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La questione femminile: considerazioni preliminari
Il tema che andiamo a trattare è quello del diritto delle donne: Parlare di diritto delle donne ci porta a riflettere intorno ad alcuni nodi decisivi, quali:
• La condizione della donna nello svolgimento storico-culturale dell’occidente
• La relazione tra condizione materiale e condizione storica (il peso della corporeità nella definizione dei ruoli)
• L’idea di una cittadinanza in sé e di una cittadinanza al femminile: l’accesso alla cittadinanza tout court (cioè al riconoscimento di sé come soggetto giuridico-politico e alla concreta possibilità di partecipare attivamente alla vita della comunità in cui si trova a vivere) non è certamente un dato acquisito per le donne. D’altra parte la sua conquista non esaurisce il processo di liberazione delle donne stesse le quali arrivano a rivendicare il diritto ad una cittadinanza che non le costringa a rinunciare al loro specifico esistenziale.
Si rifletta intorno a queste considerazioni:
1) Progressiva conquista della condizione di soggetto sociale, politico e culturale all’interno del mondo storico.
Il riferimento all’elemento culturale vuole indicare un dato importante: il processo di liberazione della donna non si limita all’acquisizione di una condizione di libertà che la pone in una condizione di parità con l’uomo, bensì compie un salto di qualità nel momento in cui la donna viene riconosciuta come portatrice di valori e di una concezione diversa da quella del mondo maschile, ma non per questo subalterna o, peggio, annullabile.
2) La donna accede dunque alla realtà e fa questo attraverso un percorso lungo e
problematico. Può essere interessante notare che questa conquista si lega alla
scoperta della non “naturalità” della condizione di inferiorità e di esclusione patita
nel corso dei secoli. L’acquisizione della consapevolezza intorno alla propria con=
dizione di vita permette alla donna guardarla con una consapevolezza nuova fino a conoscere la genesi storica del suo problema e , dunque, la concreta possibilità di progettarne il superamento.
3) La questione implica un altro elemento problematico, quello della relazione tra l’istanza emancipatoria e liberatoria della donna e l’istanza più generale della giustizia sociale fatta propria dal pensiero socialista. Quest’ultimo ,infatti, può incontrare una contraddizione nel momento in cui fa sua ( e giustamente!) l’istanza della liberazione della donna: da un lato il riferimento alle differenze di classe è un punto di forza e di senso della lotta per la giustizia e per il nuovo assetto del mondo storico, dall’altro la difesa dei diritti delle donne implica, anche, la capacità di prendere le distanze da questa centralità della lotta di classe per riconoscere una specificità ed autonomia alla questione femminile.
4) Per capire a fondo una questione storica di questa portata è senza dubbio utile fare
riferimento anche a coloro che scrivendo hanno fatto le loro riflessioni intorno alla lotta delle donne e parlo non solo di intellettuali o di uomini impegnati nella politica, ma anche di artisti o scrittori… che hanno seguito con sensibilità e profondità l’istanza della liberazione femminile. Anche in questo caso non possiamo ignorare un dato decisivo quale la condizione sessuale di chi scrive. Non è la stessa cosa se a parlare è un uomo, pur con tutta la disponibilità alla comprensione, o una donna. La donna che parla delle donne con la consapevolezza di parlare di qualcosa di fortemente connotato contiene, nel suo scrivere e pensare, qualcosa di più in termini di progresso nella liberazione.
C’è dunque , nella lotta per la conquista dei diritti delle donne, accanto all’istanza emancipatori a,un bisogno di conquistare un’identità autonoma, sganciata dall’assunzione di determinati ruoli. Si tenga presente che nel mondo antico ( e non solo) molti, traendo spesso spunto dall’antropologia aristotelica, vedono la donna come una mutazione degenerativa, connotabile non come un in sé ma in maniera antitetica all’uomo. In questo senso la donna risulta condannata, per così dire, in due sensi: da un lato le viene negata una stabile identità , dall’altro viene concepita come una sorta di non- essere, di resistenza al dato reale dell’uomo.
