Televisione 60 anni di storia della TV

Televisione 60 anni di storia della TV

 

 

 

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Televisione 60 anni di storia della TV

 

Introduzione
Dal monopolio Rai alla deriva dei reality.  Di Mario Morcellini

All’inizio esisteva la Televisione e esistevano gli Utenti. La prima accendeva i secondi, spingendoli fuori casa per vedere lo sfarfallio di luci in bianco e nero. Era l’epoca della Tv del monopolio Rai, quella del Primo (ed unico) canale nazionale che incantava gli italiani, inconsapevoli di vivere una trasformazione epocale. Nel giro di pochi anni la vendita di apparecchi televisivi subisce una forte accelerazione e già nel 1958 il numero degli abbonati supera il milione, che diventano nel 1961, in coincidenza con la nascita del Secondo Canale, 2,8 milioni.
Un impatto impressionante in una società ancora con un alto tasso di analfabetismo, nella quale il dialetto è l’idioma più diffuso e la cultura fortemente “oralizzata”. In questo scenario la televisione diventa lo strumento di acculturazione e alfabetizzazione di massa con programmi come Una risposta per voi (1954) e, soprattutto, Non è mai troppo tardi (1960), un ciclo di trasmissioni promosse       in collaborazione con il Ministero delle Pubblica Istruzione, il cui obiettivo è consentire agli adulti analfabeti di conseguire la licenza elementare.

 

E’ evidente l’incanto dei telespettatori di fronte ad una tv che gli insegna una lingua comune, gli mostra luoghi sconosciuti facendoli sentire un po’ più uniti, cittadini della stessa nazione. Una sorta di rispetto e venerazione esemplificata dall’entusiasmo con il quale venivano accolte le troupe di “Campanile sera, gioco a premi fra paesi”. In onda dal 1959 al 1961, il programma infervora le piazze della provincia italiana, che si sfidano a distanza, in una gara condotta in studio da Mike Buongiorno. L’incantesimo dura per tutti gli anni ‘60: in questa fase lo sviluppo della televisione coincide con quella del boom economico per antonomasia e diventa mezzo di unificazione e di circolazione culturale.

 

 

E sono soprattutto i programmi cosiddetti di intrattenimento a compattare il Paese. Si dice che l’unità d’Italia non l’ha fatta Garibaldi, ma Mike Bongiorno con Lascia e Raddoppia (1955), capace di mobilitare buona parte del Paese ad ogni appuntamento televisivo.

Nel 1957, con l’avvio di Carosello, gli italiani vengono traghettati verso la modernizzazione, trasformando i loro stili di vita. Con Carosello viene introdotta nel Paese la pubblicità, o meglio,    la réclame come si diceva allora. E si perché termini come spot, telepromozioni, brand, marketing sono ancora lontani da venire. Il prodotto commerciale veniva preceduto da una scenetta, spesso con protagonisti personaggi famosi del cinema e del teatro.

Negli anni 60, sotto la direzione Bernabei, oltre a varietà ancor oggi ricordati come Studio Uno (1961) e Milleluci (1974), gli italiani scoprono anche quelli che oggi chiameremo fiction e che allora erano definiti più onestamente sceneggiati. In genere erano tratti da grandi opere letterarie, ma si hanno pure esempi di originali televisivi come La famiglia Benvenuti (1968), specchio delle famiglie a casa tra debiti, vacanze e figli.

Se l’intrattenimento è decisivo per modellare usi e costumi, l’informazione vive una particolare stagione di invenzioni straordinarie. Tra i maggiori rappresentanti Sergio Zavoli che avviò l’epoca delle grandi inchiesta, con Tv7 (1963) e Nascita di una dittatura (1972), un programma-inchiesta che attraverso la voce di 55 protagonisti raccontò la marcia su Roma.
La fase successiva a Bernabei è segnata dalla scoperta per gli italiani di un modo di fare tv insolito e per forma e per contenuti. Maurizio Costanzo conduce nella seconda serata Rai Bontà loro (1976), un programmi di interviste a personaggi noti e illustri sconosciuti, iniziatore dei talk show italiani.

 



Altra straordinaria invenzione è Portobello (1977), considerato “la madre di tutti i format”. Da qui prende avvio la cosiddetta tv realtà, con la rubrica fiordi di arancio, lo spazio degli inventori di improbabili oggetti, il mercatino cerco/offro. E’ nel programma di Enzo Tortora che si ritrovano in nuce molti dei programmi che segneranno i decenni successivi, quelli dell’etere de-monopolizzato.

Siamo a metà degli anni 80 quando alle tre emittenti Rai si contrappone un polo privato rappresentato da Fininvest (oggi Mediaset), proprietaria di Canale5, Italia1 e Rete4. E’ la “liberalizzazione” dell’etere con l’introduzione di un modello comunicativo costituito da dosi massicce di serials, telenovelas, giochi a quiz, telefilm, film e festival canori.
Una rivoluzione nei consumi culturali, segnata anche da infrazioni nei generi comunicativi che hanno portato all’invenzione di nuovi linguaggi come nel caso di Striscia la notizia (1988), in onda ancora oggi.


 

 

Negli anni 90 irrompe la “tv verità”, un filone che porta in scena la cosiddetta gente comune e racconta storie di vita quotidiana non sempre e non necessariamente edificanti. I capostipite del genere sono Un giorno in pretura (1988) e Chi l’ha visto (1989), per altro tra i programmi più longevi della televisione italiana. L’avvento dell’ordinary people avvia un percorso che tracima nel terzo millennio nei reality show, ormai permeanti l’intera programmazione pur nelle diverse declinazioni di talent, docu-reality, etc. La svolta avviene con Grande fratello (2000), che muta radicalmente lo stile e la sostanza comunicativa della televisione. Con esso il telespettatore abbandona l’ingenuo desiderio di stare in tv per diventare la tv.

 

Un fenomeno che ha generato derive, anche queste specchio di un Paese in apnea da tempo, Troppo tempo.
Il nostro percorso per le celebrazioni era iniziato già lo scorso ottobre. In questo modo: http://www.maridacaterini.it/opinioni/1278-buon-compleanno-tv-i-60-anni-si-stanno-avvicinando. html

Mario Morcellini: Professore Ordinario in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi. È direttore del Coris - Dipartimento     di Comunicazione e Ricerca Sociale. Ricopre l’incarico di Presidente della Conferenza Nazionale delle Facoltà e dei Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione, Portavoce nazionale dell’Interconferenza dei Presidi, Consigliere del CUN (Consiglio Universitario Nazionale). È membro Ordinario del Consiglio Superiore delle Comunicazioni.

 

Ed eccoci alla prima trasmissione: Arrivi e partenze.  Di Giancarlo Leone
Il 3 gennaio nasceva ufficialmente la televisione italiana. In quella data andò in onda, dopo varie prove sperimentali, la prima puntata del programma Arrivi e partenze. Trasmesso dalla Rai, società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo italiano, il programma era condotto da un giovane presentatore italo-americano, Mike Bongiorno, che sarebbe diventato “il re del telequiz”. Il programma segnò il debutto anche del regista Antonello Falqui, che sarebbe diventato da lì a pochi anni “il re del varietà” come regista (come non ricordare i vari Studio Uno, Sabato Sera, Canzonissima, Milleluci, Al Paradise…per citare solo alcuni degli innumerevoli varietà diretti).

Nel programma Arrivi e partenze, Mike Bongiorno intervistava insieme con il giornalista Rai, Armando Pizzo, personaggi italiani e stranieri in partenza o in arrivo negli aeroporti e nei porti italiani. L’esordio della televisione italiana non poteva non scegliere un personaggio migliore come Mike Bongiorno (scelto personalmente dal direttore generale della Rai Vittorio Veltroni di quegli anni, papà dell’ex Sindaco di Roma e politico Walter Veltroni) che, scomparso nel settembre 2009, all’età di 85 anni, ha rappresentato in Italia “la televisione” con altri personaggi televisivi come Pippo Baudo, Corrado, Enzo Tortora, Raimondo Vianello, che hanno contribuito a scrivere la storia della televisione italiana.

Un po’ americano ed un po’ torinese, Mike Bongiorno ha rappresentato un’icona della nostra Tv di Stato e non c’era una sostanziale differenza tra il personaggio offerto dallo specchio della tv e ciò che lui era nella realtà. Ed è proprio questa uniformità della persona e del personaggio a rendere il celebre conduttore amato da milioni di telespettatori, ma anche non simpatico a quanti lo ritenevano pedante ed incapace di trasmettere simpatia. Mike Bongiorno ha segnato non solo la storia della televisione italiana, ma anche quella dell’Italia. Numerose analisi sociologiche e semiotiche, come il volume di Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Bongiorno, hanno cercato di indagare o a fondo o in maniera superficiale lo stretto legame tra la nostra storia e quella catodica, nella quale Mike  ha rivestito un ruolo di prim’ordine. Ma avremo modo di parlare ancora di Bongiorno, in questo fantastico viaggio che racconta i 60 anni della nostra “giovane” tv. Basta ricordare i suoi, diciamo così, cavalli di battaglia: Lascia o raddoppia degli anni ’50 e Rischiatutto degli anni ’70.
La domenica sportiva.  Di Giancarlo Leone
Il 3 gennaio 1954 nasceva ufficialmente la televisione italiana. In quella data andò in onda la prima puntata del programma Arrivi e partenze di cui abbiamo già parlato. Continuiamo a ricordare le trasmissioni che sono entrate nella storia del piccolo schermo, in occasione dell’importante anniversario. Oggi è la volta de La domenica sportiva.
Sicuramente una delle prime trasmissioni della televisione, visto che ha anch’essa 60 anni ed è nata proprio il 3 gennaio 1954 è La Domenica Sportiva, tutt’ora in tv la domenica su Raidue. Detta anche DS è uno storico rotocalco televisivo della Rai dedicato soprattutto al calcio in onda dagli studi televisivi di Milano. Attualmente la presentatrice è Paola Ferrari.
Nata a Milano a livello sperimentale agli albori della televisione italiana, l’11 ottobre 1953, tre mesi prima dell’inizio delle trasmissioni regolari Rai. La prima puntata ufficiale del programma è proprio del 3 gennaio 1954, alle 23.15, con le immagini della partita Inter – Palermo. Per una decina d’anni il primo canale della Rai trasmise solo uno scarno notiziario ed alcuni filmati. Solo dal 1965 La Domenica Sportiva si strutturò come vero e proprio programma con l’introduzione del conduttore, il primo dei quali fu Enzo Tortora. Da quel momento, oltre alle notizie sugli avvenimenti sportivi della giornata, si cominciò a dare spazio ai commenti e agli approfondimenti con ospiti in studio.
All’inizio  degli   anni   ’70   la   trasmissione  introdusse   un’innovazione   tecnologica  che cambiò

 


 

radicalmente le discussioni sul calcio: la moviola. Attraverso questa, le azioni salienti delle partite di cartello potevano essere mostrate al rallentatore, analizzate e lungamente discusse. Dal marzo 1976, dopo la riforma che determinò la nascita di reti e testate giornalistiche autonome fra loro, La Domenica Sportiva venne realizzata a cura delle redazione sport del Tg1, il cui capo-redattore era Tito Stagno. Il 13 marzo del 1977 la trasmissione venne trasmessa per la prima volta a colori.
Nel 1981 la trasmissione venne affidata ad una donna, la cestista Mabel Bocchi, rompendo, così, il tradizionale monopolio maschile dei commenti sportivi in televisione. Per anni fino al 1989 la trasmissione cominciava alle 21.45 circa. Da quando poi è stato introdotto il posticipo serale della domenica sera, cominciò ad andare in onda verso le 22.40.
Con la crescita delle tv commerciali e la nascita delle trasmissioni calcistiche concorrenti, La Domenica Sportiva ha cominciato a perdere progressivamente ascolti. Negli anni ’90, l’introduzione della possibilità di assistere in diretta alle partite di campionato tramite pay-tv, costrinse La Domenica Sportiva a commentare immagini che gli appassionati avevano avuto modo di vedere già diverse volte durante la giornata sportiva. A partire dal settembre 1991, con la nascita della Testata Giornalistica Sportiva, poi rinominata Raisport, La Domenica Sportiva, come altre trasmissioni dedicate allo sport della Rai è stata realizzata dalla nuova struttura.
Negli anni 2000 La Domenica Sportiva triplica il tempo della sua durata e diventa un programma prevalentemente di discussione sulle grandi storiche del nostro calcio, strutturato in tre parti con gli intervalli della pubblicità. Molto spazio è dedicato alla Champions League ed oltre al calcio gli sport più seguiti sono automobilismo e motociclismo.
Molti conduttori, in 60 anni di storia della Domenica Sportiva, si sono succeduti. Tra i più famosi ricordiamo, dopo Enzo Tortora, Lello Bersani, Alfredo Pigna, Paolo Frajese, Adriano De Zan, Beppe Viola, Sandro Ciotti, Maria Teresa Ruta, Gianni Minà, Marino Bartoletti, Bruno Pizzul, Gianfranco De Laurentiis, Marco Mazzocchi, Jacopo Volpi.


Un, due, tre.  Di Giancarlo Leone

 

Continuiamo a ricordare i più grandi programmi della tv in occasione dei 60 anni del piccolo schermo. Oggi vi parliamo di Un due tre.
Un due e tre, forse, si può definire il primo varietà importante trasmesso dalla Rai. Infatti andò in onda quando l’emittente televisiva di stato italiana muoveva i primi passi, sull’unico canale televisivo, il Programma Nazionale, dal 19 gennaio 1954 al 2 agosto 1959.
Il varietà, che ha avuto sei fortunate stagioni di programmazione, basato su sketch e parodie di inchieste documentarie all’epoca assai in voga (un esempio per tutti, la condizione femminile in rapporto al lavoro o sul viaggio nella valle del Po, alla ricerca di cibi genuini, condotta da Mario Soldati), contribuì a far conoscere al grande pubblico la comicità di Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi.
La prima serie di Un due e tre si sviluppò in 20 puntate trasmesse dal 19 gennaio 1954 al 24 febbraio 1955. I due protagonisti dello show, Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, davano vita ad una serie di siparietti comici, affiancati da ospiti e, come conduttori, attori come Mario Carotenuto, Riccardo Billi e Mario Riva. Fra gli ospiti del programma figurò anche l’attore di teatro Franco Besozzi.    La trasmissione, registrata in bianco e nero, è diventata un oggetto di culto all’interno del mondo televisivo, tanto da essere spesso citata in altre trasmissioni rievocative dell’epoca pioneristica della televisione italiana.
Una seconda serie fu poi trasmessa, sempre sul Programma Nazionale, in sei puntate,dal 28 luglio
al 20 ottobre del 1955. In questa serie ai due comici si affiancò come conduttore Corrado.
Nella stagione televisiva 1956 Un due e tre andò in onda in dieci puntate tra il 28 luglio ed il 29 settembre. A Tognazzi e Vianello venne affiancato il clown svizzero Grock.
La quarta e quinta stagione – rispettivamente undici puntate messe in onda dall’8 giugno al 24 agosto 1957 e quindici puntate trasmesse tra il 20 aprile ed il 3 agosto 1958 – avevano come autori Giulio Scarnicci e Renzo Tarabusi.
La fortunata trasmissione, che servì come trampolino di lancio per comici del calibro di Raimondo Vianello ed Ugo Tognazzi, che avrebbero poi avuto altre trasmissioni televisive dove evidenziare le loro capacità di validi e bravi attori, si concluse nella stagione televisiva del 1959 e fu prematuramente interrotta il 25 giugno del 1959 quando il duo Tognazzi – Vianello decise di mettere in burletta un incidente occorso la sera prima sul palco d’onore del Teatro alla Scala: il Presidente della Repubblica dell’epoca, Giovanni Gronchi, a causa della disattenzione di un collaboratore che non gli aveva avvicinato la sedia, cadde a terra nel sedersi a fianco del Presidente della Repubblica Francese De Gaulle, allora in visita ufficiale in Italia. La scena era
stata teletrasmessa in diretta, ma l’accaduto era stato rigorosamente taciuto dai principali organi di informazione. Il duo ripeté la scena in televisione. Vianello tolse la sedia da dietro a Tognazzi che stava per sedersi e gli disse: “Ma chi ti credi di essere?”. Tognazzi, seduto sul pavimento, allargò le braccia rispondendo: “Tutti possono cadere!”. La scena venne accolta dal pubblico in studio con una fragorosa risata, ma i vertici della Rai furono di opinione diversa. Al rientro nei loro camerini
i due attori trovarono le buste che contenevano le lettere di licenziamento. La sera stessa Ettore Bernabei aveva decretato la cancellazione della trasmissione dalla programmazione televisiva ed anche il direttore del Centro di produzione televisiva di Milano venne cacciato.

 


Lascia o raddoppia?  Di Giancarlo Leone

 

L’iniziativa del nostro sito per i 60 anni della tv continua. Oggi vogliamo ricordare Lascia o raddoppia? programma rimasto nell’immaginario del pubblico che ha rivoluzionato davvero il piccolo schermo.
Lascia o raddoppia? è stato uno dei più famosi programmi televisivi a quiz della Rai, versione italiana del format francese Quitte ou double? Condotto da Mike Bongiorno, andò in onda dal    26 novembre 1955 ogni sabato sera alle 21, fino all’11 febbraio 1956 e ogni giovedì sera dal 16 febbraio 1956 al 16 luglio 1959, data di sospensione del programma. Lo spostamento dal sabato al giovedì fu richiesto dai gestori dei locali pubblici che avevano visto assottigliarsi gli incassi, proprio per la serata considerata più lucrativa della settimana. Il programma andava in onda dallo Studio 3 della Fiera di Milano. La mascotte del programma, un omino pensieroso per l’indecisione di lasciare o raddoppiare, con tanto di ombra, fu disegnato da Ennio De Majo. I concorrenti che partecipavano al gioco si presentavano come esperti di un particolare argomento. Si presentavano uno alla volta e giocavano individualmente. Nel corso della prima serata il concorrente doveva rispondere obbligatoriamente ad otto domande, nel tempo massimo di trenta secondi per ciascuna. Il montepremi iniziale era di 2500 lire. Ad ogni risposta esatta il montepremi raddoppiava, ma alla prima risposta errata il concorrente era eliminato. In questo caso, se aveva risposto esattamente almeno alle prime cinque domande, portava a casa un gettone di consolazione del valore di 40.000 lire. Se il concorrente rispondeva esattamente a tutte le otto domande, raggiungendo così la quota di 320.000 lire, aveva diritto a ritornare la settimana successiva.
Al ritorno del concorrente in trasmissione, accompagnato dalla valletta, il conduttore iniziava porgendogli la fatidica domanda: Lascia o raddoppia? Se il conduttore “lasciava” intascava la somma


 

vinta fino a quel momento, altrimenti lo si isolava acusticamente, per evitare suggerimenti da parte del pubblico, facendolo entrare in una cabina e gli si faceva indossare una cuffia, attraverso la quale poteva sentire la sola voce del conduttore, che gli parlava da un apposito microfono collegato  con
un filo alla cuffia stessa. Successivamente, gli veniva posta una domanda singola. Il concorrente aveva un minuto di tempo per rispondere, scandito da un apposito orologio meccanico e da una musica di sottofondo eseguita da archi molto carica di suspense. Se rispondeva esattamente il suo montepremi raddoppiava e tornava la settimana successiva per ripetere la prassi qui descritta, ma se il concorrente sbagliava la risposta perdeva tutto il suo montepremi, era eliminato dal gioco e vinceva, come premio di consolazione, una Fiat 600.
Di raddoppio in raddoppio, il premio massimo che il concorrente poteva vincere era di 5.120.000 lire, equivalente di 128 gettoni d’oro. Esclusivamente per la domanda finale il concorrente aveva diritto di portare un esperto in cabina con sé. La domanda finale era multipla, in genere composta di tre sotto-domande. In caso di risposta esatta il concorrente intascava il premio massimo e in caso di risposta errata, il concorrente portava a casa come premio di consolazione un’autovettura Fiat 1400.
Una delle novità di Lascia o raddoppia? fu l’introduzione della figura della valletta: dapprima  Maria Giovannini, poi “cacciata” per le troppe papere, poi Edy Campagnoli, che divenne una delle beniamine del grande pubblico, che accrebbe la sua popolarità sposando il portiere di calcio Lorenzo Buffon.
I concorrenti che si presentarono furono molti. Tra quelli più popolari, che divennero veri personaggi, Gianluigi Marianini, Paola Bolognani, Marisa Zocchi, Maria Luisa Garoppo, Mario Valdemarin, Pierluigi Pellegrini, presentatosi sulla Lirica e vittima di una delle numerose simpatiche gaffe di Mike Bongiorno, Lando Degoli. Il primo concorrente che rispose a tutte le domande del quiz, raggiungendo il massimo della vincita, fu Luciano Zeppegno, specializzato in architettura. A Lascia o raddoppia? partecipò anche il primo concorrente di colore nella storia della televisione italiana, il nigeriano Olabisi Ajala.

 


Canzonissima.  Di Giancarlo Leone
Oggi ci occupiamo di Canzonissima. Anche se alcune volte nella lunga storia televisiva ha avuto titoli diversi, è stata una delle più popolari trasmissioni di varietà, mandata in onda dalla Rai
dal 1956 al 1974. Oltre i comici, i presentatori, le soubrette, gli sketch ed i balletti, l’elemento fondamentale di Canzonissima è sempre stata la gara di canzoni abbinata alla Lotteria di Capodanno, poi negli anni ribattezzata Lotteria Italia.
In effetti, il primo anno, nel 1956, il varietà nacque in radio come torneo di canzoni, con il titolo Le canzoni della fortuna, riscuotendo un grosso successo di pubblico. Nel 1957 la trasmissione venne portata in televisione e trasformata in una gara tra dilettanti provenienti da tutte le regioni d’Italia. Negli anni successivi il regolamento fu di volta in volta aggiornato, diventando anche abbastanza complicato; ma tutto ciò non allontanò dai teleschermi il pubblico, che da casa poteva esprimere le sue preferenze inviando le apposite cartoline-voto insieme ai biglietti della Lotteria.
Diverse furono le edizioni di Canzonissima che passarono alla storia. Una delle più note fu quella del 1959, che aveva come autori Garinei e Giovannini, affiancati da Dino Verde e Lina Wertmuller per la regia di Antonello Falqui. A condurla un trio d’eccezione: Delia Scala, Paolo Panelli, Nino Manfredi, che inventò per la trasmissione il personaggio del barista ciociaro, Bastiano, diventato celebre per la l’esclamazione “Fusse che fusse la vorta bbona” frase riferita all’invito ad acquistare un biglietto della Lotteria che fosse vincente. Quell’edizione fece da caposcuola a tutte le future trasmissioni televisive di varietà, con grande successo di pubblico che si divertiva a seguire in ogni puntata le scenette comiche e le interpretazioni dei cantanti in gara. Mentre Delia Scala si esibiva nei balletti con il coreografo Don Lurio, che già imperversava dagli schermi tv, Manfredi e Panelli proponevano varie scenette: tra queste quella classica di Panelli che si trasformava ogni volta in un cinico cowboy un po’ bulletto.


Anche l’edizione del 1960 ebbe alla conduzione tre presentatori: Lauretta Masiero, Alberto Lionello ed Aroldo Tieri. Gli autori del programma erano Amurri, Faele e Landi. Dopo una lunga gavetta teatrale, grazie alla televisione, Alberto Lionello acquisì una vasta popolarità: chi non ricorda la simpaticissima sigla intitolata La, la, la, la, cantata e ballata agitando una paglietta in mano, per cui fu definito lo “Chevalier italiano” da Erminio Macario. Bellissima la sigla finale, cantata da Mina, Due note, di Antonio Amurri e Bruno Canfora.
L’edizione del 1962 fu la più burrascosa. La Rai sottrasse la conduzione del programma a Dario Fo e Franca Rame per uno sketch su un costruttore edile che si rifiutava di dotare di misure
di sicurezza la propria azienda. La satira, sebbene espressa con battute semplici ed ironiche, fece emergere vistosamente la drammaticità della condizione lavorativa, provocando proteste e polemiche. Lo scandalo, oggetto dello sketch, venne ripreso da tutti i giornali e provocò addirittura un’interrogazione parlamentare, tanto che dopo sette puntate Fo e la Rame furono costretti a lasciare la trasmissione, venendo sostituiti da Sandra Mondaini e Tino Buazzelli. La regia era di Vito Molinari, autore insieme allo stesso Fo e a Leo Chiosso.
Dal 1963 al 1967, Canzonissima ebbe vari titoli quali Gran Premio, Napoli contro tutti, La prova  del nove, Scala Reale (condotta da Peppino De Filippo che inventò il famoso personaggio di Pappagone), Partitissima (condotta da Alberto Lupo e i siparietti di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia). Tornò al titolo originario solo nel 1968 con l’edizione che ebbe come protagonisti Mina, Walter Chiari, Paolo Panelli, secondo i critici la migliore dopo quella del 1959. Anche qui non mancarono polemiche, discussioni, tutte rientrate. La sigla di apertura era la famosa Zum zum zum cantata da tutti i cantanti in gara e quella di chiusura, Vorrei che fosse amore, cantata da Mina. Ambedue le canzoni erano firmate da Antonio Amurri e Bruno Canfora.
Ricorderemo la Canzonissima 1969 per gli specchietti che facevano da scenografia al Teatro Delle Vittorie: li volle il regista Antonello Falqui per creare un effetto ampliato su chi guardava la trasmissione. A condurla Raimondo Vianello, Johnny Dorelli e le Gemelle Kessler (“le Ge   radimento e priva di ogni concorrenza, ha potuto realizzare una “tv con velleità artistiche”.
In quest’ottica si inquadrano i grandi nomi dello spettacolo come Antonello Falqui e i registi degli sceneggiati come Sandro Bolchi. Si costruivano palinsesti che raccontano e educano.

