche misura, un fatto nuovo nella cultura umana. Mai nella storia le persone avevano potuto dibattere assieme, avendo come pubblico-interlocutore milioni di persone, come avviene durante i talk show più importanti.
Si può dunque affermare che il talk showrappresenta la realizzazione più compiuta di quella sfera pubblica che i borghesi volevano riconosciuta e posta sotto il loro controllo. Scrive ancora Habermas:

Questo modello della sfera pubblica ellenica, così come ci è stato trasmesso, in forma stilizzata, nell’autointerpretazione dei greci, a cominciare dal Rinascimento fino ai nostri giorni ha in comune con tutta la cosiddetta ‘classicità’ una forza normativa peculiare. Non la formazione sociale che ne è il fondamento, ma proprio il paradigma ideologico ha conservato, oltre i secoli, la sua continuità, appunto come continuità storico-spirituale.

 

Ma il talk show rappresenta anche un’amplificazione, un megafono attraverso il quale parola e potere si autoalimentano.

 

1.2  Il modello americano

Il talk show nasce in America agli inizi degli anni Sessanta e nel decennio successivo si diffonde in Europa, a cominciare dall’Inghilterra (con il “Terry Wogan Show”) e dall’Austria (“Club 22”). È opinione largamente diffusa che in Italia sia stato introdotto da Maurizio Costanzo […]

Alla fine degli anni Settanta per la televisione italiana iltalk show rappresentava un genere nuovo, e come gran parte dei formatdi successo, faceva riferimento a un cosiddetto ‘modello americano’ di fare televisione. Così Sartori:

Occorre a questo punto fare di nuovo un passo indietro, alle radici storiche dell’attuale ‘civiltà televisiva’, e in particolare a quegli anni dell’immediato dopoguerra che hanno sancito il definitivo sviluppo della televisione. Sviluppo che – a differenza del periodo anteguerra, in cui Vecchio e Nuovo Continente viaggiano su binari paralleli – trova sempre di più il suo fulcro moltiplicatore e acceleratore negli Stati Uniti, nelle loro grandi corporations private della comunicazione.

Sono ormai più di 50 anni che nel mondo si fa televisione. Il modello televisivo americano, in quanto prototipo, è quello che più di ogni altro ha varcato i confini del paese in cui è nato, “contribuendo alla omogeneizzazione del sistema televisivo internazionale”. Ciò non toglie che ogni paese abbia adattato il cosiddetto ‘modello americano’ alla propria tradizione culturale. “La produzione/ricezione di un programma di talk show”, scrivono Mininni e Ghiglione, “si inserisce nel contesto globale delle modalità di interpretare la comunicazione, proprie di un dato gruppo socioculturale”. Ciò significa che gli schemi interpretativi dei segni in generale, e di certe modalità espressive in particolare, dipendono dall’imprinting socioculturale, per cui parlare di esportazione di un modello culturale (nel nostro caso televisivo) rappresenta in una certa misura una contraddizione di termini. Fatta questa premessa, si può condividere l’idea di Mininni e Ghiglione, secondo cui

le differenze di impianto riscontrabili tra il formato classico del talk show “interrogatorio” (o all’americana, dove il conduttore intervista in modo serrato il suo ospite, che risponde in modo spregiudicato) e il talk show “salotto” (o all’italiana, dove l’animatore dirige una conversazione libera) traggono le loro ragioni profonde dalle coordinate che orientano due tradizioni culturali: una a salienza individuale, basata sul confronto/competizione dei singoli, l’altra orientata sul gruppo, giocata sull’accordo polifonico e sul compromesso corale.

È evidente che una dicotomia di questo tipo (talk showsalotto vs talk showinterrogatorio) è metastorica, valida solo in linea generale e non spiega né la differenza fra il modello americano e quello italiano, né tantomeno la specificità delle singole trasmissioni.

 

1.3  Il talk show system in Italia: cenni storici

Bontà loro, nel 1976, è il primo talk show in onda sulla televisione italiana. Paci descrive il funzionamento di questo genere televisivo:

Il primo salotto della chiacchiera televisiva, condotto da Maurizio Costanzo, va in onda il lunedì alle 22.40 sulla Rete 1. Prima di avviare la conversazione con i suoi ospiti, Maurizio Costanzo compie il rituale e molto ‘domestico’ gesto di chiudere una finestra, per sottolineare che la dimensione intima e conviviale di rapporto con i telespettatori è essenziale allo svolgersi del talk show. La trasmissione di Costanzo (il ‘re del talk show italiano) inaugura un fenomeno che, di lì a poco, si estenderà fino a diventare il modello di qualunque discorso televisivo.

Infatti, a quella prima trasmissione seguono il Maurizio Costanzo show (1982), Pronto, Raffaella?, con Raffaella Carrà (1983), fino ad arrivare a Samarcanda, di Michele Santoro (1987), quest’ultimo programma simbolo del “politico che diventa privato”. In base alla classicazione proposta da Paci è possibile suddividere i talk showitaliani in alcuni sottogeneri, “a seconda delle caratteristiche e degli elementi privilegiati”. In particolare, le trasmissioni oggetto del presente lavoro possono essere ricondotte al genere del talk show del dibattito, in cui si discute di uno o più argomenti o temi, dove sono presenti ospiti in contrasto, che vengono intervistati dal conduttore e difendono le loro posizioni di fronte alle argomentazioni degli altri. Di regola, ogni partecipante deve avere diritto di parola, anche se con tempi di intervento diversi a seconda dell’importanza che riveste nella trasmissione.
Il successo del talk show è riconducibile a due fattori – economicità e coinvolgimento del  pubblico – evidenziati  da Paci, secondo la quale

all’interno dell’attuale programmazione televisiva i talk show rappresentano il prodotto più economico da realizzare e il più influente, perché maggiormente in grado di realizzare un forte coinvolgimento del pubblico, adempiendo alla tipica esigenza neotelevisiva di fidelizzazione dell’ascolto.

È comunque utile soffermarsi sulle tendenze che il genere ha seguito nel corso del tempo. A questo proposito si può fare riferimento a una ricerca condotta da Isabella Pezzini sui programmi di talk show, relativa a un campione di analisi degli anni 1993-94, “un momento di particolare effervescenza di questo genere televisivo nel nostro paese”. Si possono individuare dunque alcune linee di evoluzione, a cominciare dalla “solida riassunzione del ‘potere di gestione’ dei conduttori, che ha come conseguenza l’accentuazione di uno stile riconoscibile nei diversi programmi”. In altre parole, assistiamo all’aumento di importanza del conduttore rispetto al format; l’esigenza di fidelizzare il telespettatore si realizza prevalentemente grazie al prestigio e alla riconoscibilità del conduttore che, oltre a conferire specificità al programma, fornisce al pubblico una chiave interpretativa spesso esplicita. Ciò spiega la frequenza, nell’uso comune, di espressioni come “stasera c’è Santoro”, oppure “stasera c’è Vespa”, e non “stasera c’è Sciuscià”, oppure “Porta a porta”.
Altre tendenze macroscopiche sono “la riproposta ad libitum di programmi di successo, con una poetica della variazione spinta sino all’usura”, nonché un abbandono della simulazione dell’oralità quotidiana per lasciare posto a una forte autoreferenzialità delle trasmissioni.

 

1.4  Il talk show system in Italia: elementi teorici

Come accennato, il modo in cui è organizzato un talk showe di conseguenzai frame all’interno dei quali il pubblico lo esperisce e lo interpreta dipendono in una certa misura dal particolare contesto socioculturale in cui tale processo avviene. Ciò porta immediatamente a chiedersi quali siano in Italia le condizioni per cui il format del talk show ha attecchito così bene.
La ‘via italiana’ al talk show system è oggetto di uno studio di Gregorio Scalise che individua due ordini di ragioni per cui il talk show in Italia ha avuto successo. Il primo fattore è di ordine politico: se è vero che l’arena mediatica è ormai il luogo dove politica e società sono costrette a incontrarsi, la politica per rendersi visibile e la società per potersi informare, emerge l’enorme influenza che va assumendo il mezzo televisivo sulla vita sociale e politica del nostro paese. Scrive Scalise che

la TV influisce sulla direzione politica più con i talk show che con i dibattiti; non per niente nei talk show i politici si infilano come perle di una collana. Alla domanda se la TV influenzi e mal influenzi l’Italia, la risposta è sì. Alla richiesta: “E con che mezzo?”, si risponde: “Con il mezzo sotto gli occhi di tutti, cioè i talk show”. Sono i più seguiti e hanno alti dati d’ascolto.

A livello politico, la funzione principale del talk showin Italia è di orientare l’opinione pubblica costruendo un’arena in cui il cittadino-telespettatore possa – o creda di potere – far valere la sua opinione. Si instaura in tal modo un nuovo simulacro di democrazia diretta che il politico abile, se vuole rimanere sulla scena, deve saper dosare e sfruttare.
Attraverso ciò che è riportato dai mass media si stabiliscono le priorità, ciò di cui si può e si deve parlare, come già evidenziato nel 1972 da Mc Combs e Shaw, con la teoria dell’agenda setting. In questo si rivela il potere del talk show, non solo perché riesca a imporre cosa pensare, ma anche per il fatto che ci suggerisce su cosa pensare, proponendo un frame di riferimento in cui inserire il dibattito politico o sociale.
Un altro fattore che ha contribuito e contribuisce al successo del talk show in Italia è di ordine socioculturale. Con Scalise, si può constatare che in Italia

il talk show esiste nell’aria. È l’intrattenimento, l’incontro, il pour parler; il vedere gli amici, il socializzare con degli sconosciuti; è l’assistere e il partecipare, lo scherzare, l’esprimere a basso costo valori emotivi anche intensi. Il talk show italiano è una forma elettronica del famoso “volemose bene”, atteggiamento sconcertante della comunicazione romana e meridionale. […] Il senso della nostra epoca, e dell’epoca italiana attuale, è il talk show. Ci voleva tanto? Esso, il talk show, è il prolungamento della vita domestica, la pace ritrovata, quel tanto di simpatico rimbambimento che una persona richiede (e ne ha diritto) dopo una giornata di lavoro.

Riportiamo inoltre una considerazione di Mininni e Ghiglione, riferita al Maurizio Costanzo Show , che riassume quella che abbiamo chiamato la ‘via italiana’ al talk show system, senza dimenticare che molti degli elementi qui delineati sono evidentemente comuni a molti Paesi, almeno a quelli che hanno seguito il modello americano. Scrivono gli autori che

Se l’ipotesi globale è che il talk show costituisca uno specchio massmediale dell’attuale modo di realizzarsi della democrazia, il Maurizio Costanzo Show ne è una piena e chiara conferma. Infatti, la cultura diffusa degli “opinionisti” massmediali registra il Maurizio Costanzo Show come un programma di “presa della parola da parte del pubblico”. Tutti i temi possono essere approfonditi, si possono avanzare richieste, fare denunce, la cronaca politica può intrecciarsi alla critica sociale, si può fare la passerella dei costumi e inseguire delle idee, ma sempre nello spirito del “genio italico”: attutire i contrasti e rinviare le decisioni, accogliere le obiezioni e ingurgitare le diversità. In questo senso il Maurizio Costanzo Show è (stato) un formidabile “operatore di egemonia”, funzionale all’interpretazione allegra (e talvolta “irridente”) della forma consociativa e della modalità bloccata della nostra democrazia.

In un contesto di ricerca di ispirazione semiotica, Luca Balestrieri scrive che

anche il mondo reale è un costrutto culturale. Le ragioni per le quali riteniamo un certo assetto dell’enciclopedia e un certo mondo preferibili ad altri e dotati della proprietà di essere attuali (reali), sono extra-semiotiche: quell’enciclopedia si rivela un utile modello che, senza pretendere di fornire un rispecchiamento metafisico del reale, si costituisce come strumento o formalizzazione rispetto ad una pratica.

Si può convenire con l’assunto secondo il quale il mondo reale non è conoscibile a priori, ma solo successivamente a una sua categorizzazione e concettualizzazione. Tale categorizzazione presuppone la mediazione di un segno, che si frappone fra il referente e il concetto, e tale segno può essere un indice (in cui c’è connessione fisica tra segno e referente), un’icona (in cui c’è affinità morfologica tra i due termini), oppure un simbolo (basato su un rapporto puramente arbitrario, convenzionale). In televisione si ha la cosiddetta ‘messa in scena’, quindi già in partenza la televisione si basa su un funzionamento simbolico, ponendosi come rappresentazione arbitraria. Tuttavia, con il ricorso a tecniche radiotelevisive quali la diretta si cerca di eliminare l’effetto di mediazione, di diaframma. Diversamente si è tentato anche di avvicinare simbolo e referente attraverso la cosiddetta ‘Tv-verità’, in grado di offrire autenticità al telespettatore (attraverso l’autentico, il vissuto, le testimonianze e le storie di vita), a costi contenuti. Scrivono Mininni e Ghiglione:

Da dove ci giungono i reality show? Dal cuore profondo dell’America. Alcune televisioni locali di laggiù, non avendo i mezzi per produrre programmi di fiction, trovarono – effetto del caso e della necessità – il filone dei reality show: senza attori, senza sceneggiature… e fare audience. Insomma, s’inventarono la ‘soap opera’ imbastardita. E funzionava. Allora vi si interessarono le grandi reti (cbs, nbc, abc) e il mondo intero ne fu preso.

In riferimento al modello del reality show, è possibile definire il talk showcome una sorta di suo sottogenere, condividendo con esso

la pretesa di fornire il reale: in questo caso, quello di una parola che via via lo costruisce; l’apparente appropriazione, da parte del cittadino, dello strumento televisivo come luogo di messa in scena della sua individualità, per cui esso viene anche percepito come luogo di legittimazione della parola ordinaria: la sua;

il talk show come genere conversazionale

come risulta dal paragrafo precedente il talk show è una forma di discussione pubblica, vale a dire una forma di interazione comunicativa mediata. In quanto simulazione di un discorso reale il talk showè analizzabile attraverso gli strumenti dell’analisi della conversazione, con particolare riferimento al concetto di genere conversazionale. In base a tale prospettiva, rifacendosi a una ricerca semio-linguistica di Isabella Pezzini, è possibile distinguere diversi tipi di talk show; nello specifico le trasmissioni Porta a Porta e Sciuscià, per le peculiarità interazionali che presentano, sono riconducibili al modello  del dibattito. È opportuno definire subito questo termine riportando la definizione citata da Pezzini:

Dibattito: pubblica discussione su argomenti prestabiliti, a proposito dei quali sia concesso a ciascuno dei partecipanti di esprimere e motivare il proprio giudizio.

Il talk showdel dibattito può essere individuato attraverso la convergenza di particolari assi, che individuano elementi intertestuali ricorrenti e identificano le coordinate interazionali delle trasmissioni. Si richiamano qui in modo schematico le caratteristiche dei diversi assi, secondo la classificazione di Pezzini.

  • Quadro spazio-temporale o setting: è uno spazio pubblico in quanto riproduce, in varie forme, un luogo di discussione pubblica, che può essere un salotto, una piazza, o comunque un ‘luogo di incontro’. Scrive Pezzini:

I principali tipi di spazio adottati sono il classico spazio semicircolare che enfatizza il suo essere uno spazio televisivo, con la linea di diametro che, idealmente, coincide con la finestra-televisione, [...] o viene messo in prospettiva in Porta a porta quello circolare, ripreso da diversi punti di vista [...]; e infine quello “rettangolare”, con faccia a faccia tra palco degli oratori e pubblico. [...] A volte la trasmissione si svolge in spazi sociali, normalmente destinati ad altri usi.

  • Asse dei partecipanti: è determinato dal numero dei parlanti e dalla loro natura (caratteristiche individuali, psicologiche e sociali), dallo statuto partecipativo (presenza di un moderatore, condotta conveniente dei personaggi, simmetria o asimmetria nella comunicazione), dal formato di emissione e ricezione (in questo caso alternato).
  • Asse della formalità: una scala graduata che va dall’‘intimo’ al ‘cerimonioso’. Il tipo di trasmissioni analizzate in questa sede si pone a un  livello intermedio, per cui queste possono essere definite ‘consultative’ e ‘sostenute’. In altri termini, il discorso televisivo mantiene una certa formalità, distinguendosi in questo modo tanto da un registro familiare-colloquiale quanto da uno estremamente formale.
  • Asse del contenuto e del discorso: il contenuto di ciascuna trasmissione può essere ‘pluritematico’ oppure ‘monotematico’. In quest’ultimo caso, dato un macro-argomento, i suoi diversi aspetti sono analizzati e sviluppati all’interno di una stessa trasmissione. Il tema generalmente è imposto, predeterminato, ‘pubblico’, e affrontato in modo serio. La macrostruttura dominante è di tipo argomentativo, pur con digressioni narrative all’interno della trasmissione stessa (testimonianze e storie di vita), debitamente reinterpretate nel frame argomentativo principale
  • Asse dello stile: si basa sulle opposizioni ‘serio’ vs ‘ludico’ e ‘consensuale’ vs ‘conflittuale’. Il talk showdel dibattito si configura come ‘serio’ e ‘conflittuale’.
  • Asse della durata e del ritmo: il tempo è in genere ampio, determinato e sfruttato attraverso un ritmo incalzante.
  • Asse dello scopo.

Per una trattazione più approfondita agli ultimi due punti saranno dedicati i prossimi paragrafi.

 

3  la questione del ritmo

Sulla questione del ritmo all’interno dei testi televisivi un utile strumento analitico è offerto da Barbieri, il cui lavoro si basa su una fondamentale premessa:

la convinzione è che qualsiasi testo che possiede caratteri estetici sia fruito attraverso un percorso emozionale, e che il testo si configuri come una sorta di macchina per produrre tale percorso. [...] Il percorso emozionale che viene creato da un testo con caratteristiche estetiche è, fondamentalmente, un percorso tensivo. Il testo induce nello spettatore delle aspettative, e le conduce avanti fino a risolverle.

È possibile individuare all’interno di un programma televisivo un ‘percorso generativo del ritmo’ che si articola su tre livelli: procurare un’emozione, inserire questa emozione in un percorso coerente tale da produrre una tensione più o meno costante, fare in modo che il telespettatore proietti sulla parte di testo restante queste tensioni, così da trasformarle in aspettative sull’andamento progressivo della trasmissione. In quest’ottica, il testo televisivo diventa un “generatore e risolutore di tensioni”.
Occorre ora esaminare le modalità attraverso cui le tensioni così create si organizzano in un’unità coerente. L’elemento che si prende carico di tale funzione è appunto il ritmo, inteso come “modulazione della tensione, organizzazione degli elementi di rilievo per creare e risolvere aspettative”. Nel concetto di ‘ritmo’ di una trasmissione è di conseguenza implicito un elemento di interesse da parte del fruitore, il che presuppone, in una certa misura, l’iscrizione in ogni testo televisivo di un percorso interpretativo privilegiato. La nozione di ‘interesse’ coinvolge immediatamente quella di ‘attenzione’: se un programma è capace di attirare l’attenzione sarà anche in grado di produrre nello spettatore un certo percorso emozionale e quindi delle aspettative.

 

3.1  Scopi e finalità del dibattito televisivo

Il dibattito televisivo è analizzabile come testo all’interno del quale si inscrivono  finalità narrative: queste si realizzano nella costruzione di una storia che segue le modalità tipiche del racconto.
Tuttavia, come evidenziato da Barbieri,

le finalità testuali non si esauriscono con quelle narrative. Possiamo ipotizzare infatti che esistano, per esempio, finalità ideologiche (argomentative o persuasive) e finalità stilistiche. Le finalità ideologiche sono le finalità del testo quando lo si voglia considerare come discorso, vuoi che cerchi di porre al fruitore un problema insieme con le sue articolazioni, oppure che cerchi di convincerlo della positività (o negatività) di qualcosa. Quando i testi non sono narrativi, le finalità ideologiche, espositive e stilistiche costituiscono la totalità dell’intreccio testuale.

È evidente che la finalità testuale precipua di un dibattito non è di carattere narrativo, bensì di carattere espositivo e argomentativo, essendo rilevante non tanto il termine ad quem, il risultato del dibattito, ma il dibattere in sé. Possiamo convenire con Barbieri che una trasmissione  televisiva di questo tipo

si presenta di solito, infatti, come un dibattito sui temi scottanti e di pubblico interesse fra persone pubblicamente note: così come il susseguirsi delle varie opinioni è evidentimente il suo topic dichiarato e il principale motivo di interesse. Tuttavia anche la discussione in sé, al di là di quanto venga effettivamente detto, è investita di un ruolo particolare, grazie alla messa in scena di un conflitto che essa rappresenta.