Il desiderio di cittadinanza :La Rivoluzione Francese
Il processo rivoluzionario vede la partecipazione delle donne che spesso assumono un ruolo attivo nello sviluppo degli eventi. La partecipazione delle donne mira , accanto alla distruzione dell’ordinamento dell’Ancien Regime; il riconoscimento dei loro diritti. Infatti non è possibile parlare di vera libertà e uguaglianza senza l’estensione delle stesse alla popolazione femminile. Già nel 1789 alcune donne presentano una Petizione delle donne del Terzo Stato con la quale chiedono iniziative volte a limitare la dipendenza economica della donna dall’uomo e a sviluppare il lavoro femminile.
Olympe de Gouges (1748-1793) nel 1791 pubblica la Dichiarazione dei Diritti delle Donne e della Cittadine.. In questo documento si riprendono alcuni articoli basilari della più nota dichiarazione del 1789 con lo scopo di sottolineare l’identità femminile della cittadinanza, attraverso l’estensione alle donne di forme di libertà genericamente riconosciute agli uomini.
Il desiderio di cittadinanza : il modello liberale
Il processo di acquisizione dei diritti politici da parte delle donne può essere paragonato a quello che coinvolge le masse popolari nel corso dello sviluppo della democrazia; ma solo in parte. Secondo la concezione liberale della politica, dominante nell’Europa occidentale del primo ‘800, l’esercizio effettivo dei diritti politici era strettamente collegato alla proprietà
E al reddito individuale (cfr. divisione tra cittadini attivi e passivi). Ora, l’esclusione delle donne risulta , alla luce di questa constatazione, diversa da quella dei ceti popolari, perché decisamente più radicale: se è pensabile per un appartenente ai ceti popolari la possibilità di accesso alla partecipazione politica grazie ad un cambiamento delle condizioni economiche, la stessa cosa non può dirsi per la donna.
Si deve poi tener conto anche di un altro fattore: la tendenza dei sistemi di potere liberali ad escludere le donne dall’accesso alla vita pubblica può dipendere dal legame esistente tra la costruzione della sfera pubblica ed il controllo delle donne nella privata ; infatti l’uscita di queste ultime nella vita pubblica potrebbe essere occasione di sovvertimento dell’ordine naturale e dei vincoli familiari
Da qui deriva che il moderno concetto di cittadinanza politica si è costituito sulla base dell’esclusione dell’intero sesso femminile. Infatti il moderno cittadino si differenzia dal suddito perché gode di diritti e li esercita nella sfera pubblica e , nello stesso tempo, si definisce per contrapposizione alla sfera privata, che viene storicamente identificata con la donna,anche in forza del dato biologico della riproduzione e della maternità. In particolare da questo dato storico-culturale emerge il fatto che le donne vengono per definizione escluse dalla dimensione della cittadinanza perché non ritenute portatrici di interessi propri, ma identificate tout court con gli interessi della comunità familiare ( che viene definita come la cellula minima della società estranea all’ambito politico.
A questo punto possiamo leggere il processo di entrata della donna nella vita pubblica , il cui elemento qualificante è la conquista del diritto al voto, non come un semplice fenomeno di allargamento della nozione di cittadinanza ma come una vera e propria ridefinizione dei confini e degli stessi contenuti della sfera pubblica.
Luoghi dell’esclusione delle donne
L’esclusione della donna dalla sfera pubblica e, dunque, dalla piena cittadinanza, è facilmente leggibile in tutta la sua evidenza in alcuni ambiti significativi della vita storica degli ultimi due secoli:
• Ambito giuridico
• Mondo del lavoro
• Istruzione e crescita culturale
• Esperienza della guerra
Ambito giuridico
Se osserviamo la posizione giuridica della donna all’interno della famiglia possiamo immediatamente notare delle asincronie significative per quanto riguarda la sviluppo storico ed il processo di emancipazione delle donne stesse. Nella famiglia, dalla fine dell’Ancien règime all’età napoleonica, troviamo qualche passo avanti nel riconoscimento della parità tra uomo e donna: viene , ad esempio, eliminato il diritto di primogenitura maschile, mentre le figlie acquistano il diritto di ereditare la quota legittima del patrimonio . resta tuttavia ribadito ( e forse rafforzato) il concetto della mancanza di responsabilità delle donne.
