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Matematici e poeti. In un saggio pubblicato a New York nel 1947 si legge:
"La matematica è generalmente considerata proprio agli antipodi della poesia eppure la matematica e la poesia sono nella più stretta parentela, perché entrambe sono il frutto dell'immaginazione. La poesia è creazione, finzione: e la matematica è stata detta da un suo ammiratore la più sublime e la più meravigliosa delle finzioni" (D.E. Smith, La poesia della matematica e altri saggi).
Quale senso ha per voi questa idea della matematica come finzione meravigliosa e sublime?
Si inventa o si scopre? Questo il dubbio che la matematica moderna pone oggi a se stessa e che ritengo utile analizzare brevemente per meglio comprendere l’interessante conclusione di D.E. Smith. È un dibattito che nasce con lo sviluppo della tecnologia e dei suoi strumenti d’indagine. La questione riguarda la natura della matematica, intesa come scoperta o come invenzione, si inquadra nella controversia tra chi la intende come struttura fondamentale della realtà e chi come semplice mezzo interpretativo. Sappiamo di fatto che per secoli si sono considerati i numeri come tasselli basilari della natura e le leggi aritmetiche come regole ferree di sviluppo della medesima. Basterà citare, uno per tutti, l’esempio dei pitagorici e la loro teoria sul numero; questo almeno per quanto riguarda l’aspetto razionale di interpretazione del mondo che classicità e in seguito classicismo ci hanno lasciato come testimonianza del loro modo di pensare. È invece con l’avvento del romanticismo, e poi in maniera ancora più evidente e profonda con quello del decadentismo e degli irrazionalismi di fine secolo, che troviamo una critica alla fiducia nella scienza e nella sua capacità di spiegare ogni aspetto del reale. Già con l’illuminismo, nonostante tutto, la scienza aveva cominciato a capire i propri limiti e a individuare le proprie deficienze ma, escluso l’intervallo del positivismo, è proprio con l’approfondirsi dell’indagine scientifica che si fanno più incerte le conclusioni e le interpretazioni dei fenomeni fisici: “Dio disse «Fiat Newton» e tutto fu luce, ma il diavolo disse «Fiat Einstein» e tutto fu di nuovo oscurità”, per citare una celebre frase di un pensatore inglese. Più si scopre, più ci si addentra nella materia e più ci si rende conto della propria inadeguatezza nel tentativo di chiarire i lati oscuri del mondo. Ed è appunto in questo periodo che vediamo crescere l’idea secondo cui la matematica non è altro che un mezzo conoscitivo, da noi inventato, che si può avvicinare solo in parte all’effettiva spiegazione dei fenomeni, si ricordi ad esempio, nello studio delle particelle elementari della materia, il problema dell’indeterminazione e la doppia natura dell’elettrone: ondulatoria e corpuscolare. Tutto ciò rende assai complicata la decodificazione dei fenomeni fisici. In tutta questa oscurità sembra allora splendere solo la luce delle certezze matematiche. Il sistema matematico infatti pare non ammettere dubbi, ogni mattone del suo edificio ha un posto preciso ed è collegato agli altri tramite un rigoroso pensiero logico che sostiene a mo’ di impalcatura tutta la costruzione. Ed è in questo che io ritrovo la meraviglia e la bellezza di questa scienza: bastano pochi assiomi per costruire un apparato fantastico che sembra indistruttibile e inopinabile. In realtà così non è, esistono dei limiti sui quali si lavora, esistono delle lacune da colmare, e consiste proprio in questo il compito della matematica moderna: nello spingersi sempre più avanti per spiegare quello che oggi ci sembra inspiegabile, per aggiungere sempre nuovi mattoni al grande edificio che le menti d’ogni tempo hanno costruito. Ma questi elementi che mancano devono essere inventati o scoperti? Ritorniamo così al dubbio iniziale. Vero è che la matematica è nata come tentativo di comprendere, spiegare e utilizzare il mondo. Il concetto di numero infatti è nato con quello di unità, con cui i primi uomini-scimmia delle caverne cominciavano a dividere le cose che avevano intorno per distribuirle e sfruttarle, per stabilire quanto era loro e quanto degli altri, in rispetto delle prime tendenze verso la proprietà privata. Ma è vero anche che la