In considerazione della natura espositiva e argomentativa del dibattito, è possibile individuare nei testi in oggetto due diversi livelli teleologici, tra i quali intercorre un terzo che rappresenta la conditio sine qua non della loro coesistenza.

  • Finalità interna: la finalità interna è definibile come lo scopo che avrebbe il dibattito se considerato free-context, a prescindere dalla presenza di una telecamera e di un pubblico. Con Pezzini, questo tipo di testo televisivo “cerca di rispondere alla domanda ‘cosa sta succedendo qui e altrove?’”. In tal senso, la trasmissione è intesa come priva del suo livello pragmatico.
  • Finalità esterna: l’analisi di un programma limitata alla sola finalità interna si riduce a un mero paradosso, dato che qualsiasi trasmissione televisiva implica strutturalmente la presenza della telecamera. Ne consegue che l’analisi stessa è imprescindibile dal livello pragmatico, essendo il programma costruito in funzione di un pubblico, di un’audience più o meno determinata.
  • Contratto mediatico: si pone così l’esigenza di postulare un legame fra il dibattito ‘in sé e per sé’ e il dibattito ‘per qualcuno’. Con Pezzini:

 

Il contratto comunicativo specifico del dibattito televisivo in realtà articolerebbe un doppio contratto: quello del dibattito “naturale” filtrato e per così dire modulato attraverso un contratto mediatico. [...] La sovrapposizione di un doppio contratto “stretto” fra emittenza (rappresentata dal corpo giornalista) e audience (i cittadini “il cui ruolo sociale – cito – è leggere, informarsi, vedere per informarsi”): uno per l’appunto di informazione, [...] e uno di captazione, che concerne il modo di trattare il sapere che va trasmesso, per raggiungere il più gran numero di spettatori, della cui identità l’emittenza “generalista” può avere un’idea molto vaga.

Il contratto di  captazione, il cui scopo è raggiungere il maggior numero possibile di persone e di suscitarne l’interesse, si articola, secondo Pezzini, in due principi complementari. Un primo è quello di serietà, per cui l’istanza dell’enunciazione (il programma) deve costruirsi un’immagine di credibilità, supportata da prove che rendano attendibile il discorso prodotto, quali l’utilizzo di testimonianze, pareri di esperti, documenti e immagini. Il secondo principio alla base di questo contratto è quello di piacere, vale a dire la capacità di fare audience sulla base di metafore culturali e rappresentazioni sociali condivise che rendono il prodotto più facilmente fruibile alle varie fasce di pubblico.

 

 

4  porta a porta: format e progRAMMA

Il format in Porta a Porta è un elemento peculiare che distingue il programma dai talk show in senso stretto, quasi a identificare un sottogenere a sé stante con caratteristiche proprie e costanti. L’idea è quella di unire in un formato originale il genere ‘dibattito-approfondimento’ di temi politici e sociali di attualità e il genere ‘intrattenimento’. Secondo Bionda, Bourlot, Cobianchi e Villa

il programma declina alcuni elementi del discorso informativo – quali l’intervista, la testimonianza e la biografia – in chiave più spettacolare e personalistica. L’intento sembra essere quello di rendere il discorso più comprensibile e di avvicinare la politica ai cittadini.

Gli elementi di intrattenimento sono lo strumento che permette al programma di trattare temi anche complessi e di potersi ‘vendere’ a un pubblico più ampio e meno specialistico. Lo spettatore può essere quindi attirato non soltanto dall’‘argomento della serata’, ma anche e soprattutto dalle garanzie di comprensibilità che il prodotto offre. A questa finalità sono volti il linguaggio semplice, gli esperti – con con il loro ruolo di sintesi istantanea e semplificazione di temi altrimenti troppo complessi per un pubblico vasto e troppo lunghi da trattare per i tempi televisivi – e l’alternanza tra discussioni più o meno impegnate e momenti di intrattenimento o filmati. Si stabilisce un contratto di fiducia tra il telespettatore e il programma (in particolare il suo conduttore, che è visto come garanzia di trasparenza e oggettività), un modo semplice e a portata di mano per restare aggiornati sui temi di attualità.

 

4.1  la sigla e l’incipit

È facilmente riconoscibile una sequenza fissa di inquadrature a partire dall’oggettiva irreale dello studio che fa da sfondo al logo della trasmissione (una porta che si sdoppia) e ai titoli di testa in sovrimpressione. Seguono una serie di inquadrature, montate con una dissolvenza incrociata, di pubblico e ospiti e uno zoom delle altre tre camere sugli ospiti. Chiude la sequenza un’altra oggettiva irreale dello studio che si illumina progressivamente.
L’elemento audio è la colonna sonora di Via col vento a cui si sovrappongono gli applausi del pubblico in sala.
La sequenza è in ombra, e ottiene

l’effetto di drammatizzare e creare attesa per vedere i protagonisti del dibattito, proponendo in fondo una modalità tipica del teatro, il passaggio dall’oscurità alla luce quando il vero spettacolo inizia.

Nella sequenza vengono mostrati anche elementi del retroscena, tecnici al lavoro e strumenti: viene messo in scena un punto di vista che svela il funzionamento della Tv. La Tv svela le sue potenzialità, fornendo un plus spettacolare allo spettatore. Si tende a costruire quello che Pezzini definisce un non luogo:

si accentua il carattere virtuale e specifico dello spazio costruito fra il programma e i telespettatori [...] il suo essere anzitutto uno studio televisivo [...] una forma di enunciazione enunciata di quel che abbiamo chiamato l’essere in televisione. Sovrabbondante di monitor, schermi giganti, telefoni e microfoni.

Il ‘non luogo’ è in opposizione alla costruzione di ‘luogo’: le trasmissioni televisive non si reggono esclusivamente sull’una o sull’altra di queste due categorie ma si collocano su un continuum che va da ‘luogo’ a ‘non luogo’. Porta a porta, pur rappresentando in forma simulacrale un salotto, si avvicina maggiormente al ‘non luogo’.
Si evidenzia inoltre un effetto di inclusione dello spettatore: il gioco di inquadrature iniziali chiama in causa lo spettatore a casa, che ha l’impressione di essere presente in trasmissione, “e la Tv, con un movimento di avvicinamento, lo guida verso il centro dello studio”. Il risultato è di portare lo spettatore al centro della trasmissione, coinvolgendolo nel dibattito come se fosse uno degli ospiti seduti sulle poltroncine del salotto mediatico. Questo elemento rafforza il contratto di fiducia tra emittente e ricevente del messaggio. A ciò si aggiunge l’istanza autoriale manifesta del programma, esplicitata nel nome di Vespa in rilievo nei titoli di testa per garantire un riconoscimento immediato e nel logo che rimane in sovrimpressione per tutta la durata della trasmissione.
Vespa presenta sempre gli ospiti indicando il loro ruolo professionale o istituzionale in attinenza con l’argomento della puntata e questo viene puntualmente ribadito nel corso della trasmissione dalla grafica in sovrimpressione.

 

 

 

4.2  il setting

Lo studio è circolare con un palco rialzato al centro e il pubblico intorno disposto a semicerchio. L’assenza di elementi dispersivi e la coesione spaziale attirano l’attenzione dello spettatore verso il centro della scena, assecondando il movimento di inclusione descritto nel paragrafo precedente. Sul palco è riprodotto un ambiente domestico: il salotto, elemento tipico del talk show, che rende l’atmosfera più familiare e meno formale e permette agli ospiti di sentirsi a proprio agio, con un conseguente slittamento verso la ‘chiacchiera’ anche a proposito dei temi più seri. Le poltrone, di numero variabile, sono disposte su due file, una di fronte all’altra, leggermente rivolte verso il pubblico, ai lati della postazione centrale del conduttore. La contrapposizione fisica suggerisce e sottolinea una contrapposizione tra due (o più) diverse posizioni.
Al centro della scena è posizionato il tavolo del conduttore e sullo sfondo un maxischermo che trasmette filmati e immagini di commento a quanto viene detto.  In questi due elementi è riscontrabile un’analogia tra la scenografia di Porta a Porta e quella di un telegiornale (in particolare del Tg1 per luminosità dello studio e colori tendenti al bianco e all’azzurro).

 

4.3  il logo

Molte caratteristiche della trasmissione si possono evincere direttamente dal logo.

Le porte, riferimento simbolico del programma, sono l’elemento più importante: esse richiamano da un lato l’aspetto dell’imprevisto, dell’incognito (accentuato dal suono del campanello che annuncia l’entrata di un visitatore che vorrebbe essere “inaspettato”), dall’altro la dimensione dell’ospitalità e soprattutto dell’apertura verso l’esterno, in particolare l’apertura del programma al mondo della politica, che viene invitato a entrare in scena e a confrontarsi; infine, le due porte ricordano anche che il programma si basa su una contrapposizione, un confronto.

Il logo ha anche la funzione di re-inquadrare, attraverso la grafica, il significato veicolato dal titolo preso da solo: ‘porta a porta’ è una formula ricorrente della lingua parlata. Le espressioni idiomatiche “vendere porta a porta”, “distribuire porta a porta”, “suonare porta a porta” si riferiscono ad attività in cui avviene una comunicazione tra un produttore del messaggio e un insieme di destinatari paritari. Il titolo connota l’intenzione di diffondere il messaggio (l’argomento trattato e la trasmissione stessa) nelle case di tutti i telespettatori.

 

4.4  la struttura ritmica

Nonostante a prima vista possa sembrare un programma in cui gli ospiti gestiscono i lori interventi con una certa libertà e spontaneità e nonostante non manchi una continua ricerca dell’effetto-sorpresa il programma è organizzato secondo parametri piuttosto rigidi. Gli ospiti accettano le regole interazionali fissate e adattano i loro interventi alla struttura generale di svolgimento del programma. Si può assistere a

un’assunzione a priori delle regole della trasmissione e a un adattamento preventivo del proprio modo di discorrere a quello della trasmissione. La struttura ritmica [...] è un dato talmente forte da essere accettato senza discussioni da chi vi prende parte.

Esiste una serie di elementi che vengono progressivamente introdotti con lo scopo di conferire una cadenza ritmica regolare al programma. Questi costituiscono tratti peculiari del format di Porta a Porta: irrompono nella scena interrompendo il dibattito e le argomentazioni degli ospiti e del conduttore. In questo modo Vespa riesce a ottenere regolarità e ordine senza assumersi la responsabilità diretta di un’interruzione. Il suono del campanello che preannuncia l’ingresso di un nuovo ospite, il lancio di un filmato, la lettura e il primo commento di un sondaggio (affidata a Renato Mannheimer) sono espedienti che

sollevano il conduttore dal compito di gestire interamente il ritmo, e a volte dal dovere di esercitare un intervento forte e autoritario che ponga dei limiti al dibattito, cosa che non si accorderebbe con l’immagine di padrone di casa cortese e raramente antagonista che Vespa propone. Il conduttore così può assumere solo parzialmente la responsabilità dell’andamento del dibattito e del susseguirsi degli eventi, e può usare i diversi elementi costanti come scusa per intervenire.

In particolare l’entrata di un nuovo ospite annuciata dal suono del campanello vorrebbe ottenere un effetto-sorpresa, per negare il suo essere un espediente ritmico utilizzato dal conduttore, ma spesso una regia poco accorta mostra i cenni di Vespa che determina i tempi di entrata svelando la strategia sottesa.
Sul maxischermo si susseguono i titoli dei sottoargomenti, intervallati dal titolo dell’argomento principale, con la funzione di scandire il ritmo e suddividere e ordinare la discussione in sotto-unità che rendano nel complesso più facilmente fruibile il messaggio.

4.5  il conduttore

Il ruolo di Vespa in Porta a porta va oltre quello del normale conduttore di talk show. È il ‘padrone di casa’, ha il compito di far accomodare gli ospiti nel suo ‘salotto’ e di invitarli a prendere parte alla discussione.

Vespa utilizza un tono confidenziale, a volte complice, e assume una posizione che il più delle volte è quella di un alleato, quasi mai di un antagonista.

Vespa cerca di essere neutrale all’interno del dibattito, tende a non prendere posizione e interviene per mantenere l’equilibrio della discussione evitando di esprimere la propria opinione.

C'è quell'attenzione enorme all'equilibrio perché Vespa è una persona così: non si vuole schierare, è una scelta che si può condividere o meno ma è una scelta corretta. Tu da giornalista non prendi una posizione e decidi di far parlare agli altri. E poi sono gli altri che devono parlare.

Per ridurre il grado di formalità e ufficialità della discussione Vespa spesso stimola gli ospiti cercando di far loro rivelare alcuni aspetti personali e umani, vere ‘finestre sul privato’. Con domande e battute si crea un effetto-sorpresa dato dall’improvviso scivolamento da temi seri a curiosità e fatti insoliti: il risultato è rendere il programma accessibile a un pubblico più ampio.
Come emerge dal paragrafo prededente esiste un rigido schema ritmico che regola le modalità di interazione, lasciando il conduttore libero dalla responsabilità di dover intervenire direttamente per ristabilire l’ordine. Tuttavia, se pur raramente, può accadere che una discussione degeneri e diventi ingovernabile; in questo caso il conduttore è costretto a fare uso del suo potere di moderatore, mai con troppa insistenza (“Per cortesia, diamo la possibilità di replicare a...” oppure in modo indiretto rivolgendosi a terzi “Capisco la difficoltà a prendere la parola con personaggi che riempiono la scena come...”). Il suo tono rimane di complicità e amichevole anche quando deve esprimere dei pareri in contrasto o richiamare all’ordine un ospite.
Quella di Vespa può essere definita una conduzione forte: governa interamente l’interazione attraverso strumenti diretti (il tono, la complicità) e indiretti (la struttura ritmica descritta nel paragrafo precedente). Il controllo di Vespa sulla trasmissione è pressoché totale, di molto superiore a quanto percepito dal pubblico.

Il fatto che Vespa entri in scena da solo e che non sia visibile nessun membro della redazione del programma sottolinea anche l’autorevolezza del conduttore e il suo essere unico protagonista dell’elaborazione giornalistica.

Vespa ha completa libertà di movimento nello studio: va incontro agli ospiti che entrano e li accompagna al loro posto, può ascoltare il dibattito dal suo tavolo, accanto a chi parla o agli altri ospiti che ascoltano oppure può farsi da parte e persino spostarsi dietro le quinte (quest’ultimo caso si verifica prevalentemente quando gli invitati sono uomini politici, in particolare in periodo di campagna elettorale quando la legge cosiddetta par condicio impone un tempo prestabilito per tutti gli interventi). Durante la trasmissione si nota un uso frequente di primi piani di Vespa, in funzione dei quali si mostra serio e interessato (tipica la posizione con le braccia conserte o la mano davanti alla bocca). La mimica facciale del conduttore funge da modello di reazione e chiave di lettura di quanto viene detto per lo spettatore del programma, analogamente alla mimica del pubblico in studio, ma differenziandosi da questa per la maggiore autorevolezza. Vespa non è solo un giornalista di fama ma rappresenta il programma stesso: le sue espressioni sono la figurativizzazione del punto di vista della trasmissione.

 

4.6  il pubblico

Il programma riserva ruoli diversi ai due pubblici: quello in studio e quello a casa. Il primo

che è poco influente ed è muto all’interno del dibattito è però molte volte protagonista a livello visivo [...] con l’effetto di far sentire il telespettatore alla pari di chi è in studio, ma anche di fornirgli come modello di comportamento l’assistere senza intervenire, il godere dello spettacolo e delle capacità della tv senza esserne artefice: la competenza richiesta al pubblico in studio è quella dello spettatore tradizionale, guardare e applaudire, cioè un saper fare puramente televisivo.

Il pubblico in studio è uno strumento al servizio della trasmissione, nonostante le sue funzioni prevalentemente passive (non può applaudire, tranne che all’inizio e alla fine della trasmissione, né può intervenire). Inoltre le persone in studio hanno il ruolo classico del pubblico da talk show, ovvero fornire ai parlanti un feedback immediato.

E anche lì siamo sempre stati attenti che non ci sia tendenza da una parte piuttosto che dall'altra. Ad esempio è successo l'anno scorso di fare una puntata sulla questione palestinese, allora chiami metà palestinesi e metà israeliani. Ma comunque non deve applaudire nessuno, è proprio una regola della trasmissione. Non ci sono applausi, non devono prendere posizione neanche loro, come non la prendiamo noi. [...] Ma devono essere comunque persone imparziali perché se parte un applauso Vespa si incazza subito. A volte di capita che la gente reagisca con troppa spontaneità, ma viene subito zittita.

Generalmente il pubblico in studio non riceve alcun compenso, anche se nelle trasmissioni prese in esame è composto in parte da figuranti.

[Porta a porta, N.d.R.] è diversa dalle altre trasmissioni. Perché nelle altre trasmissioni c'è un pubblico di figuranti, gente pagata... invece da noi c'è un pubblico di interessati. [...] Quest'anno abbiamo avuto qualche figurante anche noi per questioni di sicurezza, perché col fatto della guerra, per non fare entrare estranei in Rai abbiamo chiamato anche noi dei figuranti perché sappiamo chi sono. Perché la Rai li ha tutti in elenco quindi... quest'anno è andata così anche per noi.

Raramente Vespa si rivolge al pubblico a casa o a quello in studio in modo diretto, tranne nei saluti iniziali e finali e per sanzionare violazioni come applaudire senza permesso.
In particolare per quanto riguarda i telespettatori Vespa guarda raramente in macchina e si riferisce loro in terza persona (“chi ci guarda da casa”), a volte assumendone il punto di vista per garantire una migliore comprensione di passaggi complessi della discussione.

Sono infatti molto significativi […] i momenti in cui Vespa assume esplicitamente il ruolo di rappresentante del pubblico e mostra di stare dalla sua parte, per esempio quando chiede ai suoi ospiti di chiarire un concetto, o fa domande “perché il pubblico capisca”.

 

SCIUSCIÀ: FORMAT E PROGRAMMA

Sciuscià può essere ricondotta al genere di talk show del dibattito, approfondimento politico e dei temi di attualità, imperniato su un reportage di apertura che introduce il tema della trasmissione.

La novità di Sciuscià edizione straordinaria è che abbiamo il reportage in prima serata. Quindi, la parte successiva, cioè quella in diretta, dovrebbe essere la continuazione naturale delle questioni che si sono delineate nel reportage. Quindi gli ospiti vengono scelti in base all’attinenza rispetto al reportage.

A differenza di Porta a porta, la componente di intrattenimento è presente in misura minore e l’autore-conduttore dichiara esplicitamente la sua non-neutralità politica. Anche quando il tema principale non è di natura politica si fa riferimento a questioni e dichiarazioni politiche recenti. Spesso queste aprono parentesi di commento che possono durare anche diverse decine di minuti e coinvolgere gli ospiti del programma. Santoro prende esplicitamente posizione, assumendo un roulo di parte e mostrando ai telespettatori il proprio punto di vista. Questa ammissione di parzialità (contrapposta alla ricerca di imparzialità e neutralità di Vespa) rappresenta per Santoro un atto di ‘onestà intellettuale’: lo spettatore sa che questo è il punto di partenza e l’elemento fondante della trasmissione stessa e di conseguenza è consapevole della chiave interpretativa con cui si leggono i fatti. Poiché il ‘commento’ si discosta dal fatto per diventare opinione, la resa esplicita del punto di vista permette al fruitore di comprendere con obiettività ciò che non può essere espresso in modo obiettivo (l’opinione personale): esplicitazione del proprio punto di vista, fairness anziché resoconto ‘oggettivo’ dei fatti.
Sciuscià ha un obiettivo diverso da quello di Porta a porta: mentre nel programma di Vespa si cerca di fornire un quadro generale e di spiegare in modo semplice e divulgativo temi di attualità Sciuscià svolge un ruolo di denuncia sociale annunciato dal titolo stesso preso per esteso: Sciuscià. Edizione straordinaria. I reportage hanno quasi sempre la funzione di portare all’attenzione pubblica fatti controversi più o meno noti, atti a suscitare polemiche.