Il pubblico non aveva gli strumenti culturali adatti a recepire un tale messaggio, non trova?

Infatti: l’obiettivo era proprio di realizzare una tv in grado di raggiungere quella platea non “attrezzata” culturalmente che aveva modo attraverso le trasmissioni in onda di intrattenersi in maniera elegante e informarsi su quanto accadeva. L’acquisto di un quotidiano, non era


 

alla portata di molti. In quest’ottica sono da inquadrare i programmi di Ugo Gregoretti come Controfagotto e le prime candid camera come quelle di Nanni Loy che rappresentavano un’Italia a 360 gradi.

 

 

Il Musichiere.  Di Giancarlo Leone
Continuando la nostra storia sui 60 anni della televisione italiana, oggi vogliamo ricordare Il Musichiere. Fu una celebre trasmissione televisiva diretta da Antonello Falqui, andata in onda il sabato sera dal 7 dicembre 1957 al 7 maggio 1960, per 90 puntate.
Condotto dall’attore romano Mario Riva, Il Musichiere fu uno dei primi giochi musicali a quiz: i concorrenti, seduti su una sedia a dondolo, dovevano ascoltare l’accenno di un brano musicale. Una volta che l’avevano riconosciuto dovevano precipitarsi a suonare una campanella a pochi metri di distanza per dare la risposta, accumulando gettoni d’oro per il monte premi finale che si conquistava indovinando il Motivo mascherato, eseguito all’apertura di una cassaforte che conteneva la vincita.
I motivi musicali erano eseguiti dall’orchestra del grande Maestro Gorni Kramer e da due cantanti:
Nuccia Bongiovanni e Johnny Dorelli, che poi fu sostituito da Paolo Bacilieri.
Il Musichiere si ispirava ad un format americano, Name That Tune, ma subito riscosse grosso successo fra i telespettatori, grazie alla semplicità del meccanismo di gioco e alla facilità con cui tutti da casa potevano partecipare in maniera attiva, facendo leva sulla conoscenza personale del proprio panorama musicale. Ma anche se il gioco era quasi identico al format americano, Mario Riva seppe conferire alla trasmissione un’atmosfera totalmente italiana e popolare. Per questo Il Musichiere ben presto diventò l’alter ego di Lascia o raddoppia?, contrapponendo l’improvvisazione al rigore, la canzonetta alla cultura. I testi erano una garanzia per la Rai di quei tempi: erano della premiata ditta Garinei & Giovannini, autori che in futuro ci avrebbero regalato tante commedie musicali teatrali, grandi ed intelligenti professionisti dello spettacolo leggero.
A Mario Riva, per Il Musichiere, furono affiancate due vallette, le “Simpatiche”, nel cui ruolo si avvicendarono Lorella De Luca e Alessandra Panaro, Carla Gravina e Patrizia Della Rovere, Patrizia De Blanck e Marilù Tolo, Mimma Di Terlizzi e Brunella Tocci. Le vincite non raggiunsero mai grossissime cifre: l’unico campione che riuscì ad essere popolarissimo, con una vincita di  circa otto milioni di lire, una cifra ragguardevole per quei tempi, fu Spartaco D’Itri, cameriere in un ristorante romano che, grazie al premio vinto, aprì un ristorante. Famosa è una sua dichiarazione: disse che quando sarebbe morto, voleva essere seppellito con il vestito con il quale aveva vinto la ragguardevole cifra.
Nel corso delle 90 puntate molti furono gli ospiti, anche grossi attori stranieri di cinema e di teatro, ma anche di sport, che erano costretti a cantare. Tra i tanti ci piace ricordare Mario Soldati, Gary


 

Cooper, Totò, Marcello Mastroianni, Jayne Mansflield, Dalida, la coppia Fausto Coppi e Gino Bartali, che si presero in giro parodiando la famosa canzone, Come pioveva (Come perdeva), Mina e Adriano Celentano. Questi due cantanti esordirono proprio in tv grazie a Mario Riva, in una famosa puntata dedicata agli urlatori, comparendo a sorpresa davanti ad un grande juke box.

 

Studio 1.  Di Giancarlo Leone

Studio Uno è stato un programma televisivo di varietà trasmesso allora sul Programma Nazionale fra il 1961 ed il 1966. La primissima puntata andò in onda il 21 ottobre 1961, l’ultima il 25 giugno 1966 per un totale di 55 puntate. E’ entrato nell’immaginario collettivo come prototipo dello spettacolo di intrattenimento “leggero” della televisione in bianco e nero degli anni ’60.
Grazie anche al regista Antonello Falqui, Studio Uno segnò l’inizio di una nuova era per il varietà e la televisione iniziò a parlare un nuovo linguaggio. Scompaiono le scenografie sfarzose e le inquadrature mostrano per la prima volta telecamere, giraffe ed altri strumenti tecnici. Il regista, reduce da un viaggio negli Stati Uniti, dove ha potuto esplorare le nuove frontiere dello spettacolo leggero, mette a frutto ciò che ha imparato e manda in onda un programma caratterizzato da un perfetto medley tra sketch, canzoni, balletti ed ospiti. Comici e ballerine si muovono su spazi grandi ed essenziali, valorizzando la mimica e le coreografie. Ad accompagnare i cantanti ospiti nelle esibizioni rigorosamente dal vivo era l’orchestra diretta da Bruno Canfora.
A condurre la prima edizione e quelle del 1965 e 1966 è stata la “signora dello spettacolo” per eccellenza, Mina, che sfoggiò abiti lunghi e generose scollature. Nell’ultima stagione la trasmissione venne divisa in quattro cicli da cinque puntate ciascuna e ogni ciclo comprendeva una primadonna diversa: nei primi tre Sandra Milo, Ornella Vanoni e Rita Pavone; nell’ultimo, a concludere la serie, nuovamente Mina.
Il varietà, che prendeva il nome dallo Studio 1 del Centro di Produzione di Via Teulada, a Roma, dove lo show veniva registrato, registrò un grande successo di pubblico e di critica, grazie, per l’appunto, alle innovazioni apportate dal regista Falqui e dal produttore Guido Sacerdote: niente scenografie sfarzose ma semplicità di spazi ampi arredati con la possibilità di movimenti e cambiamenti di scena a vista, per favorire la partecipazione degli ospiti d’onore e l’esecuzione di spettacolari balletti: determinante risultò l’apporto dello scenografo Carlo Cesarini da Senigallia.
Tanti autori, nella redazione dei testi, si sono alternati nelle varie edizioni: ricordiamo Dino Verde, Castellano e Pipolo, Lina Wertmuller, Guido Sacerdote. Studio Uno è stato un trampolino di lancio per tantissimi attori, soubrette, cantanti che poi hanno fatto tutti una brillantissima carriera. Fra i tanti Don Lurio, ideatore delle coreografie della sigla musicale della prima edizione, Da-
da-un-pa cantata e ballata dalle Gemelle Kessler, Marcel Aumont (entertainer di statura internazionale), Mac Ronay (stravagante mimo e prestidigitatore francese che chiudeva i suoi sketch con Hep!), il corpo di ballo delle Bluebell Girls, i ballerini Paolo Gozlino ed Elena Sedlak, il Quartetto Cetra e ancora Luciano Salce, Lelio Luttazzi, Rita Pavone, Milly, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini, Emilio Pericoli, Paolo Panelli, Walter Chiari, Zizi Jeanmaire, Dany Saval, Caterina Caselli, Franca Valeri.
La vera rivelazione della trasmissione fu, comunque, Mina, spigliata padrona di casa che, a prescindere dalle indubbie capacità vocali, dette vita alla rubrica L’uomo per me con brillanti duetti con grossi ospiti del calibro di Totò, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Rossano Brazzi, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni, Peppino De Filippo, Vittorio Gassman, Alberto Sordi.

Proprio nel giorno del 60esimo compleanno, 3 gennaio 2014, questa è la programmazione con cui le reti Rai hanno celebrato l’evento.
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Su Rai1 è andata in onda una lunga puntata in cui giocano un ruolo essenziale le Teche Rai. Il programma si chiama infatti “Techetechetè: 60 anni di Teche”. In più di tre ore di trasmissione
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verranno rievocati tutti i personaggi e le trasmissioni che sono entrati nella storia del piccolo schermo targato Rai. In una sorta di alfabeto ideale dalla A alla Z, si ripercorre tutta una lunga stagione di gag, siparietti comici, spettacoli importanti come Canzonissima, Mille luci, Studio Uno, Lascia o raddoppia? Il Musichiere, solo per citare qualche nome.

Subito dopo alle 23,45, una puntata speciale di Tv7 il rotocalco del Tg1 dal titolo “La storia accesa: 60 anni di Tg”. Il programma realizza una carrellata sui principali eventi di cronaca, politica, attualità, costume che hanno caratterizzato questi primi 60 anni televisivi. Dalla prima partita di calcio Italia- Egitto conclusa col punteggio di 5 a 1, fino all’ultimo evento mediatico, la morte di Nelson Mandela. E’ documentato il passaggio dal bianco e nero al colore, dalle prime trasmissioni quasi rudimentali fino al digitale di oggi. Il rotocalco ricorda anche i giornalisti che hanno raccontato questi sei decenni di tv e quelli che, nel raccontarlo, hanno perso la vita non solo come inviati di guerra.

Per celebrare il 60esimo compleanno dell’ex tubo catodico, si inizia alle 7,47 con uno spazio speciale di Unomattina: intervengono Renzo Arbore, il direttore di Rai1 Giancarlo Leone, Enrico Menduni. Si affronta il tema del linguaggio televisivo e di come è variato nel corso degli anni.
Rai News24 propone all’interno di ogni notiziario delle clip rievocative nelle quali si ricordano i momenti più significativi della nostra tv e una serie di interviste a personaggi noti della storia del piccolo schermo.

Il sito web della Rai è completamente dedicato all’evento con pagine rievocative dei cosiddetti “padri fondatori della tv” : Corrado, Baudo, Arbore, Tortora, Bongiorno, e molti altri. Vi si trovano notizie anche sulla Tv dei ragazzi, sui programmi cult di questi 60 anni e sul Radiocorriere, da sempre il settimanale legato alla programmazione delle reti di viale Mazzini.
Rai3 dedica tutta la puntata de Il tempo e la storia all’evento. Il programma, in onda alle 12,50, ha come titolo La nascita della tv. E’ un excursus dall’Italia agricola del dopoguerra al boom economico fino ad oggi, analizzando come il piccolo schermo ha cambiato gli italiani e ha dato loro una lingua comune superando i vari dialetti.
Anche le testate giornalistiche regionali hanno servizi dedicati al 60esimo compleanno del piccolo schermo nei quali rievocare gli eventi salienti e i personaggi legati al territorio.
Ma le celebrazioni continuano anche al di fuori del piccolo schermo. Il 18 gennaio, infatti, Papa Francesco ha ricevuto in una speciale udienza privata tutti i dipendenti della Rai con i loro familiari. L’incontro si svolge nella Sala Paolo VI, subito dopo che è stata celebrata la Messa dal cardinale Angelo Comastri.
Inoltre, al Vittoriano di Roma, è allestita una mega mostra per celebrare i 60 anni della tv e i 90 della Radio.

 

Specchio Segreto.  Di Giancarlo Leone
Continuiamo la nostra rassegna rievocativa dei principali programmi della tv made in Italy. Ci occupiamo di Specchio segreto.
Specchio segreto fu una trasmissione televisiva in otto puntate, in onda sul Programma Nazionale a partire dal 19 novembre 1964, scritta, ideata e diretta da Nanni Loy. Nei venticinque episodi proposti dall’autore e regista, viene messo in scena l’assurdo ed il paradosso della realtà. Gag create a tavolino ed una telecamera nascosta dietro uno specchio, mostrano al telespettatore le reazioni imprevedibili, spontanee, divertenti degli italiani. Le situazioni iniziali, comunque, furono studiate ad arte, sceneggiate da Giorgio Arlorio ed i malcapitati entrarono a far parte di un copione in parte scritto, comportandosi secondo codici prevedibili e riflessi, alquanto condizionati.
Ispirandosi al fortunatissimo format americano Candid Camera, ovvero filmare persone dalla strada a
loro insaputa, di fronte a situazioni surreali, create ad arte da attori professionisti, Specchio segreto si


 

distinse dall’originale per l’intelligenza creativa del suo autore. Il programma che aveva prettamente finalità comiche e non prevedeva lezioni morali, assomigliava molto alla commedia all’italiana. Loy non rinunciava alla risata, che nasceva dall’osservazione impietosa delle miserie altrui, ma non si privava nemmeno della lezione sociologica. Lo scherzo non era fine a sé stesso, dopo la risata c’era la riflessione sul modo d’essere dei connazionali, quasi un’analisi di costume che scaturiva dalla provocazione e dalle reazioni del malcapitato. Loy aggiungeva del cinismo alle situazioni mettendo in risalto la psicologia della vittima impreparata, superando la comicità fine a sé stessa limitata all’irridere il malcapitato. La trasmissione diventava una spietata lente di ingrandimento dell’alienazione sociale che nella civiltà neo industriale di quegli anni iniziava a diffondersi in Italia.

 

Furono prodotti venticinque sketch e lo stesso Nanni Loy fu interprete in molti di essi. Fra quelli più divertenti ricordiamo: un ingenuo cliente di un bar di Bologna che inzuppa il proprio cornetto nei cappuccini altrui; un emigrante sardo solo a Milano che ferma dei passanti per chiedere un invito ad un pranzo natalizio; un evaso dal carcere romano di Regina Coeli che chiede riparo, spaventando le vittime nel vicino rione; un taccheggiatore in un grande magazzino che si fa sorprendere da un sorvegliante innescando una spiacevole discussione; un negoziante milanese che tiene la propria moglie legata ed imbavagliata nel negozio.
Al di là del successo clamoroso di pubblico, la trasmissione fu molto criticata da più parti per  aver
abusato della inconsapevolezza delle persone coinvolte negli scherzi filmati.
Specchio segreto fa parte di quella tv definita da Renzo Arbore “ con velleità artistiche e culturali”.

 


 

Teatro 10.  Di Giancarlo Leone
Parliamo oggi, per ricordare i 60 anni della tv, di Teatro 10, che fu un varietà televisivo andato in onda sui canali Rai in tre edizioni. Il programma, che prendeva il nome dal Teatro Delle Vittorie, il numero 10, per l’appunto, dove veniva registrato, andò in onda, nella prima edizione nel 1964:
condotto da Lelio Luttazzi, con i testi di Antonio Amurri e Francesco Luzi, il varietà in 5 puntate era diretto dal grande regista Antonello Falqui.
La struttura era quella del classico spettacolo, con grandi ospiti, canzoni, balletti e spazi comici. Come lo era stato Studio 1. I balletti erano creati da Don Lurio, mentre Paolo Panelli, Sandra Mondaini, Lauretta Masiero, Luciano Salce diedero vita ad innumerevoli sketch, divertenti. Sul palco si alternarono diversi cantanti italiani, da Milva ad Ornella Vanoni, da Modugno a Mina, passando per un’esordiente Mia Martini.
Dopo ben sette anni di pausa, dal 13 marzo 1971, andò in onda la seconda edizione del programma. Gli autori erano Leo Chiosso e Giancarlo Del Re, mentre questa volta la conduzione fu affidata ad Alberto Lupo. Dopo l’esperienza come presentatore nell’edizione 1967 di Partitissima (la Canzonissima di quell’anno), l’attore abbandonava di nuovo temporaneamente i suoi sceneggiati televisivi per ritornare a condurre un varietà, anche questo sotto la regia di Antonello Falqui. La direzione dell’orchestra era curata dal Maestro Gianni Ferrio, mentre le coreografie erano ancora una volta di Don Lurio. Lo show, oltre a comici del calibro di Paolo Villaggio, Luciano Salce, Gino Bramieri, personaggi del mondo del cinema e dello sport ed a
cantanti nostrani come Domenico Modugno, Adriano Celentano, Patty Pravo, Lucio Battisti, si basava anche sulla presenza di grandi stelle musicali internazionali come Mireille Mathieu, i Bee Gees, Elis Regina, Tina Turner, Shirley Bassey, James Brown, Josè Feliciano.
Nel 1972 andò in onda l’ultima edizione, quella che a molti telespettatori rimase più impressa nei ricordi. La squadra di autori, così come il coreografo e la regia furono tutti riconfermati, alla
conduzione rimase Alberto Lupo, ma la trasmissione si arricchì della presenza fissa di una delle più grandi cantanti, nonché conduttrici dell’epoca, Mina. Dopo una pausa di quattro anni, passati tra impegni lavorativi nel mondo della musica e novità nella vita privata, Mina tornò a condurre un programma televisivo. L’ultimo era stato Canzonissima 1968. La cantante cremonese fu la stella del programma ed in ogni puntata si esibì con alcuni dei suoi grandi successi senza disdegnare anche brani internazionali. Anche in questa nuova edizione, tanti gli ospiti, tra comici e cantanti, che vi parteciparono: tra questi i ballerini classici Carla Fracci e Vladimir Vasiliev, l’organista Fernando Germani, Adriano Celentano.
Teatro 10, campione di ascolti con punte di 20 milioni di telespettatori, entrò di diritto nella storia della tv italiana grazie alla memorabile esibizione di Mina e Lucio Battisti che, in otto minuti, diedero vita ad un duetto straordinario cantando alcuni dei più grandi successi dell’artista di Poggio Bustone, come Dieci ragazze, Eppur mi son scordato di te, Il tempo di morire, Mi ritorni in mente. Il cantante in quell’occasione presentò il suo nuovo brano che di lì a poco sarebbe diventato un successo: I giardini di marzo.
Il successo di questa ultima edizione fu amplificato dalla fortuna della sigla di coda, Parole, parole, interpretata dallo stesso Alberto Lupo e dalla grandissima Mina, canzone nel tempo molto parodiata da vari autori del panorama radiotelevisivo.

 


 

Settevoci lo show che lanciò Pippo Baudo.  Di Giancarlo Leone
Continuiamo a ricordare i programmi più significativi della storia della tv. Oggi è la volta di Settevoci, la trasmissione che lanciò Pippo Baudo. Grazie a Rin Tin Tin, un programma della tv dei ragazzi di allora, Settevoci si affermò, altrimenti sarebbe, forse, rimasto un varietà sconosciuto. Invece…
Settevoci andò in onda la domenica pomeriggio sul Programma Nazionale Rai dal 6 febbraio 1966 al giugno 1970, condotto da Pippo Baudo. Sicuramente è stato il precursore dei vari talent show di oggi, come X Factor, The Voice.
Gli autori del programma furono Sergio Paolini e Stelio Silvestri (due autori che collaborarono molto con Baudo all’inizio della sua carriera), la regia era affidata a Maria Maddalena Yon, l’orchestra era diretta da Luciano Fineschi, mentre le vallette che affiancarono Baudo furono Daniela Ghibli, che avrà anche una carriera come cantante ed attrice, e Renata Lunari. Nell’ultima edizione la valletta fu Zaira Cavalleri.
Settevoci fu il primo vero programma con cui iniziò la fortunata carriera di Pippo Baudo. Era un quiz a carattere musicale dove in ogni puntata intervenivano, come ospiti, sette cantanti: due di essi erano dei principianti, iniziavano lì la loro carriera musicale e venivano giudicati da un apparecchio cilindrico chiamato “applausometro”, che registrava i battiti delle mani, quantificandoli da 1 a 100, quattro erano affermati ed uno era già famoso e, quindi, non era in gara. Ai quattro cantanti affermati, venivano abbinati quattro giovani che partecipavano al quiz rispondendo a domande sulla musica. Il pubblico decideva il vincitore.
Il programma ebbe un grossissimo successo perché vi parteciparono cantanti emergenti come Giuni Russo, Massimo Ranieri, Mario Tessuto, Orietta Berti, Al Bano, Marisa Sannia, Bruno Filippini, Giovanna, che poi diventarono, chi più chi meno, dei veri big e beniamini del pubblico.
Dicevamo che Baudo doveva ringraziare Rin Tin Tin, il telefilm di allora, precursore di Rex. Vi sveliamo il perché.
La prima puntata di Settevoci, registrata a Milano (in seguito le riprese si trasferirono a Roma), fu giudicata “intrasmissibile” dai vertici Rai. Pippo Baudo era scoraggiato, la sua carriera, o meglio la sua non carriera, poteva finire lì. Infatti l’allora trentenne Pippo, dopo un provino sul cui esito era scritto “discreto nel canto, suona discretamente il pianoforte” vide vacillare le sue belle speranze di fare tv. Ma… in quella famosa domenica 6 febbraio 1966, la bobina con la prevista puntata del telefilm americano con protagonista il cane Rin Tin Tin non pervenne. Che fare? I dirigenti Rai pensarono di tamponare il tutto con la puntata pilota di Settevoci. A volte il destino fa grandi scherzi, non a tutti però. Beh, fu un successo clamoroso, impensabile, che valse la riproposizione del programma per le domeniche successive e l’inizio improvviso di una strepitosa carriera per Baudo, che, come dicevamo, sembrava destinata a finire per sempre o non iniziare affatto. Purtroppo nessuna delle puntate di Settevoci, registrate su nastro magnetico, fu archiviata e i nastri furono cancellati. Non esistono più video di allora e negli archivi Rai restano solo alcune sigle, girate in pellicola e senza la sovraimpressione dei titoli di testa.
Nelle varie edizioni furono lanciate svariate sigle che ebbero tutte grande successo popolare: nella prima edizione 1966/’67, ricordiamo La quadriglia, cantata da Luciano Fineschi; nell’edizione 1967/’68, la sigla iniziale, Una domenica così, cantata da Gianni Morandi e quella finale, Stasera sì, cantata da Armando Savini; nell’edizione 1968/’69 le famose sigle, musicate addirittura da Pippo Baudo, Donna Rosa, cantata da Nino Ferrer e W le donne, cantata da Marcel Amont, con tratti parlati affidati a Nino Manfredi; nell’edizione 1969/’70 la sigla Sette giorni, cantata da Emy Cesaroni.

 

Il tappabuchi.  Di Giancarlo Leone
Continuiamo il nostro viaggio alla riscoperta di quei programmi televisivi che sono entrati nella storia del piccolo schermo. Oggi ci occupiamo de Il tappabuchi.
Il tappabuchi fu uno storico programma televisivo di varietà, andato in onda dal sabato 4 febbraio 1967 sul Programma Nazionale Rai Era scritto da Renzo Tarabusi e Giulio Scarnicci, presentato da Corrado con l’ “aiuto presentatore” Raimondo Vianello, com’era evidenziato nei titoli di testa e con Sandra Mondaini, Nanni Loy le Mariella Palmich. L’orchestra era diretta da Franco Pisano, mentre la regia era firmata da Vito Molinari.
Il titolo di questo varietà potrebbe far pensare ad uno spettacolo di poche pretese. Invece non era così. Infatti gli autori realizzarono uno show composito e molto divertente. Corrado e Vianello furono i mattatori di un programma a “scaletta libera”, che in un’ora mescolava giochi a quiz, sketch, balletti, canzoni, “specchietti segreti”, con tanto di ospiti d’onore, vallette e pubblico in
sala. Vianello dava vita a sketch comici, ai quali prese parte anche Corrado: sono divenute un cult le scenette recitate sulla panchina, come quella dell’uomo dalle tre gambe, o del matto che pesca, o la parodia dei Promessi Sposi, dove Vianello interpretava Lucia. Invece Corrado vestiva i panni di Renzo con i capponi in mano.
Il programma aveva anche altre invenzioni spettacolari. Corrado conduceva il gioco “La chiave nel cassetto”, una sorta di raffa familiare, dove il concorrente in possesso della chiave doveva scegliere tra la vincita di una somma sicura, da un minimo di 100.000 lire ad un massimo di
300.000 lire ed il contenuto a sorpresa (dal pacchetto di fiammiferi ad un’utilitaria) del cassetto corrispondente. Queste erano le occasioni nelle quali Corrado evidenziava tutta la sua verve: stuzzicava, convinceva, confondeva per poi rimettere in palio il premio rifiutato dal concorrente in un quiz per i telespettatori. Nanni Loy, coadiuvato da Sandra Mondaini, era l’autore di varie candid camera a sfondo comico, realizzate in giro per l’Italia, usando come “specchietto per le allodole” la bella Mariella Palmich.
Anche la parte conclusiva del programma era singolare: la sigla finale sceneggiata inaugurava una
serie fortunata che in futuro confluirà nei programmi televisivi della coppia Mondaini – Vianello. Insomma Il tappabuchi è stato un vero varietà, nel senso più totale del termine ed è davvero un peccato che non venga ricordato quanto merita.