Alcuni dati su cui riflettere:
• Vincolo dell’autorità maritale ( testimonianza ai processi/ uso del patrimonio personale)
• Affidamento della dote all’amministrazione del marito
• Modalità discriminatorie del divorzio per adulterio
• Stato di vedovanza femminile ( la tutela dei figli vede la madre vedova affiancata da un tutore maschio / la vedova incinta è sotto tutela di un “curatore del ventre”)
• Figli illegittimi ( il Codice Civile unitario italiano nel 1865 vieta la ricerca della paternità, mentre la responsabilità dei figli illegittimi ricade solo sulla madre)
• Fenomeno della prostituzione ( secondo il Cod.Civile del periodo cavouriano del 1860 ogni donna, indicata come prostituta è forzata al controllo sanitario, mentre il maschio-cliente, pur essendo a rischio di contagio, è escluso dall’obbligo)
Nel periodo fascista , in modo particolare, la condizione della donna viene fortemente collegata alla dimensione privata/familiare. Non mancano, infatti, provvedimenti volti a promuovere la maternità, a perseguire l’aborto, a scoraggiare il lavoro femminile. A questo proposito possiamo fare riferimento a due leggi con le quali si autorizza le amministrazioni ad escludere le donne dai concorsi pubblici ( legge 18/1/1934) e a limitare l’assunzione delle donne , nei vari luoghi di lavoro, alla quota dei 10% (legge 15/10/1938)
Mondo del lavoro
La posizione delle donne nelle varie epoche dipende anche dal valore che si attribuisce alla loro attività. Si tenga presente il fatto che il lavoro risulta essere uno degli elementi essenziali della cittadinanza sociale, il terreno sul quale le trasformazioni strutturali incontrano quelle politiche.
Nel XIX secolo, con la rivoluzione industriale, emerge il problema della donna lavoratrice. S4econdo l’opinione dell’epoca , con il trasferimento del lavoro dalla casa alla fabbrica la donna perde la capacità di conciliare il lavoro stesso con le dovute cure familiari. Di qui l’esigenza di regolamentare il lavoro femminile. Secondo qualche studioso ( Scott 1991) questa idea ha dunque anche lo scopo di valorizzare il lavoro delle donne fino a giustificare la mino retribuzione. Le leggi di tutela del lavoro femminile ( Inghilterra 1844-47 ; Usa 1890; Italia 1902-07) furono le prime forma di regolamentazione. Il caso italiano è emblematico di questa ambiguità di fondo:
l’iniziativa nasce dalla volontà di difendere i soggetti più deboli in relazione alla logica del profitto insita nel sistema capitalistico e consiste in alcuni divieti:
• Limitazione dell’età e dell’orario di lavoro
• Divieto del lavoro notturno
• Astensione obbligatoria nelle settimane vicine al parto (senza retribuzione, per cui nel 1910 viene istituita la cassa di Maternità per sussidi alle donne partorienti)
Queste leggi di fatto equiparano la donna lavoratrice al maschio minorenne lavoratore (15/21 anni) e la dona minorenne lavoratrice al fanciullo lavoratore (12/15 anni)
Non per caso Annamaria Mozzoni, leader del movimento femminile suffragista italiano, ebbe parole di fiera opposizione nei confronti di queste leggi di tutela, viste come un ostacolo al processo di conquista dell’indipendenza femminile.