 

5.1  la sigla e l’incipit

Il programma inizia con un’inquadratura che dal fondo dello studio (dall’alto della tribuna del pubblico) si avvicina con un carrello al centro e stringe con lo zoom sulla scritta sul maxischermo (un programma di Michele Santoro). La Tv mostra subito le sue potenzialità offrendo al telespettatore un punto di vista che il pubblico reale non potrebbe mai acquisire. Come in Porta a porta si ricorre alle tecniche di ripresa per suggerire un senso di inclusione dello spettatore a casa. Sul monitor si passa, attraverso il movimento delle ‘tendine’, dalla scritta al breve filmato introduttivo, il sommario, di 3-4 minuti, in cui si fornisce un rapido sunto del tema della puntata. Durante il sommario passano in sovrimpressione i titoli di testa e in sequenza inquadrature in cui accanto alle immagini del filmato vengono presentati gli ospiti con dei primissimi piani.
Alla fine del sommario partono gli applausi e il conduttore entra in scena seguito da un ‘occhio di bue’ e dopo i saluti comincia un breve monologo introduttivo, una sorta di ‘pastone’ in cui Santoro parte da un fatto o dichiarazione che può riguardare più o meno direttamente sia lui che la trasmissione e con accenti spesso polemici introduce l’argomento. L’ultima frase riprende in genere le parole scelte per dare il titolo alla puntata; contemporaneamente un movimento di macchina conduce il telespettatore da Santoro al maxischermo sul quale compare, prima dell’inizio del filmato, il titolo che il conduttore sta in quel momento pronunciando. In presenza di un ospite principale o con particolari caratteristiche di attinenza all’argomento, questo può essere invitato dal conduttore a intervenire per fare brevemente il punto della situazione.
Anche qui, come in Porta a porta, si mostrano fin dall’inizio e per tutto il corso della trasmissione elementi del retroscena, tecnici e macchine da presa.
Come Vespa, così Santoro, seppure con ruolo diverso, rappresenta per i telespettatori una garanzia di riconoscibilità (subito presente nella prima scritta sul maxischermo che attribuisce a lui la paternità del programma). Gli ospiti non sono sempre presentati insieme all’inizio; spesso Santoro inizia a parlare con uno solo e introduce nella discussione gli altri in momenti successivi.
La colonna sonora originale è stata composta appositamente per la trasmissione dal musicista Daniel Bacalov.

 

5.2  il setting

Lo studio è semicircolare e riproduce un ambiente tipico del talk show: il foro, luogo classico della discussione pubblica e politica. Così come nell’agorà greca si incontravano e si scontravano le diverse opinioni politiche, nel foro di Sciuscià entrano in contatto posizioni contrapposte riguardo al tema della puntata.
Gli ospiti, a differenza di quanto avviene in Porta a porta, non occupano una posizione centrale, ma sono disposti sui primi gradini della tribuna del pubblico, abbastanza distanti fra loro. La disposizione dei partecipanti può riflettere la contrapposizione ideologica, anche se non vi sono posizioni rigidamente assegnate. In presenza di un personaggio principale gli ospiti possono essere disposti in modo gerarchico: al centro il più importante e ai lati, simmetricamente, tutti gli altri.

Abbiamo dei posti che vanno bene al regista per le riprese, è ovvio che decidi di mettere al posto centrale l’ospite principale, o meglio importante. Nell’ultima puntata era Gino Strada; in una della ultime era il giornalista di Repubblica Curzio Maltese, non perché era il più importante, ma perché ti serviva averlo perché ti dava i tempi e i temi della trasmissione.

Al centro del foro ha accesso esclusivo il solo conduttore; sullo sfondo è posizionato centralmente un maxischermo. Questo non è un semplice elemento scenografico, ma riveste un ruolo attivo nel programma. Date le sue dimensioni imponenti e la sua forma allungata in verticale spesso da solo riempie l’inquadratura, rubando la scena anche al conduttore. Per le sue dimensioni elevate, il maxischermo costituisce un elemento di spettacolarità che accresce le potenzialità messe in scena dal mezzo televisivo.
L’audio suggerisce che ci si trova in un luogo pubblico di grandi dimensioni, dove per farsi sentire è necessario usare un tono di voce non sussurrato e confidenziale (come è possibile nel ‘salotto’ di Vespa) ma alto e deciso. Si avverte una lieve eco e a tratti il vociare del pubblico in sottofondo.
Infine la scarsa luminosità e i colori tendenti al rosso facilitano la percezione di un clima meno intimo e rilassato rispetto a quello di Porta a porta.

 

5.3  il logo

Il logo riproduce la scritta “sciuscià” in verticale in cornice e sui quattro lati si ripetono le scritte “edizione” (sui lati corti) e “straordinaria” (sui lati lunghi). I colori sono bianco, rosso e nero. Il titolo riprende la storpiatura in napoletano del termine shoe shine, come venivano chiamati i giovani lustrascarpe di Napoli dagli anglo-americani durante la Seconda guerra mondiale, le cui vicende sono state raccontate da Vittorio De Sica nel film onomino vincitore di un premio Oscar nel 1947.

5.4  la struttura ritmica

Anche in Sciuscià si riscontra uno schema predefinito e piuttosto rigido. Circa metà della trasmissione è occupata dai reportage (in genere due più il sommario) intervallati dai risultati di un sondaggio esposti dalla giornalista Luisella Costamagna e da uno stacco pubblicitario. Il ‘pastone’ introduttivo di Santoro è quasi sempre presente e durante la puntata interviene dalla sala della regia il vicedirettore Sandro Ruotolo che può essere considerato un ‘adiuvante’ secondo la definizione di Pezzini.

Al conduttore capo si affiancano così, sempre di più, “conduttori in seconda”, magari con un ruolo tematico ben caratterizzato (il responsabile dei giochini con il pubblico, il regista, il redattore esperto in sondaggi, il custode della scaletta...), ma con un ruolo comunicativo generale: dialogare e fare da spalla al conduttore capo.

Questa figura è incaricata di fornire notizie e aggiornamenti, introdurre eventuali ospiti in collegamento e presentare le vignette politiche del disegnatore Vauro. Come in Porta a porta gli elementi ritmici intevengono per frammentare la puntata e possono essere usati in modo strumentale dal conduttore per interrompere una rissa verbale o per cambiare argomento qualora si prolunghi eccessivamente (in particolare il collegamento con Ruotolo, considerato che i reportage occupano la prima parte della trasmissione).

 

5.5  il conduttore

Il modello di conduzione di Santoro è solo in parte riconducibile a quello di moderatore: continuamente entra nel dibattito come parte in causa, fazione tra le fazioni, pur mantenendo il potere dell’ultima parola e della risoluzione finale. A differenza di Vespa, Santoro non esita a interrompere direttamente una discussione anche con tono autoritario o ironico, generalmente intervenendo come interlocutore e assumendo la responsabilità delle sue opinioni. È abile nell’accendere e mantenere vivo il dibattito tra e con gli ospiti: non si pone come un alleato, ma come un interlocutore critico, pronto a confutare ogni assunto e a ribattere ogni affermazione che non lo convince.

Il moderatore ha assunto una sempre maggiore quantità di ruoli comunicativi e di opinione, diventando non più una antropomorfizzazione dell’emittente ma un soggetto a pieno titolo (da maieuta dell’opione altrui a opinion maker).

Il programma ‘prende posizione’ attraverso le opinioni del suo conduttore, che è il responsabile di quanto viene detto e di ciò che i reportage denunciano.
Non mancano in Sciuscià tentativi originali di forzatura del format ideati dallo stesso Santoro per ottenere uno slittamento di ruolo: da moderatore a opinionista schierato. Per esempio, nella puntata del 24 aprile 2002, Maurizio Costanzo è invitato a ricoprire la funzione di mantenere il dibattito in equilibrio al posto di Santoro che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto assumere il ruolo di ‘parte in causa’, di opinion maker (l’argomento del dibattito era costituito dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio sui conduttori Biagi, Santoro e Luttazzi). Come afferma Sandro Ruotolo

era un’idea televisiva, perché c’era tutto questo dibattito in commissione parlamentare di vigilanza, tirato fuori da Il foglio sulla doppia conduzione, e quindi sul potere monocratico dei conduttori di talk show. E siccome si parlava di televisione, e si parlava di Biagi e Santoro, Michele aveva questa trovata televisiva. È ovvio che avrebbe continuato a fare lui il conduttore, dando la palla ogni tanto a Maurizio, che avrebbe potuto anche dire la sua, se chiamato in causa. Se io non sono il conduttore e quindi non devo garantire l’equilibrio, sono più libero e meno legato. E quindi posso dire la mia. Ovviamente questa idea televisiva non è piaciuta all’attuale dirigenza, per cui è stato Santoro a fare la trasmissione, anche se aveva Costanzo vicino a lui.

Seppure in modo diverso anche in Sciuscià si riscontra una conduzione di tipo forte, ma mentre Vespa utilizza principalmente strumenti indiretti e impliciti, Santoro fa ricorso in modo esplicito alla sua autorità.
In Sciuscià il conduttore ha meno libertà di movimento: rimane da solo in piedi al centro della scena avvicinandosi e allontanandosi dalla tribuna e senza mai uscire di scena o sedersi vicino agli ospiti. Una caratteristica di Santoro è la sua mimica: mentre discute gesticola animatamente, ma l’aspetto più importante sono le espressioni del volto, che sono utilizzate come piano d’ascolto e svolgono funzione di commento a quanto è detto. 

Michele Santoro, abilissimo nell’uso deittico del proprio volto, ora assai meno sereno di un tempo, spesso accigliato, a volte torvo.

Queste espressioni, come in Porta a porta, vengono proposte in primo piano sul maxischermo o direttamente in video, utilizzate

per “ammiccare” allo spettatore, invitarlo a commentare in sintonia con lei/lui ciò che è stato detto da un partecipante reale allo show.

 

5.6  il pubblico

La funzione del pubblico in studio è analoga a quella del pubblico di Porta a porta, anche se il controllo è meno rigido. L’intervento non è previsto ma, quando avviene, può essere tollerato dal conduttore che in alcuni casi arriva a fornire anche un microfono al parlante, in modo tale da ricondurre l’intervento entro i canoni di un confronto dialettico ordinato e apparentemente alla pari.

Voi sapete che in alcuni programmi, a parte quelli di intrattenimento, tipo I fatti vostri o simili, ci sono i famosi figuranti, cioè sono un pubblico composto da persone che prendono un “gettone”, che vengono pagati. Da noi il pubblico è il publico che vuol venire. E quindi è un pubblico reale ed è un pubblico che non è che lo comandi a bacchetta, per cui se si emoziona, si appassiona, è ovvio che applaude o dissente. Il dissentire non è mai piacevole in televisione, perché siccome non è microfonato non si può neanche sentire l’obiezione che fa, se è un’obiezione, oppure [...] perdi solo tempo se c’è il rumoreggiamento [...] perché a casa non capisci nulla e la trasmissione perde tempo, perde ritmo: questo è l’aspetto negativo. L’aspetto positivo è che è un pubblico reale.

Santoro, sia pure di rado, si rivolge al pubblico a casa usando il ‘tu’ o il ‘voi’, guardando in camera, interpellando direttamente il telespettatore. Se in Vespa è visibile un rapporto di complicità con gli ospiti della trasmissione, Santoro sembra instaurare una relazione simile con il pubblico a casa; lo sguardo in camera riproduce il punto di vista di una conversazione uno-a-uno tra conduttore e telespettatore, creando una sorta di intimità a distanza, a differenza di Porta a porta in cui l’intimità e costruita sulla scena.

 

6  GLI OSPITI

6.1  gli ospiti in relazione al tema: una proposta di classificazione

Per la classificazione dei partecipanti a un talk show si è fatto ricorso, tra l’altro, alle tipologie proposte da Pezzini e, dove necessario, al paradigmia gnoseologico di Schutz e ad alcune riflessioni di Bourdieu.
Un primo criterio tassonomico utile per l’analisi empirica verte sulla relazione tra il tema, inteso come universo di discorso oggetto della discussione, e i partecipanti.
In particolare, si individua un rapporto interno nel caso in cui l’ospite sia legato all’universo di discorso da un punto di vista esistenziale o materiale in quanto produttore o autore di qualcosa che appartenga a tale universo. Diversamente, qualora non vi sia tale appartenenza al tema dibattuto, gli autori del programma costruiscono una relazione eteronoma chiamando l’ospite a intervenire in trasmissione in quanto dotato di una conoscenza utile ai fini della discussione. In questo caso si individua uno spostamento dall’autorialità alla testimonianza e all’opinione autorevole: i partecipanti non sono più ‘autori’ ma testimoni o esperti.
Il testimone basa la sua competenza, e quindi la sua presenza in trasmissione, sul vissuto personale, mentre l’esperto ha una competenza tecnica e una visione tendenzialmente ‘oggettiva’ che ha le sue radici non nel vissuto ma in una conoscenza scientifica o professionale sull’argomento.
È evidente che la classificazione proposta si pone su un livello meramente teorico, individuando il tratto discriminante della relazione tra tema e ospite nella dicotomia interno vs esterno. Tuttavia, non è possibile riscontrare a livello empirico una contrapposizione così netta: si può notare che uno stesso ospite può rivestire ruoli diversi, anche nella stessa puntata, passando da testimone a esperto a soggetto direttamente coinvolto nel tema in discussione. La variabile discriminante è il tema dibattuto: non c’è un rapporto rigido e predeterminabile tra l’ospite e il tema della trasmissione. Su questo punto, più che una classificazione astratta, sarebbe più utile un’analisi dei casi contingenti.

 

6.2  gli ospiti in relazione al ruolo: una proposta di classificazione

Un secondo criterio tassonomico, proposto da Pezzini, verte sulla relazione tra l’ospite e il ruolo che è destinato a svolgere, ovvero sulla funzione che gli è assegnata nell’‘economia’ generale del programma. È possibile distinguere a questo proposito personaggi pubblici, esperti, e gente comune.
Rientrano nella categoria dei personaggi pubblici gli esponenti politici, i leaderdei movimenti d’opinione, i membri dello star system, i giornalisti famosi, o altri personaggi che, per un motivo o per l’altro, sono socialmente noti. Queste figure televisive sono generalmente invitate in trasmissione in virtù della loro notorietà.
Diversamente, l’esperto è chiamato in causa in quanto competente su un argomento specifico, in merito a vicende di attualità o a fatti di cronaca di particolare rilevanza.
La presenza in trasmissione di gente comune risponde a logiche diverse: generalmente, tale categoria di persone si presta a essere utilizzata in qualità di testimone, per agevolare la possibilità di immedesimazione del pubblico in vicende di interesse generale (presentate così da un punto di vista individuale).

 

 

  • MODALITÀ DI SELEZIONE DEGLI OSPITI

La figura dell’ospite televisivo, argomento centrale del nostro studio, è stata indagata da due punti di vista: da un lato, come emergerà dalla successiva analisi empirica, si è posta attenzione al comportamento fenomenologico degli ospiti (cosa dice l’ospite in trasmissione, come interagisce con gli altri ospiti e con il conduttore, per quanto tempo parla); dall’altro lato il focus dell’indagine è stato centrato sul retroscena, ovvero sul ‘lavoro’ di selezione degli ospiti soggiacente alla ribalta televisiva. Quest’ultimo piano di analisi va posto a monte dell’indagine empirica, in quanto fornisce un’adeguata cornice teorica agli spunti che provengono dall’osservazione del livello fenomenico. In particolare, l’indagine del retroscena è a sua volta articolata in due piani: uno, più generale, che inquadra le dinamiche di selezione nel più ampio contesto delle logiche di funzionamento del medium televisivo; un secondo, che propone un’esemplificazione di alcune modalità ricorrenti di selezione degli ospiti sulla base di una ricerca ‘sul campo’.
L’interrogativo di fondo che guida la nostra ricerca in questo campo si ispira a quello posto da Bourdieu in La televisione, che punta a mostrare il ‘lavoro invisibile’ che sta dietro il darsi della trasmissione. Così Bourdieu:

[…] c’è tutto un lavoro preliminare di inviti: ci sono persone che nessuno pensa neppure di invitare; altre vengono invitate e rifiutano. Il set è davanti agli occhi dello spettatore e il percepito nasconde il non percepito: in un percetto costruito non si vedono le condizioni sociali di costruzione. Quindi nessuno ci dice “ma guarda, non c’è il tale”.

Si potrebbe riformulare la domanda in altri termini, chiedendosi chi non c’è e poteva esserci, perché non c’è e cosa poteva dire se ci fosse stato, rispetto a chi c’è e a ciò che dice.                                 
Un primo elemento da considerare per rispondere a queste domande rinvia da una parte alle modalità tipiche di fruizione del testo televisivo, dall’altra alla scansione ritmico-temporale dello stesso. Come sottolinea Barbieri,

la televisione è […] il luogo ideale per testi dalla fruizione disimpegnata. Leggere un libro o una storia a fumetti, andare a vedere un film, una commedia teatrale o un avvenimento sportivo sono attività che implicano una decisione volontaria e di conseguenza un interesse molto maggiore che non il semplice gesto di accendere la tv, magari in orari in cui si è a tavola o si conversa con i familiari, e l’attenzione nei confronti di quello che compare sullo schermo è fluttuante e incerta.

          Il fatto che la fruizione televisiva si realizzi spesso come ‘rumore di sottofondo’, caratterizzata da un basso o incostante livello di attenzione, incide sulla stessa costruzione del testo televisivo. In particolare, gli autori delle trasmissioni cercano talvolta di adeguare il ritmo televisivo agli schemi ritmici che scandiscono la vita quotidiana, esemplificati da modelli interazionali quali il dialogo, il litigio, l’esibizione. Lo spettatore così ‘costruito’ adatta le modalità di relazione con gli eventi della vita quotidiana alle dinamiche di fruizione al testo televisivo, indirizzando selettivamente la propria attenzione su alcune parti del programma, in genere quelle che più stimolano il suo interesse.
In considerazione di questi fattori, i testi televisivi possono essere intesi come unità temporali chiuse, ‘micro-racconti’ che, nel caso specifico del dibattito televisivo, si esauriscono nella forma interazionale del ‘botta e risposta’, nella trattazione superficiale di una pluralità di argomenti.
Un paradigma esplicativo di tale fenomeno è fornito da Bourdieu, con riferimento al concetto di urgenza: una caratteristica peculiare della televisione è, secondo Bourdieu, la scarsità di tempo, che determina ritmi serrati, scanditi dalle interruzioni pubblicitarie. La velocità dei tempi televisivi impone all’espressione del pensiero dei vincoli precisi, per cui questo deve adeguarsi a canoni di velocità, chiarezza, efficacia comunicativa. La correlazione tra urgenza e pensiero si risolve, per Bourdieu, nell’impossibilità strutturale del pensare stesso, ovvero nel fast thinking. “Nell’urgenza non si può pensare”: una verità già nota a Platone, spiega Bourdieu. Ora, nell’arena mediatica, il non-pensare si configura come ‘pensare in velocità’, ovvero pensare per luoghi comuni: le idées reçues di Flaubert, “idee accettate da tutti, banali, convenute, comuni”, semplificano il problema della ricezione rimuovendolo, rendendo il testo immediatamente fruibile anche a bassi livelli di attenzione. In questo modo la comunicazione televisiva diventa istantanea.

La comunicazione è istantanea perché, in un certo senso, non è. O è solo apparente. Lo scambio di luoghi comuni è una comunicazione che ha come unico contenuto il fatto stesso della comunicazione.

La televisione tende così a privilegiare la figure dei fast thinker, i pensatori veloci, “pensatori che pensano più veloci della loro ombra”, che si rivelano congeniali alle esigenze di velocità, chiarezza ed efficacia imposte dall’urgenza: essi propongono “un fast food culturale, cibo culturale predigerito, prepensato”.
Alla complessità dei fatti di attualità si risponde con le spiegazioni preconfezionate del fast thinker che, anziché cercare di coglierne il senso profondo e la dinamica sottostante, si limita a catalogare la questione sotto un’etichetta.
Nello specifico, all’interno del discorso di divulgazione scientifica e psicologica, si tende a ridurre la complessità umana a qualche sintomo o segnale. Come ha scritto Nietzsche,

una spiegazione qualsiasi è meglio che nessuna spiegazione; poiché fondamentalmente si tratta solo di una volontà di liberarsi di idee opprimenti, non si guarda molto per il sottile quanto ai mezzi per liberarsene: la prima idea con cui si spiega l’ignoto come conosciuto fa tanto bene che la si crede vera.

          Ai fini di un inquadramento della figura del fast thinker, uno spunto di riflessione è suggerito da un’analisi di Giorgio Blandino sugli usi della psicologia nei mass media. L’autore, ponendo attenzione al profilo biografico degli ‘psicologi da mass media’, rileva che la maggioranza di loro svolgono attività professionale, mentre solo una esigua parte può essere ricondotta alla categoria degli ‘accademici puri’. Si tratta di un’osservazione non priva di importanti implicazioni: infatti, se lo scienziato ‘puro’ si propone di accrescere la conoscenza nel suo campo nel medio e lungo periodo, senza finalità pratiche immediate, il professionista calibra il proprio sapere sull’uso funzionale di questo, in quanto strumento per l’azione nel breve periodo. Per questa ragione, chi svolge attività professionale si adatta meglio alle logiche e alle regole della comunicazione di massa, evidenziando un modo di comunicare simpatetico con le istanze dell’urgenza.   