 

 


 

Biblioteca di Studio Uno.  Di Giancarlo Leone

 

Nel 1964, Studio Uno, il grande varietà di cui abbiamo già parlato la volta scorsa, prese una pausa di un anno. Al suo posto è andata in onda Biblioteca di Studio Uno, una serie televisiva
antologica trasmessa dalla Rai in otto puntate, della durata ci circa 80 minuti, fra il 15 febbraio ed il 18 aprile 1964, per l’appunto, sull’allora Programma Nazionale.
Il programma, in bianco e nero, con la regia di Antonello Falqui e le coreografie di Gino Landi (i primi ballerini erano Paolo Gozlino ed Elena Sedlak), costituì una sorta di “Spin Off” del varietà del sabato sera, Studio Uno, e come quello fu programmato nella serata del sabato che, ancora oggi, come negli anni ’60, era tradizionalmente riservata all’intrattenimento leggero.
Protagonisti della trasmissione, una novità per quei tempi – a metà strada tra il varietà, l’operetta e le moderne fiction di oggi – erano i componenti del Quartetto Cetra, che venivano affiancati, volta per volta, da grossi attori di cinema e di teatro, del calibro di Alberto Lupo, Paolo Panelli, Cesare Polacco – il noto Ispettore dei Caroselli Linetti – Sandra Mondaini, Vittorio Congia, Nilla Pizzi, Gino Cervi, Alberto Bonucci, tutti impegnati nella parodia di note opere della letteratura, molte delle quali oggetto nel futuro di riduzioni in sceneggiato televisivo. Fra gli interpreti fissi l’attrice Grazia Maria Spina nel ruolo della dicitrice che apriva e chiudeva ogni trasmissione.
Autori dei testi erano gli stessi di Studio Uno, ossia Antonello Falqui, anche regista, Guido Sacerdote, Dino Verde – famoso per i “centoni”, cioè parodie di canzoni con altre parole, senza stravolgerne la metrica – affiancati dallo stesso Quartetto Cetra, mentre la direzione musicale era affidata a Bruno Canfora.
Era prevista una nona puntata con la parodia dei Promessi Sposi, ma non venne realizzata per il veto della Rai che non voleva danneggiare il vero sceneggiato che il regista Sandro Bolchi stava realizzando in quel periodo e che sarebbe andato in onda nel gennaio 1967 con Paola Pitagora e Nino Castelnuovo nel ruolo dei protagonisti, Lucia e Renzo. Nel 1985, il Quartetto Cetra si prese la rivincita, portando a termine in una puntata de Al Paradise, sempre con la regia di Antonello Falqui, la parodia dei Promessi Sposi.
Biblioteca di Studio Uno fu il primo esperimento di “rivista in versione kolossal” della televisione italiana. Colossale, infatti, fu l’impiego di attori e strutture scenografiche nello Studio 1 del Centro di Produzione di Via Teulada: 160 fra attori e cantanti, oltre a 1500 comparse e 400 canzoni appositamente riadattate nel testo in funzione degli sketch che erano l’ossatura del programma.
Gli adattamenti, i classici “centoni” creati da Dino Verde, erano caratterizzati dalla perfetta metrica dalle soluzioni più fantasiose. Il programma resta uno dei momenti più alti della storia della


 

televisione, un esempio di intelligenza e humour che nessuno è più riuscito ad eguagliare. Riportiamo qui di seguito i titoli delle 8 parodie-opere trasmesse in tv; erano nell’ordine: Il conte di Montecristo, Il fornaretto di Venezia, I tre moschettieri, Il Dottor Jekyll e Mr Hyde, La storia di Rossella O’ Hara, La primula rossa, Al Grand Hotel, Odissea.

 

Giochi senza frontiere.  Di Giancarlo Leone
Nella storia dei programmi televisivi più significativi, occupa un posto importante Giochi senza Frontiere, una trasmissione televisiva prodotta dall’Unione Europea di Radiodiffusione (UER) e derivata dal programma francese Intervilles, a sua volta ispirato alla trasmissione italiana Campanile sera. E’ andata in onda tra il 1959 ed il 1961, condotta da Mike Bongiorno, Enzo Tortora, Renato Tagliani, sostituito poi da Enza Sampò.
L’idea del programma fu del Presidente francese Charles de Gaulle, che voleva che i giovani francesi e tedeschi s’incontrassero in un torneo di giochi allo scopo di rafforzare l’amicizia tra Francia e Germania. Nel 1965 tre francesi – Pedro Brime, Claude Savarit e Jean Louis Marest – proposero l’idea dei giochi anche ad altri Paesi europei.
La prima edizione andò in onda nel 1965 e poi ogni estate ininterrottamente fino al 1982; dopo una sospensione di alcuni anni, il programma riprese nel 1988 ed andò avanti fino al 1999. Giochi senza frontiere erano una sorta di olimpiadi dove ogni nazione partecipante era rappresentata, in ogni puntata, da una diversa città o cittadina che sfidava in prove molto divertenti e bizzarre le città delle altre nazioni. In quasi tutte le edizioni ciascuna puntata veniva ospitata in una delle città partecipanti alla puntata stessa; nelle ultime quattro edizioni i giochi furono disputati in un’unica sede. Nella prima edizione del 1965 parteciparono Belgio, Francia, Germania Ovest e Italia e nel corso degli anni si avvicendarono in totale 20 nazioni. L’Italia è stata l’unica nazione che ha partecipato a tutte le edizioni estive della manifestazione che, inizialmente limitata a nazioni del Mercato Europeo Comune, Regno Unito e Svizzera, venne poi abbandonata da alcune di queste, sostituite da altre nazioni europee.
Dal 1966 al 1982 gli arbitri ufficiali furono gli svizzeri Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi. Alla ripresa vi furono il belga Denis Pettiaux ed il suo assistente Carlo Pegoraro.
In Italia il programma venne trasmesso, dal 1965 fino al 1982, prima sul Secondo Programma della Rai , in seguito Rai2 (nel 1965 e nel 1966 fu condotto da Enzo Tortora e Giulio Marchetti; nel 1967 e nel 1968 fu condotto da Enzo Tortora, Giulio Marchetti e Renata Mauro; nel 1969 e nel 1970 fu condotto da Giulio Marchetti e Renata Mauro; dal 1971 al 1977 fu condotto da Giulio Marchetti e Rosanna Vaudetti; nel 1978 da Ettore Andenna e Milly Carlucci; dal 1979 al 1981 da Michele Gammino e Milly Carlucci; nel 1982 da Michele Gammino e Simona Izzo; successivamente Claudio Lippi, Ettore Andenna, Maria Teresa Ruta, Carlo Conti, Antonello Dose, Marco Presta) e poi dal 1988 fu trasmesso su Rai1. L’Italia ha vinto 4 volte: nel 1970, 1978, 1991 e 1999. Questa trasmissione televisiva ha anticipato di anni il processo di avvicinamento dei vari Paesi dell’Unione europea, in anni in cui non si parlava ancora dell’Euro.
Il successo di Giochi senza Frontiere superò qualsiasi previsione e risultò travolgente in tutta Europa. Nel 1977, ad esempio, una puntata di Giochi senza Frontiere fece segnare un’audience di 17 milioni di telespettatori, ma secondo alcune fonti la trasmissione avrebbe toccato i venti milioni. Anche con la ripresa del 1988 il programma ebbe un notevole successo nonostante il periodo estivo.

 


 

Doppia coppia con Alighiero Noschese.  Di Giancarlo Leone
Finalmente un po’ di vere imitazioni in tv, grazie a Alighiero Noschese. Dall’8 marzo al 26 aprile del 1969, il sabato sera sul Programma Nazionale, andò in onda il varietà Doppia coppia. Gli autori erano Antonio Amurri e Dino Verde, mentre la regia era affidata ad Eros Macchi.
Perché questo titolo? Subito detto: il programma si basava su due coppie di artisti: una delle due curava la parte comica del programma, l’altra coppia curava la parte musicale. Di questo
programma vi furono due edizioni: la prima fu condotta da Alighiero Noschese con Bice Valori,                                                                                                                                             
Lelio Luttazzi e una giovane e bellissima Sylvie Vartan.
Doppia coppia principalmente era un varietà imperniato sul trasformismo di Alighiero Noschese. Questo nuovo show del sabato sera andò in onda in sette puntate. Era basato sulla partecipazione di una coppia comica, Alighiero Noschese e Bice Valori, ed una musicale, Sylvie Vartan e
Lelio Luttazzi. Ogni settimana c’era inoltre un cantante ospite che presentava il suo ultimo successo. Bice Valori aveva in ogni puntata il ruolo di una divertente centralinista della Tv, che, insieme a Luttazzi e a Noschese, parodiava la popolare rubrica radiofonica, Chiamate Roma 3131. Noschese, dal canto suo, portò sul video nuove imitazioni di uomini politici, giornalisti, presentatori, personaggi dello spettacolo. In quell’anno, proprio l’imitatore ebbe l’autorizzazione a dar vita in televisione all’imitazione di personaggi politici, cosa fino ad allora proibitissima.
Determinante fu il consenso di Giovanni Leone, futuro Presidente della Repubblica, dal 1971 al 1978, che tra l’altro era stato suo docente all’Università di Napoli, incoraggiandolo anche a
proseguire a fare l’imitatore. Da quel momento, a detta dello stesso Noschese, sembra che molti personaggi dello spettacolo e della politica gli chiedevano espressamente di essere invitati, sia per acquisire maggiore visibilità, sia per non essere considerati personaggi di secondo piano. Essere invitati da lui diventò sinonimo di massima notorietà.
Tornando a Doppia coppia, la Vartan cantava due brani musicali per trasmissione e si esibiva poi in divertenti duetti con Luttazzi, che garbatamente in ogni puntata, per volere del copione, la corteggiava. Ma, forse, si pensava le piacesse veramente: lui un discreto quarantenne, lei una ventenne o poco più bellissima. Con questa scusa Luttazzi preparò per lo show una serie di canzoncine. Un ruolo importante nello spettacolo lo ebbe anche il balletto con le coreografie di Gino Landi, composto da cinque coppie di primi ballerini.
Doppia coppia fu un grandissimo successo, soprattutto per Alighiero Noschese, che ottenne la sua consacrazione ad artista di primissimo livello. Con una media di 18.600.000 telespettatori a puntata, il varietà si classificò come la terza trasmissione più seguita del 1969 e venne replicata l’anno successivo. La seconda edizione, andata in onda dal 2 maggio al 6 giugno 1970, vide ancora la partecipazione della coppia Noschese – Valori, mentre Lelio Luttazzi e Sylvie Vartan furono sostituiti da Massimo Ranieri e Romina Power.

 

Speciale per voi.  Di Giancarlo Leone
Speciale per voi è il talk show musicale trasmesso dal 1969 al 1971 sul secondo canale della
Rai, condotto da Renzo Arbore, con la collaborazione di Leone Mancini .
Dopo essersi fatto conoscere in radio, collaborando con Gianni Boncompagni in uno dei mitici programmi di allora, Bandiera Gialla, che galvanizzò i più giovani tra il 1964 ed il 1969 il sabato pomeriggio (ma solo nel ’70 la coppia – Arbore verrà consacrata con il programma intrattenimento, Alto Gradimento), ecco, dunque, Arbore in tv con Speciale per voi, La regia era affidata a Carla Ragionieri, poi a Romolo Siena, infine a Salvatore Nocita. La prima puntata andò in onda il 18 marzo 1969, in seconda serata alle 22.15.
La trasmissione metteva a confronto cantanti e musicisti dell’epoca con il pubblico che interveniva ed era libero di dire la sua, criticando a tu per tu gli artisti che venivano ad esibirsi dal vivo
nel programma. Questo confronto schietto tra musicisti e pubblico, che risentiva del clima di contestazione dell’epoca (soprattutto nelle critiche rivolte agli artisti di connivenza al sistema


 

commerciale delle major e nell’esposizione delle problematiche giovanili dell’epoca) portò a famose discussioni: fu il caso di una litigata tra Don Backy ed il pubblico, di Claudio Villa che si confrontò duramente con i giovani in studio (tra cui spiccava il figlio, unico a difenderlo), della fuga in lacrime di Caterina Caselli, offesa dalle critiche ricevute. Ma anche altri beniamini del pubblico furono oggetto di critiche da parte dei giovani presenti in studio: furono i casi di Lucio Battisti, Gino Paoli, Sergio Endrigo.
Oltre al dibattito con i musicisti, la trasmissione ospitava esibizioni dal vivo, dava spazio al teatro, alla letteratura, alla poesia, al cinema. Le note erano un punto di incontro per argomenti molto diversi e soprattutto per i giovani, presenti in studio ed importanti destinatari del programma. Sono gli anni della contestazione studentesca ed i ragazzi, come già detto, discutevano animatamente con gli ospiti, curiosi ed inquieti. La televisione diventava un’occasione per loro per affermare il desiderio di cambiamento. Renzo Arbore, artista sagace, intelligente, preparato musicalmente, che ha precorso sempre i tempi, vide nella loro protesta la voce concreta della massa, facendo risalire la nascita della contestazione ai fermenti rivoluzionari della metà degli anni ’60, alimentati dalla musica dei Beatles.
Al termine di una puntata del 1970 venne eseguita, come sigla di chiusura, la canzone inedita Lasciami vedere il sole di Mogol e Battisti, interpretata dal vivo dai maggiori gruppi del panorama musicale italiano presenti in studio per l’occasione: Camaleonti, Formula 3, Equipe 84, Profeti, Rokes, Dik Dik, Giganti, New Trolls, che si passarono via via il microfono.

 

Signore e signora.  Di Giancarlo Leone

L’inizio del 1970 regala al pubblico televisivo un nuovo varietà veramente divertente e a carattere familiare: stiamo parlando di Signore e signora, programma di intrattenimento in 7 puntate, andato in onda dal 10 gennaio al 7 marzo 1970, il sabato sera sul Programma nazionale. Lei era “ciccina”, la brava e mai dimenticata Delia Scala; lui era “ciccino”, ovvero il simpatico “merlo maschio” per gli italiani, Lando Buzzanca.
Gli autori erano Antonio Amurri e Maurizio Jurgens, gli stessi che inventarono per la radio negli anni ’60 il famoso Gran Varietà, le coreografie erano di Gino Landi, le musiche di Franco Pisano e la regia di Eros Macchi. La trasmissione si basava sulle vicende di un menage di una coppia di sposi e presentava l’evoluzione del rapporto dal primo incontro al fidanzamento e al matrimonio     e poi alla vita a due e ai classici conflitti amorosi. Ad affiancare Delia Scala e Lando Buzzanca, Clelia Matania, nel ruolo della suocera superba e Paola Borboni, nei panni della madre dello sposo, spalleggiavano i propri figli, alimentando la comicità degli sketch. Il programma era un misto tra una moderna sitcom ed il varietà e presentava monologhi, scenette comiche, musiche e balletti. In ogni puntata interveniva una coppia di attori famosi.
All’epoca, la protagonista femminile Delia Scala era già molto nota ed apprezzata dal pubblico televisivo (era stata protagonista nel 1968 del varietà Delia Scala Story), ma anche da quello teatrale, dove era stata protagonista di molte commedie musicali della premiata Ditta Garinei & Giovannini (come non ricordare Rinaldo in campo nel 1961 accanto a Domenico Modugno, e poi Giove in doppio petto, Buonanotte Bettina, L’adorabile Giulio, Il giorno della tartaruga, My
Fair Lady); per Lando Buzzanca invece la trasmissione, nella quale mise in evidenza tutte le sue qualità comiche, si rivelò un grande trampolino di lancio soprattutto nel cinema, consentendogli di uscire da quel cliché da caratterista nel quale era utilizzato in quegli anni.
In Signore e signora passò alla storia la sua battuta “Mi vien che ridere”, ripetuta spesso nel programma, diventando un vero e proprio tormentone ripetuto dal pubblico per anni. In questa trasmissione venne inventato un altro personaggio, il burino Buzzango, che l’attore riproporrà con successo nella trasmissione radiofonica Gran Varietà.
Le sette puntate di Signore e signora registrarono un ascolto medio di 19 milioni di telespettatori,
guadagnandosi un posto d’onore nella classifica dei programmi più visti dagli italiani nel 1970. La sigla finale, molto orecchiabile, era L’amore non è bello se non è litigarello, cantata da Jimmy


 

Fontana, recentemente scomparso.

 

Rischiatutto.  Di Giancarlo Leone
Il febbraio del 1970 segna il ritorno in tv di Mike Bongiorno con un nuovo telequiz, che nel tempo divenne un cult nella storia dei quiz televisivi, bissando il successo di Lascia o raddoppia? Stiamo parlando di Rischiatutto, andato in onda il giovedì sera per cinque edizioni, sul Secondo Canale Rai, dal 5 febbraio 1970 fino al 25 maggio 1974.

L’idea originale fu presa dal format americano del programma Jeopardy! La trasmissione, inizialmente, doveva chiamarsi Repentaglio, ma il titolo, fortunatamente, venne cambiato qualche giorno prima dell’inizio della trasmissione, grazie proprio a Mike Bongiorno. Autori del quiz erano Paolo Limiti e Ludovico Peregrini, che a causa dei suoi inevitabili dinieghi alle richieste di deroga dal regolamento, venne soprannominato “Signor No”.

La regia era di Piero Turchetti, co-autore del programma, che passò alla storia della televisione italiana grazie alla frase che Bongiorno usava per presentarlo: “Fiato alle trombe Turchetti!”. La sigla di testa e le sigle di coda furono ideate e realizzate da Sandro Lodolo. Nella conduzione del quiz, il presentatore fu affiancato per tutte e cinque le edizioni da una giovane valletta italo- argentina, un volto nuovo per la tv: Sabina Ciuffini, studentessa universitaria di filosofia a Roma, la prima valletta “parlante” nella storia dei quiz di Mike Bongiorno. Fino al luglio 1970 il quiz fu registrato al Teatro delle Vittorie di Roma; con la ripresa, dal settembre 1970, il quiz si registrò negli studi della Fiera di Milano, con l’eccezione delle semifinali e delle finali del 1972 e poi del 1974, ospitate nel più capiente Teatro dell’Arte di Milano.

Il quiz ad ogni puntata, dove partecipavano, tre concorrenti, iniziava con le domande preliminari. Ogni concorrente rispondeva singolarmente a dieci domande preliminari su una materia da loro scelta. Ogni risposta esatta permetteva al concorrente di vincere 25.000 lire; se rispondeva esattamente a tutte e dieci andava in cabina con 250.000 lire.

Alla fase preliminare, prettamente introduttiva, seguiva la fase clou del gioco: i tre concorrenti, chiusi in tre cabine vicine, si sfidavano al tabellone elettronico, novità per quegli anni, scegliendo la materia della domanda cui rispondere ed il valore del premio per la risposta esatta.
Il valore dei premi, per ogni materia, andava dalle 10.000 lire alle 60.000 lire; al maggior valore del premio corrispondeva una maggiore difficoltà della domanda. Le sei materie oggetto del gioco, prescelte dagli organizzatori, variavano ad ogni puntata e spaziavano fra gli argomenti più
disparati. Le categorie delle domande al tabellone riguardavano materie generaliste, di attualità, di cultura, di cui più o meno tutti i concorrenti potevano conoscere qualcosa.

Particolarmente innovativo per il pubblico fu l’inserimento del “tabellone elettronico” di brevi filmati
e diapositive ad introduzione delle domande.

Il gioco era reso ancor più interessante dalla presenza sul tabellone di caselle più o meno favorevoli ai concorrenti: le caselle “jolly” che permettevano al concorrente che avesse selezionato la casella fortunata, di introitare il premio relativo a quella casella senza dover rispondere ad alcuna domanda; le caselle “Rischio” che consentivano al concorrente che le avesse scelte di poter puntare una cifra a sua scelta, da 100.000 a 1.000.000 di lire. In caso di risposta esatta la cifra si aggiungeva al suo capitale di gioco, in caso di risposta negativa gli sarebbe stata detratta, consentendo grossi colpi di scena, da modificare o capovolgere la classifica ed il montepremi dei tre giocatori.

Una volta esaurite le domande del tabellone, ogni concorrente doveva scegliere una busta in cui


 

era contenuta la domanda finale sulla propria materia: su questa risposta il concorrente si giocava tutto il montepremi che aveva vinto durante la serata: se rispondeva esattamente raddoppiava tutto ciò che aveva accumulato nella puntata, se la risposta era errata perdeva tutto.
Tanti i concorrenti che parteciparono al Rischiatutto. Fra questi ricordiamo: la prima campionessa, Giuliana Longari, che rispondeva a domande sulla storia romana, il farmacista fiorentino Andrea Fabbricatore, Massimo Inardi, medico di Bologna, esperto di musica classica con la passione della parapsicologia, Ernesto Marcello Latini, il tabaccaio di Monte Porzio Catone, il subacqueo Enzo Bottesini.
Numerosissimi gli episodi che hanno fatto parte della mitologia della trasmissione: dalle audaci minigonne della valletta Sabina Ciuffini, dalle storpiature nella formulazione delle domande, causa di inevitabili polemiche fra conduttore e concorrenti, a momenti di intensità emotiva come l’attesa per la risposta alla domanda finale. Molte le gaffe di Mike Bongiorno. Passerà alla storia quella nei confronti della campionessa Longari, che avrebbe sbagliato una risposta mai formulata in realtà su L’uccello di fuoco di Igor Stravinskij (“Lei mi cade sull’uccello!”) fu una leggenda metropolitana. Le cinque edizioni del telequiz furono seguite in media da 20 milioni di telespettatori.

 

Sai che ti dico?  Di Giancarlo Leone
Nel nostro lungo viaggio attraverso i 60 anni della tv, siamo arrivati all’anno 1972. Il piccolo schermo aveva oramai 18 anni e diventava maggiorenne. Le trasmissioni iniziavano a moltiplicarsi in quanto il pubblico diventata sempre più numeroso. Oggi siamo arrivati ad occuparci di un programma dal titolo Sai che ti dico? che si inseriva nel trend del varietà molto in voga.
Infatti, anche il 1972 si apriva con un nuovo varietà, Sai che ti dico? un programma televisivo in sette puntate, andato in onda dall’8 gennaio al 19 febbraio 1972, il sabato sera sul Programma Nazionale. Era condotto da Raimondo Vianello, Sandra Mondaini, Iva Zanicchi e Minnie Minoprio, che   si era fatta conoscere l’anno prima mimando e sospirando la sigla di chiusura di Speciale per noi, cantata da Fred Bongusto, Quando mi dici così.
Autori dei testi erano lo stesso Raimondo Vianello con Giulio Scarnicci, le scenografie di Tullio Zitkowsky, le coreografie di Don Lurio, i costumi di Enrico Ruffini, l’orchestra diretta da Bruno Canfora e la regia di Antonello Falqui. Anche per questo varietà non si poteva avere di meglio nell’intero cast, il vero gotha per gli spettacoli di allora. Già la regia di Falqui era una garanzia.
Ognuna delle sette puntate dello show del sabato sera era dedicata ad un tema specifico, trattato in chiave umoristica. Minnie Minoprio nella sigla si trasformava continuamente, passando dalle piume di struzzo al lamè, grazie ai costumi ideati per lei da Ruffini ed ogni mutamento permetteva al regista di cambiare lo stile dei titoli di testa. Vianello, autore e conduttore del varietà, era circondato da tre donne: Minnie Minoprio, si esibiva in balletti a soggetto, Sandra Mondaini e un’inedita   Iva Zanicchi che, oltre a cantare, si improvvisava attrice. L’ospite fisso della trasmissione era il grande compositore e cantante francese Gilbert Bécaud, che ogni sabato, quasi verso la fine del programma, proponeva un suo mini recital, cantando canzoni del suo repertorio.