Istruzione e crescita culturale
La divaricazione tra la formazione del maschio e della femmina emerge in modo evidente dal fatto che la donna viene esclusa dai ruoli direttivi . Questa esclusione viene preparata , per così dire, già nell’ambito dell’istruzione. La legge Casati istituiva l’obbligatorietà dei primi due anni di scuola elementare sia per i maschi che per le femmine, ma di fatto consentiva che le classi maschili e femminili si distinguessero per la diversità delle discipline e dei libri di testo (ad esempio : “lavori donneschi” al posto di “geometria”).
Si tenga poi presente che la divaricazione tra la formazione destinata alla donne rispetto a quella maschile si ripropone a livelli più alti: la Scuola Normale che prepara gli insegnanti elementari prevede una formazione ancora una volta con materie diverse, mentre la prospettiva professionale contiene come dati penalizzanti uno stipendio più basso e una specie di obbligo al “nubilato magistrale”.
Solo nel 1883 , in Italia, le donne vengono ammesse ai Licei e Istituti Tecnici pur con molte diffidenze e difficoltà visto che si ritiene pi adeguata ,per la donna, l’educazione rispetto all’istruzione.
L’esperienza della guerra
Possiamo considerare la guerra una ridefinizione della sfera pubblica?
In base a non pochi dati sembra possibile parlare del legame tra la partecipazione delle donne alla sfera pubblica e l’esperienza della guerra. Fra tutti , quello più noto, e più convincente, risulta essere quello della conquista del voto fatta dopo le guerre mondiali.
Durante la I Guerra Mondiale troviamo certamente una vera e propria mobilitazione femminile sul fronte interno, anche se risulta meno rilevante nell’ambito del lavoro. Infatti le donne coinvolte nel lavoro patiscono ancora molte forme di discriminazione e di incertezza, mentre si rinforzano via via gli stereotipi tradizionali relativi alla donna “angelo del focolare” che cura i soldati feriti e che svolge mansioni di assistenza . Lo stesso Mussolini, anche se solo per poco tempo, decide nel 1925 di estendere il voto amministrativo alle donne decorate per meriti di guerra o alle madri di caduti.
Scrivono Liviana Gazzetta e Nicoletta Pannocchia :” Paradossalmente , proprio perché durante la guerra le donne assumono responsabilità e mansioni prima esclusivamente maschili, gli stereotipi e la concezione tradizionale della femminilità vengono riconfermati e anzi accentuati: si rinverdiscono i miti della donna consolatrice, tutrice degli affetti e dell’ordine domestico, salvifica curatrice..Forse è la resistenza alla modificazione dei ruoli e la volontà di limitare il contributo della donna alla funzione di sostituta per il solo periodo bellico, rafforzando il ruolo di genitrice e custode della famiglia.”
Pensieri e riflessioni sulle donne e delle donne
L’identità di Nora
Nella seconda metà dell’800 assistiamo ad una crisi della figura femminile di stampo romantico. L’immagine della donna custode dei sentimenti, legata all’intimità del mondo interiore, entra in conflitto con le trasformazioni sociali ed economiche che, nella II metà del XIX secolo, si attuano dal momento che le donne cominciano ad entrare nel mondo del lavoro e a segnalare la loro presenza, con più autonomia del passato, nella vita sociale e culturale.
L’ingresso della donna nella realtà storica non avviene in modo silenzioso: non mancano intellettuali, scrittori..che offrono attenzione a questo nuovo soggetto con il quale l’omo è chiamato a misurarsi.
Casa di Bambola appare nel 1879 e suscita immediatamente dibattiti e polemiche. La figura di Nora assume ben presto il carattere della donna che lotta per la propria emancipazione.
Nora rivendica la propria dignità di donna e di essere umano contro una società che impone convenzioni rigide e soffocanti alle persone arrivando in questo modo ad espropriarle della loro identità ed autonomia. Nora, in una scena del III Atto, ricorda con dolore e amarezza la sua condizione di figlia-sposa –bambola. La sua incompletezza consisteva nell’essere in fondo relegata alla dimensione del gioco, inteso metaforica, mente come un’attività che imita la realtà ma senza mai afferrarla o progettarla.