Si fa riferimento alla definizione di Paci, La televisione,Napoli, Esselibri, 2000, p.87.

Sono state analizzate in maniera approfondita nove puntate, selezionate all’interno di un periodo di monitoraggio compreso tra gennaio e giugno 2002. Le schede relative a queste puntate sono riportate in appendice.

Scalise G., Talk Show System: il pastone delle immagini televisive,Bologna, Edizioni Synergon, 1995, p. 26.

Habermas J., Storia e critica dell’opinione pubblica,Bari, Laterza, 1971, p. 41.

Habermas J., op. cit., p. 14.

Mininni G., Ghiglione R., La comunicazione finzionante, Milano, Angeli, 1995, p.101.

Sartori C., “L’occhio universale”, in Giovannini G. (a cura di) Dalla selce al silicio, Torino, Gutemberg 2000, 1984, p.189.

Sartori C., op. cit.

Mininni G., Ghiglione R., op. cit., p. 96.

Mininni G., Ghiglione R., op. cit., pp.95, 96.

Paci G., La televisione,Napoli, Esselibri, 2000, p.86.

Paci G., op. cit., p.86.

Paci G., op. cit., p.87.

Paci G., op. cit., p. 88.

Pezzini I., La tv delle parole.Grammatica del talk show,Roma, RAI V.Q.P.T., n° 161, p. 24.

Pezzini I., op. cit., p.24.

Pezzini I., ibidem.

Vedi paragrafo 1.3.

Scalise G.,  op. cit., p. 8.

Scalise G., ibidem.
21 Mininni G., Ghiglione R., op. cit., p. 101.

Balestrieri L., L’informazione audiovisiva. Problemi di linguaggio,Torino, ERI/Edizioni Rai Radiotelevisione Italiana, 1984, p.19.

Mininni G., Ghiglione R., op. cit.,pp. 24, 25.
24 Mininni G., Ghiglione R., op. cit., pp. 43, 44.

Si rimanda a Pezzini, op. cit., p. 31. L’autrice distingue sei tipi di talk show: incontri-conversazioni, incontri-discussioni, incontri-interviste, faccia a faccia, dibattiti, allocuzioni e invettive.

Pezzini I., op. cit., p. 59.

Si rimanda al complessivo schema di ricerca di Pezzini, op. cit.

Pezzini I., op. cit., p. 147.

Barbieri D., Questioni di ritmo, Roma, RAI V.Q.P.T, n° 139, pp. 7, 8.

Barbieri D., op. cit., p. 8.

Barbieri D., ibidem.

Barbieri D., op. cit., pp. 18, 19.

Barbieri D., op. cit., p. 19.

Pezzini I., op. cit., p. 43.

Pezzini I., op. cit., pp. 43, 44.

Per esempio se la rappresentazione sociale tipica della politica prevede che essa sia trattata in termini di sfida questo può avvenire efficacemente attraverso la metafora culturale del duello. Sul concetto di rappresentazione sociale si veda Moscovici, Rappresentazioni sociali, Bologna, Il Mulino, 1989.

Bionda M.L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A, Lo spettacolo della politica, Roma, RAI V.Q.P.T., n° 154, p. 65.

Si veda il paragrafo 7.8.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 67.

Pezzini I., op. cit., p. 39.
41 Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 66.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 69.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 51.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 75.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 71.

Si rimanda all’intervista a Rossella Livigni, programmista di Porta a porta, riportata in appendice.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 51.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 78.
49 Legge n°28 del 2000 sulla disciplina della comunicazione politica.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., pp. 82, 83.

Si rimanda all’intervista a Rossella Livigni, programmista di Porta a porta, riportata in appendice.

Si rimanda all’intervista a Rossella Livigni, programmista di Porta a porta, riportata in appendice.

Bionda. M. L., Bourlot A., Cobianchi V., Villa A., op. cit., p. 80.
54 Si rimanda all’intervista a Sandro Ruotolo, riportata in appendice.

 

Si rimanda all’intervista a Sandro Ruotolo, riportata in appendice.

Pezzini I., op. cit., p. 148.
57 Pezzini I., op. cit., p. 65.

Pezzini I., op. cit., p. 143.

Goffman definisce questo slittamento di ruolo con l’espressione cambio di footing.
60 Si rimanda all’intervista a Sandro Ruotolo, riportata in appendice.

 

Pezzini I., op. cit., p. 152.

Pezzini I., op. cit., p. 50.

Si rimanda all’intervista a Sandro Ruotolo, riportata in appendice.

Si rimanda a Schutz “Il cittadino bene informato. Saggio sulla distribuzione sociale della conoscenza”, in Saggi sociologici, Torino, Utet, 1979 e Bourdieu La televisione, Torino, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1997.

Sui problemi e sulle peculiarità del discorso scientifico in televisione, nonché su una possibile definizione teorica della figura dell’esperto e del tipo di conoscenza che gli è propria, rimandiamo ai due paragrafi 7.8 e 8.

Per un approfondimento rimandiamo all’analisi delle puntate riportata in appendice.

Bourdieu P., op. cit.,p.39.

68 Barbieri D., op. cit., p.24.
69 Bourdieu P., op. cit., p.32.
70 Ibidem.

 

Bourdieu P., op. cit., p.33.

Bourdieu P., op. cit., p.32.

Bourdieu P., op. cit., p.33.

Per un approfondimento di questa problematica si rimanda ai prossimi paragrafi.

Nietzsche F., Il crepuscolo degli idoli [1888], inBlandino, Il “parere” dello psicologo, Milano,Cortina Editore, 2000. p.79.
76 Blandino G., op. cit.

Nella sezione empirica di questo lavoro si prenderà in considerazine, tra l’altro, il profilo biografico degli ospiti.

Date tali premesse, si rileva come queste figure possano diventare, all’interno del circuito televisivo, veri e propri “professionisti della scena”, imponendosi sugli altri partecipanti al dibattito (i ‘dilettanti della scena’) sia nella tenuta del turno di parola, sia nell’efficacia comunicativa dei loro interventi. Anche quando i ‘criteri di uguaglianza’ sono rispettati, suggerisce Bourdieu, si evidenzia una marcata disparità di potere fra gli ospiti. È importante tenere conto, infatti, che in ambito televisivo l’efficacia di un atto linguistico dipende solo in parte dalla variabile temporale (quanto tempo si ha a disposizione per parlare): un certo peso riveste anche la variabile ‘scenografica’, data dalla capacità di pronunciare battute ad effetto, di zittire l’interlocutore al momento giusto, di portare a termine un ragionamento in un tempo ristretto. A questo proposito, come messo in rilievo da una collaboratrice di Bruno Vespa da noi intervistata, ci sono personaggi, pur molto competenti nel proprio ambito, “che magari davanti alla telecamera si bloccano, non parlano, non intervengono”, mentre quelli che ‘servono’ al programma “devono saper fare un po’ la polemica, devono saper suscitare l’interesse”.
Con un’espressione presa in prestito dal gergo televisivo, ci sono ospiti che ‘funzionano’, e ospiti che ‘non funzionano’ o funzionano meno. Tale concetto, pratico prima che teorico, è utilizzato dagli addetti ai lavori nel processo di selezione degli ospiti stessi, ratificandone in tal modo l’efficacia comunicativa e la rispondenza ai canoni della comunicazione televisiva.
La televisione, infatti, come si legge nell’intervista rilasciata da Sandro Ruotolo, in confronto ad altri mezzi di comunicazione

ha bisogno di tempi più rapidi, più veloci. In televisione non puoi mettere la virgola o la parentesi, come leggi sui giornali. In televisione devi dire il concetto: devi essere chiaro, sintetico.

Allo stesso modo Ruotolo tiene a sottolineare l’importanza, in ambito televisivo, del ‘saper comunicare’ come strategia fondamentale per attirare l’attenzione del pubblico: “perché se non sai comunicare la gente cambia canale. Non è costretta, c’è un telecomando”, concetto ribadito da un collaboratore di Vespa: “se una persona non funziona, tu vedi subito che l’ascolto cala”.
D’altro canto, nella capacità di comunicare in modo efficace è implicito un elemento di spettacolarizzazione, inteso non nell’accezione negativa di rinuncia alla complessità a vantaggio di una trattazione semplicistca dei contenuti, ma come elemento intrinseco al funzionamento del medium televisivo.
L’insieme di questi tratti pragmatici è riassumibile nel concetto precedentemente espresso di fast thinking, eletto a criterio fondante della selezione degli ospiti televisivi. In tal modo il ‘pensare veloce’, da attributo individuale, esterno alla televisione e al talk show, diventa ‘l’unità di misura’ di una comunicazione televisiva riuscita, viene ‘risucchiato’ negli ingranaggi del talk show.
Questa ‘economia’ del talk show porta alla formazione di ‘élite mediatiche’, costituite da quanti meglio aderiscono a tale logica: coloro che ‘entrano nel giro’.
Si tratta di quelli che Bourdieu chiama “gli habitué dei media”:

[…] sempre disponibili e pronti a scodellare il loro pezzo o a rilasciare la loro dichiarazione, ci sono i soliti noti, gli habitués dei media. E c’è anche il fatto che, per essere capaci di “pensare” in condizioni in cui nessuno pensa più, occorre essere pensatori di un tipo particolare.

La polemica di Bourdieu verso i fast thinker e il fast thinking è tesa a mostrare come questo meccanismo implichi una doppia esclusione: da un lato vi sono gli ‘esclusi’ che, per la loro inclinazione a pensare in modo ‘complesso’, non vengono invitati in trasmissione, né c’è qualcuno che li vada a cercare. Dall’altro, a prescindere dal modello del fast thinking, ci sono persone che non vengono invitate per il solo fatto di essere esclusi dal circuito mediatico, o perché difficili da raggiungere, o perché non ancora noti alle agende degli uffici casting.
Chi, per un motivo o per l’altro, è già ‘nel giro’, parte avvantaggiato rispetto ai neòfiti, situandosi in una posizione di potere dalla quale è più facile far valere le proprie capacità, e tendendo di conseguenza a ‘funzionare’ di più e a rafforzare di volta in volta la propria posizione di privilegio. La relazione che si instaura tra ‘l’essere nel giro’ e ‘il funzionare’ può considerarsi circolare, per cui i due termini della stessa si alimentano reciprocamente.
A supporto di questo modello esplicativo, si può riprendere l’analisi di Blandino sul meccanismo di selezione degli esperti televisivi, nella fattispecie gli psicologi: in molti casi, infatti, la scelta dell’ospite verte non tanto sul prestigio scientifico-accademico dello stesso, ma su fattori quali la conoscenza diretta o l’amicizia, o semplicemente sulla ‘disponibilità’ mostrata da una persona piuttosto che da un’altra. Una volta registrato in agenda e dimostrata l’efficacia in trasmissione, l’ospite è nuovamente interpellato per le puntate successive, dando vita in tal modo a un circuito autoreferenziale. Così Blandino:

Nella moltitudine di ‘specialisti’ che intervengono ve ne è un gruppetto che è presente dappertutto. Come i giornalisti sportivi che usano per lo sci la dizione ‘circo bianco’ o per la Formula Uno la dizione ‘il circo della Formula Uno’, trattandosi sempre delle stesse persone e atleti che si spostano da un luogo all’altro, noi potremmo usare per questo gruppetto di esperti, che si sposta da un giornale all’altro, da uno studio televisivo all’altro, la dizione ‘il circo della psiche’.

In riferimento alla distinzione prima delineata fra due possibili livelli di analisi del retroscena inteso come ‘lavoro’ che precede la ‘messa in scena’ televisiva, si cerca da un lato di enucleare i criteri privilegiati nella selezione degli ospiti (in alcuni casi specifici), dall’altro di descrivere il meccanismo pratico di costruzione dell’agenda.
I caratteri essenziali del modello che si propone sono sintetizzabili nella natura in qualche misura ‘anarchica’ dello stesso: si tratta di distinzioni analitiche che, al livello della manifestazione testuale, vanno considerate in una prospettiva multicausale. I criteri enunciati, infatti, sono da ritenersi interdipendenti, soggetti a reciproca influenza.

7.1  il tema

Il primo elemento che influisce sulla selezione degli ospiti è il tema trattato. Questo criterio opera una prima ‘scrematura’ all’interno dell’insieme degli ospiti possibili, fungendo da filtro, per cui gli altri criteri obbediscono a questo primo livello di selezione. L’attinenza tra le persone invitate in trasmissione e l’argomento della stessa è emersa come una costante: se il tema, rispetto agli ospiti, è pensabile come una ‘variabile indipendente’, gli ospiti sono riconducibili al concetto di ‘variabile dipendente’, mentre l’attinenza rappresenta la funzione che intercorre fra le due variabili. Questa ipotesi è suggerita da quanto ci è stato riferito dagli intervistati:

Porta a Porta
I: Come si sceglie il tema della puntata?
V: Noi monitoriamo, tutti i giorni, le notizie, a turno, per cui quando esce una notizia importante che poi viene ripresa sui giornali, sulla base della notizia del giorno, gli autori decidono la puntata. Quindi fanno la proposta a Vespa che in genere poi già lo sa, già se lo aspetta, perché lo sa anche lui quali sono i fatti del giorno.
I: Come vengono selezionati gli ospiti?
V: La scelta degli ospiti parte in un secondo momento, nel senso che poi, gli autori decidono chi può essere adatto per quella puntata.

Sciuscià
I: Il tema della puntata viene deciso in base agli ospiti disponibili, oppure prima si decide il tema e si selezionano gli ospiti di conseguenza?
R: La novità di Sciuscià edizione straordinaria è che abbiamo il reportage in prima serata. Quindi, la parte successiva [al reportage, N.d.R.], cioè quella in diretta, dovrebbe essere la continuazione naturale delle questioni che si sono delineate nel reportage. Quindi gli ospiti vengono scelti in base all’attinenza rispetto al reportage.

L’esistenza di un nesso diretto, ‘fattuale’, tra il tema della puntata e un dato ospite, governa alcuni meccanismi selettivi, pre-determinando in certa misura le scelte operate, incanalandole su percorsi obbligati. È quanto avviene, per esempio, nel caso dei ‘testimoni’, protagonisti di storie di cronaca, o nel caso di figure entrate di diritto nel circuito mediatico per meriti culturali, scientifici, o anche solo per la posizione istituzionale occupata: in riferimento a tale ambito di selezione, la scelta dell’uno o dell’altro ospite è limitata da criteri ‘oggettivi’, per cui i margini di libertà degli autori e dell’ufficio casting risultano notevolmente ridotti. In tal caso, ospite e tema si situano a uno stesso livello, che potrebbe dirsi ‘discorsivo’.
Diversamente, quando la relazione tra argomento della puntata e ospite è mediata, ‘creata’ o ratificata dal programma, assumono rilevanza una serie di criteri ‘non fattuali’ (competenza dell’ospite, capacità di comunicare, visibilità) e i margini del meccanismo di selezione degli ospiti diventano meno rigidi. La scelta, pertanto, può avere luogo all’interno di una più vasta gamma di possibili ospiti, concretizzandosi nell’individuazione di quell’ospite che meglio soddisfa i requisiti richiesti. In questo caso, ospite e tema si pongono su livelli non coincidenti, tra i quali si frappone il ‘filtro’ redazionale: la relazione che intercorre tra i due termini si caratterizza così come ‘meta-discorsiva’.  

 

7.2  la visibilità

Come mette in rilievo la collaboratrice di Vespa, l’attinenza tra il tema selezionato e gli ospiti ‘papabili’ è stabilita in primis attraverso il criterio della visibilità, intesa come il livello generale di presenza di un personaggio sui media.
Questo criterio di selezione si basa su un fenomeno peculiare del sistema mediatico attuale, costituito dall’interdipendenza fra  i vari media, in particolare tra giornali e televisione: nello specifico, è frequente il caso che un ospite sia invitato sulla base di alcune dichiarazioni rilasciate ai giornali; allo stesso modo, le dichiarazioni e le polemiche che caratterizzano i talk show possono essere riprese l’indomani sulle prime pagine dei quotidiani.
Si stabilisce così un canale di comunicazione condiviso fatto di citazioni reciproche, domande e risposte, allusioni: dato il rimbalzo continuo di dichiarazioni da un medium all’altro, ciò che in origine costituisce il fatto è sottoposto a livelli successivi di approfondimento. Possiamo affermare, con Sorrentino, che

il mondo dei media ha strutturato un articolato supermedia in cui ogni parte non può trascurare l’esistenza delle altre sia nella fase di impostazione sia in quella di realizzazione del processo produttivo.

La selezione degli ospiti in base a questo criterio viene condotta dunque attraverso il ricorso a altri media quali fonti informative. In questo senso, la supposta ‘dipendenza’ della carta stampata dal mezzo televisivo si configura come una relazione di interdipendenza: il lavoro quotidiano di preparazione di un dibattito televisivo parte da un’attenta lettura dei giornali, da cui derivano sia i temi rilevanti sia, in gran parte, gli ospiti attinenti.

Porta a porta
V: In genere le persone adatte sono o quelle che hanno già fatto dichiarazioni grosse ai giornali, per cui nel caso di fatti di giustizia può essere un procuratore piuttosto che un altro; nel caso politico, il politico che ha fatto un attacco ad un altro politico; oppure nei casi di cronaca, ovviamente, le persone coinvolte.

Sciuscià
R: La scelta dell’ospite si basa innanzitutto sul livello di visibilità, perché in televisione… è ovvio… quando vai in prima serata, si cerca di portare quello che funziona meglio. Tu sei uno che funziona in televisione perché hai una capacità di comunicare che è fortissima, perché sei visibile, e quindi di per sé crei attrazione.

 

7.3  la capacità di comunicare

In base all’affermazione di Sandro Ruotolo sopra riportata, il criterio della visibilità viene a sovrapporsi parzialmente a quello più generale della capacità di comunicare: entrambi concorrono a garantire un’adeguata performance comunicativa da parte dell’ospite.
A differenza del precedente, il criterio della ‘capacità di comunicare’ rappresenta in una certa misura una peculiarità del mezzo televisivo. Nel caso della stampa, infatti, il distacco temporale tra il momento dell’enunciazione e quello della fruizione ‘narcotizza’ particolari tratti della produzione discorsiva, quali la presenza fisica, la prossemica, la gestualità, in altri termini tutto ciò che è legato all’immediatezza propria dell’oralità. Al contrario, le caratteristiche del medium televisivo impongono che l’ospite abbia determinate doti comunicative e una certa presenza scenica, come ben sintetizza Ruotolo:

Sciuscià
R: La televisione ha bisogno di tempi più rapidi, più veloci. In televisione non puoi mettere la virgola o la parentesi, come leggi sui giornali. In televisione devi dire il concetto: devi essere chiaro, sintetico.

          Un ‘ritorno’ empirico della rispondenza degli ospiti a questo criterio può essere individuato nel gradimento più o meno marcato da parte del pubblico.

Porta a porta
V: Si cerca comunque di andare sulla persona che sappiamo competente, sulla persona che comunque parla, che sicuramente sa parlare davanti alle telecamere.
V2: Se una persona non funziona, tu vedi subito che l’ascolto cala…
V: Cioè ci sono questi personaggi che magari sono molto competenti, che magari davanti alla telecamera si bloccano, non parlano, non intervengono: devono saper fare un po’ la polemica, devono saper suscitare l’interesse. Per esempio il caso del giudice Matone, che all’inizio avevamo invitato perché competente sulla materia dei minori, in quanto giudice del tribunale dei minori, noi l’abbiamo richiamata perché competente, però nello stesso tempo è una che spiega le cose e la gente la capisce.

 

 

7.4  il contraddittorio

Un altro carattere fondamentale del dibattito televisivo è la presenza del contraddittorio: un ‘dibattito’, come suggerisce lo stesso termine, non avrebbe ragione di esistere se non ci fosse uno scambio di opinioni, una divergenza di vedute. Per questo gli autori, nel momento in cui decidono chi invitare in trasmissione, devono assicurarsi che fra gli ospiti non vi sia identità di vedute e che, a livello numerico, le posizioni divergenti siano bilanciate.
Con Bourdieu, il modello interazionale che si cerca di simulare, di riprodurre, è quello del catch, del wrestling:

Primo presupposto di questo gioco linguistico: il dibattito democratico pensato secondo il modello del wrestling, del catch, dev’esserci uno scontro, il buono, il bruto […]

La vivacità del contraddittorio rappresenta pertanto uno degli strumenti principali attraverso cui attirare e mantenere viva l’attenzione del telespettatore. L’esigenza del contraddittorio come criterio di selezione degli ospiti è stata sottolineata in più punti nel corso delle interviste da noi effettuate: gli intervistati ritengono fondamentale la divergenza delle posizioni.