 


 

Speciale per noi.  Di Giancarlo Leone
L’inizio del 1971 regala ai telespettatori un nuovo varietà, Speciale per noi, da non confondere con
Speciale per voi di Renzo Arbore.
Speciale per noi, questo nuovo spettacolo del sabato sera in sette puntate, andò in onda sul Programma nazionale dal 9 gennaio al 20 febbraio del 1971 e nasceva all’insegna del divertimento, garantito dalla presenza fissa di quattro attori molto amati dal grande pubblico televisivo: Paolo Panelli, Bice Valori, Aldo Fabrizi ed Ave Ninchi. Gli autori erano una garanzia: Antonio Amurri e Maurizio Jurgens, che sull’umorismo la sapevano lunga, l’orchestra era diretta da Gianni Ferrio, le coreografie erano di Don Lurio, le scenografie di Cesarini da Senigallia, la regia di Antonello Falqui. C’era l’intero gotha dello spettacolo televisivo.
Dalla mezza età che accomunava i quattro attori presentatori, nasceva il pretesto del programma che voleva rivolgersi, in primis, ai meno giovani, per proporre un’ampia carrellata di vedette internazionali come Juliette Gréco, Joséphine Baker, Caterina Valente, chiamate ad animare momenti musicali legati a successi del passato. A fare da collante tra un’esibizione e l’altra c’erano i gustosi siparietti comici offerti in particolare da Aldo Fabrizi, che propose una serie di interpretazioni tagliate su misura per lui e collaudate in tanti anni di cinema e di teatro da quella famosa del tranviere, a quella del vetturino di carrozza, dal cameriere di ristorante allo sciatore.
Paolo Panelli, invece, presentava una serie di monologhi su temi apparentemente seri, come l’amore romantico, che ben si prestavano a diventare bersaglio delle punzecchiature ironiche che contrassegnavano la sua vis comica. Ave Ninchi e Bice Valori vestivano di volta in volta i panni  di mogli di personaggi di grosso calibro, politici, cantanti, miliardari, calciatori e capi clan. Divertenti anche i siparietti in cui i quattro attori ballavano in alcune puntate con Don Lurio: ricordiamo il balletto sul motivo della canzone In the summertime cantata dai Mungo Jerry, un vero spasso.   Lo spettacolo era completato da musiche, balletti ed esibizioni di cantanti intervenuti in veste di ospiti. Famosissima diventerà la divertente canzone, sigla di chiusura del programma: Quando mi dici così, cantata da Fred Bongusto, affiancato da una nuova soubrette, Minnie Minoprio, che nel 1972 farà parte del cast del varietà del sabato sera, Sai che ti dico? con Raimondo Vianello, Sandra Mondaini ed Iva Zanicchi.

 

Dove sta Zazà.  Di Giancarlo Leone

Il nostro viaggio attraverso i 60 anni della tv continua. Oggi ci occupiamo del varietà dal titolo

Dove sta Zazà.

Il 1973, da sabato 19 maggio, regalò ai telespettatori di Raiuno il varietà Dove sta Zazà, con Gabriella Ferri, Enrico Montesano, Pippo Franco, Oreste Lionello e Pino Caruso. I testi erano di Antonello Falqui, che firmava anche la regia, Mario Castellacci e Pierfrancesco Pingitore, l’orchestra era diretta da Franco Pisano e le coreografie erano curate da Gino Landi. Il titolo del programma prendeva spunto dalla canzone omonima, rilanciata da Gabriella Ferri, che la cantava all’inizio dello spettacolo vestita da clown.
Nelle quattro puntate dello show, ripreso a colori (anche se i programmi a colori partirono solo nel 1977) e trasmesso ancora in bianco e nero, la cantante romana Gabriella Ferri, in abiti clowneschi, rievocava nostalgicamente l’età d’oro del cabaret, riproponendo le canzoni ed i personaggi, interpretati dai comici che l’affiancavano nello spettacolo, che dettero vita alle rivista dagli anni ’20 in poi. Fra le varie scenette, da ricordare la canzone E levate a cammisella, cantata da Montesano, che eseguì uno spogliarello molto divertente, quasi al peperoncino.
Leitmotiv della trasmissione era la ricerca di Zazà, “qualcosa di introvabile che sta tra l’illusione e la speranza”. In studio si ricreò il vero ambiente del cabaret, con una pedana per le esibizioni e tavolini

 


 

dove si accomodavano gli spettatori.
La sigla di chiusura del programma era la canzone Sempre, cantata da Gabriella Ferri, che fu molto apprezzata dal pubblico e molto gettonata in quel periodo.
A distanza di due anni, dal 15 novembre 1975, per quattro settimane, gli stessi autori e regista di Dove sta Zazà, ripropongono un altro varietà simile a questo, però questa volta l’obiettivo è rivolto agli anni ’50. Titolo dello spettacolo, Mazzabubù, con Gabriella Ferri, Oreste Lionello, Gianfranco D’Angelo, Enrico Montesano e Pippo Franco. La popolare cantante romana e l’allegra brigata del Bagaglino raccontavano, attraverso le canzoni, gli sketch, i monologhi ed i balletti, alcuni avvenimenti di quegli anni: i matrimoni celebri, la “dolce vita” della capitale, la scalata del K2, le manie americane e gli altri vezzi degli italiani. Alcune canzoni presentate in questo spettacolo da Gabriella Ferri, vennero poi raccolte nell’album Mazzabubù, pubblicato nello stesso anno.

 

Formula 2.  Di Giancarlo Leone
Il varietà Formula Due, andato in onda su Raiuno da sabato 24 novembre 1973 a sabato 12 gennaio 1974, al posto di Canzonissima, che da quell’anno era stata collocata alla domenica pomeriggio, ebbe un grande successo grazie a due attori e conduttori, Alighiero Noschese e Loretta Goggi.
Insieme formarono una coppia artistica formidabile. Grazie alla loro magistrale bravura, quei sabati sera la Rai mise in scena un programma innovativo totalmente dedicato alle imitazioni di personaggi famosi, arricchito da balletti ed ospiti illustri.
Con i testi dell’accoppiata vincente Antonio Amurri e Dino Verde, la regia di Eros Macchi, le scenografie di Tullio Zitkowsky, i costumi di Corrado Colabucci, le coreografie di Don Lurio e l’orchestra diretta da Enrico Simonetti, Forrmula Due ebbe un successo notevole: fu premiato da un ascolto medio di 21,8 milioni di telespettatori a puntata, risultò il programma più seguito del 1973. Il varietà fu registrato in via sperimentale a colori, ma trasmesso in bianco e nero, poiché nelle case degli italiani il colore arriverà solo nel 1977.
Per questo spettacolo del sabato sera, Noschese mise a disposizione di Loretta Goggi il suo archivio personale di imitazioni e la showgirl accettò di diventare allieva perché si rendeva conto che solo provando accanto a quel mostro di bravura poteva migliorare il suo talento naturale e diventare ancora più brava. Loretta Goggi si trasformò in tutte le dive italiane e straniere amate dal grande pubblico: imitò Greta Garbo, Barbra Streisand, Amalia Rodriguez, Glenda Jackson, Wanda Osiris. Con Noschese raggiunse il massimo livello di perfezione imitando celebri coppie: Josephine Baker e Maurice Chevalier, Nilla Pizzi ed Achille Togliani, Liz Taylor e Richard Burton, Sophia Loren e Carlo Ponti. Ogni puntata diventava una gara di bravura, un susseguirsi di gag, ritratti e personaggi che entravano ed uscivano da una porta girevole. Questo sodalizio si rivelò veramente ottimo.
Formula Due ha rappresentato il punto di incontro di due brillanti artisti, Loretta Goggi, reduce dai successi di Canzonissima 1972 con Pippo Baudo, l’ultima collocata nei palinsesti del sabato sera, e lanciatissima nel firmamento televisivo ed Alighiero Noschese, uno dei personaggi più noti di allora che iniziava, al contrario, la propria parabola discendente, terminata tragicamente quel 3 dicembre 1979 quando in una clinica romana si suicidò in preda ad una crisi depressiva, di cui il comico soffriva di frequente.
La sigla di testa della trasmissione era la divertente Molla tutto, cantata e ballata da Loretta Goggi, mentre quella di coda era Per dire ciao, un tema musicale eseguito al pianoforte da Enrico Simonetti.

 


 

Sergio Zavoli ricorda i 60 anni della Rai.  Di Giancarlo Leone
Sergio Zavoli giornalista, scrittore e politico italiano, ha iniziato la sua attività nel 1947 come giornalista radiofonico per poi passare alla tv, dal 1954 in poi. Personaggio che davvero
attraversato tutti i 60 anni del piccolo schermo, è intervenuto per la celebrazione del compleanno                                                                                                                                  della tv con un’intervista rilasciata al Radiocorriere tv. La riportiamo integralmente, vista l’importanza del personaggio e dei contenuti.

“La Rai ha aperto la strada all’alfabetizzazione, ha dato agli italiani una lingua comune, ha promosso la vicinanza tra popolo e Paese, ha favorito la crescita e le qualità della vita sociale, culturale, economica, imprimendo sui fatti il segno, per la verità non sempre esemplare, della modernità. E oggi sta vincendo una bella battaglia con l’articolata strategia del “digitale terrestre”, senza togliere nulla alla produzione generalista”. Così il senatore Sergio Zavoli, già presidente della Rai e della Commissione parlamentare di Vigilanza in un’intervista esclusiva per i 60 anni della Rai, rilasciata al Radiocorriere Tv.

“Ricordo prosegue - quando nel 1980, alle prese con il mio primo Cda, avvertii un disagio e persino un allarme nell’Azienda, preoccupata dal veder nascere la concorrenza. Venivamo dai latifondi ideologici, poi dai compromessi della lottizzazione, infine stava salendo il progetto di una forma pluralista della politica riassunta in “impresa privata incaricata di Servizio pubblico”. Il mercato stava diventando una risorsa del Paese, occorreva solo confrontarsi, distinguendo la “nostra” dalla televisione “altrui”, non assumendo le forme, e meno ancora gli interessi, di una
televisione commerciale seppure di rango. Invece, per paura di perdere ascolto, anziché dar forza e identità ulteriori al nostro modello ci fu uno strisciante appiattimento sulle modalità e il linguaggio della concorrenza. E’ occorso del tempo per ritrovare la tonalità di un Servizio pubblico a lungo distratto da nuove, strumentali lusinghe”.

La Rai afferma Zavoli - non è la divisa, né la livrea, né l’abito da sera, ma nemmeno quello per sfaccendare, della nostra Tv. E’ di più, è il Servizio pubblico. Lo paghiamo con un canone il cui senso richiede di protrarre l’identità di uno strumento, la Tv, che il Nobel indiano Amartya Sen ha dichiarato essere diventato “efficace” quanto l’economia, se non di più. Quella d’oggi, credo intendesse”. “Mi auguro – conclude - che una futura ingegneria e sociologia aziendale non generi scenari suggestivi che inducano solo all’intelligenza pratica del “giorno per giorno”, espressione sodale del conformismo e primo socio del compromesso. Meglio sarebbe un ragionevole rapporto con una politica non politicante che rispondesse, nello spirito di una reciproca responsabilità,
al problema di sostenere un’Italia che parla e confronta, s’interroga e vuol sapere, registra e
interpreta, ma soprattutto rifiuta e sceglie in nome di un comune futuro”

 

Milleluci.  Di Giancarlo Leone
Milleluci fu uno show condotto da Mina e Raffaella Carrà e per quell’anno fu un grossissimo successo di pubblico e di critica. Fu trasmesso il sabato sera su Raiuno, in prima serata, dal 16 marzo all’11 maggio 1974. Anche per questo spettacolo la Rai non badò a spese. Ospiti, ricche scene, fasti e tra i collaboratori, ancora una volta, l’intero gotha del varietà: firmavano i testi Roberto Lerici ed Antonello Falqui (che curava anche la regia), le scenografie erano di Cesarini da Senigallia, i costumi di Corrado Colabucci, le coreografie di Gino Landi e l’orchestra era diretta dal Maestro Gianni Ferrio.
Allestito nel celebre Teatro delle Vittorie, lo show puntava innanzitutto sulla presenza scenica
di due indiscusse primedonne, come erano Mina e Raffaella Carrà e fu considerato uno dei migliori spettacoli della storia televisiva italiana, sia per la formula che per l’idea, piuttosto ardita per l’epoca, di far condurre la trasmissione a due primedonne dello spettacolo italiano: Mina era

 


 

reduce dai successi di Teatro 10 del 1972, accanto ad Alberto Lupo, Raffaella Carrà dalle due
Canzonissima, 1970 e 1971, accanto a Corrado.
In ogni puntata veniva celebrata una forma di spettacolo, con la partecipazione, di volta in volta, di diversi famosi ospiti, del calibro di Alberto Rabagliati, le Gemelle Kessler, Macario, Gorni Kramer, Gino Bramieri, Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Nilla Pizzi, Renato Rascel. Le puntate furono otto e ogni settimana un tema diverso: la prima puntata fu dedicata alla Radio, la seconda puntata al Cafè Chantant, la terza puntata alla Rivista, la quarta puntata alla Televisione con ospiti quali Mike Bongiorno, Adriano Celentano, Alberto Lupo e le Gemelle Kessler, la quinta puntata all’Avanspettacolo con ospiti quali Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Toni Ucci, Aldo Fabrizi e Tino Scotti, la sesta puntata al Cabaret con Gianfranco D’Angelo, Paolo Villaggio, Paolo Poli, Cochi e Renato, la settima puntata al Musical, l’ottava puntata all’Operetta, il Circo e alla Commedia musicale.

In Milleluci tutto fu bellissimo: eccellenti le coreografie, i numeri musicali, molto curati i costumi ed i travestimenti. La camera, pur prediligendo i primi piani, fu estremamente mobile ed offrì molteplici prospettive delle scenografie.

Famose rimasero le due sigle del varietà: quella di apertura, cantata e ballata da Raffaella  Carrà, fu Din don dan; quella di chiusura, interpretata da una Mina molto sensuale e fatale, accompagnata dal celebre armonicista Toots Thielemans, fu la più nota Non gioco più. Per Mina fu anche l’ultimo spettacolo televisivo: dopo Milleluci la cantante si limitò ad un paio di ospitate prima del definitivo ritiro dalle scene nel 1978. Stava per finire un’epoca: Mina lo fece capire
con quel brano finale: in effetti il testo intendeva essere il suo messaggio d’addio ai teleschermi, divenuto definitivo con il video girato alla Bussoladomani di Marina di Pietrasanta, che chiudeva il game (andato in onda nell’estate del 1978, presentato da Claudio Lippi, Luciano De Crescenzo ed Ines Pellegrini), Mille e una luce, la sensualissima Ancora, ancora, ancora.
Gli otto appuntamenti registrarono medie di ascolti di oltre 23 milioni di telespettatori.

 

L’altra Domenica di Renzo Arbore.  Di Giancarlo Leone
Oggi ricordiamo uno dei programmi cult degli anni ‘70, L’Altra Domenica che nacque come alternativa a Domenica in. Il contenitore festivo di Rai Uno però inizierà solo nell’ottobre del 1976. La trasmissione di Renzo Arbore è stata trasmessa su Raidue per la prima volta domenica 28 marzo 1976 ed andò avanti fino al luglio 1979.
Il programma, il cui produttore esecutivo era Ugo Porcelli (collaboratore storico di Renzo Arbore), fu una vera e propria rivoluzione per i tempi, affondando le radici nella memorabile esperienza radiofonica di Alto Gradimento, nata il 7 luglio 1970. In seguito alla riforma della Rai si iniziava
a diversificare l’offerta televisiva tenendo conto del target di riferimento. La trasmissione nacque 5 mesi prima dello storico contenitore pomeridiano di Raiuno, Domenica in, e fu la prima trasmissione con le telefonate del pubblico da casa per partecipare ai quiz telefonici.
L’Altra Domenica era un accrocco di personaggi sgangherati, orchestrati da Arbore, che riuscì a creare un clima pazzo, surreale, fantastico. C’era l’improbabile “critico cinematograficoRoberto Benigni, il cugino americano Andy Luotto (che diceva solo ‘bbuono’, ‘nobbuono’), i cartoni animati di Maurizio Nichetti e Guido Manuli, che si firmavano “GASAD” (Gruppi A Sinistra dell’Altra Domenica), le stelle e le strisce delle Sorelle Bandiera (interpreti anche della famosa sigla Fatti più in là), i suoni sconclusionati degli uomini – orchestra Otto e Barnelli tentano di rendere allegro e scanzonato l’appuntamento domenicale con il calcio. Dopo la prima edizione, andata in onda ancora in bianco e nero, la trasmissione si trasforma, domenica dopo domenica, in un giornale dello spettacolo con ironici collegamenti nazionali ed internazionali: Mario Marenco da Roma, Michel Pergolani da Londra, Isabella Rossellini da New York. E poi c’erano anche Giorgio Ariani, Giorgio Bracardi, una giovanissima Milly Carlucci, Silvia Annichiarico, Fabrizio Zampa. Con questo, che diventerà negli anni successivi un programma di culto,
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Arbore incomincia a ritagliarsi uno spazio televisivo tutto suo e a costruirsi un nuovo ruolo per
il video, sul modello radiofonico del disc-jockey, che consiste nel far convivere e trasformare in spettacolo i media più diversi: la diretta, i filmati, i dischi, i fumetti, il telefono, i sottofondi musicali. Il programma ha per la prima volta contribuito a formare un pubblico, attivo e critico, in grado di scegliere con decisione: secondo i dati d’ascolto, al termine della trasmissione Raidue perdeva un milione di telespettatori che non venivano recuperati dagli altri canali.
L’intero cast della trasmissione fu protagonista nel 1980 del film Il pap’occhio, censurato per molti anni a causa della satira diretta contro Papa Giovanni Paolo II, girato per intero nella Reggia di Caserta

 

Domenica in.  Di Giancarlo Leone
Domenica in nacque su Raiuno il 3 ottobre 1976, condotta da Corrado con Dora Moroni e fu una vera rivoluzione per la Rai: per la prima volta andava in onda in diretta un programma fiume che iniziava alle ore 14 e terminava dieci minuti prima del Tg1 delle 20.
La nascita del programma, attualmente arrivato alla sua 38° edizione (condotto da Massimo Giletti, prima, con la sua Arena e poi da Mara Venier), era dovuta all’austerity voluta in quegli anni dal governo italiano per via dei grandi rincari petroliferi decisi dai paesi arabi negli anni ’70: dopo il boom economico, tra le famiglie italiane, era diventata un’abitudine quella di fare, proprio di domenica, delle scampagnate o gite fuori porta con l’automobile. Fu quindi incaricata la Rai di creare un programma che convincesse la gente a passare i pomeriggi domenicali in casa invece che di uscire prendendo l’automobile. Fu così che la tv pubblica ideò questa trasmissione che copriva l’intera fascia pomeridiana della domenica durando per ben sei ore. Come dicevamo,
fu una novità assoluta nel panorama televisivo italiano dove tutte le trasmissioni televisive di qualsiasi genere, sia di prima e seconda serata, del day-time, fino ad allora non superavano mai i sessanta minuti di durata.

 

Il varietà andava in onda in diretta su Raiuno, per sei ore consecutive, inframmezzate dalla programmazione della rete, cioè da vari telefilm, lo spazio della Lotteria Italia (Chi? nel 1976 e Secondo Voi nel 1977 condotti da, Io e la Befana nel 1978, condotto da Sandra Mondaini e Raimondo Vianello), un programma musicale rivolto ai giovani (Discoring), eventi sportivi come il secondo tempo della partita di calcio più importante della giornata e poi la rubrica 90° minuto condotta dal giornalista sportivo Paolo Valenti.
Corrado tenne a battesimo le prime tre edizioni di Domenica in. Dal 1979 subentrò Pippo Baudo, che seppe far fruttare al meglio il proprio apporto, continuando sulla scia del predecessore
ma apportando nel corso degli anni molte novità, specialmente nell’introduzione di maggiori appuntamenti, che dopo sette anni riuscirono a ridurre la programmazione della rete all’interno del contenitore.

Alla fine degli anni ’80, Domenica in divenne un varietà come gli altri, eccettuata la lunghezza, diviso in due parti: pomeridiana e preserale, inframmezzata da 90° minuto. A partire dalla metà degli anni ’80 era iniziata anche la contro-programmazione di Canale 5 al contenitore di Raiuno, prima con Buona Domenica dal 1985 al 1988 e dal 1991 al 2008 con Questa domenica, fino in questi ultimi anni con Domenica Cinque.
Memorabile fu l’edizione 1985-86, condotta per la prima volta da un giornalista professionista, Mino Damato, incentrata meno sul varietà e più sull’attualità. Il conduttore si occupò dell’approfondimento dei fatti più importanti della settimana accaduti in Italia e all’estero. Era presente, comunque, anche una parte d’intrattenimento, affidata ad Elisabetta Gardini, che curava i giochi telefonici ed intervistava personaggi famosi, al Trio formato da Anna Marchesini, Tullio Solenghi e Massimo Lopez, protagonisti di memorabili sketch comici. In quella edizione


 

partecipò anche Gina Lollobrigida, in qualità d’intervistatrice d’eccezione di note personalità italiane ed internazionali, poi parodiate dal Trio. Memorabile la camminata sui carboni ardenti fatta da Mino Damato nel corso di una delle puntate. La prima conduttrice donna del contenitore è stata Raffaella Carrà, nell’edizione 1986-87, mentre la presenza femminile che ha condotto più edizioni è stata Mara Venier, che fu soprannominata la signora della domenica.
Dal 1987 al 1991 il programma fu diretto dal regista Gianni Boncompagni, che modificò la scenografia, che divenne una terrazza affacciata sul mare, introdusse il gioco telefonico del Cruciverbone, ma soprattutto riempì lo studio con cento ragazze, le ragazze pon pon, che fungevano da pubblico e da soubrette del programma. Conduttori delle edizioni targate
Boncompagni sono stati: Lino Banfi e Toto Cutugno (1987-88), Marisa Laurito (1988-89), Edwige
Fenech e Pupo (1989-90), Gigi Sabani e Simona Tagli (1990-91).
Tanti sono stati i conduttori di Domenica in: Fabrizio Frizzi, Giancarlo Magalli, Tullio Solenghi, Amadeus, Iva Zanicchi, Antonella Clerici, Paolo Bonolis, Paolo Limiti.

 

Tante scuse. Di Giancarlo Leone
L’autunno Rai regala al pubblico un nuovo varietà, Tante scuse, andato in onda sul Programma Nazionale in sette puntate dal 5 ottobre al 23 novembre 1974. Condotto da Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, lo show era firmato dallo stesso Vianello con la coppia storica della tv, Italo Terzoli ed Enrico Vaime, l’orchestra era diretta da Marcello De Martino e la regia di Romolo Siena.

 

Il programma, che ebbe un successo inaspettato, era basato principalmente sui numeri comici della coppia Vianello – Mondaini, spalleggiata dall’attore comico Enzo Liberti che interpretava la parte del capoclaque sempre in disaccordo con il “sor Vianello”, così come lo chiamava lui.
Erano scenette intelligenti e molto divertenti. Per quei tempi, ormai, non era facile proporre uno spettacolo di varietà con nuovi ingredienti, rispetto a quelli utilizzati nei primi vent’anni della tv. Così per questo varietà si pensò di far conoscere anche il dietro le quinte, tutto ciò che avviene durante la registrazione di una trasmissione. Per la prima volta c’era la voce fuori campo del regista Romolo Siena che dialogava con i conduttori mettendo a nudo la struttura del varietà. Le scuse del titolo venivano rivolte ai telespettatori proprio per i “finti” imprevisti dove rimanevano coinvolti i protagonisti. Lo spettacolo era completato da un ospite canoro: dalle canzoni dei Ricchi e Poveri, presenza fissa della trasmissione, che ogni tanto partecipavano agli sketch della coppia, ai balletti della Mondaini.

 

Gli altri attori che facevano parte del cast erano, innanzitutto, un simpaticissimo Massimo Giuliani, che impersonava la parte del barista di Via Teulada, sempre pronto a dare consigli che rimanevano naturalmente inascoltati dallo scontroso Vianello; l’assistente di studio Attilio Corsini, attore di prosa; Tonino Micheluzzi nel ruolo dell’ex comprimario di grandi attori, che aveva conosciuto personalmente il grande Ermete Zacconi e che in questo varietà era ridotto a fare il suggeritore ed il portaborse a Vianello (lui lo vessava in continuazione congedandolo con il suo classico “smamma Ferruccio”, che rispondeva compito ed ossequioso: “comandi, sior Vianello”).

La sigla d’apertura, che vedeva protagonista la coppia che interagiva con le animazioni, si chiamava Tiritera ed era cantata da Sandra Mondaini. La sigla finale divenne un cult della televisione italiana: come uccidere un gruppo musicale, definito petulante e fastidioso dal “cattivissimoVianello, in maniera differente ogni puntata. Sulle note di Non pensarci più, i Ricchi e Poveri si prestavano spiritosamente al gioco facendosi spianare da schiacciasassi o da enormi massi che li trasformavano in sfoglie di pasta all’uovo. Il tutto con la complicità della Mondaini che

 


 

nel finale della sigla e ad omicidio avvenuto, se ne andava saltellando per i campi come novella Genzianella con il marito mentre gli uccellini cinguettavano allegramente costruendo un’atmosfera di pace e di appagamento.
Visto il successo ottenuto, lo spettacolo venne riproposto in una seconda edizione dal titolo Di nuovo tante scuse, in cui venne riconfermato l’intero cast.
Di nuovo tante scuse è andato in onda sul Programma Nazionale in otto puntate dal 13 dicembre 1975 al 31 gennaio 1976. Era sempre presentato da Sandra Mondaini e Raimondo Vianello e la regia era di Romolo Siena. Il programma ricalcava lo spettacolo dell’anno prima, Tante scuse, ed era basato sui duetti comici di Vianello e della Mondaini, affiancati da Enzo Liberti.
La sigla d’apertura aveva per protagonista la coppia che interagiva con le animazioni. La sigla finale divenne un cult della televisione italiana: i coniugi Vianello si notavano da lontano e, per raggiungersi, si correvano incontro sulle note del brano Coriandoli su di noi, dei Ricchi e Poveri. Il tutto veniva ripreso al rallenty e ogni volta qualcosa impediva loro di abbracciarsi,o meglio, Raimondo, in ogni puntata, inventava stratagemmi sempre più drastici per evitare l’incontro con la moglie. Sarà lei, però, che nell’ultima puntata riuscirà a raggiungerlo con un bambino in braccio che schiaffeggerà un Vianello incredulo nell’essere vittima,per una volta, di un’inaspettata trovata della Mondaini.