Nora sente di essere diventata un nulla perché la condizione di bambola le ha precluso il lavoro, cioè l’esperienza dello scontro/incontro con il mondo, della possibilità di negarlo/trasformarlo.
Da notare che Nora stessa, nel suo pensiero dio presa di coscienza, fa un’esperienza di negazione, di scontro con il mondo: infatti, il momento in cui le accade di trovarsi di fronte al marito come ad un estraneo, ostile ed ingiustamente in collera, è anche quello dell’uscita dall’astrattezza della sua condizione iniziale. E’il dolore che la trasforma da bambola a donna: La sua scelta di rinunciare alle sicurezze della vita matrimoniale per uscire in un mondo ricco di incognite e di instabilità coincide con una sorta di assunzione di cittadinanza per così dire esistenziale.
Dall’emancipazionismo al femminismo: la scoperta dell’identità
Il movimento delle donne, nel corso del sec.XX, rinnova progressivamente i suoi orizzonti. Se in una prima fase le rivendicazioni delle donne erano volte a conquistare l’accesso alla parità dei diritti con gli uomini ( entrare nella cittadinanza), in una fase successiva l’attenzione si sposta sul valore dell’identità femminile, sul riconoscimento di una specificità ( costruire la cittadinanza femminile).
In ambito teorico, un testo può , tra gli altri, essere collegato con questa “svolta”: si tratta de “Il Secondo Sesso” di Simone de Beauvoir , del 1949. L’autrice ( la cui formazione intellettuale- politica è legata alla tradizione esistenzialista ed al marxismo) riflette sulla donna nel rapporto tra natura e cultura e sulla conquista di una libertà che non va semplicemente collocata all’interno del processo di trasformazione dell’intera società.
L’attenzione alla questione dell’identità porta la de Beauvoir ad assumere un atteggiamento critico nei confronti di teorie di liberazione dell’uomo le quali dimostrano una certa incapacità o indisponibilità a comprendere la specificità della possibile liberazione femminile.
Il dato ontologico che segna la donna è, infatti, il vivere la contraddizione tra autonomia e femminilità.
“Il privilegio che l’uomo detiene e che si fa sentire fin dall’infanzia sta in questo, che la sua vocazione di essere umano non contrasta con il suo destino di maschio…Egli non ha contrasti. Mentre la donna per compiere la sua femminilità, è costretta a frsi oggetto e preda, e cioè a rinunciare alle sue rivendicazioni di soggetto sovrano. E’ questo conflitto che dà un particolare carattere alla situazione della donna libera. Ella non accetta di ridursi al ruolo di femmina perché non vuole mutilarsi; ma anche ripudiare il proprio sesso costituisce una mutilazione
Il passaggio dall’emancipazionismo al femminismo ci fa vedere che l’obiettivo di liberazione delle donne non consiste più nella semplice acquisizione della piena parità con gli uomini nell’acceso ai diritti , al sapere e alle professioni in genere. A partire dagli anni settanta prende vita un’area di nuove elaborazioni teoriche finalizzate ad evidenziare , come esigenza primaria del movimento delle donne, la maturazione dell’identità accanto alla difesa della specificità dell’essere femminile.
Nel 1973 ottiene un immediato successo “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti : la tesi di fondo dice che la donna non è diversa dall’uomo per sua natura , ma perché condizionata da secoli di cultura e di scelte educative che hanno piegato le sue inclinazioni in modo funzionale al mondo maschile. I dati con i quali l’autrice cerca di fondare la sua convinzione nascono dall’osservazione del modello educativo che la famiglia e la scuola primaria riservano alle bambine.
Un simile testo, pur non esaurendo in sé il dibattito che intorno alla questione femminile si attua a partire dagli anni settanta, è comunque illuminante circa la direzione culturale che il processo di liberazione della donna prende.