Sciuscià
I: Per quanto riguarda gli ospiti, c’è sempre un ospite principale?
R: L’idea di base è di avere due punti vista diversi

I: Si cerca forse attraverso gli ospiti di veicolare il dualismo sottostante alla trasmissione.
R: La ricerca degli ospiti è tutta lì: cerchi di crearti i due schieramenti. Prendi, per esempio,  l’ultima puntata: avevamo da una parte Gino Strada, Vauro, Chiesa, dall’altra la Burt, Nativi, Molinari, mentre la Ferrario l’abbiamo in quota neutra. Per noi è fondamentale avere  tutti i  punti di vista.

Porta a porta
V: Per quanto riguarda poi i personaggi di spettacolo, si tiene conto di meno, però si tiene conto anche in quel caso; cioè ci devono essere sempre due posizioni bilanciate. Se ti arriva uno che dice “io sono a favore della pena di morte”, per esempio, l’altro deve dire assolutamente il contrario, perché se no la puntata non si fa. Se un ospite della parte contraria ti dice di no si cambia argomento.

 

7.5  il dibattito politico: peculiarità

All’interno del genere televisivo del dibattito, il dibattito politico si caratterizza per una serie di specificità che determinano particolari dinamiche di selezione degli ospiti. Un fondamentale meccanismo vincolante è di ordine legislativo: in base alla legge 515 del 1993, considerato il peso crescente del sistema dei media in quanto arena della competizione elettorale, si prevede una disciplina differenziata tra la concessionaria pubblica e i titolari di concessioni private. Per il servizio pubblico, le regole poste dalla legge entrano in vigore tra il 65° e il 40° giorno antecedente quello delle votazioni, mentre per i concessionari privati la regolamentazione si applica agli ultimi 30 giorni di campagna elettorale. Nei periodi sottoposti alla disciplina legislativa e nel caso in cui l’argomento delle trasmissioni sia riconducibile all’attività di comunicazione politica, pertanto, il criterio-guida nella scelta degli ospiti viene a coincidere con l’osservanza del principio del pluralismo, in modo da garantire agli esponenti delle diverse forze politiche pari opportunità di accesso alla ribalta televisiva.

Sciuscià
I: In questo caso, quanto conta l’attenzione al criterio del pluralismo?
R: Per noi è fondamentale, perché la nostra è una trasmissione dove è fondamentale il contraddittorio.

 

Porta a porta

I: Conta anche il criterio del pluralismo?
V: Sicuramente, assolutamente, è fondamentale. Noi abbiamo, per quanto riguarda i politici, un numero quasi identico di politici di una parte o dell’altra, che può essere di una differenza di due in più per la maggioranza, ma è anche giusto, è anche ovvio. Ma in linea di massima sono sempre equilibratissimi.

Tuttavia, anche al di fuori dell’arco temporale sottoposto a regolamentazione, il discorso politico conserva una propria specificità in riferimento ai sottostanti meccanismi di ‘cernita’ degli ospiti. Da un lato permane la preoccupazione per il rispetto di una (almeno formale) par condicio, in particolare considerata la natura di servizio pubblico della rai, dall’altro non può essere trascurata l’esigenza più propriamente televisiva di confezionare un prodotto esteticamente gradevole che risulti attraente per il pubblico. Vi deve essere pertanto lo ‘scontro’, ma questo deve avere luogo nel rispetto di un’uguaglianza formale quanto alla rappresentanza delle diverse espressioni politiche.
In queste condizioni la composizione del set di invitati è resa ancora più complessa da un’ulteriore variabile interveniente: la rete di relazioni che intercorrono tra la redazione del programma, i vertici aziendali e la maggioranza di governo. In questo quadro la scelta degli ospiti ‘politici’ è in larga misura governata da criteri assolutamente eteronomi rispetto alle logiche e ai meccanismi televisivi.
La ribalta televisiva diventa così il risultato di una contrattazione diplomatica tra gli autori del programma da una parte e gli uffici stampa dei leader politici dall’altra, mediato talvolta da figure riconducibili al consiglio di amministrazione dell’azienda. Assume rilievo decisivo in quest’ottica il fattore relazionale, la capacità di una redazione di intrattenere una rete di rapporti quanto più estesa possibile, in particolare attraverso lo sfruttamento di “legami deboli” con figure esterne alla propria organizzazione le quali occupano posizioni-chiave all’interno di altre reti, nel caso specifico persone legate a leader politici da rapporti di varia natura. Nel caso in cui la configurazione di tale network mostri degli anelli deboli, delle lacune, possono verificarsi dei black-out relazionali, delle anomalie a causa delle quali viene meno la possibilità che un certo esponente politico partecipi a una determinata trasmissione.
Nell’ambito della nostra ricerca ‘sul campo’, è stato riscontrato un fenomeno riconducibile alla dinamica appena delineata nel caso di Sciuscià, in riferimento all’assenza cronica di alcuni politici:

 

Sciuscià

I: Come mai non sono mai venuti Bossi, Fini e Berlusconi?
R: Non sono venuti per un loro atteggiamento preconcetto. Tu ora non è che li puoi obbligare a venire: si tratta di una trasmissione giornalistica, e tu accetti l’invito o non l’accetti. E quindi ci siamo spesso trovati con un tentativo disperato di avere ospiti da parte loro. Vi faccio un esempio: Cofferati (“Forza Sergio”). Noi, quando abbiamo ospiti importanti c’è una trattativa, un fatto abbastanza normale, per cui è ovvio che Cofferati non è un soggetto politico ma un soggetto sindacale. Il “personaggio” era l’articolo 18. Quindi per noi era fondamentale avere dall’altro lato un ministro, oppure un rappresentante della Confindustria. È ovvio che noi abbiamo cercato Maroni, e Maroni non era disponibile. Allora siamo ‘scesi’, e abbiamo cercato il sottosegretario Marzano, poi abbiamo cercato Tremonti, e non erano disponibili. Non c’era neanche il presidente della Confindustria.

La mancanza di un ‘canale di comunicazione’ tra la redazione e la maggioranza di governo trova espressione linguistica nella contrapposizione che si palesa tra il noi redazionale e il loro dei politici di centro-destra.  È uno dei motivi per cui  Sciuscià spesso è stata considerata una trasmissione faziosa mentre, come suggerisce l’intervista, le ragioni più profonde possono essere ricondotte alle difficoltà di instaurare un adeguato tessuto di mediazione tra le parti. A livello ‘fenomenico’ (ovvero nell’ambito della trasmissione) tale ‘indigenza’ comunicativa si traduce nel ‘muro contro muro’, nelle frecciate di Santoro da un lato, nel ‘no’ ostinato degli esponenti della ‘Casa delle Libertà’ dall’altro.
All’interno del dibattito specificamente politico un ulteriore fattore di complessità è dato dalla presenza di un ospite principale. Tale ospite, di solito leader di partito o di coalizione, ha facoltà di accettare o meno come interlocutore, poniamo, il leader della coalizione opposta. In tal caso le preferenze dell’ospite principale divengono un ulteriore criterio di selezione degli ospiti.

 

 

Sciuscià
[Non essendo disponibili alcuni rappresentanti istituzionali in qualità di interlocutori, agli esponenti politici proposti dal ‘Polo’ quali possibili ospiti per la trasmissione “Forza Sergio?”, N.d.R.],
R: […] è ovvio che Cofferati ha detto no: se mi devo confrontare mi confronto con un rappresentante del governo o della Confindustria, ma non con un esponente di un partito politico. In quel caso abbiamo optato per dei giornalisti autorevoli, come il vicedirettore del Corriere della Sera, il corrispondente a Londra Antonio Polito, Gaggi, il vicedirettore della Stampa Gianni Riotta.
I: Comunque sembrava che si volesse costruire Cofferati come personaggio politico, non solo sindacale.
R: Certamente, appunto Forza Sergio?, punto interrogativo, date le manifestazioni dei giorni precedenti, 25 Aprile a Milano, per cui c’era un interesse. Un personaggio ruota a trecentosessanta gradi.
I: Quindi in questa veste poteva starci anche il politico.
R: No, perché lui ha sempre smentito il suo impegno in politica, il suo prendere la leadership dell’Ulivo. Dal punto di vista della trasmissione era più legittimo avere il ministro o il presidente della Confindustria.

L’identità dell’ospite, come si deduce da quest’ultima parte dello stralcio, in certa misura scaturisce per differenza rispetto a quella del proprio interlocutore, più che essere definita free context: in quanto concetto relazionale, l’identità dell’interlocutore contribuisce a definire quella dell’ospite principale. Su questa base si può spiegare la pretesa, da parte di quest’ultimo, di ‘avere la prima scelta’. Nel caso specifico Cofferati tentava di sottrarsi alla definizione sociale prevalente, ripresa e amplificata dalla puntata in esame, che lo indicava come ‘leader politico alternativo a Berlusconi’   preferendo essere identificato in qualità di ‘leader sindacale’.

Si osserva pertanto come, nell’allestimento del dibattito politico, il  meccanismo soggiacente la composizione del set si articoli in un sistema di ingranaggi sempre più complesso, piegandosi a logiche che in parte sfuggono al controllo degli autori. Una configurazione di routine produttive da un lato, di attività relazionali dall’altro, si interseca con un certo quadro politico-istituzionale e con le logiche proprie di questo (connessioni tra vertici aziendali e formazioni politiche, diritto di ‘prima scelta’ del leader politico), dando luogo a una sorta di deus ex machina che diventa arbitro ultimo e impersonale della partecipazione al programma dell’uno o dell’altro esponente politico.

Gli autori devono comunque sottostare all’imperativo categorico dell’audience: il programma deve andare in onda e deve essere confezionato nel migliore dei modi possibili. Da questo punto di vista, la fase di ‘contrattazione’ che caratterizza il meccanismo di selezione degli ospiti politici nasce in funzione della tutela di questa esigenza. Così Ruotolo, a proposito dell’organizzazione di una puntata il cui ospite principale era Francesco Rutelli:

 

Sciuscià

R: Come in un’altra occasione con Rutelli, noi avevamo chiamato Mario Landolfi, portavoce di Alleanza Nazionale e Emilio Fede. A tre ore dalla messa in onda si ritirano…
I: La famosa influenza di Fede…
R: A quel punto il Polo, attraverso il direttore generale della RAI, proponeva Renato Schifani. A quel punto Rutelli, a due ore dalla messa in onda, ha detto di no. Siccome devi andare in onda, se no i programmi salterebbero, tu cerchi comunque una fase di trattativa: comunque l’ospite principale ha la prima scelta. Voglio capire se quando Berlusconi va a Porta a porta, se Vespa gli propone Rutelli, Berlusconi accetta. È quello il punto.La confezione del prodotto è nostra, però c’è una trattativa. C’è l’ufficio casting che si occupa degli ospiti, che lavora per tutta la settimana. Noi stiamo in contatto con gli addetti stampa e costruiamo il programma

Il passo dell’intervista appena citato offre una serie di conoscenze ‘implicite’ utili a sostanziare il modello esplicativo che si va delineando, attingendo a un bagaglio di informazioni condivise dal corpo redazionale e acquisite attraverso un processo di socializzazione: in altri termini, qui come in vari passi dell’intervista, emergono conoscenze che non sono ‘oggettivate’ in manuali o testi di riferimento ma che possono essere apprese solo mediante un contatto durativo sul campo.  In particolare, Ruotolo presenta uno spaccato di alcune dinamiche implicite nel meccanismo di scelta degli ospiti politici: in primis, quella riassumibile nella metafora della ‘partita a scacchi’ giocata tra la maggioranza di governo e la redazione del programma, per cui quest’ultima è chiamata a prevedere le mosse dell’altro ‘giocatore’ e quindi ad azionare meccanismi di reazione finalizzati alla realizzazione di un  prodotto finito. È quanto avviene nel momento in cui “scoppia l’incendio nel teatro”, per usare una celebre metafora di Goffman: il Polo batte in ritirata e la redazione si trova a riempire le poltrone lasciate vacanti. Il fatto interessante è che la reazione del ‘sistema-Sciuscià’ si concretizza esattamente nella fase di trattativa: quest’ultima è innescata dalla situazione di emergenza creatasi, che ha messo in pericolo il regolare svolgimento del programma. “La confezione del prodotto è nostra – afferma Ruotolo – però c’è una trattativa”.
Nell’ambito di selezione degli esponenti politici, un ulteriore elemento riconducibile alle dinamiche ‘sommerse’ consiste nella mediazione operata dai vertici rai, per mano del direttore generale, nel caso specifico sopra citato. La proposta del Polo (Schifani), infatti, non giunge direttamente all’ufficio casting di Sciuscià ma passa attraverso una figura assolutamente centrale all’interno dell’organizzazione cui la trasmissione fa capo: in tal modo, questa proposta viene rivestita di un peso che non avrebbe se designasse come destinatario diretto i collaboratori di Santoro. La proposta di Schifani come interlocutore di Rutelli, in tal modo, tende ad aggirare il dispositivo selettivo messo in moto da Sciuscià, cercando di sovvertirne le logiche di funzionamento. Si svela, nel complesso meccanismo che si va delineando, un intricato impianto relazionale fondato su connessioni politico-istituzionali tra determinate formazioni politiche e i vertici dell’azienda radiotelevisiva pubblica.
Va tuttavia sottolineato che non sempre e non necessariamente i processi di scelta degli ospiti politici possono essere ricondotti alle dinamiche esplicitate, in quanto ogni puntata presenta al proposito un margine di imprevedibilità, costituisce in qualche modo una ‘storia a sé’.

 

7.6  funzione di supporto

Non tutti gli ospiti sono invitati in trasmissione sulla base di nessi specifici con i fatti oggetto di dibattito, come avviene nel caso di ospiti chiamati in quanto coinvolti in fatti di cronaca, oppure di personaggi in possesso di una specifica competenza professionale o, infine, di esponenti politici chiamati in causa in qualità di rappresentanti delle istituzioni. In ogni puntata, infatti, una parte del cast è costituita da figure di supporto, di solito personaggi del mondo dello spettacolo che ricorrono regolarmente nei vari talk show al fine di ravvivare la scena: le loro opinioni sono significative in virtù del fatto di essere espresse da personaggi noti al pubblico. In questo caso, la loro mancanza di competenza tecnica non inficia la condivisibilità dei loro ragionamenti, in quanto spesso esprimono pareri semplici, immediati, offrendo una lettura patemica della complessità del reale (diversamente da altri partecipanti al talk show). Si potrebbe concludere che tali ospiti, al pari dei testimoni, di cui si dirà in seguito, agevolano in qualche misura l’identificazione da parte del pubblico.   

Porta a porta
V: Poi ci sono invece personaggi di spettacolo che vengono chiamati in funzione di supporto alla trasmissione, per fare casting, per fare numero, per fare scena, e perché sono personaggi che ti danno l’occasione anche di rimandare il discorso in maniera più ampia, perché se no diventa magari anche noioso.

Sciuscià
R: Si tratta di personaggi che non hanno dei programmi loro ma vanno a riempire i programmi di intrattenimento.

Una figurativizzazione di tale funzione a livello della trasmissione è data per esempio da una show-girl come Alba Parietti, “una che parla a trecentosessanta gradi”, per riprendere le parole di Sandro Ruotolo, che unisce alle doti d’immagine una buona capacità espositiva. Tali personaggi, oltre a spezzare l’eventuale monotonia degli argomenti trattati e a favorire un meccanismo identificativo, contribuiscono a rendere più attraente il prodotto anche da un punto di vista propriamente estetico: in questo senso, si può spiegare la “minigonna in prima fila”, onnipresente sullo schermo televisivo, senza eccezione per le trasmissioni oggetto di studio.

Porta a porta
Però è chiaro che deve essere una persona che ha delle idee: a parte la bellona che deve stare lì anche se non ha delle idee, perché fa gioco allo spettacolo, però questi personaggi specializzati devono sapere quello di cui parlano.

 

7.7  le storie di vita

In riferimento alla concezione del talk show come testo televisivo di tipo non narrativo, all’interno del quale assumono rilievo finalità testuali di tipo espositivo e argomentativo, Barbieri scrive:
non succede quasi mai che le strutture narrative siano del tutto estromesse da un programma televisivo. Al contrario, frammenti di narratività si ritrovano sparsi un poco dappertutto, […] destinati a trasmettere ai loro contenitori un poco della magia tensiva del racconto.

L’inserzione di frammenti di narratività in un testo televisivo non-narrativo è finalizzata ad aumentarne l’intensità ritmica, e di conseguenza la fruibilità.
Uno dei modi possibili per recuperare tali “frammenti di narratività” è affidarsi a testimonianze di ‘persone comuni’ che raccontano storie di vita attinenti al tema della serata. I testimoni, che nel caso di Porta a porta sono seduti nella prima fila del pubblico, intervengono su richiesta del conduttore solo una o due volte nell’arco del programma, ma in genere per un tempo abbastanza lungo da portare a termine il racconto. Queste unità narrative sono in grado di attirare l’attenzione del pubblico in quanto lo spettatore si può immedesimare nella vicenda raccontata.
Da un punto di vista pragmatico un ulteriore fattore che rende ragione della costante presenza di testimoni in queste trasmissioni è individuabile nel tipo di conoscenza che tali personaggi offrono al telespettatore. A questo proposito si può far riferimento al paradigma teorico proposto da Alfred Schutz, in base al quale la conoscenza di un fatto può derivare, fra l’altro,

dall’esperienza immediata di un altro individuo che mi comunica tale esperienza. […] questo individuo sarà chiamato il testimone oculare. Io credo nel suo racconto in quanto l’evento raccontato si è verificato nel mondo a sua portata. Di “là”, dalla sua posizione nello spazio e nel tempo si potevano osservare cose e si poteva fare esperienza di eventi che non erano osservabili da “qui”, dalla mia posizione, ma se io fossi stato “lì” e non “qui” avrei avuto le stesse esperienze.

Dalle affermazioni di Schutz è possibile dedurre che il ‘vantaggio televisivo’ dell’ospite testimone consiste non solo nella sua funzionalità rispetto all’integrazione di micro-racconti nel testo argomentativo ma anche, a livello cognitivo, nella possibilità di aumentare la credibilità dei temi esposti nel dibattito. Ciò accade poiché le ‘storie di vita vissuta’ sono, in quanto tali, sottratte all’onere della prova: la verosimiglianza delle esperienze riportate da questo tipo di ospite si dà a prescindere dalle opinioni del telespettatore in merito agli argomenti trattati.

Sciuscià
R: Se hanno delle ‘storie’, non stai a guardare… cioè se io vedo una storia forte, non me ne fotte niente se è brutta o bella. Se c’è la storia, c’è il contenuto… la televisione è forma ma è anche contenuto, no?

Porta a porta
V: Ci sono quelli che sono seduti nelle poltronissime, che ovviamente sono i personaggi di spicco, poi quelli che sono seduti nella prima fila, sono quelli che noi chiamiamo le ‘storie’, quindi le testimonianze, le persone che raccontano un episodio specifico.

Sciuscià
R: Il nostro ufficio casting si è ricordato della storia di quella donna che aveva perso i due figli in quella mansarda a Milano, nell'incendio di quel ristorante. È ovvio che era attinente all’immigrazione perché erano clandestini; quindi abbiamo portato quella storia in diretta, che è stata forse la storia più bella.