 

Portobello. Di Giancarlo Leone
Portobello è stato un programma televisivo di Enzo Tortora, andato in onda su Raidue dal 27 maggio 1977 al 1983 e poi per un breve periodo nel 1987. E’ ricordato come uno dei programmi televisivi più popolari mai trasmessi dalla televisione italiana.

 

Portobello rappresentò il ritorno in Rai di Enzo Tortora, dopo otto anni di esilio. Per tale ritorno, Tortora, insieme alla sorella Anna, al pubblicitario Angelo Citterio e all’autore Adolfo Perani, creò un contenitore imperniato principalmente sull’idea di un mercatino in cui i partecipanti potevano vendere, o cercare, oggetti ed idee e farsi contattare dal pubblico da casa attraverso telefonate in diretta, filtrate dal Centralone, in cui erano presenti avvenenti telefoniste guidate dalla ex attrice Renée Longarini, ribattezzata “Sua Soavità” da Enzo Tortora. Attorno a questo, venivano proposte da Tortora alcune rubriche come Fiori d’arancio o Dove sei? in cui venivano proposte richieste matrimoniali o ricerca di persone.
La trasmissione ebbe un clamoroso successo, superiore alle più rosee aspettative e previsioni. Molto del successo è da ascriversi alla novità rappresentata dalla partecipazione al programma    di gente comune, la cui rappresentazione televisiva non era ancora mai stata proposta. Inoltre,      il programma rappresentava un grande esempio di idee e di scrittura creativa, tanto che c’è chi sostiene che Portobello fosse un contenitore di 5 trasmissioni diverse. In effetti molti programmi   di successo degli anni ’90 come I Cervelloni, Chi l’ha visto?, Carràmba che sorpresa, Agenzia matrimoniale, Stranamore possono essere considerati evoluzione delle rubriche di Portobello.
Al programma partecipava un pappagallo con lo stesso nome della trasmissione ed una delle parti di cui si componeva il programma prevedeva la possibilità di tentare di far dire al pappagallo il suo nome, Portobello per l’appunto. L’impresa, per molto tempo quasi impossibile, venne compiuta per la prima volta il 1 gennaio 1982 dall’attrice Paola Borboni, che tentò, riuscendoci, di far parlare     il pappagallo, per ottenere i soldi necessari ad un’operazione di chirurgia plastica per un bimbo ustionato sul viso.
Quando “Big Ben ha detto stop” gli inserzionisti dovevano lasciare le loro cabine dove avevano ricevuto le offerte dei telespettatori interessati ad acquisire i brevetti delle invenzioni proposte, potevano tornare a casa con i loro bottini, inebriati per aver conseguito lo status dei personaggi pubblici. Il programma riscosse un grandissimo successo nelle sette edizioni andate in onda fino al 1983: in media 20 milioni di spettatori in tutto il ciclo, con punte di 25 nel 1978 e 1979.


 

Il programma venne interrotto a causa del caso giudiziario che ebbe come oggetto Enzo Tortora, accusato di collusione con la camorra ed infine assolto completamente dopo una lunga battaglia giudiziaria.
Il 20 febbraio 1987, al momento del ritorno del programma, Tortora, visibilmente commosso, esordì dicendo: “Dunque, dove eravamo rimasti?...”. Nonostante la frase ottimistica, non si ebbe il successo delle edizioni precedenti. Portobello andò avanti fino al 26 giugno 1987, ma, ormai,
appariva fuori posto, una trasmissione non più adeguata all’Italia che stava andando verso gli anni ’90.

 

La Rai racconta l’Italia. Di Massimo Luciani
Una nuova iniziativa per celebrare i 60 anni della tv ma anche i 90 della Radio che tendono a passare quasi inosservati. Si tratta della mostra intitolata ‘1924-2014 La Rai racconta l’Italia’ che è stata allestita a Roma, al Complesso del Vittoriano, dal 31 gennaio al 30 marzo per poi proseguire alla Triennale di Milano (dal 29 aprile al 15 giugno) e, probabilmente, a Napoli e Torino dove è iniziata la storia del piccolo schermo
Alla presentazione è intervenuta il Presidente dell’azienda di viale Mazzini, Anna Maria Tatantola. Ha sottolineato: “per la Rai è un momento importante, due anniversari di grande rilievo come quelli della radio e della tv ci fanno ricordare i risultati raggiunti negli anni e i bei momenti vissuti. Quello che deve guidarci, però, non è la nostalgia del passato ma comprendere quali sono state le cose importanti a cui possiamo guardare ancora oggi. Da allora, per la Rai sono cambiate molte cose: oggi c’è la concorrenza, sono cambiati i linguaggi, gli strumenti e il modo di interagire con il pubblico. La nostra storia, però, ci insegna che due cose sono e devono essere ancora attuali: la qualità del prodotto e i criteri fondanti del servizio pubblico”. Sulla stessa linea il direttore generale Luigi Gubitosi: “Ogni bilancio deve essere stimolo per il futuro. A distanza di tanto tempo, la missione fare informazione e intrattenimento ma cambiano le modalità. Rispetto al passato, inoltre, c’è la concorrenza e dobbiamo essere più suadenti nel messaggio. Per ora ci stiamo riuscendo, visto che i canali Rai sono complessivamente al 40% in prima serata e quasi al 40% nell’intera giornata, senza fare sconti alla qualità”.
Insomma, lo sforzo della Rai è forte nonostante il periodo di crisi che il nostro paese sta vivendo, ha concluso la Tarantola.

 


 

La mostra comprende anche una selezione di opere d’arte della collezione Rai che annovera, tra gli autori, Guttuso, De Chirico, Casorati, Campigli e Turcato. L’apertura è dedicata all’esposizione di costumi di scena particolarmente rappresentativi. In bell’evidenza alcuni indossati da Raffaella Carrà. Subito dopo c’è la sezione di presentazione intitolata ‘La Rai: una bella impresa italiana’ che documenta l’origine e la nascita dell’azienda attraverso materiali d’archivio. Ne saranno esposti molti, tra i quali verbali, ordini di servizio e materiali di promozione.
Successivamente ci sono le otto sezioni tematiche organizzate per i 60 anni della televisione italiana, ciascuna curata da un testimonial specifico del settore. L’Informazione è stata gestita da un giornalista veterano, Sergio Zavoli. Lo spettacolo è stato affidato a con Emilio Ravel che
specificato: “Ho scelto di raccontarlo attraverso i comici, perché sono un po’ il ritratto del carattere italiano. Andrea Camilleri ha curato la Cultura, la sezione Scienza è stata allestita secondo le scelte di Piero Angela. Naturalmente la parte politica della mostra è stata affidata a Bruno Vespa che così ha specificato: “Occuparsi di politica in Rai è, sostanzialmente, occuparsi del proprio editore: prima è stato il Governo, poi il Parlamento”.

 

A gestire la sezione Società ritroviamo Piero Badaloni che, alla presentazione dell’iniziativa, ha detto: “nel filmato c’entravano al massimo sessanta programmi. Ci ho messo il maestro Manzi ma anche il monologo di Benigni sulla Costituzione”. Si prosegue con la sezione Economia curata da Arnaldo Plateroti e il settore dedicato allo Sport gestito da Bruno Pizzul. Il notissimo telecronista ha sottolineato che “Guardando il materiale delle Teche Rai sono stato travolto da quante belle cose lo sport ci ha regalato. Ho scelto tutte cose belle, anche se so che qualche scheletro nell’armadio lo avrei trovato. C’è poco calcio e tanto degli altri sport: parlare meno di calcio farebbe bene a questo sport perché, altrimenti, alla fine si rischia di straparlare”.
Naturalmente c’è anche una sezione che celebra i 90 anni della Radio, curata da Marcello Sorgi che osserva: “La radio è stata madre, sorella e, ora, figlia della televisione. C’è una parte di storia che la tv non ha potuto raccontare perché ancora non c’era. Ma c’era la radio”.
Ultima sezione della mostra è uno spazio dedicato alla ricostruzione di un set televisivo degli anni Settanta, realizzato con strumenti e apparecchiature originali (tra cui la mitica ‘giraffa’), per raccontare tutto quanto accadeva dietro le quinte dei programmi che hanno fatto la storia della televisione italiana. “Non si tratta di un’autocelebrazione ma di un modo per guardare
avanti, a cosa sarà la tv” sottolinea la curatrice della mostra Costanza Esclapon, direttore della comunicazione e delle relazioni esterne della Rai, mentre il direttore delle Teche Rai Barbara


 

Scaramucci osserva: “E’ il racconto della storia di una bella impresa italiana, la Rai”.

 

All paradise. Di Giancarlo Leone
Continuiamo il nostro viaggio attraverso i 60 anni del piccolo schermo. Siamo arrivati agli anni Ottanta. E ci occupiamo di All Paradise.

 

Al Paradise è stato un varietà televisivo trasmesso da Raiuno il sabato sera per tre stagioni consecutive: la prima edizione andò in onda dall’11 febbraio al 30 aprile 1983; la seconda edizione andò in onda dall’11 febbraio al 23 giugno 1984; la terza edizione andò in onda dal 13 aprile al 29 giugno 1985.
Autori ed ideatori del programma furono il regista Antonello Falqui e Michele Guardì. Era un classico varietà alla Falqui. Lo show passava in rassegna i vari generi: circo, cabaret, balletto, monologo, recital e attrazioni internazionali. Realizzato per le prime due edizioni al Teatro Delle Vittorie e l’ultima agli studi della Dear, il varietà dall’ambientazione circense era condotto da Oreste Lionello (vestito con una bombetta rossa, una giacca ed un papillon dello stesso colore, una camicia bianca ed un paio di pantaloni neri nelle prime due edizioni, mentre nell’ultima edizione aveva un cilindro azzurro con giacca e papillon dello stesso colore), con Milva, Heather Parisi, Lara Orfei ai quali si aggiunse il gruppo La Zavorra, sei giovani umoristi cresciuti nel laboratorio di Gigi Proietti. Numerosi furono gli ospiti celebri, pronti ad esibirsi nei ruoli più improbabili ed imprevedibili.
Visto il successo, lo show venne riproposto nel 1984 sempre condotto da Oreste Lionello, affiancato dall’allora esordiente Franca D’Amato. Il varietà per quell’anno era diviso in tre cicli di 6 puntate ciascuno che vedeva cambiare il cast di primadonna e showgirl: Milva e Bonnie Bianco, le Gemelle Kessler e Sarah Carlson, Mariangela Melato ed Elisa Scarrone. Tra gli ospiti celebri che intervennero si ricordano Jerry Lewis, Vivian Reed, Antonello Fassari, Massimo Wertmuller e l’illusionista Arturo Brachetti. Le coreografie erano curate da Don Lurio.
L’ultima edizione, quella di minor successo, venne realizzata nel 1985 negli studi della Dear e la sigla di coda fu Sky, cantata da Bonnie Bianco. Sempre in quell’ultima edizione del varietà, il regista Antonello Falqui rispolverò, nel sipario intitolato Cetra Graffiti, l’originario progetto dei Promessi Sposi, pensato ma mai realizzato per Biblioteca di Studio Uno del 1964. Nel cast c’erano Virgilio Savona (Alessandro Manzoni), Lucia Mannucci (Agnese), Felice Chiusano (don Abbondio), Tata Giacobetti (Fra Cristoforo), Al Bano e Romina Power (Renzo e Lucia), Gianni Agus (don Rodrigo), Alvaro Vitali (il Griso), Gianni Minà (Azzeccagarbugli), Minnie Minoprio (la Monaca di Monza), Arnoldo Foà (l’Innominato), Nerina Montagnani, la vecchina che faceva lo spot del caffè Lavazza (Perpetua), con riferimenti al mondo dello spettacolo e dei mass media, da Novella 2000 a Sanremo, fino al varietà contemporaneo e passato.

 

Fantastico le prime sei edizioni. Di Giancarlo Leone
Fantastico è stato un varietà televisivo italiano, andato in onda in prima serata su Raiuno nel 1979, poi dal 1981 al 1991 e nel 1997 con l’abbinamento alla Lotteria Italia.

 

Il programma rappresentò il ritorno della Lotteria Italia nella serata del sabato: lo storico programma abbinato alla Lotteria, prima di Capodanno e poi Lotteria Italia, Canzoonissima, aveva subìto un calo d’interesse, tanto che nel 1973 era stato retrocesso dalla prima serata del sabato alla domenica pomeriggio dove andò in onda per altre due stagioni. Nel 1975, una volta constatato che la gara canora non era più molto apprezzata dal pubblico, i vertici Rai decisero di

 


 

sostituire il programma con nuovi varietà composti da quiz e giochi.
Nel 1979, essendosi consolidati gli ascolti ed il gradimento della fascia pomeridiana domenicale attraverso Domenica In, la Lotteria riprese la collocazione abituale al sabato sera e Fantastico fu il varietà ideale realizzato da Enzo Trapani, deus ex machina delle prime quattro edizioni della trasmissione.

Fantastico, con varie edizioni, molte delle quali presentate da Pippo Baudo, fu un memorabile programma, ricco di balli e coreografie, un’orchestra sempre pronta a suonare, dei presentatori eccezionali, affiancati da comici ed ospiti che proponevano gag e storie interessanti, in una stupenda cornice scenografica ogni anno diversa.

La prima edizione, quella del 1979, in onda da Milano, fu presentata dalla bravissima Loretta Goggi con Beppe Grillo ed Heather Parisi sotto la regia di Enzo Trapani. Questa edizione ottenne indici di gradimento: una media di 25 milioni di telespettatori a puntata e un indice di gradimento pari ad 80. Rappresentò l’affermazione di Loretta Goggi in qualità di conduttrice, la consacrazione di Beppe Grillo come comico, autore dei monologhi satirici con Antonio Ricci e l’affermazione di Heather Parisi come soubrette, che qui ottenne la definitiva consacrazione.
Segnò l’inizio della popolarità del ballerino Enzo Avallone, soprannominato da Grillo, “Truciolo”. Il quiz, in omaggio ai 25 anni della Tv italiana, fu una sorta di riedizione de Il Musichiere con quattro giochi incentrati sulle canzoni italiane di quei cinque lustri. In quella edizione ebbero molto successo le due sigle: quella di apertura, cantata dalla Parisi, Disco Bambina, vero tormentone, e quella di chiusura, L’aria del sabato sera, cantata dalla Goggi. E’ in questa trasmissione che nacque la storia d’amore tra la Goggi ed il primo ballerino Gianni Brezza.

La seconda edizione della trasmissione, sempre da Milano, andò in onda nel 1981 e come presentatori, innumerevoli personaggi, da Romina Power ad Heather Parisi, e poi Oriella Dorella, Memo Remigi, Claudio Cecchetto, Gigi Sabani e Walter Chiari. La regia era sempre di Enzo Trapani e la sigla iniziale della Parisi divenne una Hit famosa ed un tormentone, Cicale, mentre la Power lanciò la canzone, che piaceva da morire ai bambini, Il ballo del qua qua.
La terza edizione del 1982, da Milano, ebbe come autori Stefano Jurgens, Popi Perani, Antonio Ricci, Lianella Carell, Corima (Corrado) e a condurre una vecchia coppia ben amata dagli italiani, già collaudata nelle edizioni di Canzonissima ’70 e ’71, Corrado e Raffaella Carrà, affiancati da Gigi Sabani e Renato Zero, che lanciò la canzone sigla di successo Viva la Rai.
Le coreografie erano di Sergio Japino, a quei tempi compagno della Carrà, e la sigla iniziale era cantata e ballata dalla Carrà, intitolata Ballo, ballo. Corrado durante quella edizione lanciò
Carlo Jurgens, figlio dell’autore Stefano Jurgens, che duettò nella canzone di gran successo ed orecchiabile, Carletto.

La quarta edizione, ancora una volta da Milano, nel 1983 fu condotta da Gigi Sabani con Heather Parisi e Teresa De Sio. Fu un successo, anche se si era sperato in qualche cosa di più interessante.

Fantastico 5, del 1984, approdava a Roma al Teatro Delle Vittorie. Gli autori erano Bruno Broccoli, Giorgio Calabrese, Pierfrancesco Pingitore. Iniziava l’era Pippo Baudo, affiancato da Heather Parisi ed Eleonora Brigliadori, con Josè Luis Moreno che dava voce a Rockfeller, il corvo con cappello e cravattino. La Parisi lanciò una nuova sigla di successo, Crilù, mentre la sigla finale la cantava Adriano Pappalardo con suo figlio Laerte, Cominciare.
Fantastico 6, del 1985, veniva nuovamente condotta da Pippo Baudo, affiancato da Lorella Cuccarini, una sua nuova scoperta, che cantava e ballava la sigla iniziale, Sugar Sugar, e Galyn Gorg, a cui era affidata la sigla finale, Formula 6.
Il cammino televisivo del programma amatissimo dal pubblico, continua...

 


 

Le ultime edizioni di Fantastico. Di Giancarlo Leone
Continuiamo il nostro viaggio attraverso i 60 anni della tv. E continuiamo a ricordare Fantastico, lo show del sabato sera restato in video 12 edizioni. Delle prime sei vi abbiamo già parlato. Oggi ne ricordiamo le ultime sei.

Fantastico 7, del 1986, fu un vero spettacolo e rimarrà nei ricordi della tv. Forse fu l’edizione meglio riuscita. A condurla ancora Pippo Baudo con Lorella Cuccarini e Alessandra Martines. Il Trio Marchesini, Lopez e Solenghi ed un fantastico Nino Frassica si esibivano in siparietti comici. La sigla iniziale Tutto matto veniva cantata e ballata dalla Cuccarini, mentre quella finale, L’amore è, veniva ballata e cantata dalla Cuccarini e dalla Martines.
Fantastico 8, del 1987, era condotta dall’enigmatico Adriano Celentano con Marisa Laurito, Heather Parisi, Maurizio Micheli e Massimo Boldi. Quella edizione non passò del tutto inosservata, fu al centro di numerose critiche, a causa dei monologhi e delle lunghe pause di silenzio di Celentano, troppo pesanti per una trasmissione che puntava tutto sull’allegria.
Fantastico 9, del 1988, aveva come conduttori Enrico Montesano e la cantante Anna Oxa. Le sigle di Montesano furono molto apprezzate, da Non mi lasciate solo a Buon appetito all’Italia che va, così come la sigla finale, Caro pigiama, dove Montesano e i ballerini erano tutti in pigiama a dare la buonanotte agli italiani.
Fantastico 10, del 1989, venne condotta da Massimo Ranieri, Anna Oxa, Giancarlo Magalli, Andy Luotto ed Alessandra Martines. La trasmissione prevedeva una gara tra le varie pellicole del cinema italiano che sarebbe andata a decretare il miglior film italiano di sempre. Tale idea nacque da una collaborazione tra la Rai, la Lotteria Italia e L’Anica per supportare l’industria cinematografica italiana in quegli anni in crisi. Ma questa formula non ebbe molto successo.
Fantastico 11, del 1990, vide il ritorno alla conduzione di Pippo Baudo con una gara tra venti giovani studenti, ognuno proveniente da ogni regione italiana, che si sfidavano tra loro rispondendo a domande di cultura generale. Con Baudo, Marisa Laurito, nel ruolo della primadonna, mentre i siparietti comici erano affidati a Giorgio Faletti.

 

Fantastico 12, del 1991, condotto da Raffaella Carrà e Johnny Dorelli, con gli interventi comici di Gianfranco D’Angelo, coincise con l’ultima edizione canonica del programma, che
registrò ancora una volta un ulteriore calo degli ascolti rispetto all’edizione precedente, come era avvenuto del resto l’anno prima. Questo dimostrava che il varietà aveva fatto ormai il suo corso.
Tale edizione fu mal gestita anche per via dei cattivi rapporti che si erano creati fra la Carrà
e Dorelli. Non mancarono, comunque, momenti memorabili: il primo riguardante l’ospitata di Roberto Benigni che simulò un amplesso con la conduttrice; il secondo quando ci fu come ospite Corrado, partner storico della Carrà in due edizioni di Canzonissima e nel Fantastico 1982. Alla sua vista la conduttrice si commosse fino alle lacrime provocando l’ironia del presentatore romano che esclamò: “Non mi era capitato di essere ricevuto da una che piange”.

L’ultima puntata di Fantastico andò in onda il 6 gennaio 1992 e molti critici con la fine della trasmissione videro la fine del varietà televisivo italiano inteso in senso classico.

Nel 1997, la Rai decise di tornare sulla formula di Fantastico. Ci fu il ritorno di Enrico Montesano
che condusse, sempre dal Teatro Delle Vittorie, Fantastico Enrico, accanto a Milly Carlucci, con la partecipazione di Fausto Leali, Amii Stewart e Mario Merola. Il varietà non riscosse il successo sperato tanto che alla fine della quinta puntata Montesano abbandonò il programma e fu sostituito da Giancarlo Magalli, cambiando anche titolo: solo Fantastico. Ma, nonostante il
cambio di conduzione e di formula, il varietà continuò quell’anno ad essere battuto da La corrida, in onda su Canale 5, sicché rimase l’ultima e la più sfortunata edizione del programma.

 


 

Stasera niente di nuovo. Di Giancarlo Leone
Stasera niente di nuovo, andato in onda dal 24 gennaio al 21 marzo 1981, in otto puntate, con le coreografie di Franco Miseria, i costumi di Corrado Colabucci, l’orchestra diretta dal Maestro Renato Serio e la regia di Romolo Siena, è stato l’ultimo varietà televisivo in Rai della coppia Mondaini – Vianello, prima del loro approdo a Fininvest, ora Mediaset.

Il varietà ha segnato anche l’addio alla danza per Sandra Mondaini con la registrazione del balletto di chiusura della trasmissione, Occhi rosa per te, duetto con Heather Parisi.
Di fatto il programma sembrava un addio alle scene della coppia. Giocato dagli autori, Alessandro Continenza e lo stesso Vianello, per intero sul contrasto generazionale tra la Mondaini, Raimondo Vianello e Gianni Agus e la sempre più emergente Parisi, con continui sketch in cui a quest’ultima si fa spocchiosamente ricordare il proprio vantaggio generazionale, con movimenti rapidi e sgambate improponibili ormai alla Mondaini.
Indiscusso protagonista di questo varietà è stato Raimondo Vianello, che si esibiva in numerosi  e divertenti sketch a tema, spalleggiato da Enzo Liberti, Sandra Mondaini e Gianni Agus. Un ascensore luminoso, posto al centro della scena, portava sul palcoscenico le primedonne della trasmissione: in apertura Heather Parisi cantava la sigla, la spumeggiante Ti rockerò, da lei ballata e cantata con il corpo di ballo della trasmissione, canzone che raggiunse come altri singoli della showgirl i primi posti delle classifiche di vendita. Poi arrivava Sandra Mondaini. Ambedue le primedonne incarnavano, rispettivamente, la novità e la tradizione e si esibivano ogni settimana con il corpo di ballo del varietà, mentre scritte luminose sottolineavano il tema della coreografia. Molti sketch settimana per settimana erano improntati sulla rivalità fra le due primedonne: la freschezza della Parisi, sex-symbol del programma e la lunga carriera ormai al “tramonto” della Mondaini. Poi c’erano i tentativi improbabili di corteggiamento verso la Parisi da parte di Vianello e le proteste di Gianni Agus, che ricordava a più riprese la propria grande esperienza a confronto di quella allora breve della Parisi. Insomma ogni scusa era buona per mettere a confronto le diverse generazioni.
All’inizio di ogni puntata Vianello intratteneva la platea con un monologo che introduceva il soggetto della serata. Le scenette spesso erano presentate con dei filmati. Anche il “dietro le quinte”, esperimento per altro già collaudato in altre trasmissioni della coppia Vianello – Mondaini (Tante scuse Di nuovo tante scuse) diventava protagonista dello spettacolo: la telecamera entrava nei camerini, dove si assisteva a feroci ed esilaranti battibecchi tra la Mondaini e la Parisi, tra Vianello ed Agus.
La sigla di chiusura, cantata dalla Mondaini, era Si chiama Zorro, con Vianello improbabile nei panni di uno spadaccino mascherato e la Mondaini in quelli di una donzella che doveva liberare. Il varietà fu seguito, a puntata, in media da circa 21 milioni di spettatori.