matematica ha seguito poi uno sviluppo che pare indipendente dalla realtà: certe sue espansioni sembrano completamente avulse dalla dimensione materiale e quindi verificabile. Esistono le applicazioni della matematica, basta trovarsi in un posto dove ci sia una qualche traccia della civiltà umana occidentale per trovarne a bizzeffe; praticamente tutto ciò che usiamo quotidianamente è stato concepito e formato con l’aiuto della matematica, a partire dalla penna con cui sto scrivendo fino ai più complessi macchinari tecnologici come i veicoli spaziali o i più avanzati strumenti al servizio della medicina. Abbiamo inserito la matematica nella nostra realtà a tal punto da sembrarci impossibile una sua estraneazione dalla dimensione materiale. Eppure, ben considerate le sue origini e le sue radici, sono più propenso a considerare la matematica, per dirla con le parole di D.E. Smith, come una meravigliosa e sublime finzione, stupendo frutto della genialità umana. In fondo i numeri non esistono, non sono altro che prodotti della nostra mente, non esistono le incognite, non esistono gli insiemi, non esistono le potenze; è vero che cinque per cinque fa venticinque, come è vero che se prendo cinque gruppi di mele ciascuno formato da cinque elementi io ho venticinque mele ma è così perché così abbiamo stabilito che sia e se di queste venticinque mele voglio fare venticinque gruppi, io avrò in ogni gruppo una mela, questo ci sembra chiaro ed elementare ma non dobbiamo dimenticare che siamo stati noi a decidere che fosse così, nessun altro che noi: il venticinque, il cinque, l’operazione di dividere due numeri tra loro sono cose che abbiamo inventato noi, tutto questo è, alla fin fine, un prodotto della nostra fantasia. È innegabile che questa invenzione, come d’altronde ogni invenzione immaginabile, tragga le sue radici dalla realtà e dalle caratteristiche della medesima: lavoriamo in un sistema decimale perché dieci sono le dita che usiamo per contare, se avessimo avuto quattro dita per mano allora probabilmente cinque per cinque avrebbe fatto sedici! Dunque la matematica nasce come invenzione da premesse reali, quali ad esempio la nostra costituzione fisica, ma si sviluppa poi in maniera pressoché indipendente. È mia opinione quindi che la realtà sia inconoscibile fino in fondo con i mezzi di cui disponiamo (è così difficile generalizzare oggi in fisica una legge che viene ritenuta valida fintantoché non viene contraddetta!); la matematica diventa allora un formidabile e utilissimo strumento che ci permette di prevedere gli eventi naturali, e cioè di dominarli a nostro vantaggio, e che è capace di reinventarsi e di rinnovarsi continuamente laddove non sia più possibile usare i vecchi metodi. Il fatto stesso che esista una netta distinzione tra matematica e fisica e che la seconda abbia bisogno della prima mentre la prima sia così libera da poter sostituire in certi casi al linguaggio tradizionale uno proprio, non è altro che la riprova, a parer mio, di tutto ciò. Ritengo però discutibile l’affermazione secondo cui matematica e poesia siano nella più stretta parentela. È vero che esiste una parentela tra le due, originata dal fatto che sono alla fin fine invenzioni e frutti d’immaginazione, ma è anche doveroso sottolineare che la poesia, soprattutto quella primonovecentesca, trae spunto da istanze irrazionalistiche e inconsce, profondamente legate alla personalità e all’interiorità più profonda del poeta. Al contrario in matematica, per quanto sia tutto inventato, ogni cosa ha un preciso nesso logico, un suo motivo d’esistere perfettamente deducibile (se si escludono gli assiomi). La loro parentela semmai potrebbe essere spiegata con la teoria, altra invenzione matematica, secondo cui gli estremi opposti tesi all’infinito finiscono per coincidere. Dunque, per concludere, la matematica non esiste, ma la usiamo per costruire e studiare cose che esistono, non esiste ma siamo arrivati al punto da non poterne più quasi fare a meno. In sostanza non esiste ma è come se esistesse, e in questo è forse la sua magia.
Andrea Pieralli
Fonte: http://digilander.libero.it/dimlights/ScriptaManent/matepoesia.doc
Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/dimlights/
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