 

7.8  l’esperto

Un ulteriore criterio cui si fa riferimento nel selezionare gli ospiti riconduce alla qualifica di esperto. La dinamica all’interno della quale gli esperti sono invitati in trasmissione da una parte, e decidono di parteciparvi dall’altra, risponde a un insieme di logiche che si cercherà di esplicitare. Uno strumento esplicativo utile a tal fine è rintracciabile nell’analisi di Blandino.
Nello specifico l’autore rileva come i vantaggi che gli esperti traggono da una partecipazione assidua ai programmi televisivi, in particolare i talk show, implichino un ritorno in termini di visibilità e prestigio, sia nei confronti della comunità di colleghi, sia nei confronti del pubblico. La televisione, in questo senso, rappresenterebbe un mezzo per ottenere un riconoscimento che la produzione scientifica personale non è stata in grado di assicurare, o per aumentare la notorietà. Si crea così un meccanismo circolare di autolegittimazione e promozione, per cui il prestigio acquisito grazie a un’esposizione mediatica reiterata diventa un mezzo di promozione di se stessi, delle proprie pubblicazioni e quindi fa da volano a nuove apparizioni sui media: “la televisione diventa l’arbitro finale della letteratura, della criminologia, della psichiatria”.   
Allo stesso modo, Pierre Bourdieu rileva la consacrazione dell’esperto attraverso i media, da cui derivano “colpi di stato specifici nel campo intellettuale”:

Questi scrittori per non scrittori, questi filosofi per non filosofi e così via avranno una quotazione televisiva, un peso giornalistico assolutamente sproporzionato al peso specifico di cui godono nel loro universo specifico. È un fatto: sempre più, in certe discipline, la consacrazione attraverso i media viene presa in considerazione anche dalle commissioni di concorso. […] quando l’uno o l’altro produttore di programmi televisivi o radiofonici invita un ricercatore di tale istituto, gli offre una forma di riconoscimento […]

D’altra parte, la partecipazione degli esperti in trasmissione è funzionale anche e soprattutto alle esigenze dei produttori, una delle quali consiste nel conferire credibilità alla discussione: per ottenere questo effetto, oltre al ricorso ai testimoni, si utilizza un’altra strategia che prevede la presenza di esperti, il cui sapere è sottratto, seppur a un altro livello, al cosiddetto ‘onere della prova’. In questo senso la credibilità delle affermazioni dell’esperto si basa sul presupposto per cui, in quanto dotato degli strumenti atti a conoscerlo, egli comprenda meglio il fenomeno in discussione. Tale effetto di senso è rafforzato dall’enfasi con cui i conduttori, nel presentare l’esperto, ne mettono in risalto la qualifica professionale o accademica in modo da accrescere la disponibilità del pubblico ad accettare le loro spiegazioni come vere: “conta chi dice qualcosa e dove lo dice”. Di qui, la prassi dei conduttori di introdurre gli esperti facendo leva su titoli come ‘professore di’ o direttore di’ si rivela essere uno stratagemma finalizzato a incrementare l’audience.
Si riportano ora alcune affermazioni degli intervistati, i produttori appunto:

Sciuscià
R: Noi siamo contro i tuttologi. I tuttologi a noi non piacciono. Gli esperti ci piacciono, nel senso che due esperti importanti, per noi sono Andrea Nativi, che abbiamo usato moltissimo, e l’altro è anche Luttwack.
I: Come definite tale un esperto? Perché definisce Luttwack un esperto, ad esempio?
R: Perché Luttwack è un esperto, cioè gente che studia e conosce la materia di cui si occupa. Luttwack è uno che ha lavorato per il Pentagono, per la cia, è un esperto politico-militare, che rappresenta bene il punto di vista dell’amministrazione americana, perché ha dei contatti e dei rapporti. Nativi è un esperto militare, è un giornalista, direttore di una rivista, per cui è la persona che ti sa spiegare il teatro di guerra, le incursioni, le bombe intelligenti.
I: Sono anche quelli più a portata di mano, più raggiungibili?
R: Sì. Nativi l’abbiamo individuato noi. Luttwack idem dai tempi di Samarcanda. Perché poi l’alternativa è Silvestri o Iacchia. Sono scelte che fai in base al rapporto che crei. Per noi funzionano, sono chiari. Non è che non riesci a capirli, li capisci quando parlano, per cui funzionano.
I: Dal loro punto di vista si tratta sempre di essere ‘lanciati’…
R: Infatti non sono mai i protagonisti: entrano tra quegli ospiti minori, ma che ti servono perché ti danno gli elementi ‘conoscitivi’ del dibattito.

[si parla di Andrea Nativi, N.d.R.]
I: Come avete deciso di lanciare questo esperto?
R: Abbiamo provato. Avevamo bisogno di un esperto, era il 13 settembre, due giorni dopo le Twin Towers, era stato visto in qualche telegiornale che faceva un commentino, quindi è stato contattato.

Porta  a porta
I: Che relazione c’è tra la scelta dell’esperto e i fatti del giorno?
V: Quello viene fatto sulla base dei giornali, del peso dei personaggi, se se ne è occupato, se si interessa di quell’argomento. Noi abbiamo scelto Crepet e Bruno, nel caso di Cogne, perché Bruno è un criminologo che si è occupato di tutti i casi simili a questo, e quindi li ha seguiti tutti, come ha seguito casi di matricidi, e Crepet perché è uno psichiatra infantile. Ora noi potevamo scegliere lui piuttosto che un altro, però è sembrato giusto mantenere gli ospiti che avevano seguito il caso dall’inizio, di modo che facessero degli aggiornamenti di volta in volta sullo sviluppo della vicenda      

I: Potrebbero esserci ospiti alternativi, un altro Crepet, forse anche più bravo.
V: Eh, lo so, ma tu non li puoi chiamare tutti, comunque devi fare una scelta. Anche perché comunque ne abbiamo chiamati tanti. Anche di psichiatri non è venuto solo lui. L'altra volta c'era anche Pancheri, sono venuti in tanti. È venuta Maria Rita Parsi che è un'altra psichiatra infantile che è venuta spesso. Però quello che accetta è il più semplice: sai che viene, sai che piace, perché devi cambiare? Squadra che vince non si cambia. 

L’essere (considerati) esperti costituisce solo un primo criterio che regola il meccanismo di selezione di questo tipo di  ospite. Anche in questo caso, infatti, si constata l’esistenza di un insieme di variabili co-determinanti la scelta dell’uno o dell’altro esperto; inoltre, il fenomeno considerato è caratterizzato da una dinamica circolare, per cui la partecipazione a un programma in qualità di ‘esperto’ va a incidere sulla considerazione dello stesso in quanto tale, ratificandola, rafforzandola. Su questa base, è possibile individuare una serie di criteri-guida ai quali gli operatori del settore fanno riferimento.
In primo luogo un fattore rilevante nella scelta dell’esperto è dato dalla relazione che lo lega all’argomento del dibattere, o perché questo costituisce un suo oggetto di interesse, o perché ha seguito dei casi simili nell’arco della sua esperienza professionale, o perché chiamato in causa dai giornali o da altri mezzi d’informazione. In questo modo la selezione dell’ospite in qualità di esperto viene a intersecarsi con i criteri più generali di visibilità e di attinenza rispetto al tema: ciò ribadisce la sua natura televisiva di ‘ospite’ prima ancora che di ‘esperto’, motivo per cui i meccanismi di selezione che gli sono propri non sfuggono agli imperativi funzionali che governano la costruzione del programma.
Le puntate di Porta a porta relative all’omicidio di Samuele Lorenzi (il cosiddetto ‘delitto di Cogne’), a questo proposito, offrono una compiuta esemplificazione del meccanismo che si va qui delineando: il criminologo Bruno e lo psichiatra Crepet figurativizzano in tal senso la dominanza del principio della parentela tra ospite (esperto, in questo caso) e tema della puntata, così come, nel caso di Sciuscià, la scelta di Nativi in qualità di ‘esperto militare’sancisce in primis la permanenza del principio di visibilità. Per restare alla trasmissione di Santoro, dall’intervista con Sandro Ruotolo emerge tra l’altro una definizione tacita di ‘esperto’ centrata proprio sull’esistenza di un rapporto duraturo (in quanto tale assimilabile a una parentela) tra lo stesso e l’oggetto della discussione: “gente che studia e conosce la materia di cui si occupa”, come riferisce a proposito di Luttwak.
In secondo luogo, la scelta di un particolare esperto all’interno di un insieme di ‘papabili’ è influenzata da considerazioni di carattere puramente televisivo, che vertono sulla congenialità dell’ospite rispetto al funzionamento del programma quanto a osservanza del format e dei tempi, capacità di operare ‘scorciatoie’ che riducano la complessità del reale, ostentazione di un physique du role. Anche qui, entrano in gioco criteri più generali sottostanti i meccanismi di selezione degli ospiti, quali la ‘capacità di comunicare’ e in particolare il modello del fast thinking. È quanto evidenzia Ruotolo in riferimento a Luttwak e Nativi: “Sono chiari. Non è che non riesci a capirli, li capisci quando parlano, per cui funzionano”. Lo stesso Ruotolo offre un’interessante caratterizzazione dell’esperto in base ai suddetti criteri, a proposito del primo segretario dell’ambasciata palestinese in Italia, Rashid. Nel passo riportato si tratteggia una sorta di figura paradigmatica dell’ospite:

R: […] avevamo bisogno di un rappresentante palestinese. In Italia c’è Rammad, che parla malissimo l’italiano, anche se vive qui da vent’anni, e non si capisce niente. Mi è capitato qualche sera prima di andare a una cena dove cera Rashid, il primo segretario dell'ambasciata palestinese. Mi ha colpito molto, e quindi l’ho scelto io, mi piaceva la faccia e sapeva comunicare bene, parlava un italiano perfetto, per cui ho detto “proviamo Rashid”.

Tuttavia, la scelta di Rashid quale rappresentante palestinese nella trasmissione Sciuscià rappresenta, quanto alle modalità di selezione, un caso a sé. Generalmente, infatti, si punta su quelle figure che, in base a precedenti apparizioni televisive, offrono maggiori garanzie, ovvero su coloro che ‘funzionano’: tale routine produttiva è ben sintetizzata nella formula calcistica “squadra che vince non si cambia”.
Diretta emanazione di questo modus operandi è l’instaurazione di un ‘filo conduttore’, di una continuità ‘narrativa’ garantita dalla presenza di ospiti fissi, in particolare esperti, che diventano segni di riconoscimento della trasmissione, parti integranti di questa.
La relazione che si stabilisce con il pubblico, dunque, passa anche attraverso gli ospiti-tipo che il programma esibisce al telespettatore abituale: per questo motivo la posizione di forza dell’esperto o dell’ospite in quanto frequentatore abituale del salotto di Vespa o dell’agorà di Santoro è ulteriormente consolidata, come ‘cristallizzata’. Si determina così un maggiore grado di routinizzazione del meccanismo selettivo, rendendo in qualche modo prevedibili le scelte operate una volta dato il tema della puntata; in questo modo, la possibilità di ‘cambiamento’, ovvero la possibilità che siano invitati degli ospiti diversi dai ‘soliti noti’, risulta notevolmente ridotta. Su questo punto è utile riportare un passo dell’intervista alla collaboratrice di Vespa:

I: Perché spesso sono chiamati gli stessi ospiti?
V: […] se ci fate caso in ogni trasmissione c'è una continuità perché il pubblico si affeziona. Il pubblico di Porta a porta è abituato a vedere quelli e il pubblico di un'altra trasmissione, che so di Santoro, è abituato a vedere i suoi. Se togli Vincino a Santoro magari la gente ci rimane male. Togli magari Crepet a noi, o un altro, il pubblico ci dice ‘che fine ha fatto Crepet?’.

I: Si crea un legame col pubblico.
V: Si, in un certo senso si crea un legame col pubblico. La trasmissione è riconoscibile anche per questo. Come era Quelli che il calcio, anche Quelli che il calcio funzionava così

 

8  UNA TEORIA SOCIOLOGICA DELLA CONOSCENZA
‘ESPERTA’

Il fenomeno della crescente importanza acquisita dalla figura dell’esperto, si apre a una più ampia riflessione che investe le modalità di “distribuzione sociale della conoscenza”, nei termini della teoria gnoseologica proposta da Alfred Schutz. Questo modello teorico si sviluppa a partire dalla constatazione della progressiva complessificazione, nell’era moderna, del sapere tecnico-scientifico (ma anche umanistico): tale processo implica da un lato la specializzazione, vale a dire la parcellizzazione del sapere in settori ristretti di competenza, dall’altro la consapevolezza della limitatezza cognitiva dell’individuo, la sua “convinzione che il suo mondo della vita come totalità non è pienamente comprensibile né da lui né da qualsiasi altro suo compagno in questo mondo”.
In relazione ai fenomeni sopra delineati, gli individui adottano differenti strategie cognitive, figurativizzate da Schutz attraverso tre tipi ideali: l’uomo della strada, l’esperto, il cittadino ben informato. Quest’ultimo costituisce l’elemento ‘dinamico’ del sistema: da un lato non dispone della conoscenza tecnica dell’esperto, dall’altro, diversamente dall’uomo della strada, non si accontenta di semplici schemi d’azione. Con Schutz,

essere bene informato per lui significa giungere a opinioni fondate ragionevolmente nei campi che egli sa essere almeno mediatamente di interesse per lui, sebbene non abbiano attinenza con il suo fine da raggiungere.

All’interno di un mondo sociale che tende a imporre agli individui un sistema di interessi e di attribuzioni di importanza, come riflette in modo esemplare la teoria dell’agenda setting, il cittadino bene informato si propone di definire autonomamente le questioni per lui rilevanti in modo da ‘farsi un’idea’, quanto più precisa possibile, dei diversi ambiti della quotidianità. In questo senso il suo bisogno di tenersi informato può essere inteso come elemento chiave del successo del talk show, in quanto strumento di distribuzione sociale della conoscenza che va a soddisfare tale bisogno.
All’interno di questa dinamica, la fonte delle informazioni (l’esperto televisivo) viene investito di un’autorità e di un prestigio che gli derivano dal fatto che il suo sapere è socialmente condiviso. A questo proposito Schutz sottolinea che non è rilevante che si tratti o meno di ‘esperti’, che usino questo o quel sistema di segni per comunicare, che l’informatore sia conosciuto da noi direttamente o rimanga più o meno anonimo: ciò che assume rilevanza assoluta è il peso che la collettività, in quanto ambisce a essere informata, attribuisce alla fonte della conoscenza, confererendo in tal modo rilevanza ai tratti suddetti (in sé irrilevanti).
In altri termini, il cosiddetto ‘esperto’, ovvero la fonte delle informazioni, non è tale in sé e per sé, ma lo diventa nel momento in cui i cittadini-spettatori gli attribuiscono lo status di esperto: ciò avviene, generalmente, nel momento in cui si verifica la coincidenza tra l’oggetto d’interesse del pubblico e quello specifico dell’esperto. L’esperto è colui il quale viene socialmente riconosciuto come tale, chi, con un’espressione gergale di Sandro Ruotolo, “acchiappa la pancia” del telespettatore.
Così, un esperto socialmente approvato sarà il solo che ha diritto di fornire al cittadino un sapere socialmente approvato. Allo stesso modo, solo se si hanno opinioni socialmente approvate si potrà essere giudicati dal prossimo come cittadini bene informati.

La conoscenza socialmente approvata è la fonte del prestigio e dell’autorità; è anche la sede specifica dell’opinione pubblica. È giudicato un esperto o un cittadino bene informato solo colui che è socialmente approvato come tale.

 

9  ALCUNI ESEMPI PARADIGMATICI

Passiamo ora all’indagine del livello ‘fenomenico’: il focus dell’analisi è centrato pertanto sul comportamento effettivo degli ospiti nella ribalta televisiva. Dall’analisi dettagliata di un corpus di puntate abbiamo ricavato alcuni esempi paradigmatici di ospiti che hanno partecipato alle trasmissioni in esame.
Di tali ospiti si propongono la biografia, i tempi di intervento, i nessi possibili che intercorrono tra l’ospite stesso e il tema della trasmissione, le modalità ricorrenti di presa della parola, la funzione e l’efficacia comunicativa.

 

9.1  esperti

Come più volte rilevato diversi ospiti sono invitati in trasmissione in quanto competenti, o semplicemente informati, in merito a questioni ‘tecniche’, ‘scientifiche’, su cui né il pubblico né gli altri partecipanti sono tenuti ad avere competenze precise. Abbiamo già messo in rilievo come la conoscenza esperta televisiva abbia alcune peculiarità, quale quella di essere piuttosto superficiale e semplicistica, e come d’altro canto il sapere esperto sia dotato di una credibilità e di un’autorità particolari all’interno di trasmissioni di questo tipo.
Va osservato come lo status di esperto sia ratificato, a livello della trasmisssione, oltre che dalle domande del conduttore, anche dal frequente rivolgersi all’esperto, da parte degli altri partecipanti, per ‘saperne di più’: è il caso, nella puntata di Porta a porta del 13 febbraio 2002 (“Cogne, riprenderanno l’assassino”), delle domande poste a Bruno da Barbara Palombelli prima e da Bevilacqua poi. In tal modo la trasmissione, nel suo darsi, esemplifica la disparità di sapere che si stabilisce tra i diversi ospiti in relazione al tema dato, nei termini della ‘grammatica’ schutziana.
Un altro tratto specifico emerso dall’analisi del comportamento fenomenico degli esperti è dato dal loro porsi su un livello altro rispetto a quello propriamente discorsivo: è stato rilevato come l’esperto, talvolta, non parli tanto del fatto, ma rifletta sul fatto. Ad esempio, nella puntata del 25 aprile 2002 di Porta a porta (“Impunito un delitto su due”), Francesco Bruno sottolinea una certa mancanza di organizzazione e di cultura investigativa all’interno della Polizia Scientifica; oppure, in altri turni di parola, specifica che il suo discorso muove da un punto di vista “criminologico” o, ancora, che sta parlando “in teoria”.
Vediamo ora alcuni esempi.

 

Andrea Nativi
Sciuscià 31 maggio 2002, “Ricostruzione in Afghanistan”
Biografia
Giornalista esperto di strategie militari, è direttore della R.I.D. (Rivista nazionale di difesa). Ha acquisito una certa visibilità proprio attraverso Sciuscià, essendo stato selezionato dalla redazione del programma dopo averlo visto esprimere commenti in alcuni telegiornali sui fatti dell’11 settembre.
Osservazioni
Andrea Nativi parla per un tempo relativamente lungo, complessivamente 11 minuti e 22 secondi. È però breve la durata del singolo intervento (tranne tre interventi di circa di 2 minuti): quando Nativi parla in qualità di esperto militare, viene lasciato parlare per un tempo abbastanza ampio, mentre quando assume un punto di vista ideologico ‘filoamericano’, contrapponendosi ad altri ospiti, è più volte interrotto e conserva il turno di parola per poche decine di secondi. In particolare, il contraddittorio della trasmissione si regge sulla divergenza di vedute fra lo stesso Nativi e Gino Strada, ospiti che sanno ‘fare la polemica’. Non a caso, il conduttore interviene spesso nel corso della trasmissione per fomentare il dibattito fra i due: Nativi e Strada sono coloro che, in questa puntata di Sciuscià, ‘funzionano meglio’.
Riguardo alla relazione tra l’ospite e il tema risulta evidente che Andrea Nativi è chiamato in questa puntata in quanto ‘esperto militare’, ma soprattutto in quanto portavoce di un ‘punto di vista militarista’ sull’argomento del dibattito, l’Afghanistan, appunto. La capacità di Nativi di esporre un pensiero ‘esperto’ in breve tempo si evince dall’analisi della puntata e suggerisce l’appartenenza di questo ospite alla categoria dei fast thinker.

Bourdieu P., op. cit., p.38.
79 Si rimanda all’intervista a Rossella Livigni, programmista di Porta a porta, riportata in appendice.

In particolare, come evidenzia Ruotolo, ciò vale per i programmi che vanno in onda in prima serata, nelle fasce di massimo ascolto.
81 Bourdieu P., op. cit., p.34.

 

Blandino G., op. cit., p. 94.

Si fa qui riferimento alle interviste rilasciate da alcuni collaboratori di Porta a porta e Sciuscià. Il modello proposto, pertanto, non è estendibile a programmi diversi da quelli in oggetto.

I criteri esposti di seguito sono da ritenersi a loro volta ‘variabili indipendenti’, seppure in qualche misura dipendenti dalla macrovariabile ‘tema della trasmissione’.

Si tratta dell’intervista realizzata presso la redazione di Porta a Porta: con “V” si intende “collaboratrice di Vespa”, mentre con “I” si intende “intervistatori”. Nell’intervista relativa a Sciuscià con “R” si intenderà “Sandro Ruotolo”.

L’ospite parla non tanto dell’argomento ma sull’argomento.

Sorrentino C., I percorsi della Notizia, Bologna, Baskerville, 1995, p.128.

Questo fenomeno  evidenziato anche dalla collaboratrice di Vespa Rossella Livigni:
I: E quando si cambia l’esperto?
V: Nel momento in cui vedi che lui non ha più voglia, che tu hai deciso di..., oppure un altro ha preso il sopravvento perché in cronaca c'è sempre il nome di un altro che ha fatto più dichiarazioni e allora si chiama l'altro. Ma se no, no.
I: Si dice che la stampa dipenda dalla televisione, ma in questo caso succede il contrario.
V: È reciproco, nel nostro caso molto viene da loro [carta stampata, N.d.R.].
I: Diciamo che il Tg ne parla, la stampa approfondisce, e voi?
V: Noi diamo visibilità alla cosa. Il giornale è letto da pochi, quindi se ne parliamo noi l'argomento diventa più importante.

 

Ciò si ricollega evidentemente a quello che si diceva sopra a proposito del fast thinking.

Con “V2” si intende un altro collaboratore di Bruno Vespa.