 

Parola mia.  Di Giancarlo Leone

Parola mia, in onda dal Centro di Produzione Tv della Rai di Torino, è stato un programma televisivo a quiz sulla lingua italiana, andato in onda su Raiuno nel pomeriggio tra il 1985 ed il 1988. Era condotto da Luciano Rispoli, storico presentatore di tanti programmi di successo; un conduttore televisivo giornalista e conduttore radiofonico oltre che ex direttore di Rai Educational dal 1977 al 1987, una carriera di altissimo livello basata su criteri di civiltà, rispetto, buon gusto.
Parola mia era composto da tre rubriche: Conoscere l’italiano, Usare l’italiano, Amare l’italiano. Studenti universitari si sottoponevano a delle prove che riguardavano etimologie, significati delle parole, modi di dire, sinonimi e contrari, la stesura di un pezzo di tipo giornalistico e l’analisi di brani letterari interpretati da grandi attori di prosa.

 


 

Giudice arbitro di gara era il professor Gian Luigi Beccaria, docente di lingua italiana all’Università di Torino.
Luciano Rispoli era il geniale ideatore del programma, che coniugava sapientemente informazione, divulgazione ed intrattenimento ed ha condotto le prime edizioni con Anna Carlucci. Ne erano coautori Ludovico Peregrini, Guido Clericetti, Domina, Starace, Roderi, Barbara Ancillotti, Alessandro Ippolito.
Al pari del maestro Alberto Manzi, di cui proprio recentemente è andata in onda una fiction che lo riguardava, interpretata da Claudio Santamaria, che s’intitolava come la sua fortunata trasmissione degli anni ’60, Non è mai troppo tardi, Luciano Rispoli ha assicurato alla causa del bello scrivere e del buon leggere, schiere di giovani. In occasione del suo ottantunesimo compleanno la presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, facendogli gli auguri, gli ha riconosciuto la professionalità di un signore tutto casa e televisione che in sessant’anni di carriera ha scelto di fare divulgazione non supponente, giornalismo popolare mai becero ed intrattenimento leggero, non disgiunto da contenuti. Quella di Rispoli è stata un modello di tv esemplare, gli si deve gratitudine per la sensibilità.
Nel 2002-2003 il conduttore, con la scrittrice Chiara Gamberale nel ruolo di co-conduttrice, ha riproposto il format quotidianamente su Raitre, facendosi supportare nei testi da Guido Clericetti, Laura Lombardi e Mariano Sabatini (quest’ultimo considerato da Rispoli suo erede). Il professor Beccaria conduceva anche la rubrica Parola di Beccaria.

 

Luciano Rispoli, principe delle parole.  Di Mariano Sabatini

 

Difficile raccontare con completezza la televisione di Luciano Rispoli, riconosciuto signore del video che ha scommesso sull’azienda Rai fin dal 1954, ovvero l’anno dell’avvio ufficiale delle trasmissioni. Vi approdò per concorso, attraverso selezioni severe per radiocronisti e dopo un decisivo provino con Vittorio Veltroni. L’intuizione di rivolgersi alla tv pubblica la dovette, invece, a un compagno di studi universitari.
Quello che sarebbe diventato uno dei volti più popolari del piccolo schermo venne spedito con     le Radiosquadre ad allestire spettacoli promozionali (lo scopo era quello di diffondere il virus del canone di abbonamento) in giro per le piazze italiane e diffusi in ambito locale. Un’iniziativa che

 


 

aveva visto coinvolti anche Enzo Tortora, Silvio Gigli, Renato Tagliani.
Rispoli si fece quindi le ossa professionali in seno alla “sorella povera” della tv, realizzando programmi di grande seguito popolare come Il Buttafuori, Il vostro spettacolo, Il vostro juke box. Ma, in veste di caposervizio Rivista e Spettacolo della radio, convincendo il riluttante Corrado ad intraprendere la fortunata avventura della Corrida e lanciando dalle frequenze personaggi come Raffaella Carrà, Paolo Villaggio, Maurizio Costanzo, Paolo Limiti ha di certo, fin da allora, dato un indiretto quanto fondamentale contributo al piccolo schermo, da cui si affacciò fin dal 1955 con Telescuola.

Nel 1975 riuscì a proporre, ben prima di Bontà loro, quello che Michele Sorice definisce il primo esempio di talk show all’italiana: si tratta dell’Ospite delle due, realizzato in piena austeriy, a cui presero parte tra gli altri Amedeo Nazzari, Carlo Rambaldi, un giovanissimo Luca Cordero di Montezemolo e addirittura Ingrid Bergman.
Per tutta la sua sessantennale carriera, il conduttore non ha mai abbandonato il genere “conversazione spettacolo”. Tra il 1977 e il 1987, ossia durante gli anni in cui ha diretto il Dipartimento Scuola Educazione (l’attuale Rai Educational), Rispoli ha proposto varie edizioni di Intervista con la scienza, protagonisti luminari della medicina e altre discipline, come l’astrofisica Margherita Hack.
È degli anni Ottanta la consacrazione a volto nazionalpopolare, a cui vanno le simpatie e l’affetto di un vasto pubblico che lo apprezza per la civiltà dei modi, non senza bonarie irrisioni per la sua caratteristica voce nasale.

Dopo il talk show Pranzo in tv - dove i commensali famosi e no consumavano un vero pasto - il presentatore e giornalista calabrese continua ad inventare format di grande successo, fino al 1985, anno in cui appare sugli schermi di Rai1 il celeberrimo Parola mia, intelligente quiz sulla lingua italiana tra divulgazione e intrattenimento che aveva come giudice-arbitro il professor universitario Gian Luigi Beccaria e che metteva in palio solo enciclopedie, raccolte di classici e vocabolari. Grosso modo nella collocazione di palinsesto che ora è dell’Eredità, tre edizioni di grande seguito in cui, tra l’altro, apprezzati attori di teatro leggono pagine immortali della nostra letteratura e i giovani concorrenti scrivono un testo di tipo saggistico.
Arrivano poi La grande corsa, Argento e Oro, La grande occasione (gioco sull’economia, in prima serata su Rai2, in cui si vice per la prima volta un miliardo di vecchie lire), La Rete.

 


 

Al seguito di Emmanuele Milano che andava a dirigere Tele Montecarlo, nel 1991 Rispoli rompe il sodalizio con la tv pubblica che dura da 37 anni per tentare l’avventura sull’emittente privata monegasca. Qui nascono Ho fatto 13!!!, tre edizione di La più bella sei tu che rimette in gioco nel prime time le canzoni di Sanremo e, soprattutto il Tappeto volante: talk show pomeridiano, con
un’appendice alle 23.00, che dal 1993 al 2000 ha fortemente caratterizzato l’offerta della rete, con un indiscusso ritorno pubblicitario e di ascolti.
Tanto che in quel salotto sono passati “a titolo gratuito” oltre diecimila ospiti appartenenti al mondo della cultura, della politica, dello spettacolo ed anche sconosciuti, con un numero verde sempre aperto a disposizione dei telespettatori e dei loro quesiti. L’inventore di quel Chiamate Roma 3131 che aveva rivoluzionato la radio nel 1969, soprannominato da Melba Ruffo il “principe delle parole”, non smentisce la sua attenzione e il rispetto per le istanze della gente.
Tra una canzone di Rita Forte e un sorriso della Ruffo e poi di Roberta Capua, le impeccabili “padrone di casa”, sui divani bianchi dello studio romano di via Chiabrera 54/d del Tappeto volante si sono accomodati Vittorio Gassman, Claudia Cardinale, Stefania Sandrelli, Isabel Allende, Silvio Berlusconi, Regina Bianchi, Walter Veltroni, Gianfranco Fini, Giampaolo Pansa, Paolo Mieli, Pippo Baudo, Nilde Iotti, Mia Martini, Renato Zero, Gigi Proietti, Ferruccio De Bortoli, Ersilio Tonini, Eugenio Scalfari, Giulio Einaudi, Dario Fo, Rita Levi Montalcini, Massimo D’Alema, Fausto Bertinotti, Renzo Arbore, Gianfranco Funari, Luc Montagnier, Carmelo Bene, Loretta Goggi, Sebastiano Vassalli, Carlo Verdone, Alberto Bevilacqua, Maurizio Costanzo, Maria De Filippi, Lorella Cuccarini... ma, come ovvio, l’elenco non può essere in alcun modo esaustivo.
Luciano Rispoli non ha mai abdicato alla sua idea di televisione composta, dignitosa, di contenuti. Dopo Tmc, ha portato il Tappeto volante su Odeon Tv, Raisat, Canale Italia, fino al 2009. Mentre nel 2010, senza perdersi d’animo, si è rimboccato le maniche ed è ripartito dalla piccola RomaUno (visibile sul bouquet Sky, oltre che in chiaro in ambito regionale) con Protagonisti, ampie interviste a personaggi noti di spettacolo e politica.
Ecco in estrema sintesi la ricca carriera di un padre fondatore del mezzo televisivo a cui, colpevolmente, Techetechetè e Porta a porta nel tentativo raffazzonato di ragguagliare i
telespettatori sui sessant’anni della tv hanno dedicato un frame muto e un rapidissimo quanto insignificante saluto da parte di Bruno Vespa sui titoli di coda della sua trasmissione. Ingiusto, oltre che scorretto.

 

Pronto Raffaella? Di Giancarlo Leone
Pronto, Raffaella? fu una trasmissione andata in onda su Raiuno dall’ottobre del 1983 al giugno 1985, con l’interruzione estiva, condotta da Raffaella Carrà.
Il varietà, diretto da Gianni Boncompagni, con i testi di Lianella Carell, Giancarlo Magalli e lo stesso Boncompagni, fu il primo show della Rai ad inaugurare e a scoprire la fascia del mezzogiorno, precedentemente occupata dal monoscopio. Presto si arrivò a 14 milioni di spettatori ogni giorno.
La chiave del successo del programma fu l’inedito format di interazione diretta con il pubblico attraverso le telefonate in diretta, le lettere ed i giochi. La Carrà, già affermata e reduce dai successi delle varie Canzonissime, da Fantastico 82 con Corrado, dimostrò anche tutte le sue qualità umane nel contatto con il pubblico, che era fino ad allora abituato a vederla solo come un’irraggiungibile star del sabato sera.

La trasmissione comprendeva le canzoni, i balletti, e i momenti comici (nella trasmissione fece il suo debutto, udite udite, nelle vesti di imitatore, Fabio Fazio), ma il momento clou della
trasmissione erano i giochi telefonici, come Il gioco dei fagioli, dove si doveva indovinare il numero di fagioli contenuti in un barattolo di vetro, difficile da indovinare, tanto che di puntata in puntata cresceva sempre più il montepremi, fino ad arrivare a delle cifre astronomiche per quei tempi. Lo stesso Gianni Boncompagni poi ammise, in un secondo tempo, che il gioco dei fagioli fu copiato


 

da un programma che andava in onda su una Tv privata toscana, Tele Libera Firenze, condotto da una giovanissima Cesara Buonamici. Altro gioco fu Il gioco dei colori, dove i concorrenti dovevano indovinare al telefono la domanda la cui risposta era, per l’appunto, un colore.
Il successo di Pronto, Raffaella? fu oggetto di studio di varie televisioni mondiali ed europee, mentre la Germania, la Spagna, l’Argentina ed il Brasile ne copiarono il format.
Il programma è senz’altro rimasto nella memoria degli italiani: molti ricorderanno Punto e Virgola, un cane ed un gatto che giravano per lo studio, “importunando” anche qualche volta la Carrà, impegnata con i giochi al telefono o nelle interviste. Tra i ricordi memorabili di quella trasmissione, si gridò al miracolo quando una bambina, fino ad allora creduta muta, riuscì ad intonare alcune parole di Fatalità, la sigla della prima edizione del programma interpretata dalla Carrà (la seconda edizione ebbe invece come sigla un’altra canzone famosa della Carrà, Que dolor), che “pagò” il clamoroso evento finendo al centro di ripetute satire,sketch e barzellette.
La Carrà fece solo due edizioni del programma, dedicandosi poi ad altri programmi anche molto simili, ma in fasce orarie diverse. A partire dall’ottobre del 1985, il programma, con il nuovo titolo Pronto chi gioca?, fu condotto da Enrica Bonaccorti con altrettanto successo.
Alcune soluzioni scenografiche adottate nel programma, un’ambientazione domestica in un salotto con comodi divani in pelle bianca con una terrazza con vista su Roma, furono ripresi anche da format successivi.

 

Cari amici vicini e lontani. Di Giancarlo Leone
Continuiamo il nostro viaggio attraverso i 60 anni della tv, ricordando Cari amici vicini e lontani.
Cari amici vicini e lontani è stato il programma che rappresentò il ritorno televisivo di Renzo Arbore dopo un periodo di assenza dagli schermi. Fu un successo incredibile, riuscendo a battere negli ascolti la programmazione di Canale 5. Era dedicato al 60° anniversario della Radio Italiana, nata come Eiar, e andò in onda in 6 puntate dal 30 ottobre al 4 dicembre 1984 su Raiuno. Il programma era ideato da Emmanuele Milano, mentre gli autori del programma furono lo stesso Renzo Arbore con Riccardo Pazzaglia, Aldo Zappalà, Francesco Macchia e Bruno Voglino.
Renzo Arbore fu il goliardico ed elegante presentatore di questo varietà all’insegna della nostalgia, dove fu ripercorsa con dovizia di particolari e passione la storia della radio italiana, grazie alla partecipazione dei suoi protagonisti, da Nunzio Filogamo, a cui fu ispirato il titolo della trasmissione, conduttore radiofonico fin dagli Anni ‘30 a Pippo Barzizza e le prime orchestre radiofoniche, da Silvana Fioresi a Carla Boni, da Alberto Sordi a Corrado, da Ernesto
Bonino a Claudio Villa, da Lelio Luttazzi a Gianni Boncompagni e Giancarlo Guardabassi, da Silvio Gigli a Mike Bongiorno, da Enrico Montesano a Gigi Proietti, da Johnny Dorelli a Ugo Tognazzi, da Dario Fo a Raimondo Vianello, da Vittorio Gassman a Gino Bramieri, da Michelangelo Antonioni al Duo Fasano. E le trasmissioni radiofoniche ricordate? Tantissime, in 60 anni la radio ne ha lanciate delle più svariate. Proviamo a ricordare quelle più significative? I quattro moschettieri, Oplà, Rosso e Nero, i primi Festival di Sanremo, prima che nascesse la tv nel 1954, Gran Baraonda, e poi Gran Varietà, Batto Quattro, Hit Parade, La corrida, Ferma la musica, Buon Pomeriggio, Chiamate Roma 3131, Il gambero, Bandiera Gialla, Alto Gradimento, Voi ed io, Supersonic, Spazio X.

Arbore si esibì come clarinettista nell’Orchestra dei “Senza Vergogna”, che comprendeva tra i nomi più famosi Gegè Telesforo, Stefano Palatresi, Massimo Catalano e Marcello Cirillo.
La sigla finale del programma era eseguita dalle Gemelle Nete, che presentarono una rivisitazione del successo del Quartetto Cetra, Un bacio a mezzanotte, che le gemelle piemontesi cantavano accompagnate da Arbore e dai “Senza Vergogna”.

 


 

Quelli della notte. Di Giancarlo Leone
Quelli della notte è stato un programma televisivo di Renzo Arbore ed Ugo Porcelli trasmesso da Raidue intorno alle 23,10, dal 29 aprile al 14 giugno1985: 33 puntate, con l’interruzione del 29 e 30 maggio in seguito alla strage di Heysel.
In un clima scherzoso, Arbore condusse questa trasmissione che alternava brani eseguiti dalla New Pathetic Elastic Orchestra, cantati in buona parte da Mauro Chiari e Silvia Annichiarico, con scherzi e sketch di comici come Nino Frassica (interpretava uno dei personaggi più riusciti, Fra’ Antonino da Scasazza, un improbabile frate il cui linguaggio era un miscuglio di parole storpiate ed interpretazioni sbagliate), Maurizio Ferrini (interpretava un improbabile comunista romagnolo, rappresentante di pedalò della ditta “Cesenautica”, che presumeva di svelare fantomatici segreti della Russia sovietica e vantava inesistenti silos pieni di pedalò, condendo ogni suo intervento con il tormentone: “Non capisco, ma mi adeguo”. Indossava generalmente un completo spezzato, giacca a quadrettoni e camicia con lo stesso motivo), Andy Luotto (interpretava inizialmente il personaggio di Harmand che punteggiava ogni sua frase nel suo arabo di fantasia, con il tormentone popl’ arab’. Il personaggio suscitò le proteste ufficiali di alcune ambasciate mediorientali e lo stesso attore fu fatto segno di minacce personali. Gli autori decisero allora di eliminare il contestato personaggio dell’arabo, facendo interpretare a Luotto la caricatura di un ricco italo-americano di Brooklyn), Riccardo Pazzaglia (interpretava un brillante scrittore e paroliere e tentava vanamente di innalzare il livello culturale della discussione.

 

Ma ogni volta veniva trascinato dagli altri partecipanti al salotto negli argomenti più banali. Una delle sue maggiori espressioni era “il brodo vegetale”), Roberto D’Agostino (era il lookologo che dissertava sui nuovi trend sociali. Autore dell’espressione edonismo reaganiano, citava come un tormentone il romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, che allora andava per la maggiore), Massimo Catalano (era un noto jazzista e viveur, la cui caratteristica era formulare aforismi attraverso cui esprimere delle assolute ovvietà, del tipo: “Meglio essere ricchi e in salute che poveri e malati”, “Meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida”. Per un certo periodo la parola “Catalanità” fu sinonimo di “Lapalissiano”), Dario Salvatori era l’esperto di musica della trasmissione, Angelo Antonio Toriello (in arte Marvin, interpretava canzoni Anni ’50 come Dean Martin and insieme ad Arbore come Elvis),
e poi Giorgio Bracardi, Marisa Laurito, Simona Marchini e i musicisti Gegè Telesforo, Sal Genovese, Stefano Palatresi, Gianni Mazza ed il Duo Antonio e Marcello.


 

Come in altri suoi programmi, precedenti e successivi, l’intento di Arbore era satirico nei confronti di un certo tipo di televisione e tendeva a reicreare lo stesso clima del radiofonico Alto Gradimento. Nel caso di Quelli della notte ad essere presa di mira era la moda, nata fra la fine degli anni ’70 e primi anni ’80, del salotto televisivo, spesso vacuo raccoglitore di chiacchere
senza costrutto, in un maldestro assortimento dei più svariati personaggi che dicono la loro a ruota libera su qualsiasi argomento.
La trasmissione ottenne un crescente successo fino a superare il 50% di share. Celebri sono rimaste la sigla di apertura, Ma la notte no, proposto anche come titolo della trasmissione in alternativa a Quelli della notte e quella che accompagnava i titoli di coda, Il Materasso.

 

Pronto chi gioca? Di Giancarlo Leone
Pronto, chi gioca? fu un programma televisivo trasmesso da Raiuno nelle stagioni 1985-1986 e 1986-1987, sempre nella fascia di mezzogiorno. Enrica Bonaccorti, infatti, fu la presentatrice che sostituì Raffaella Carrà nel salotto tv di mezzogiorno, dopo il fortunato programma, Pronto, Raffaella?

 

La regia della trasmissione era sempre di Gianni Boncompagni, che curava anche i testi, Giancarlo Magalli e, dalla seconda edizione, Irene Ghergo. La prima trasmissione fu trasmessa il 7 ottobre 1985, l’ultima il 26 giugno 1987. In totale sono state prodotte in 2 edizioni 376 puntate.
I contenuti del programma, come Pronto Raffaella?, erano i giochi telefonici e le interviste degli ospiti. Il salotto si rinnovava e campeggiava una finestra virtuale su Roma. La formula invariata prevedeva balletti e gli immancabili quiz telefonici, la cui soluzione a volte tardava settimane, fruttando però vincite memorabili, fino a 140 milioni di lire in un colpo, in un’atmosfera spensierata e confidenziale. Nella prima edizione c’era anche una ballerina, Alessandra Martines.
Le coreografie nella prima edizione furono affidate a Don Lurio, nella seconda a Luciana Verdeggiante, mentre la direzione musicale in ambedue le serie fu di Paolo Ormi.
Pronto, chi gioca? ebbe una seconda edizione segnata da nuovi ingressi nel cast, tra cui la “fatina” Maria Laura Baccarini, il ballerino Russell Russell ed il quartetto comico dell’Allegra Brigata, divenuto in seguito Premiata Ditta, formato da Pino Insegno, Roberto Ciufoli, Francesca Draghetti e Tiziana Foschi.
Giancarlo Magalli, già autore del programma, sostituì per un breve periodo Enrica Bonaccorti durante la sua gravidanza. L’annuncio fatto in diretta le fruttò pesanti accuse di
strumentalizzazione del mezzo televisivo a fini privati, aprendo la strada ad un uso personale del
video che, spentesi le polemiche, è diventato prassi.
Nel 1987 la trasmissione si trasformò per 5 sabati in prima serata in Pronto, Topolino?, dove la trasmissione era abbinata alla messa in onda di un film della Walt Disney e vide la partecipazione di Heather Parisi che in ogni puntata eseguiva un balletto ispirato al film trasmesso.
Anche queste due edizioni del talk-show di Raiuno ottennero molto successo; la Bonaccorti grazie alla sua affabilità e la sua simpatia riuscì a sostituire la Carrà senza farla rimpiangere, divenendo così la nuova regina del mezzogiorno televisivo italiano.
Al termine della seconda edizione del programma, nel giugno 1987, Enrica Bonaccorti lasciò la Rai per l’allora Fininvest. Giancarlo Magalli, che nel frattempo venne definitivamente promosso come presentatore della fascia di mezzogiorno, nell’autunno del 1987 condusse, sulla falsariga di Pronto, Raffaella? e Pronto, chi gioca?, Pronto, è la Rai? dal 5 ottobre 1987. La rete ammiraglia, orfana delle star Carrà e Bonaccorti, transfughe alla Fininvest, lasciò carta bianca a Magalli, che ripropose la formula collaudata dello spensierato salotto gremito di ospiti, amici e ballerini. Al fianco di Magalli, Simona Marchini che si cimentava in scenette, giochi telefonici e la sua “posta del cuore”, un filo diretto confidenziale con i telespettatori. Forte delle esperienze precedenti, facendo leva sulle personalità accattivanti, sebbene diverse dei conduttori, Magalli ripropose un


 

programma frammentato, che non richiedeva un’attenzione costante, alleggerito com’era rispetto alle edizioni passate, con meno ospiti famosi a vantaggio di sconosciuti.

 

Biberon, Crème Caramel, Bucce di banana. Di Giancarlo Leone
Per ben otto anni imperversarono su Raiuno quelli del Bagaglino. Un’allegra brigata che ci ha tenuto compagnia dal 1987 fino a tutto il 1994. Nell’ordine andarono in onda: Biberon, Crème caramel e Bucce di banana. Poi dal 1995, con Champagne, e poi Rose Rosse e tante altre trasmissioni, tutta la brigata trasmigrò a Canale 5. Ma vediamo le tre trasmissioni di varietà Rai che allietarono prima i mercoledì e poi i sabati di tanti telespettatori.
Biberon – Andò in onda il mercoledì sera dal 25 novembre 1987. Gli autori erano Mario Castellacci e Pierfrancesco Pingitore, che curava anche la regia. Era condotto da Pippo Franco, Leo Gullotta e Oreste Lionello e vi parteciparono vari personaggi, da Gabriella Ferri a Pamela Prati, e ancora Martufello, Manlio Dovì, Gabriella Labate.
Lo show di satira politica, trasmesso in diretta dal Salone Margherita di Roma, raccoglieva i cabarettisti del gruppo del Bagaglino, mitico locale-cantina della capitale. Ogni puntata metteva in scena le vicende degli Sgorbiolini, famiglia strampalata che rappresentava vizi e virtù degli italiani ed i protagonisti del Palazzo del potere e della politica, delle cronache e del costume, presentati come una telenovela. Gli Sgorbiolini gestivano il Boss Club, locale dove si ritrovavano politici come Giulio Andreotti (imitato da Oreste Lionello), Ciriaco De Mita (imitato da Mario Zamma) e Bettino Craxi (imitato da Pier Luigi Zerbinati) erano interpretati da sosia. Pamela Prati era la soubrette, la prima donna del club, prorompente ballerina e cantante, vista malissimo dalla signora Sgorbiolini (Leo Gullotta), mentre Pippo Franco era il marito succube della Sgorbiolini. Gabriella Ferri cantava la sigla d’inizio e di coda. Nelle tre edizioni il parterre del Salone Margherita finì
con il diventare un passaggio obbligato per celebrità e politici, più divertiti che feriti dalle battute satiriche.

Crème caramel – Il varietà andò in onda di sabato, dal 12 gennaio 1991 ed era la continuazione di Biberon. Gli autori erano sempre Mario Castellacci e Pierfrancesco Pingitore (che curava anche la regia) a cui si aggiunse Carla Vistarini. I presentatori erano sempre Pippo Franco, Oreste Lionello e Leo Gullotta e la soubrette Pamela Prati. Pippo Franco era il titolare questa volta della “Grande Pasticceria Italia”, che preparava dolci e torte per una festa di beneficenza.