L’interesse per l’identità femminile, così occultata da secoli di cultura dell’esclusione ed ignorata anche da illustri autori di teorie della liberazione dell’uomo ( v. Freud e la sua tendenza, criticata dalle intellettuali collegate al movimento delle donne, a collegare la dimensione femminile alla cosiddetta “invidia del pene” e , dunque, ad una mancanza, senza tentare di riconoscere una dimensione femminile della libido), è sintomo evidente di una svolta con la quale si cercano peculiarità storiche e si rivendicano diritti specifici.
Da queste considerazioni emerge un dato:
l’uguaglianza non è più di per sé un valore!
Emerge il tema della “differenza” come nuovo motivo di rivendicazione . Si tratta., per le donne, di trovare il riconoscimento della propria specificità, dopo secoli di cultura che ha schiacciato sotto una metafisica maschile la concreta esperienza esistenziale della donna. Negli ultimi anni del XX secolo le tendenze del femminismo attuale ci fanno vedere una direzione ben precisa: quella dell’esaltazione della differenza sessuale alla luce della quale la scommessa più ambiziosa sembra essere quella della costruzione di una cittadinanza al femminile..
L’idea della cittadinanza al femminile assume un valore particolare non solo per quanto riguarda l’esaltazione della donna ed il suo riemergere da una condizione di esclusione o ,addirittura, di vera e propria nientificazione. La cittadinanza al femminile , proprio perché consente l’accesso della donna alla storia senza la “mutilazione” culturale e psicologica di cui prima si parlava, rappresenta la vera, piena e concreta realizzazione della promessa di libertà che la tradizione del pensiero politico liberale-democratico contiene. La rivoluzione culturale che qui si prospetta contiene la capacità di uscire dall’idea di una soggettività neutra, che di fatto non può risultare rappresentativa delle donne. Il pensiero della differenza tra io maschile ed io femminile diventa è quel salto di qualità senza il quale la pari dignità delle due esistenze non ha alcun senso.
La Chiesa cattolica e la questione femminile
Si fa riferimento alla lettera che il Pontefice ha dedicato alle donne nel 1995 in occasione della Conferenza Mondiale sulla donna.
Il testo si rivolge alle donne nel loro insieme per offrire un servizio alla Chiesa ed al mondo contemporaneo:si tratta di riflettere sulla dignità ed i diritti delle donne alla luce della Parola di Dio.
La donna viene interpellata nelle sue funzioni per poi essere colta nella sua identità di persona umana: si parla della maternità del matrimonio, della donna impegnata nel mondo del lavoro, della donna che si consacra a Dio, della donna in quanto tale.
Esame della storia per individuare le condizioni nelle quali le donne hanno dato il loro contributo allo sviluppo dell’umanità
Esame del mondo contemporaneo nel quale le donne sono ancora fortemente penalizzate da un modello che spesso le offende sul piano fisico, morale , sociale.. La donna madre , ad esempio viene penalizzata nel momento in cui non gode delle tutele necessarie sul piano dell’impegno lavorativo. La donna viene poi umiliata nel momento in cui il suo corpo diventa supporto della merce o merce esso stesso, o quando la violenza sessuale la cancella come essere ricco di diritti e di dignità.
Eppure nel mondo contemporaneo la presenza delle donne è decisiva per far esplodere le contraddizioni di un modello storico segnato da evidenti connotazioni anti-umanistiche.
La lotta delle donne per l’emancipazione
Apprezzamento per le donne che hanno lottato coraggiosamente in epoche che le isolavano accusandole di tradire la loro femminilità
La questione dell’identità della donna viene collegata al concetto di complementarietà, in un’idea del dualismo maschile e femminile capace di realizzare pienamente l’umanità
Fonte: http://digilander.libero.it/domani_ti_sego/file%20word/Educ%20civica/ldiritti%20delle%20donne.doc
Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/domani_ti_sego
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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