Bourdieu P., op. cit., p. 41.

Nella definizione di comunicazione politica rientrano “tutti quei programmi radiotelevisivi nel corso dei quali si mettono a confronto in forma dialettica e discorsiva le varie opinioni che esistono su temi oggetto del dibattito politico”. In Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 127.
93 Evidentemente, l’attenzione al principio del pluralismo non esclude l’occorrenza di altri criteri, in particolare quelli riconducibili a una certa funzione di supporto di cui si dirà in seguito (si tratta di figure ‘di contorno’ che contribuiscono alla spettacolarizzazione del dibattito).

 

Granovetter intende per “legami deboli” le relazioni sociali di semplice ‘conoscenza’ che si intrattengono con persone estranee al gruppo (o all’organizzazione) cui si appartiene. In Collins, Teorie sociologiche, Bologna, Il Mulino, p.530.
95 Una possibile direzione di ricerca può essere individuata nell’assunzione della ‘teoria delle reti’ quale modello esplicativo di alcune dinamiche di selezione degli ospiti all’interno del ‘discorso politico’.

 

Questa interpretazione è confermata dal titolo della trasmissione: “Forza Sergio?”.

Si veda il paragrafo 3.

98 Barbieri D., op. cit., p.31.
99 Schutz A., op. cit., pp. 415, 416.

 

 

Blandino G., op. cit.

Fabrizio Tonello, comunicazione orale, 4 aprile 2002.

Bourdieu P., op. cit., p.73.

Ibidem.

In questi aspetti relativi alla costruzione della trasmissione si coglie un ‘ritorno empirico’, una mise en act di quello che, a livello teorico, è stato definito ‘principio di serietà’. Si veda, a questo proposito, il paragrafo 3.1.

O di persone comunque presentate come tali: su questo punto si veda il paragrafo seguente.

Blandino G., op. cit., p. 108.

107 Si rimanda al paragrafo successivo per un’analisi della valenza specifica che questo tipo di ‘sapere scientifico’ può rivestire per i cittadini.

 

Si vedrà, nel paragrafo seguente, che l’essere esperto non può prescindere dall’essere socialmente considerato tale.

Si veda il passo dell’intervista alla collaboratrice di Vespa sopra riportato corsivo.

Schutz A., op. cit.

Schutz A., op. cit., p. 404.

Schutz A., op. cit., p. 405.

Schutz A., op. cit., p.417.

Le schede delle trasmissioni sono riportate in appendice.

Le domande si riferivano a possibili inferenze ricavabili dallo sguardo della signora Franzoni ai funerali del figlio.

Efficace espressione utilizzata dalla collaboratrice di Bruno Vespa da noi intervistata.

Le doti comunicative di Nativi sono tra l’altro evidenziate da Sandro Ruotolo nell’intervista da noi effettuata.

Francesco Bruno
Porta a porta 30 maggio 2002, “Erika e Omar”
Biografia
Nato a Celico (CS) il 10/5/1948, si è  laureato in Medicina e specializzato in Neurologia e Psichiatria. È consulente della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Svolge la funzione di Consulente Scientifico per vari organismi internazionali. Inoltre ha diretto e coordinato diversi programmi di ricerca internazionale sui problemi criminologici, giuridici e sociali legati all’abuso di droga.
Dal 1973 svolge la professione di criminologo e psichiatra forense e in tale veste ha partecipato alle indagini o ai processi sui più clamorosi casi di cronaca giudiziaria del nostro paese dal caso Moro all’attentato al Papa, da Emanuela Orlandi ai sequestri di persona, dal Mostro di Firenze al delitto di via Poma, dal mostro di Foligno all’omicidio di Castelluccio dei Sauri. Da anni svolge un'intensa attività pubblicistica sui principali organi d'informazione stampati e televisivi.

Osservazioni
Francesco Bruno, ospite ricorrente nelle trasmissioni di Bruno Vespa, riveste una funzione particolare nelle puntate relative al delitto di Novi Ligure, in quanto criminologo che si occupa sia del caso specifico, sia di altri casi analoghi, dal ‘mostro di Foligno’, a vari casi di ‘omicidi in famiglia’. Viene presentato da Bruno Vespa con la qualifica di ‘esperto’ e ‘criminologo’.
Nella puntata intitolata Erika e Omar parla per un tempo molto lungo, circa 20 minuti. Interviene di frequente, spesso in contrapposizione e sovrapposizione con gli altri ospiti: è d’altra parte spesso interrotto da Vespa, che, nella sua funzione di ‘chiarificatore’ e ‘delegato’ del pubblico, gli chiede delucidazioni, esempi concreti che sostanzino e semplifichino il suo sapere esperto. In effetti la sua narrazione esperta risulta già abbastanza semplificata e semplicistica di per sé: rifacendosi alle considerazioni di Giorgio Blandino riportate in precedenza, si può constatare come Francesco Bruno tenda a ricondurre una patologia a una singola manifestazione sintomatica. Per esempio, afferma che “andare male a scuola può essere, in un caso su cento, spia di una malattia mentale”; oppure sostiene la necessità di portare dallo psichiatra “il figlio che si fa le canne”, spronato da una provocatoria domanda di Vespa. 
Nello specifico, Francesco Bruno insieme a Maria Rita Parsi costituisce quello che si potrebbe chiamare l’‘asse psicologico’ del dibattito (in contrapposizione a un asse giuridico – composto dagli avvocati Severino e Chinnici – e a un’asse religioso – costituito da don Mazzi e don Gallo). I due si danno quasi sempre reciproco appoggio e sono chiamati a parlare in qualità di esperti, appunto. Come detto, vengono spesso sanzionati e interrotti da Vespa in quanto portano avanti un discorso ‘accademico-psicologico’ non sempre comprensibile per il pubblico (di cui Vespa si fa interprete e portavoce). A questo proposito, si evidenzia un richiamo costante, da parte di Bruno, al background di conoscenze ricavate dalla sua esperienza professionale.

 

Paolo Crepet
Porta a porta 14 maggio 2002, “Pedofilia: la pista italiana”
Biografia
Nato a Torino il 17 settembre 1951, Paolo Crepet si è laureato a Padova nel 1976. Abilitato alla professione medica, ha preso un’ulteriore laurea in sociologia all’Università di Urbino. Successivamente si è specializzato in psichiatria presso la clinica psichiarica di Padova. Consulente in materia di salute mentale presso il comune di Roma dal 1980 al 1985, collabora alla stesura del Piano Psichiatrico Regionale per la regione Lazio. È stato consulente del CENSIS e, dal 1990, membro della Federazione Mondiale della Salute Mentale. Si è occupato del problema del suicidio, degli effetti psicosociali della disoccupazione tra i giovani, dello stress da lavoro, di problemi inerenti al carcere e alla tossicodipenza. Ha collaborato alla direzione di numerose riviste di settore e ha insegnato psicologia all’università di Napoli e di Siena.     
Osservazioni
Da molti punti di vista, valgono per Paolo Crepet le medesime considerazioni riguardanti Francesco Bruno: in particolare, se da un lato Crepet è invitato in trasmissione per la sua competenza di ‘psichiatra infantile’, dall’altro i suoi interventi sono spesso interrotti da Vespa proprio in quanto portatori di un ‘sapere esperto’ a volte poco convincente per un pubblico che, di fronte a scioccanti fatti di cronaca, non si accontenta di un sapere psicologico in qualche misura ‘perdonista’, ma esige risposte concrete. Dice ad esempio Vespa, rivolgendosi a Crepet: “Poiché non siamo del ramo, restiamo un po’ perplessi…”
A questo proposito, mentre il ‘giornalista’ e il ‘politico’ non condividono le pene piuttosto lievi inflitte ai ‘malati di mente’ che hanno commesso reati gravi, lo ‘psicologo’ è solito prescindere dalla questione giuridico-penalistica, spostando il focus dal ‘come difendersi’ al ‘cosa fare’ per aiutare e recuperare i malati di mente. Interrogato provocatoriamente da Vespa a proposito della pena piuttosto breve inflitta al “mostro di Foligno”, Crepet sostiene l’inutilità del carcere fine a se stesso. Ad esempio lo psichiatra considera la pedofilia una malattia, che in quanto tale richiede una cura, non necessariamente una pena che, a detta degli esperti, si rivela essere spesso controproducente.
Crepet, a differenza di Bruno, in questa puntata parla complessivamente per 5 minuti e mezzo e i suoi interventi sono piuttosto brevi. D’altra parte, la brevità non inficia certo l’incisività delle sue opinioni: possiamo affermare che questo ospite incarna il prototipo del pensatore veloce, un ottimo interprete dell’urgenza televisiva. 
In ulima analisi, va segnalato come la contemporanea presenza dello stesso Crepet e del criminologo Bruno sia sfruttata da Vespa al fine di fomentare il dibattito, giocando sullo ‘scarto’ tra i differenti paradigmi esplicativi di riferimento. In particolare, a proposito dei casi di matricidio e infanticidio (puntata di Porta a porta del 13 febbraio 2002), Crepet individua la causa prima del delitto in un contesto familiare “tossico”, mentre Bruno attribuisce l’origine della follia omicida a una “patologia individuale”.

 

9.2  testimoni

Il testimone, a prescindere dalla sua competenza professionale, è una persona in grado di portare in trasmissione informazioni e narrazioni attinenti al tema della puntata. In quanto “ha visto”, e quindi “sa”, il suo sapere è dotato di credibilità incontrovertibile; gli si concede la parola per un tempo piuttosto lungo.
I testimoni, in quanto persone comuni non sempre in grado di esprimersi correttamente e velocemente, sono puntualmente interrotti dal conduttore che in genere pone una quantità esorbitante di domande ‘chiarificatrici’, incalzanti, integrando i loro interventi con altre informazioni di cui egli, a differenza dei telespettatori, è già in possesso: lo scopo perseguito dal conduttore è far sì che i testimoni costruiscano micronarrazioni coerenti e pertinenti al tema dibattuto.
È evidente che anche i giornalisti reporter possono essere considerati in qualche misura testimoni, ma ci è parso più utile inserirli in una categoria a parte, che sarà esaminata più avanti.

 

Eva Dos Años
Sciuscià 10 maggio 2002, “Immigrazione. A bordo no”
Biografia
Eva dos Años, cameriera brasiliana residente a Trezzano sul Naviglio, nell’hinterland milanese, ha perso entrambi i figli, Leonel, di 5 anni, e Lethicia, di 6, oltre all'amica di famiglia Valeria Lopez, che faceva da baby-sitter ai bambini mentre la madre era al lavoro. A causare la tragedia è stato un incendio nella mansarda sopra al ristorante dove Eva lavorava.
Osservazioni
È chiamata in trasmissione in qualità di testimone e protagonista di un fatto tragico: la morte dei figli in un incendio. Protagonista di una sola interazione (n° 82) parla per più di 10 minuti: Santoro le fa moltissime domande (ben 49), data la sua difficoltà a esprimersi in modo breve e comprensibile. Per tale ospite valgono tutte le considerazioni espresse nell’introduzione a questo paragrafo.

 

Cesare Filippini
Porta a porta 14 maggio 2002, “Pedofilia: la pista italiana”
Biografia
Cesare Filippini, imprenditore nel ramo della minuteria metallica,  è stato arrestato nel gennaio 2001 con l'accusa di pedofilia e assolto dopo quasi un anno di detenzione, per insussistenza del fatto: tre dei quattro bambini che, secondo l’accusa, sarebbero stati oggetto di molestie, non erano neppure presenti sul luogo del reato contestato.
Osservazioni
Cesare Filippini, vittima di un grave errore giudiziario, si trova seduto in platea. I testimoni, in Porta a porta, sono tipicamente seduti nella prima fila del pubblico, e sono chiamati in causa dal conduttore nel momento in cui si introduce l’argomento relativo, sul quale poi gli ospiti principali saranno chiamati a dibattere. Analogamente a Eva Dos Años, è interrotto più volte dal conduttore, in questo caso Bruno Vespa, che gli pone per l’esattezza 21 domande: Filippini parla complessivamente per 5 minuti e 35 secondi.  

 

Gino Strada
Sciuscià 31 maggio 2002, “Ricostruzione in Afghanistan”
Biografia
Nato nel 1948 a Sesto San Giovanni, si è laureato in Medicina e specializzato in Chirurgia prima a Milano, poi in Sudafrica, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Tornato a Milano, ha lavorato come chirurgo al Policlinico. Con la Croce Rossa internazionale è stato in Afghanistan, Etiopia, Thailandia, Gibuti, Somalia, Perù, Bosnia-Erzegovina, fino al 1994, anno in cui la Croce Rossa decise di ridurre la propria attività chirurgica nelle zone di guerra. Si è venuto così a creare una sorta di vuoto nell'assistenza alle vittime dei conflitti:  fondando Emergency si è preposto non solo di prestare un soccorso di emergenza, ma anche di garantire un'assistenza sanitaria di base e di addestrare il personale locale a far fronte alle necessità mediche e chirurgiche più urgenti. Nel 1994 è stato in Ruanda, poi in Cecenia, e nel Kurdistan iracheno, dove ha riattivato un ospedale e un centro chirurgico per le vittime della guerra e delle mine antiuomo. Nel 1997 ha aperto un centro chirurgico a Battambang in Cambogia, mentre nel 1998 è ritornato in Afghanistan per aprire un altro centro chirurgico a Charikar, nel Nord non controllato dai Talebani.
Osservazioni
Gino Strada è un ospite di tipo particolare: da un lato è un medico, quindi in qualche misura un esperto, dall’altro, in quanto sostenitore di posizioni pacifiste, veicola un’interpretazione ‘politica’ dei fatti. Infine è anche un testimone oculare, e su questo basa la credibilità del suo discorso, la ragione di fondo del suo porsi sempre e comunque contro la guerra e la sofferenza delle sue vittime: essendo stato in Afghanistan, è presentato da Santoro come testimone; nel momento in cui il focus del dibattito si sposta sui morti e sui feriti di guerra il conduttore gli gira la parola, instaurando la contrapposizione tra lo stesso Strada e Nativi; quest’ultimo sottolinea l’importanza per la popolazione afghana degli aiuti americani dal cielo, mentre Strada commenta ironico: “io l’ho visto.... non è così. Gli aiuti non sono mai arrivati...” oppure “Mi dica, lei c’era?”. Come detto, è su questa base che Strada si rende credibile: le sue opinioni si basano sulla coincidenza del suo ‘sapere esperto’ (di medico) con l’esperienza personale sul campo, simile a quella dell’inviato speciale. 
Questo tipo di ospite funziona poiché unisce alle doti espositive e alla capacità di ‘entrare nella polemica’, l’assunzione di posizioni largamente condivisibili e difficili da contraddire: è insieme testimone e esperto, fondamentalmente anti-politico, rispetto alla politica ‘dei partiti’, ma radicalmente politico nella sua visione del mondo, poco incline al compromesso. Infine, Gino Strada ‘funziona’ per la sua pacatezza, per il fatto di non perdere mai la pazienza, o comunque per la capacità di esprimere, anche nei momenti di nervosismo, un messaggio chiaro e comprensibile.
Si potrebbe dire che il suo fast thinking verte sulla compassione, sul fatto di mettersi sullo stesso piano della persona offesa. Sulla base di questa ‘ideologia della sofferenza’, la sua narrazione diventa incontrovertibile: in questo modo le sue affermazioni sono sottratte all’onere della prova, poiché quello che Strada dice, per il fatto di averlo visto, risulta di per sé provato.
Con Boltanski, un atteggiamento ricorrente di fronte alla sofferenza consiste nello stabilire una relazione emozionale con il sofferente stesso. La relazione che si viene a instaurare tra lo ‘spettatore’ e l’‘infelice’, definita “dell’intenerimento”, costituisce quella che l’autore chiama una “topica del sentimento”.

L’emozione fa dunque la verità. Se non ha bisogno di fondare delle accuse su prove materiali, non per questo la topica del sentimento si mantiene fuori della realtà. Tuttavia, in questa topica, l’accesso alla verità non passa nè attraverso l’esplorazione argomentativa di principi convenzionali, nè attraverso l’accostamento con oggetti sotto l’obbligo di generalizzazione, bensì attraverso il disvelamento dell’interiorità nell’esteriorità.

Da interiorità a interiorità, si stabilisce una relazione tra due emozioni, per cui si produce un effetto visibile esteriormente, l’intenerimento e la compassione, la cui causa si trova però ‘all’interno’. Questo effetto genera verità, conclude Boltanski, e non necessita di giustificazione pragmatica o argomentativa: “la verità è manifestazione”.
L’uomo per cui l’infelice prova gratitudine, è, sempre secondo Boltanski, il benefattore. Non ci sembra una forzatura concludere che Gino Strada incarna perfettamente questo ‘tipo ideale emozionale’.

 

9.3  politici

È possibile scindere la presenza ‘politica’ in due sottocategorie: i parlamentari e i leader di partito o di coalizione da una parte, chiamati a esprimere un punto di vista eminentemente politico e ‘di parte’, i rappresentanti delle istituzioni (ministri e sottosegretari), chiamati a rispondere in quanto occupano un ruolo istituzionale, dall’altra.
A livello di efficacia comunicativa è utile rilevare che, se da un lato i politici sono i personaggi più abili a fomentare la polemica, sono d’altra parte i meno credibili dal punto di vista cognitivo, in quanto sono spesso considerati responsabili della mancata regolamentazione legislativa di problemi rilevanti, e sono altresì considerati ‘impreparati’, dal punto di vista tecnico, a fare fronte a emergenze di sorta. Nello specifico, l’immagine cognitiva che il politico, considerando la trasmissione nel suo complesso, proietta nell’economia generale della stessa, è spesso contrapposta a quella dell’esperto o del testimone, interpreti di un sapere credibile e in una certa misura ‘competente’. Passiamo a esaminare alcuni casi concreti, per i quali valgono tutte le considerazioni appena esposte.

 

Ignazio La Russa

Sciuscià 3 maggio 2002, “Abuso di potere”
Biografia
Nato a Paternò (Catania) il 18 luglio 1947, si è laureato in giurisprudenza e ha lavorato come avvocato patrocinante in Cassazione e come avvocato penalista. È protagonista di tutte le battaglie politiche della Destra Lombardia a partire dagli anni ‘70. Nel 1985 è eletto consigliere regionale della Lombardia. Nel 1992 è eletto a Milano, sia al Senato che alla Camera, e nel 1994 è rieletto alla Camera. Vicepresidente della camera dei Deputati, è stato presidente del gruppo nella commissione Affari Costituzionali. Nel 1996 è eletto per il Polo della Libertà alla Camera dei Deputati, e, nell’ottobre 2002, Presidente della Giunta per le Autorizzazioni a procedere in giudizio della Camera dei Deputati.
Osservazioni
Ignazio La Russa è un politico ‘aggressivo’, poco incline al dibattito pacato e d’altra parte piuttosto abile a fomentare una qualsiasi polemica. Viene spesso sanzionato da Michele Santoro, data la sua tendenza a interrompere e a sovrapporsi agli altri ospiti. Sono a questo proposito rintracciabili numerose ‘aggressioni’ verbali verso altri invitati con opinioni diverse dalle sue.
Parla complessivamente per 26 minuti e mezzo, con una miriade di interventi (36) spesso di breve durata, di cui ben 22 in sovrapposizione: La Russa risulta più volte protagonista di un botta e risposta funzionale all’articolazione della polemica televisiva (si vedano a questo proposito le considerazioni di Barbieri riportate in precedenza).
Girolamo Sirchia
Porta a porta 29 maggio 2002, “Armati di follia”
Biografia
Ematologo, primario del Policlinico di Milano, è nato a Milano il 14 settembre 1933 e ha assunto, nel 2001, l’incarico di ministro della Sanità del secondo governo Berlusconi. Laureato nel 1958, dal ‘56 lavora al Policlinico di Milano. Si è specializzato in Medicina interna nel 1963 e nel ’69 in immunoematologia. Ha assunto la cattedra universitaria di Semiotica medica. Nel 1973 viene nominato primario del Centro trasfusionale di immunologia dei trapianti. Membro di varie commissioni mediche nazionali, ha pubblicato numerosi articoli su riviste scientifiche nazionali e internazionali. È considerato il ‘padre’ della legge italiana sui trapianti.
Osservazioni
Presentato da Bruno Vespa come “l’ospite principale della trasmissione”, Sirchia è in collegamento video: egli è il rappresentante massimo delle istituzioni in materia di sanità, oggetto di questa puntata di Porta a porta (“Armati di follia”). Chiamato a esprimere un parere sulle risposte che le strutture sanitarie possono offrire ai malati mentali, si pone spesso in contrapposizione agli ‘esperti’ presenti in trasmissione. Più che un politico in senso stretto, Girolamo Sirchia è un ‘tecnico’, un medico che  ricopre un ruolo istituzionale. Allo stesso tempo però egli ribatte alle opinioni ‘esperte’ degli psicologi, che non considerano i problemi e le potenzialità del servizio sanitario nazionale.
Questo ospite ha la peculiarità di intervenire poche volte, per un tempo complessivo di 10 minuti e 27 secondi, portando a temine interventi piuttosto lunghi, superiori ai 2 minuti: ciò si spiega anche con il fatto che Vespa gli lascia uno spazio maggiore rispetto agli altri ospiti, non interrompendolo (in quanto ospite principale della trasmissione) e, inoltre, considerando l’abitudine di Sirchia di non chiedere mai la parola: egli parla, diligentemente, solo se interpellato.
In quanto ministro della salute, infine, Sirchia gode di grande visibilità: un motivo in più per invitarlo in trasmissione.