 


 

Il gruppo del Bagaglino mischiava ancora una volta, dopo il successo di Biberon, gli ingredienti dell’avanspettacolo e della satira politica ottenendo indici di ascolto tra i nove ed i dieci milioni di telespettatori. Anche qui non mancava una buona dose di sosia dei politici: Andreotti (Oreste Lionello), Craxi (Pier Luigi Zerbinati), De Michelis (Alberto Lonardi), De Mita (Mario Zamma), Forlani (Manlio Dovì), Occhetto (Aldo De Luca).Una seconda edizione del programma andò in onda nella stagione 1991-92.
Bucce di banana – Il varietà andò in onda di sabato, dal 1 gennaio 1994 e anche questo era un  po’ la continuazione di Crème caramel. I titoli cambiavano ma la sostanza rimaneva pressoché invariata. Gli autori erano sempre Mario Castellacci, Pierfrancesco Pingitore (anche regista) e Carla Vistarini. I presentatori erano Pippo Franco, con Oreste Lionello e Leo Gullotta. Cambio della soubrette: arrivava la biondissima Valeria Marini, affiancata da Gabriella Labate, Martufello, Mario Zamma Maurizio Mattioli. Trasmesso in diretta, come sempre, dal Salone Margherita di Roma, lo show satirico del gruppo del Bagaglino, già protagonista dei precedenti Biberon, Crème caramel, Saluti e baci, questa volta era ambientato nella scuola per la nuova classe dirigente Mani in pasta. Pippo Franco era il preside Pippo Brucellosa, sua moglie Leonida (Leo Gullotta) insegnava bon ton, Oreste Lionello era Nicolino, “l’alunno più viscido d’Italia”, mentre la professoressa di “nuovi comportamenti personali” era Valeria Marini. Non mancavano neanche questa volta i sosia dei politici, da Achille Occhetto a Gianfranco Fini, da Umberto Bossi a Carlo Azeglio Ciampi, da Rosy Bindi ad Alessandra Mussolini. La satira mirava a colpire la “Seconda Repubblica”: il titolo alludeva “all’Italia che sta scivolando verso il nuovo”. Il varietà, in una sola edizione, aveva rischiato di non andare in onda: il Consiglio di amministrazione della Rai, presieduto da Claudio Demattè, non aveva rinnovato il contratto al gruppo del Bagaglino, cancellandolo dalla programmazione per recuperarlo poi all’ultimo momento.

 

Indietro tutta. Di Giancarlo Leone
Indietro tutta! è stata una popolare trasmissione di Renzo Arbore su testi dello stesso Arbore, Ugo Porcelli, Alfredo Cerruti e Arnaldo Santoro, condotta da Renzo Arbore e Nino Frassica (il bravo presentatore), in onda in seconda serata su Raidue dal 14 dicembre 1987 all’11 marzo 1988, verso le 22.30, per un totale di 65 puntate.
Il programma, che voleva apparire come un gioco a premi dove si sfidavano concorrenti del Nord e del Sud Italia, era in realtà un varietà, originalissimo, con forti intenti satirici verso la televisione stessa, i suoi stereotipi ed i suoi contenuti. Arbore, infatti, con questo programma, fra sketch e personaggi curiosi, gag esilaranti, canzoni e finti giochi a premi, stigmatizzava un certo tipo di televisione,che proprio negli anni ’80 aveva iniziato ad orientarsi verso un genere di
intrattenimento sempre più commerciale e di basso livello culturale, fra salotti televisivi sempre più frivoli, ragazze sempre più spogliate, giochi a premi sempre più banali che distribuivano milioni come se piovessero.
Tra gli elementi satirici, oltre alle scenografie e ai costumi volutamente ed esageratamente sfarzosi e grotteschi, spiccavano le Ragazze Coccodè, che ballavano vestite con costumi da galline, antesignane delle più attuali veline, letterine…, o lo sponsor immaginario della trasmissione, il Cacao Meravigliao. Memorabili alcune gag che hanno alimentato veri tormentoni: “Volante uno a Volante due” (le voci di due poliziotti, l’agente Frontone della Volante 1 e l’agente Frangipane della Volante 2, con le voci di Alfredo Cerruti e Arnaldo Santoro, coautori del programma, che per un contatto radio “entravano” in onda durante la trasmissione); “chiamo io… chiama lei” (la voce del Prof. Pisapia, ancora Alfredo Cerruti, che rinchiuso sotto la tolda della nave a guardare la Tv, che chiosava con Arbore); “che sta pensando quiz”. Ricordiamo gli sketch di Mago Forest, quelli di un esordiente Francesco Paolantoni nei panni di Cupido, quelli del “gonghistaFulvio Falzarano. E ancora le tante vallette del programma, tra cui una giovanissima Maria Grazia Cucinotta, la “Miss SudNina Soldano e la “Miss NordAdriana Oliveira.
Nel programma venne abolita la classica soglia esistente in tv tra “scena” e “retroscena”:

ad esempio la “Regia in diretta” di Renzo Arbore, che dirigeva con due consolle video la trasmissione mentre era in diretta. Arbore, poi, si rivolgeva al “bravo presentatoreNino Frassica come se fosse ad una “prova generale” prima dello spettacolo.
Il programma di Arbore, che appariva in uniforme da ufficiale da marina, divenne in breve tempo un cult, così come il suo illustre predecessore, Quelli della Notte; alcune battute dei protagonisti divennero veri tormentoni, così come le varie canzoni eseguite in diretta: Sì, la vita è tutta un quiz (Sigla di apertura), Vengo dopo il tiggì (sigla di chiusura), Pirulì e Cacao Meravigliao. Quest’ultima finta sponsorizzazione prevedeva un balletto delle ragazze Cacao Meravigliao, di cui solo una era veramente brasiliana, sulle note di un jingle facilmente orecchiabile, con musicalità esotica.

 

Il Festival di Sanremo. Di Giancarlo Leone
Ed eccoci alla kermesse canora più rappresentativa. Il Festival della Canzone Italiana di Sanremo è una manifestazione musicale che ha luogo ogni anno a Sanremo e rappresenta, ormai da anni, forse da sempre, uno dei maggiori eventi mediatici italiani, trasmesso prima solo dalla radio e poi contemporaneamente da radio e televisione.
Il matrimonio tra Rai e Festival si celebra per la prima volta dal 27 al 29 gennaio 1955, quando le telecamere si accesero per la prima volta nel Salone delle Feste del Casinò. Presentavano Armando Pizzo e Maria Teresa Ruta, zia dell’omonima presentatrice e showgirl, ex moglie di Amedeo Goria. Vinse quell’anno Claudio Villa con Buongiorno tristezza, in coppia con Tullio Pane. Audience presunta, otto milioni di telespettatori. Il Festival ha avuto quasi sempre un presentatore principale, di volta in volta affiancato da vallette o spalle. In rari casi si è trattato di vere e proprie co-conduzioni. Il record appartiene a Pippo Baudo, in scena per ben tredici edizioni (la prima nel 1968, affiancato da Luisa Rivelli, l’ultima nel 2008, affiancato da Piero Chiambretti, Bianca Guaccero ed Andrea Osvart) seguito da Mike Buongiorno che ha
presentato la manifestazione per undici volte (la prima nel 1963, affiancato da Rossana Armani, Edy Campagnoli, Giuliana Copreni e Maria Giovannini, l’ultima nel 1997, affiancato da Piero Chiambretti e Valeria Marini), da Nunzio Filogamo per cinque (1951, 1952, 1953, 1954 e 1957, dove era affiancato da Marisa Allasio, Fiorella Mari, Nicoletta Orsomando) e da Fabio Fazio con quattro edizioni (la prima nel 1999, affiancato da Laetizia Casta e Renato Dulbecco, l’ultima nel febbraio 2014, affiancato come nel 2013, da Luciana Littizzetto).
In 63 anni di Festival abbiamo assistito a momenti divertenti, basti ricordare Roberto Benigni, allora conduttore con Claudio Cecchetto dell’edizione 1980, che bacia la sua partner conduttrice Olimpia Carlisi per alcuni minuti, le gag di Laurenti con Paolo Bonolis nell’edizione 2009, il bacio appassionato della Littizzetto e Pippo Baudo, i battibecchi fra i conduttori Raimondo Vianello e Veronica Pivetti, le gag tra Mike Bongiorno e Piero Chiambretti, la strizzata delle parti basse di Pippo Baudo da parte di Benigni e tante altre. Ma nel 1967 il Festival ha conosciuto anche una pagina di cronaca nera, quando il cantante Luigi Tenco venne trovato privo di vita nella sua camera d’albergo, poche ore dopo il termine della prima serata di quell’edizione a cui aveva preso parte con la canzone Ciao amore ciao, un brano cantato in coppia con Dalida, a
lui legata sentimentalmente, che, però, il pubblico da casa non apprezzò: Tenco si classificò al dodicesimo posto e per questo non fu ammesso alla serata finale, neanche con il meccanismo del ripescaggio.
Al termine della prima serata, ritiratosi nella sua stanza dell’albergo Savoy, Luigi lasciò un breve messaggio su un biglietto e si suicidò sparandosi un colpo di pistola alla testa. Il biglietto recitava le seguenti parole: “Io ho voluto bene al pubblico e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro il pubblico che manda ‘Io tu e le rose’ in finale e ad una commissione che seleziona ‘La rivoluzione’. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.
Un brutto colpo per il Festival ma anche per tutta l’Italia e il panorama musicale nostrano.
Nonostante l’idea di chiudere i battenti, la kermesse andò avanti; solo Caterina Caselli si rifiutò di

 


 

cantare, mentre Claudio Villa si scusò con il pubblico per la probabile pessima interpretazione del brano.
Negli ultimi anni partecipare a Sanremo è diventata una moda, più che una vetrina o una necessità. Non bisogna stupirsi allora se la classifica delle presenze è dominata da nomi storici della musica: Peppino Di Capri e Milva, con quindici partecipazioni, seguiti da Toto Cutugno a quattordici e della coppia Oxa – Villa a tredici. A Milva spetta anche un poco invidiabile primato legato e condiviso con Orietta Berti, quella del rapporto presenze – vittorie: per entrambe nessun successo, nonostante l’alta percentuale di presenze, undici per Orietta Berti.
Più che miti sanremesi sono colonne portanti della storia della musica italiana: Domenico Modugno e Claudio Villa sono i pluri-vittoriosi della storia del Festival: quattro edizioni, tutte comprese tra il 1958 ed il 1967. Il loro modo di cantare era diverso ma sono riusciti a “spaccare” il pubblico dell’epoca, tra chi preferì la tradizione imposta dalla potenza canora del Reuccio e gli ammiratori delle novità soprattutto gestuali imposte da Mister Volare.
Eppure seppero anche fare “cartello”: accadde nella storica edizione del 1962, quando con Addio addio si assistette ad uno storico e vincente duetto. Gli altri successi di Modugno sono datati 1958, 1959, 1966, Villa vinse nel 1955, nel 1957 e nel 1967: la leggera superiorità di Villa allora si evidenzia solo nei piazzamenti sul podio, sette contro i sei di Modugno, grazie ad un secondo posto in più. Alle loro spalle Iva Zanicchi che dominò il decennio a cavallo tra gli anni ’60 e ’70: le sue vittorie nel 1967, nel 1969 e nel 1974. Ma in generale sono solo dodici i cantanti capaci di vincere almeno due edizioni: l’ultima volta accadde nel 2002 con i Matia Bazar con Messaggio d’amore, che pure in formazione rimaneggiata bissarono il successo del 1978 con …E dirsi ciao. Nessuna sorpresa, da anni Sanremo è più un trampolino che un vanto: e spesso non vincerlo ha portato fortuna…

 

RainventaRai: Una serie web per celebrare i 60 anni della tv.

Di Alice Toscano

L’iniziativa è finalizzata a festeggiare i 60 anni della Tv italiana guardando alle nuove tecnologie. Rai Fiction – in collaborazione con Rai Teche - lancia da domani 26 febbraio, un concorso aperto a tutti, in particolare ai giovani creativi, per realizzare una serie web con il materiale storico della tv italiana . Si vuole, in altre parole, celebrare e raccontare in maniera nuova, attraverso i linguaggi del web, il passato del piccolo schermo.
E’ l’occasione per far conoscere ai giovani la storia della tv che loro possono “reinterpretare” e reinventare sul web. Si rivolge l’appello a scrittori, sceneggiatori, registi e filmaker ai quali si offre l’opportunità di creare e produrre una serie web basata sui materiali delle Teche Rai di cui è responsabile Barbara Scaramucci. Si sperimenta, così, attraverso l’uso delle tecnologie digitali, la creazione di un nuovo racconto seriale.
Partendo da una library del repertorio RaiTeche selezionata e suddivisa nei generi fiction, intrattenimento, eventi storici, i partecipanti potranno inventare la loro serie web lavorando attraverso la fusione dei materiali di archivio con quelli nuovi che verranno prodotti, dando vita ad un inedito racconto. Una stimolante commistione tra vecchio e nuovo per realizzare una fiction seriale pensata per il web.
I progetti migliori verranno premiati e avranno la possibilità di realizzare un episodio pilota di presentazione e potranno accedere al laboratorio di sviluppo  del Premio Solinas. Il vincitore inoltre avrà la possibilità di realizzare, con il supporto della Rai , la sua serie web in 5 puntate da 8 minuti.

Ecco come si svolgerà il concorso:

Prima fase: Partendo dal materiale di repertorio online (che sarà visibile sul sito www.rainventa. rai.it dal 26/02/2014 e che dovrà essere utilizzato nella misura di un minimo di 2’ ad un massimo di 4’ per puntata da 8) i partecipanti dovranno inviare tramite il sito i loro Progetti (articolati in una sceneggiatura per la puntata Pilota più una presentazione del progetto seriale e 4 soggetti per episodi da 8’) tenendo conto dell’intreccio del materiale di repertorio con il nuovo entro il 23


 

aprile 2014. I progetti saranno valutati da un comitato di esperti scelti dalla Direzione Raifiction, Raiteche, Rainet, che selezionerà, entro il 15 maggio 2014, i 10 Progetti finalisti, che vinceranno un premio di 1.500 euro ciascuno e avranno diritto di accesso alla fase successiva del Concorso. Seconda fase: I 10 finalisti avranno la possibilità di effettuare il download del repertorio da utilizzare per realizzare un breve Pilota della durata minima di 2’ e massima di 3’, di cui un minimo di 30’’ ed un massimo di 1’30’’ di materiale di repertorio. Il Pilota dovrà essere caricato sul sito entro il 20 giugno 2014.
Terza fase: I 10 Piloti inviati saranno visibili on line sul sito dedicato al concorso (www.rainventa. rai.it). I videoclip saranno valutati da una giuria popolare che voterà direttamente sul sito fino al 15 luglio 2014 e il più votato dalla giuria popolare, passerà di diritto tra i cinque progetti finalisti. I restanti 4 progetti saranno selezionati da una giuria di esperti.
Quarta fase: I 5 piloti finalisti saranno seguiti nel Percorso di Sviluppo da professionisti selezionati dal Premio Solinas (registi, montatori, sceneggiatori ed esperti di effetti speciali e digitali) e da un comitato scientifico composto da membri interni Rai (appartenenti alle
Direzioni Raifiction, Rainet e Raiteche), che affiancheranno gli Autori nella stesura delle altre 4
Sceneggiature e nella messa a punto del Progetto seriale.
Quinta fase: La Giuria del Concorso proclamerà il progetto vincitore, scelto tra i cinque finalisti, entro il 30 novembre 2014. Il Vincitore avrà diritto ad un premio in denaro, pari ad euro 3.500,00 ed a realizzare presso un Centro di Produzione della Rai l’intera serie web in 5 puntate da 8’ ciascuna, con un budget complessivo di 25.000,00 euro.

 

Scommettiamo che...?  Di Giancarlo Leone
Scommettiamo che…? è stata una trasmissione andata in onda su Raiuno dal 13 aprile 1991 al 1996, in seguito riproposta con alcune varianti, sempre su Raiuno nel 1999, 2001, 2003 e su Raidue nel 2008.
L’autore del programma era Michele Guardì ed i conduttori Fabrizio Frizzi e Milly Carlucci, mentre l’orchestra era diretta dal simpatico Maestro Gianni Mazza. Il programma si basava sul format tedesco ZDF Wetten, dass…?; questo gioco del sabato sera, trasmesso in diretta dal Teatro delle Vittorie di Roma, sostituiva il tradizionale appuntamento del varietà del sabato sera. Il varietà proponeva stravaganti e a volte difficili prove d’abilità, realizzate in teatro o in luoghi esterni, collegati con lo studio televisivo, dove si cimentavano i concorrenti. Le prove venivano giudicate da ospiti presenti in studio, il più delle volte appartenenti al mondo dello spettacolo, che
scommettevano sulla riuscita o meno delle entusiasmanti imprese. Per coinvolgere maggiormente
i telespettatori, lo show prevedeva anche un tele sondaggio. La resa altamente spettacolare delle esibizioni e l’affiatata conduzione della coppia Frizzi – Carlucci, decretarono il successo di pubblico dello show del sabato sera, che dalla seconda edizione fu abbinato alla Lotteria Italia ed
è proseguito fino alla stagione 1995-96, ottenendo sempre lusinghieri ascolti, tra gli 8 ed i 9 milioni di telespettatori. Dal 2003 il programma è stato affidato alla coppia Columbro – Cuccarini.
L’ultima edizione di quelle condotte dalla coppia Frizzi - Carlucci, andata in onda dal 7 ottobre 1995 al 6 gennaio 1996, con la sua formula invariata, iniziava a mostrare segni di stanchezza, tanto che, per la prima volta e per ben tre settimane consecutive, il varietà La corrida, condotto da Corrado, su Canale 5, riuscì a battere in ascolti uno show Rai abbinato alla Lotteria Italia. Per tale ragione, si decise di mettere a riposo il format per qualche stagione. Una particolarità: la serata di sabato 4 novembre fu interrotta da un’edizione straordinaria del Tg1 che annunciava l’attentato mortale al primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Dopo un minuto di silenzio, seguito da una nuova edizione straordinaria del Tg1, Fabrizio Frizzi annunciava, che per decisione dei vertici Rai, si ritenne opportuno non proseguire lo show.
Durante l’ultima puntata di questa edizione, un commosso Michele Guardì uscì dalla cabina di regia e andò spontaneamente dentro la doccia dello storico contenitore del sabato sera. Durante i saluti finali partì un lungo applauso per Corrado che aveva battuto la trasmissione per molte

 


 

puntate.
Dall’11 novembre 1999 al 17 febbraio 2000 nuova edizione, la settima, condotta da Fabrizio  Frizzi ma con una nuova partner, Afef. In questa edizione, a differenza del passato, i quattro ospiti famosi non si limitavano a puntare sulla riuscita o meno delle imprese, ma affrontavano a loro volta alcune prove di varia natura e difficoltà. Per ogni prova superata aumentava il montepremi da assegnare allo scommettitore che, alla fine della serata otteneva i maggiori consensi del pubblico a casa attraverso il televoto. Per ogni prova non superata invece l’ospite famoso riceveva una simbolica doccetta. Il personaggio che alla fine della serata accumulava il maggior numero di doccette era candidato alla doccia finale.
L’edizione del 2001 andò in onda dal 10 marzo al 2 giugno. Dopo anni, la trasmissione lasciava il Teatro delle Vittorie per approdare allo Studio Nomentano 5 della Dear. La conduzione era
affidata ancora una volta a Fabrizio Frizzi, affiancato questa volta dalla modella argentina Valeria Mazza. Il meccanismo del gioco aveva subìto dei cambiamenti. Oltre alle quattro scommesse dei concorrenti, votate come di consueto dal pubblico a casa, erano presenti anche quattro coppie composte da personaggi del mondo dello spettacolo e da scommettitori, che devono scommettere sulle imprese dei concorrenti in studio, ma anche cimentarsi in varie prove di cultura e abilità.
Ricca di novità l’edizione dell’autunno 2003, condotta da Lorella Cuccarini e Marco Columbro, in diretta dagli ex capannoni della Voxson in Via di Tor Cervara a Roma. Anche qui grossi cambiamenti.
L’ultima edizione, in onda per 4 mercoledì, dal 7 al 28 maggio 2008, andò in onda su Raidue e fu condotta da Alessandro Cecchi Paone e Matilde Brandi, in diretta dal Teatro18 di Cinecittà. La trasmissione torna ad essere firmata da Michele Guardì con Giovanna Flora e Tonino Quinti, con una nuova scenografia realizzata da Mimma Aliffi. Questa breve edizione apparve come
un revival dello storico programma, tanto che le novità della precedente edizione furono tutte cancellate, ritornando alla scaletta, al regolamento e alla struttura scenografica delle edizioni condotte da Frizzi. Cecchi Paone conduceva tutte le scommesse ed interagiva molto con il divano degli ospiti, rendendo più marginale il ruolo della co-conduttrice.

 

Donna è.. convegno promosso dalla Rai per i 60 anni della tv.
Di Massimo Luciani

 

L’evento è organizzato dalla Rai in occasione dei 60 anni della tv e dei 90 della Radio all’Auditorium Parco della Musica di Roma, mercoledì 5 e giovedì 6 marzo. Il convegno ‘Donna è… si svolge in due giorni di lavoro, divisi in cinque sessioni (moderate dal direttore di Rai News24 Monica Maggioni), con oltre trenta relatori, per raccontare il rapporto della Donna con la politica, l’economia, l’innovazione, la cultura e i media, mettendo a confronto donne italiane  e straniere che, giunte all’apice della carriera, siano in grado di contrastare gli stereotipi legati al mondo femminile. “Se un uomo alza la voce è autoritario, se lo fa una donna è isterica” ha osservato con  un sorriso, alla presentazione del convegno che si è tenuta questa mattina,

Cinzia Pennisi, uno tra i pochi direttori d’orchestra di sesso femminile del nostro Paese, colpita
nell’immaginazione collettiva, il direttore d’orchestra deve essere scapigliato, sessualmente vorace e maschio”. ‘Donna è…’ è stato fortemente voluto dal presidente della Rai Anna Maria Tarantola, in considerazione “della responsabilità che la Rai ha nel contribuire, attraverso una presenza equilibrata, ad una rappresentazione corretta della donna, a realizzare una concreta uguaglianza tra uomini e donne. Vogliamo far capire che la vera parità non è un lusso o un favore fatto alle donne ma un modo per favorire il benessere di tutti”. Per la Tarantola “ci sono studi che attestano come la maggior presenza femminile abbia effetti positivi sul reddito delle famiglie, sull’educazione


non ci sono politici perché la Rai, in quanto servizio pubblico radiotelevisivo, deve garantire
che sarà tra i relatori del convegno, trova “importante che la Rai abbia assunto una responsabilità


anche come modello aspirazionale. Negli anni Ottanta la rappresentazione della donna in tv ha fatto un passo indietro. E’ accaduto con l’avvento della tv commerciale ma anche nella pubblicità. E pure il servizio pubblico è caduto in questo tranello”. Ora, invece, per la Andreatta, “dobbiamo chiederci qual è il modello femminile che vogliamo raccontare. Perché, se è vero che il pubblico
donna c’è, come le ‘professoresse’ Pivetti e Littizzetto, ma generalmente vengono raccontate nel loro privato non come professioniste. ‘Una mamma imperfetta’ è un po’ l’icona della donna che


 

vogliamo raccontare e, al momento, stiamo lavorando ad un progetto per il web intitolato ‘Io credo che lassù’ sulla vita delle ragazze di provincia”. In conclusione, una precisazione del presidente Rai: “Non vogliamo raccontare solo donne all’apice della carriera, Tra i relatori c’è Lilia Bicec, scrittrice e presidente dell’Associazione italo-moldava ‘Moldbrixia’ e fondatrice del giornale italo- moldavo ‘Moldbrixia news’ che, nel nostro Paese, fa la badante”.

 

Donna è: l’intervento del Presidente della Rai.

Intervenuta ad aprire i lavori del convegno Donna è... il Presidente della Rai Anna Maria Tarantola, femminile e assicurarle dignità e rispetto.
La RAI, in quanto Servizio pubblico ha la responsabilità, in linea con la sua missione di interesse generale, di proporre modelli, messaggi, opinioni e visioni che possano “contaminare” positivamente l’immaginario collettivo. La RAI può contribuire al progresso culturale del Paese

e all’affermazione dell’equilibrio di genere. Può e deve farlo su più piani: quello aziendale, assicurando alle donne di potersi esprimere accedendo in misura crescente ai processi decisionali; quello editoriale, realizzando una offerta complessiva che garantisca il rispetto
dei ruoli che la donna svolge nella vita sociale, culturale, economia e politica del Paese. E ancora, favorendo una maggiore presenza delle donne all’interno dei programmi d’informazione e di intrattenimento; fornendo strumenti di conoscenza volti a prevenire e contrastare la violenza
sulle donne, evitando, in particolare l’uso di immagini e contenuti discriminatori e che possano contribuire alla violenza di genere.


umanità e portatrici di valori etici. Queste nostre azioni stanno dando alcuni risultati, come emerge dal monitoraggio che, in ottemperanza a quanto previsto dal Contratto di Servizio 2010-2012

in video e analizzare quanto l’immagine femminile veicolata dalle trasmissioni Rai corrisponda a una rappresentazione reale. I risultati mostrano luci e ombre. Ampia è la presenza di donne tra
i professionisti interni (conduttori, giornalisti, inviati, corrispondenti, ecc.) e questo è un risultato importante che evidenzia l’orientamento aziendale alle pari opportunità.