 

Stefania Prestigiacomo

Porta a porta 14 maggio 2002, “Pedofilia: la pista italiana”
Biografia
Nata il 16 dicembre 1966, è stata imprenditrice nel settore delle materie plastiche e presidente dell’Associazione giovani imprenditori del capoluogo siciliano. Fa parte di Forza Italia dalla sua fondazione. Deputata dal 1994, ora alla sua terza legislatura, è stata una delle protagoniste di quell’‘asse trasversale’ delle deputate che portò all’approvazione di due leggi importanti contro la violenza sessuale e la pedofilia. Indicata come Miss Parlamento per la sua avvenenza, si è impegnata sul fronte delle politiche del lavoro, ha firmato la legge sul rientro dei Savoia e fa parte della Commissione speciale per l’infanzia. Riveste oggi il ruolo di Ministro per le pari opportunità.
Osservazioni
Chiamata in ragione del suo ruolo istituzionale, cioè quello di Ministro per le pari opportunità, in una puntata a proposito di alcuni fatti di pedofilia, Stefania Prestigiacomo ha la funzione ‘esperta’ di fornire proposte di legge, di sottolineare la necessità che il legislatore apporti migliorie giuridiche per fermare il fenomeno in questione. Propone una visione ‘istituzionale’ dello stato come entità che tutela i cittadini: il suo ruolo in questa trasmissione è dunque tecnico, astrattamente giuridico, più che politico o esperto.
La durata complessiva dei suoi interventi è di 8 minuti e 49 secondi, di lunghezza variabile, con un massimo di 2 minuti e mezzo, comunque sufficienti a concludere le sue argomentazioni.
D’altra parte, la Prestigiacomo è una delle tante ‘minigonne in prima fila’: questo rende gradevole, fra l’altro, la sua ‘presenza televisiva’, a prescindere dalla sua capacità di polemizzare o argomentare.

 

9.4  personaggi dello spettacolo

I personaggi di spettacolo sono in genere presentati in trasmissione solo con il nome anagrafico, senza ulteriori qualifiche (quali ‘showgirl’ o ‘attrice’) rispetto a quelle connesse al tema. La presenza di questi personaggi dipende in primo luogo dalla loro notorietà, dal fatto di essere personaggi del mondo dello spettacolo che la gente conosce e riconosce. Per riprendere le affermazioni della collaboratrice di Vespa, tali personaggi sono chiamati in trasmissione a ricoprire una funzione di supporto, in modo da conferire al dibattito un surplus di spettacolarizzazione, rendendolo meno noioso, maggiormente fruibile e più ‘disimpegnato’. Lo spettatore costruisce con il personaggio televisivo una relazione di ‘intimità a distanza’, all’interno di una “quasi-interazione mediata”, secondo l’espressione di J.B. Thompson, un simulacro dell’interazione faccia a faccia:

Mentre alcuni individui sono impegnati essenzialmente nella produzione per persone non fisicamente presenti, altri svolgono la funzione di riceventi di forme simboliche create da individui ai quali non possono rispondere, ma a cui è possibile si leghino in un rapporto di amicizia, viva simpatia o fedeltà.

È utile aggiungere come questo sentimento di “fedeltà e amicizia” è proporzionale al grado di notorietà del personaggio televisivo.
Infine, è evidente che il personaggio famoso sarà chiamato sulla base di una sua seppur minima attinenza al tema trattato.

 

Clarissa Burt
Sciuscià 31 maggio 2002, “Ricostruzione in Afghanistan”
Biografia
Clarissa Burt è nata a Philadelphia il 25 aprile del 1959. Oggi è un'imprenditrice nel mondo della moda e dello spettacolo, impegnata nel sociale e nel volontariato. Vive e lavora in Italia. Negli anni ’80 si è affermata come modella e indossatrice, ed è comparsa in numerose campagne pubblicitarie di prodotti di bellezza. Nel 1988 ha debuttato nel mondo del cinema e, dal 1990, ha presenziato a diverse trasmissioni televisive come conduttrice e ospite. Ha collaborato più volte a campagne di sensibilizzazione sociale su diversi temi.
Osservazioni
Clarissa Burt è un personaggio televisivo e, in quanto tale, soddisfa una delle caratteristiche sopra delineate: la notorietà. L’attinenza rispetto al tema della puntata è determinata dalla sua nazionalità: è introdotta da Santoro in quanto americana ed è chiamata a esprimere il ‘punto di vista americano’ sulla questione Afghanistan. Nello specifico, la Burt fa proprio un punto di vista filoamericano, anche se più ingenuo di quello dei filoamericani ‘esperti’, come Nativi o Molinari (quest’ultimo inviato de La Stampa, sostenitore di un punto di vista militarista). D’altra parte, l’americanismo della Burt è in qualche misura buonista: se da una parte afferma in astratto la stupidità della guerra, dall’altra, a livello pragmatico, sottolinea che gli americani, in quanto parte lesa, non avrebbero potuto agire diversamente.
La Burt si inserisce in un contraddittorio prolungato con Robert Fisk, giornalista americano contrario alla guerra: il dibattito è reso ancora più interessante poiché si tratta di un ‘sotto-dibattito’, di uno scontro tra due diversi punti di vista all’interno di una comune appartenenza culturale. Clarissa Burt parla complessivamente per 7 minuti e 34 secondi, una parte dei quali vengono spesi in un serrato botta e risposta con Fisk, all’interno della contrapposizione sopra delineata: la durata degli interventi è comunque piuttosto lunga. Lo spazio abbastanza ampio riservatole da Santoro si spiega probabilmente con l’interesse che può suscitare nel telespettatore il punto di vista di un ipotetico ‘americano medio’.

 

9.5  giornalisti

Il conduttore stesso è un giornalista. Altri giornalisti sono generalmente invitati per diversi motivi: in primo luogo possono essere presenti in qualità di ‘conduttori di secondo livello’, come ospiti che, insieme al conduttore, hanno la facoltà di porre domande agli altri partecipanti. In secondo luogo, possono essere invitati semplicemente in qualità di opinionisti: ciò vale in modo particolare per le ‘grandi firme’ o per i direttori di importanti quotidiani nazionali. In terzo luogo, vi sono gli inviati speciali, reporter che parlano in trasmissione in qualità di testimoni informati dei fatti. Infine, i giornalisti possono essere invitati sulla base di una qualche attinenza personale con il tema trattato.

 

Giulietto Chiesa

Sciuscià 31 maggio 2002, “Ricostruzione in Afghanistan”
Biografia
Giulietto Chiesa, giornalista, è stato corrispondente da Mosca per La Stampa. È stato autore di diversi libri, uno dei quali scritto in collaborazione con Gino Strada e il vignettista Vauro. Altre pubblicazioni riguardano, fra l’altro, il G8 di Genova e la situazione russa.
Osservazioni
Giulietto Chiesa è un giornalista famoso, un giornalista militante, chiamato da Santoro in funzione di opinionista antiamericano e contrario alla guerra: non a caso è introdotto dal conduttore in qualità di “supporter morale di Gino Strada”. La dote principale di Chiesa sta nell’estrema chiarezza e incisività dei suoi interventi, nonché nel suo modo di porsi, nell’immagine che vuole dare di sé: “sono ancora un giornalista... non sono contro questa guerra, ma voi mi dovete spiegare...”. Si potrebbe dire che Chiesa ha la funzione di ‘disvelatore’ di complotti, di rendere noto al pubblico ‘l’inganno cognitivo’ ordito a suo danno. L’eccezionale capacità comunicativa di questo ospite contribuisce a vivacizzare il contraddittorio di questa puntata di Sciuscià.
Parla complessivamente per 8 minuti e 8 secondi, articolati in due interventi più lunghi, intorno ai 2 minuti, quando viene interpellato e altri più brevi, di circa 10 secondi, quando cerca di prendere la parola da sé: in generale opposto alla ‘fazione filoamericana’, viene sanzionato da Santoro nel momento in cui tenta di sovrapporsi a Molinari.

Tiziana Ferrario

Sciuscià 31 maggio 2002, “Ricostruzione in Afghanistan”
Biografia
Giornalista di primo piano, ha goduto di grande visibilità per essere stata l’unica fonte di informazioni dal Pakistan, in qualità di inviata del TG1, durante la guerra in Afghanistan.
Osservazioni
Questa giornalista risponde alla terza funzione delineata nell’introduzione a questa categoria di ospiti: la testimonianza, il reporting dei fatti. Al proposito, è presentata da Santoro come inviata di punta del TG1.
Da un’analisi dei suoi interventi emerge che la Ferrario, anche quando entra nel dibattito, quando ‘prende posizione’, non si schiera né per l’una né per l’altra fazione ideologica interna alla trasmissione. Come già rilevato, la sua funzione coincide essenzialmente con quella del ‘giornalista sul campo’, del testimone oculare: In virtù di tale funzione è interrotta poche volte, né d’altra parte tende a interrompere gli interlocutori; parla solo su richiesta di Santoro. La durata complessiva dei suoi interventi, poco numerosi, è di 4 minuti e 27 secondi, tutti comunque abbastanza lunghi.

 

Barbara Palombelli

Porta a porta 14 maggio 2002, “Pedofilia: la pista italiana”
Biografia
Barbara Palombelli, giornalista, vive e lavora a Roma. Laureata in Lettere, sposata con due figli, ha iniziato la sua carriera a l’Europeo; passata a Panorama, ha scritto anche per Il Giornale di Montanelli e per il Corriere della Sera. Attualmente cura la rubrica “Lettere” su La Repubblica e conduce la trasmissione radiofonica Se telefonando... su Radiodue. Ha collaborato ad alcuni forum sul web a proposito della condizione giovanile dell’ultima generazione.
Osservazioni
Barbara Palombelli, giornalista nota soprattutto per essere moglie di Francesco Rutelli, è introdotta da Bruno Vespa come “mamma e giornalista”. Interviene molto spesso nel dibattito, con turni di parola numerosi e mediamente brevi (6 minuti e 11 secondi complessivamente). Analogamente a Vespa, che è solito farsi interprete del pubblico ponendo domande concrete e ‘semplificatrici’ agli esperti, interrompe più volte gli interlocutori adducendo esempi concreti, ricavati dalla sua esperienza professionale, e lanciando provocazioni: “... allora è pedofilo chi va a vedere le opere d’arte greche...”, oppure “... con un po’ di soldi oggi è facile comprare qualsiasi cosa...”, solo per citare alcuni esempi. In particolare, Barbara Palombelli esprime numerosi pareri personali ricavati dalla sua esperienza di “mamma e giornalista” (“... da mamma, dico che a volte si può perdere la testa”).

Robert Fisk
Sciuscià 31 maggio 2002, “Ricostruzione in Afghanistan”
Biografia
Robert Fisk, corrispondente per The indipendent di Londra, è stato inviato a Beirut per alcuni anni. Ha scritto a proposito della rivoluzione iraniana, della guerra Iran-Iraq, dell’invasione sovietica in Afghanistan, della guerra del Golfo, del conflitto in Irlanda del Nord, della guerra in Bosnia, in Algeria e della questione palestinese.
Ha ottenuto vari riconoscimenti internazionali per i suoi reportage dall’Algeria e per gli articoli contro i bombardamenti della NATO nell’ex Jugoslavia. È stato nominato British International Journalist of the Year per ben sette volte. Si occupa principalmente della questione mediorientale ed è rimasta famosa l’intervista rilasciatagli da Bin Laden.
Osservazioni
Robert Fisk è presentato da Santoro come “un collega” che fa giornalismo “su scala planetaria”, mentre Iacono, collaboratore di Santoro che si occupa di curare il reportage, lo introduce come “vincitore di 7 premi come miglior giornalista”. Sia Santoro che Iacono gli pongono alcune domande, a cui Fisk risponde, per un tempo complessivo di 10 minuti e 9 secondi, con interventi relativamente lunghi, della durata media di 1 minuto e mezzo. Un cenno particolare merita la contrapposizione con Maurizio Molinari e con Clarissa Burt, chiamata in causa in tre dei suoi sei interventi. In questo dibattito Fisk esprime, da americano, un punto di vista antiamericano: “l’America crea, armandoli, i suoi nemici”; si crea così un microracconto all’interno del frame principale (l’opportunità o meno della guerra nella lotta al terrorismo), che ha per oggetto le conseguenze della politica estera americana.  
Un nesso essenziale tra Fisk e l’argomento della puntata è dato dal citato colloquio con Bin Laden, unico occidentale ad averlo intervistato.

 

9.6  un’altra categoria: i sacerdoti

 

La ricorrenza di membri della Chiesa cattolica in qualità di ospiti è senza dubbio una peculiarità di Porta a porta. È stato rilevato un particolare ossequio, da parte di Bruno Vespa, per gli esponenti della classe clericale, una tendenza a lasciarli parlare abbastanza a lungo e a non interromperli, diversamente da quanto avviene nei confronti di altri tipi di ospiti.

 

Don Mazzi
Porta a porta 30 maggio 2002, “Erika e Omar”
Biografia
Don Mazzi è nato a San Massimo di Verona il 30 novembre 1929 e nel 1956 viene ordinato sacerdote nell’Opera don Calabria di Ferrara. Dopo essere stato direttore e vicedirettore di alcuni Centri di formazione dell’Opera, nel 1979 diventa direttore dell’Istituto don Calabria di Milano, nei pressi del Parco Lambro, in quegli anni noto luogo di spaccio di stupefacenti. Don Mazzi inaugura, all’interno del parco stesso, la sede madre del Progetto Exodus, programma per il recupero dalla tossicodipendenza. Oggi è presidente della Fondazione Exodus Onlus, che ha una trentina di sedi sparse in tutta Italia con interventi diversificati nel campo del recupero e della prevenzione. Secondo le parole dello stesso don Mazzi, il suo operare riguarda “la ricerca di tutti coloro che sono esclusi dalla comunità e dimenticati dai servizi sociali”.
Osservazioni
In questa puntata, che ha per oggetto il delitto di Novi Ligure, Don Mazzi riveste il ruolo di un sacerdote che “si è offerto di dare una mano a Erika”, riprendendo le parole di Vespa. In quanto direttore di una comunità di recupero, don Mazzi è  persona già nota al pubblico. 
Don Mazzi, come don Gallo, presente anch’egli in trasmissione in veste di ipotetico ‘difensore’ di Omar, è chiamato in trasmissione in quanto portatore di un punto di vista religioso, ‘perdonista’, non inquadrabile nelle categorie giuridiche o psicologiche. La diversità di questi ospiti rispetto ai vari tipi di esperti è marcata anche dalle parole di Vespa: “Voi aprite il cuore. Non fate discorsi giuridici o psicologici...”
In generale i sacerdoti sono invitati quando il tema della puntata ha un generico carattere ‘etico-morale’: per esempio quando si discute di delinquenza minorile, o di altri argomenti come la fecondazione assistita, l’aborto, la pedofilia.
Una peculiarità di don Mazzi è quella di funzionare in televisione, più che come un sacerdote, come una star televisiva: interviene 14 volte, interrompendo o chiedendo la parola, per un tempo complessivo di 7 minuti e 43 secondi; in questo senso gli interventi di don Mazzi, se confrontati a quelli degli altri sacerdoti, sono più incisivi, più brevi, più chiari, spesso volti a puntualizzare o precisare affermazioni fatte da altri ospiti. Diversamente, don Gallo interviene solo quando interpellato dal conduttore, con un numero ridotto di interventi (5).

 

CONCLUSIONE

L’impressione di ripetitività che si ricava da una fruizione, anche disimpegnata, delle trasmissioni esaminate si configura, alla luce dell’indagine condotta, non come un effetto di senso estemporaneo, ma come il prodotto di una serie di logiche e di routine produttive sottese al darsi della trasmissione stessa, delle quali si è cercato di offrire un modello esplicativo. È evidente che questo, data la limitatezza del corpus analizzato, non pretende alcuna generalizzazione. Quelli rilevati in questa sede, si offrono pertanto come spunti di analisi, possibili linee interpretative per future ricerche.
In particolare, sembra opportuno suggerire come possibile direzione di ricerca un’indagine etnometologica condotta nelle redazioni televisive per un periodo prolungato, in modo da accedere a una molteplicità di fonti informative che permettano l’individuazione di prassi produttive a cui non si è potuti pervenire in questa sede. Inoltre, sarebbe auspicabile integrare gli strumenti offerti dall’approccio etnometodologico con una teoria delle reti, al fine di esplicitare le dimensioni relazionali che intercorrono tra la redazione del programma, gli ospiti e i vertici dell’azienda.
Infine, il taglio del lavoro svolto non ha contemplato considerazioni di carattere valutativo. Risulta tuttavia difficile negare l’asservimento del prodotto televisivo esaminato a logiche spesso estranee alla funzione prettamente informativa che lo stesso dovrebbe assolvere: nella confezione dei programmi considerati sembrano prevalere le esigenze commerciali poste da una certa natura del mezzo televisivo, ovvero dalla sua funzionalità alla vendita di spazi pubblicitari. Si tratta, infatti, di un fattore strutturale probabilmente ineliminabile che impedisce di pensare i formati e la programmazione televisiva in un’ottica diversa, a meno di affrontare costi proibitivi. 
Si potrebbe ipotizzare un servizio pubblico radiotelevisivo che eviti di fare concorrenza ai privati sullo stesso piano: in questo modo i produttori televisivi pubblici potrebbero sottrarsi alla inesorabile logica di mercato che impone di costruire programmi televisivi in funzione di contorno a spazi pubblicitari (per i quali le imprese siano disposte a pagare).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

 

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1995    I percorsi della notizia,Bologna, Baskerville.

Thompson J. B.
1998    Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Bologna, Il
Mulino.
APPENDICE

Per ogni puntata si riportano una serie di tabelle descrittive. Tali schede sono da considerarsi come una trasposizione di osservazioni di carattere qualitativo e, limitatamente al tempo di intervento, di dati quantitativi. Le indicazioni ricavate, insieme a un’attenta visione del materiale, ci hanno permesso di sostanziare opportunamente le considerazioni teoriche della parte precedente.
La prima tabella di ogni puntata riporta i dati relativi al conduttore, quali numero dell’intervento nella sequenza totale del dibattito (prima colonna), tempo (seconda colonna), modalità di intervento (terza colonna) e alcune osservazioni sulle caratteristiche dell’intervento stesso (quarta colonna). Nelle schede relative a Porta a Porta sono segnalate anche le interruzioni dovute al suono del campanello o al cambiamento della frase sullo sfondo.
Le tabelle successive si riferiscono agli ospiti presenti in trasmissione, dei quali sono indicati numero dell’intervento nella sequenza totale (prima colonna), il tempo di intervento (seconda colonna), le modalità di presa della parola (terza colonna) e infine alcune osservazioni utili relativamente alle caratteristiche dell’intervento (quarta colonna). Si specifica per ogni ospite la relativa qualifica professionale.
L’asterisco, nelle schede di entrambe le trasmissioni, contrassegna gli interventi caratterizzati da sovrapposizione.


Osservazione suggerita dal duplice significato dell’aoristo greco οίδα (oida), “ho visto (quindi) so”.

Boltanski L., “La topica del sentimento”, in Lo spettacolo del dolore, Milano, Cortina, 2000.
120 Boltanski L., op. cit., p.128.
121 Ibidem.

 

Thompson J. B., Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Bologna, Il Mulino, 1998, p.124.

Thompson J .B., op. cit., p.125.

In questo senso, come rilevato in precedenza, i giornalisti rivestono una funzione analoga ai testimoni.

Fabrizio Tonello, La favola dell’auditel, conferenza tenuta a Bologna l’11 dicembre 2002.

Fonte: http://www.tesionline.it/tesiteca_docs/11936/Il_talk_show_la_costruzione_della_ribalta_televisiva.doc

Sito web da visitare: http://www.tesionline.it

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