Emerge anche una tendenza al bilanciamento di genere nei programmi di intrattenimento con riferimento sia alle celebrità (attori, cantanti, comici, musicisti e altri artisti) che alle persone
cui emerge una rappresentazione femminile ampia, , articolata e vicina alla realtà.

Miglioramenti  sono invece necessari con riferimento alle persone di cui si parla o che sono
culturali, che non favoriscono la visibilità delle donne, sia la realtà del paese che vede soprattutto uomini nei ruoli apicali del mondo politico e imprenditoriale.
Altro elemento critico è la scarsa presenza di donne esperte. Stiamo cercando di riequilibrare la situazione anche attraverso la predisposizione di un elenco di esperte nelle varie discipline.


Queste criticità sono oggetto di analisi e di monitoraggio; sulla loro soluzione sono coinvolti tutti i Direttori di rete e di testata perché siamo consapevoli che avere più donne nei vari ruoli è necessario per assicurare una visione più completa dei fenomeni.
La RAI e’ stata il primo media di Servizio Pubblico in Europa a dare attuazione alla ‘’Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica’’ del Consiglio d’Europa attraverso l’adozione di una policy di genere.
Con la nostra policy di genere abbiamo voluto avviare un percorso virtuoso non solo aumentando


 

il numero di donne in video, ma anche sostituendo l’attuale immagine femminile spesso falsata con una più reale, più vera, più fedele all’universo cui appartiene la donna oggi.
E’un tema sul quale è intervenuto anche il Presidente Giorgio Napolitano. Nel novembre 2013, in occasione della IX Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale, ha affermato: “… la dilagante rappresentazione del corpo femminile come bene di consumo rafforza fuorvianti atteggiamenti possessivi nei confronti della donna” e ha auspicato che “…le donne siano rappresentate con sobrietà e dignità nei media, così come si è impegnata a fare la RAI”.
Migliorare la qualità della rappresentazione è anche un modo per combattere la violenza contro le donne. Ma ovviamente non basta, occorre anche usare linguaggi appropriati e dare rilevanza  e dignità alle vittime. Sull’uso ormai comune di chiamare i delitti di madri, fidanzate, mogli, ex, conviventi, amanti, figlie con il neologismo “femminicidi”, concedetemi una breve nota. Il termine può risultare e risulta poco “simpatico”, quasi spregiativo. Nell’immediatezza della formula che sta ad indicare la violenza fisica e psicologica sulle donne, non c’è mai il tempo di chiarire come il
termine sia nato in occasione di una strage di donne in Messico. Da allora “femminicidio” riassume in sé una denuncia civile a livello internazionale. Personalmente, tuttavia, preferirei parlare di “donnicidio”, perché si tratta di donne, di donne uccise e violate.
Per concludere tutti i media, non solo la Rai, possono svolgere un ruolo importante, tenendo viva l’attenzione sul tema dell’equilibrio di genere, fornendo le necessarie informazioni, proponendo approfondimenti e forme di intrattenimento, capaci di accrescere la consapevolezza e di suscitare emozione.
Non si tratta di “insegnare”, ma di informare e rappresentare correttamente, proponendo modelli che aiutino la conoscenza e la crescita socio-culturale e favoriscano un ulteriore progresso sul percorso di bilanciamento della rappresentanza delle donne in ogni ambito sociale.
Non dobbiamo dimenticare i valori che ci accomunano tutti - uomini e donne, ma anche italiani e non italiani, giovani e anziani - e che sono alla base del vivere civile, del rispetto della dignità di tutti, dell’accoglienza. Dobbiamo rappresentare questi valori con equilibrio e attenzione, senza banalizzazioni o eccessive semplificazioni, evitando sia il rischio di svalorizzare le idee a favore delle facili emozioni, sia quello ancor più grave di favorire l’assuefazione e la minimizzazione
dei fenomeni. Per questo occorre grande equilibrio nell’affrontare il tema di genere, usare senso critico per sottolineare, con metodo e insistenza, la singolare rilevanza della specifica situazione e i vantaggi connessi alla uguaglianza.
Infine un auspicio: che il sistema della comunicazione contemporanea trovi il modo e il coraggio di trasmettere l’idea di coesione, unione e appoggio; il coraggio di dare rilevanza agli aspetti positivi: ai successi e alle mete raggiunte da tante donne competenti, impegnate e significative come esempio da seguire e da ampliare. Raccontare, parlare con dovizia di dettagli di e con le donne affermate nelle scienze, nella politica, nello sport e in tutti i campi dell’attività umana fornisce modelli utilissimi a trasmettere in altre donne spirito di emulazione e a suscitare fiducia e, in tutti, uomini compresi, rispetto e ammirazione. Raccontare belle storie: ad esempio, il numero davvero molto alto di donne che contribuisce attivamente in ambito universitario e specialistico alla ricerca italiana; del resto l’eccellenza universitaria è in buona parte costituita da donne.
Come disse la cantante francese Juliette Gréco a 86 anni: “a un certo punto della mia vita ho concluso che la mia forza era quella di essere una donna”. Ecco perché abbiamo coinvolto in questi due giorni di intenso lavoro tante donne, tante eccellenze.

 

Carramba! che sorpresa.  Di Giancarlo Leone
Carràmba! Che sorpresa è stato un varietà del sabato, alcune volte anche di giovedì, e nell’ultima edizione di mercoledì sera condotto su Raiuno, in prima serata, da Raffaella Carrà. E’ andato
in onda dal 1995 al 2002 e nel 2008. Nel 1998 sono andate in onda due edizioni del programma. Nel 1998 (seconda edizione) al 2000 e nel 2008 il programma, abbinato alla Lotteria Italia, ha cambiato nome in Carràmba! Che fortuna.
La prima storica puntata andò in onda il 21 dicembre 1995 e segnava il ritorno della conduttrice


 

in Italia dopo 3 anni in cui fu presentatrice di alcuni programmi in Spagna. La prima edizione del 1995 realizzò un ascolto che andava dai 9.500.000 spettatori fino a raggiungere gli 11.700.000 spettatori ed uno share che sfiorava il 40%. Anche la seconda edizione, quella del 1996, riscosse grossi successi: la puntata del 6 gennaio 1997 venne vista da 12.677.000 telespettatori con
il 49.25% di share. Inoltre la Lotteria Italia riuscì a vendere ben 32 milioni di tagliandi, uno dei
maggiori record della storia della Lotteria.
Dopo una pausa di circa un anno, nel 1998, la Carrà ritornò con una terza edizione del programma, sempre molto seguita. Considerato il successo, al programma venne affidato il compito di risollevare le sorti della Lotteria Italia, tutto ciò sempre nel 1998, cambiando così il titolo: Carràmba! Che fortuna. Vennero venduti circa 25 milioni di biglietti ed il programma venne trasmesso anche nel 1999 e nel 2000 sempre legato alla Lotteria. L’edizione 1998/99 riuscì numerose volte a raggiungere i massimi ascolti e l’ultima puntata, quella del 6 gennaio 1999, fu vista da 12.547.000 telespettatori con uno share pari al 53.57%: in valori assoluti, il programma registrò la punta massima di 14.903.000 telespettatori: in share registrò l’eccellente picco del 66.84%.
L’edizione 1999/2000 riscosse un grande successo, totalizzando in media un ascolto di 8.700.000 telespettatori ed uno share del 38.50%. Anche l’edizione 200/2001 riscosse un enorme successo, sancendo la trasmissione come vera e propria garanzia per la Rai: la puntata del 6 gennaio 2001 fu vista da 10.078.000 telespettatori, con uno share del 47.37%.
Nel 2002, dopo la poco fortunata esperienza con la conduzione del Festival di Sanremo 2001, Raffaella Carrà tornò nuovamente in veste di conduttrice di una nuova edizione di Carràmba! Che sorpresa: anche stavolta gli indici di ascolti furono alti, realizzando nella prima puntata del 24 gennaio un ascolto di 10.388.000 telespettatori, con uno share pari al 39.19%: durante la trasmissione si raggiunse il picco di 12.495.000 telespettatori, con il 50.62% di share. In media l’edizione del 2002 totalizzò un ascolto di 6.939.000 telespettatori, con uno share del 27.40%.
Nel programma, che derivava dal format inglese Surprise surprise, la conduttrice coinvolgeva in diretta gli ospiti ed il pubblico in sala in sorprese ed incontri inaspettati, architettati con un complice chiamato gancio.
Il programma è stato uno dei maggiori successi televisivi di Raffaella Carrà. Tornato con una nuova edizione il mercoledì sera, dal 17 settembre 2008, dopo sei anni di pausa e due anni di assenza della Carrà dalla Rai, è stato nuovamente abbinato alla Lotteria Italia: per volere della conduttrice, tra i tanti ospiti vi fu la presenza settimanale di un cantante o gruppo che partecipò all’Eurovision Song Contest. Anche in questa edizione gli indici di ascolti furono abbastanza buoni. La prima puntata, quella del 17 settembre 2008, il programma fu seguito da circa 5.768.000 telespettatori con il 25.65% di share, raggiungendo anche picchi di oltre 8.120.000 telespettatori e del 30%, con una permanenza del 31% di share. La puntata finale del 6 gennaio 2009 fu seguita da 6.348.000 telespettatori con uno share del 31.66%, con picchi di oltre 9 milioni di telespettatori ed oltre il 43% di share.
Nelle prime due edizioni del programma Giorgio Comaschi ricoprì il ruolo di inviato per le sorprese esterne, mentre dalla terza edizione sino all’ultima colui che ricoprì tale ruolo fu Walter Santillo, considerato inviato storico di Carràmba, che nelle ultime edizioni fu anche autore del programma. Accanto a Walter Santillo ricoprì il ruolo di inviato anche Alessandro Greco, con la partecipazione straordinaria in alcune puntate di Lello Arena e Dario Vergassola, anch’essi inviati speciali.
In otto edizioni del programma si contano più di 250 ricongiungimenti, oltre 500 famiglie coinvolte, e oltre 150 incontri tra i fan e i propri idoli. Da questo programma è diventata con il tempo d’uso comune il neologismo “carrambata”, usato in maniera ironica, quando si fa un incontro inaspettato tra persone che non si vedono da tempo

 


 

Ballando con le stelle

Ballando con le stelle è stato ed è tutt’ora (è prevista una decima edizione) un programma televisivo in onda in prima serata su Raiuno dal 2005 con la conduzione di Milly Carlucci e la partecipazione di Paolo Belli.
Il programma è l’adattamento italiano del talent Stricthy come dancing, format britannico della BBC. Dal 2013 il programma è stato anche trasmesso in alta definizione su Rai HD ed è stato replicato su Rai Premium.
Da un po’ di anni gli italiani hanno scoperto una grande passione per il ballo ed allora ecco che circa dieci anni fa la Carlucci s’inventò questo programma per celebrare l’arte tersicorea a 360°, toccata in tutti i suoi generi: tango, bachata, twist, meregue, salsa.
Al programma partecipava regolarmente una giuria di esperti sia in ambito tecnico che in ambito artistico, attenta nel giudicare le prove di ballo sostenute dai ballerini. La giuria si componeva da quattro elementi fissi e un ospite a sorpresa per ogni puntata. I giurati erano attenti nel valutare l’aspetto prettamente tecnico nonché l’aspetto più artistico come costumi, presenza scenica, mimica facciale dei ballerini.
La particolarità di questo spettacolo era di unire ballerini veri e propri, campioni provenienti dalle scuole di danze, con personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport.
Dall’8 gennaio del 2005 al 7 dicembre 2013 sono state realizzate, con vari intervalli, a volte anche di mesi, se non con l’ultima volta di circa due anni, 9 edizioni. Come dicevamo, le coppie di ballo erano formate da ballerini professionisti e da personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport. Tanti avvenimenti sono successi in questi nove anni, grandi polemiche sono scoppiate, sono sbocciati amori e un matrimonio.
Tra i tanti personaggi che vi hanno partecipato ricordiamo le performance di Hoara Borselli (la prima vincitrice di Ballando con le stelle, in coppia con il maestro di danza Simone Di Pasquale), la vittoria di Cristina Chiabotto nella seconda edizione del varietà in coppia con Raimondo Todaro (proprio in questa edizione la Chiabotto conobbe Fabio Fulco, che ballava in coppia con Claudia Nicolussi e da allora stanno insieme felicemente innamorati), l’amore sbocciato nella terza edizione tra Massimiliano Rosolino e Natalia Titova, coppia di ballo e poi nella vita, le divertenti performance dei comici Maurizio Battista, Gabriele Cirilli, Massimo Boldi, la vittoria della quarta edizione di Emanuele Filiberto di Savoia in coppia con Natalia Titova, l’amore sfortunato sbocciato tra il calciatore Stefano Bettarini e Samanta Togni, una delle coppie della quinta edizione, la partecipazione di Ronn Moss, il “mascellone” di Beautiful alla sesta edizione, la vincita dell’ottava edizione da parte dell’idolo delle ragazzine, Andrés Gil, in coppia con Anastasia Kuzmina, nonché il finto amore, sempre in questa edizione, tra Lucrezia Lante della Rovere ed il suo maestro di ballo Simone Di Pasquale. Ma si ricordano anche il brutto ictus che ha colpito il giurato – giornalista Lamberto Sposini, alla vigilia dell’ultima puntata della settima edizione (tutt’ora in convalescenza), le polemiche dell’attore Lorenzo Crespi, fino a quelle su Anna Oxa nell’ultima edizione.
La giuria, stabile da alcuni anni, era formata dallo stilista Guillermo Mariotto, dal giornalista sportivo Ivan Zazzaroni, dal conduttore Fabio Canino e dalla coreografa Carolyn Smith, in qualità di presidente. Prima c’erano stati, fra i giurati, anche Heather Parisi, Roberto Flemack, Amanda Lear, Lina Wertmuller.
Nel corso degli anni, attorno al programma sono sorte delle controversie: quella più eclatante fu dell’estate 2011, quando Milly Carlucci, gli autori di Ballando con le stelle e la Rai presentarono un esposto al Tribunale Civile di Roma contro la trasmissione Baila!, in onda dal settembre 2011 su Canale 5 e condotta da Barbara d’Urso. Lo show di Canale 5, a detta della Carlucci, era un plagio del suo programma; richiese, quindi, il divieto di trasmissione. Il giudice accolse la richiesta della Carlucci e bloccò la trasmissione riconoscendo il plagio il giorno stesso della messa in onda della prima puntata del programma di Canale 5. Mediaset decise comunque di mandare in onda il programma impegnandosi a cambiare quelle parti del format che il giudice riscontrò essere uguali a quelle di Ballando con le stelle, annunciando che avrebbe presentato ricorso, respinto, però, il 23 ottobre 2011.

 


 

Baila!, comunque, non ha comunque riscosso il successo sperato ed è stato chiuso dopo sole 4 puntate sulle 8 previste a causa dei bassi risultati d’ascolto conseguiti.

 

Stasera pago io.  Di Giancarlo Leone
Stasera pago io è stato un programma condotto da Fiorello per tre edizioni, nel 2001, 2002, 2004. Fu un varietà incentrato sulla figura dell’eclettico showman che, dopo alcuni insuccessi a Mediaset, sbarcò in Rai con questo show che seppe mettere d’accordo critica e pubblico, media 8 milioni di ascoltatori a settimana. Da notare soprattutto la capacità di Fiorello di riuscire ad interagire allegramente con i suoi ospiti, tra i quali anche star internazionali.
Stasera pago io nel 2001 andò in onda nella prima serata del sabato Raiuno dal 13 gennaio fino al 24 febbraio. Accanto a Fiorello c’erano Santino La Macchia, Tommaso Accardo (il famoso Tommasino), Andrea Tidona ed una presenza femminile, quella della splendida modella Kartika Luyet. C’era una vera e propria orchestra di 33 elementi diretta da Leonardo De Amicis, autore anche degli arrangiamenti ed il balletto con le coreografie di Luca Tommassini. La regia era di Duccio Forzano.
Momento clou di ogni puntata era l’imitazione di Franco Califano che poi interverrà fisicamente nella puntata del 10 febbraio. Nella sfida del sabato sera lo show di Fiorello si trovò a scontrarsi con Maria De Filippi e la sua C’è posta per te e in alcune puntate Fiorello vinse il confronto. Come dicevamo, non mancarono nelle varie puntate ospiti nazionali ed internazionali. Tra i partecipanti Giorgio Panariello, Laura Pausini, Naomi Campbell, Lucio Dalla, Pippo Baudo, Sabrina Ferilli, Boy George, Dustin Hoffman, Dionne Warwick, Henry Salvador, Joan Collins, Bruno Vespa, Max Biaggi, Lionel Richie, Valeria Marini e tanti altri.
Nel 2002 Fiorello tornava in tv con la seconda edizione del suo show, questa volta intitolato Stasera pago io…in euro. Con Tommaso Accardo, Andrea Tidona e Santino La Macchia, con Eva Riccobono, lo showman ci regalava altre puntate del suo spettacolo, dal 6 aprile al 25 maggio del 2002, dal grande studio 15 di Cinecittà. Anche stavolta una grande orchestra diretta dal Maestro Leonardo De Amicis e le coreografie di Luca Tommassini, interpretate dal corpo di ballo e dalla prima ballerina Caroline A. Rice. Anche per questa seconda edizione la regia era affidata a Duccio Forzano. Se nella precedente edizione il momento clou di ogni puntata era l’imitazione di Franco Califano, qui il momento clou era l’imitazione dell’onorevole Ignazio LaRussa. Anche per questa seconda edizione grandi ospiti. Tra i tanti, Celine Dion, Liza Minnelli, Renato Zero, Andrea Bocelli, Gianna Nannini, Roy Paci, Lorella Cuccarini, Zucchero, Patty Pravo, Joe Coker, Antonello Venditti, Moby, Beppe Fiorello, Lenny Kravitz, Ornella Vanoni, Gotan Project, Giancarlo Giannini, Fichi d’India, Maurizio Crozza.
Nel 2004, dal 10 aprile al 26 maggio, andò in onda in contemporanea su Raiuno e sulle frequenze di Radiodue (con la voce narrante di Marco Baldini, suo compagno e braccio destro storico, soprattutto in radio con Viva Radio2), la terza edizione dello spettacolo di Fiorello, che si chiamava Stasera pago io… Revolution. Lo show di otto puntate si svolgeva questa volta in diretta dal Teatro delle Vittorie di Roma. La direzione dell’orchestra fu affidata al Maestro Enrico Cremonesi e nel corso di ogni puntata fu eseguita una coreografia del corpo di ballo Momix Pendleton. Momenti clou ogni settimana erano le imitazioni del Gobbo di Notre Dame (in realtà Fiorello imitava Riccardo Cocciante) e di Giovanni Muciaccia con il suo programma Art Attack.
Nel corso delle tre edizioni l’istrionico ed ex re del karaoke Fiorello, nello spazio di un’arena, ha saputo intrattenere il pubblico in maniera differente. Ha riempito la scena, ha duettato, recitato, fatto da spalla a star internazionali, ha improvvisato. Con questo programma si è vista riconosciuta, finalmente, la sua bravura. E’ riuscito a trascinare il pubblico da un ospite all’altro senza mai stancare e creare momenti morti. A lui il merito di aver riportato ai fasti antichi un genere classico della televisione italiana: il varietà. Con lui questo genere è risorto. Ha immesso energia nuova in un canone antico, ed ha saputo disciplinare le forze al servizio di un’idea di spettacolo ed ha avuto


 

l’umiltà di imparare a conciliare istinto e copione.

 

L’analisi di Renzo Arbore sulla tv, attraverso sei decenni.

Intervista di Marida Caterini

Renzo Arbore, uno dei principali protagonisti del piccolo schermo, ideatore di trasmissioni cult e show man a 360 gradi, fa un bilancio di questi sei lunghi decenni, commentando l’evoluzione del mezzo e spiegandone i mutamenti nei settori dell’intrattenimento e dell’informazione.

 

In quale modo, a suo parere, la tv ha influenzato usi e costumi degli italiani?

Certamente in maniera determinante. Ma bisogna fare delle distinzioni e separare questo sessantennio in due grandi epoche: la prima è quella del monopolio della Rai, la seconda invece, riguarda l’avvento della tv commerciale e il predominio della pubblicità che ha mutato tutti i punti di riferimento precedenti.

Vuole dire che i primi trent’anni hanno avuto una valenza migliore rispetto all’epoca successiva?

Durante il lungo periodo del monopolio la Rai, senza Auditel, attenta soltanto all’indice di gradimento e priva di ogni concorrenza, ha potuto realizzare una “tv con velleità artistiche”. In quest’ottica si inquadrano i grandi nomi dello spettacolo come Antonello Falqui e i registi degli sceneggiati come Sandro Bolchi. Si costruivano palinsesti che raccontano e educano.

Il pubblico non aveva gli strumenti culturali adatti a recepire un tale messaggio, non trova?

Infatti: l’obiettivo era proprio di realizzare una tv in grado di raggiungere quella platea non “attrezzata” culturalmente che aveva modo attraverso le trasmissioni in onda di intrattenersi in maniera elegante e informarsi su quanto accadeva. L’acquisto di un quotidiano, non era alla portata di molti. In quest’ottica sono da inquadrare i programmi di Ugo Gregoretti come
Controfagotto e le prime candid camera come quelle di Nanni Loy che rappresentavano un’Italia a 360 gradi.

Vuol dire che si partiva dalle idee?

Certo. Le idee erano il fondamento sulle quali costruire palinsesti. non esisteva ancora lo spauracchio dell’Auditel. L’importanza dei contenuti era determinante anche negli USA. Basti pensare agli show di Perry Como.


 

Arriviamo agli inizi degli anni ‘80. Nasce la tv commerciale. Che accade?
Le trasmissioni vengono pagate dalla pubblicità. L’imperativo categorico diventa: farle arrivare al maggior numero di spettatori. E poichè i gusti della maggioranza del pubblico non erano molto esigenti si è avuto una inversione di tendenza verso una tv meno artistica e culturalmente meno valida. Soprattutto nel settore dell’intrattenimento il dominio degli spot è stato determinante per lo scadimento della qualità.

Finisce così la tv d’autore?

Si conclude l’epoca della tv elegante, colta, raffinata che guardava anche oltre confine proponendo ad esempio, canzoni americane giudicate, poi, troppo impegnate. Si conclude l’epoca della “tv da conservare”, ovvero di programmi fruibili sempre e non soggetti a scadimento perchè slegati all’attualità. In quest’ottica vanno inquadrati tutti i programmi da me realizzati sul piccolo schermo, compreso Doc, trasmissione in 400 puntate che, venti anni fa, ha raccontato su Rai2 tutta la storia della musica “colta” in particolare del jazz. La “tv da conservare” è fortunatamente archiviata nelle Teche Rai.

In quale maniera è mutata, invece, l’informazione nel corso di 60 anni?

In questo settore si è verificata una vera e propria rivoluzione. Nella tv in bianco e nero l’informazione era strettamente legata al Governo, i notiziari mandavano in onda le solite “veline” e le opinioni dei politici in un’atmosfera asettica e precostituita. Non esisteva il dialogo o meglio la dialettica: tutto appariva ingessato e spesso anche noioso. Il primo vero scossone è stato dato da Andrea Barbato nel 1976: il giornalista, nominato direttore del Tg2, impresse un taglio differente, più aperto al confronto, in tutte le fasi del notiziario, compresi gli approfondimenti realizzati sotto la stessa testata.

Come è stata modificata l’informazione dalla tv commerciale?

Con il proliferare dei canali è aumentato il numero dei Tg e sono nati i cosiddetti “telegiornali d’opinione” legati ad una determinata tendenza politica. Il passo successivo è stato dar vita anche a talk show di approfondimento politico in qualche modo vicini a partiti o correnti. Questa pluralità ha reso certamente un servigio all’informazione perchè ne ha messo in evidenza tutti gli aspetti.

Quanto salverebbe nei secondi trent’anni del piccolo schermo?

Tutto ciò che non è volgare e non è trash. Quei programmi che riescono a parlare al pubblico in maniera elegante e duratura e sono slegati dall’immediata attualità. Tutto ciò, insomma, che non appartiene alla cosiddetta “tv hard”.

 

C’è un modo per contrastare questa tendenza?

A livello immediato chi ha visto davvero nascere il piccolo schermo come me, ha il compito e la missione di conservare la tv d’autore, metterla insieme e preservarla in modo che non ci sia mai nessun equivoco riguardo la sua provenienza. Insomma la tv d’autore non è “roba del passato” ma patrimonio culturale da custodire gelosamente.

 

 

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Giancarlo Leone, giornalista laureato in giurisprudenza, esperto di teatro, cinema e tv, principale contributor del tv- book sui 60 anni del piccolo schermo. Collaboratore del sito, cronista e critico

Fonte: tratto da http://www.maridacaterini.it/images/tvbook60annitv.pdf

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Autore del testo: Giancarlo Leone e altri indicati nel testo

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