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“Qualità della vita” e politiche temporali urbane .
Materiali per la progettazione partecipata di progetti temporali per la redazione del PTO - Comune di Bergamo.
Documento a cura di Gisella Bassanini, Politecnico di Milano
13 dicembre 2005
Sul concetto di “qualità della vita”
A partire dagli anni Cinquanta esiste una tradizione di studi e ricerche dedicate allo studio di questo tema.
Il termine “qualità della vita” è parola dalle forti capacità evocative e al contempo fortemente ambigua, così come lo sono il metodo e gli strumenti di analisi, le aree tematiche in cui declinare il concetto, il sistema delle variabili che si vogliono, o possono, prendere in considerazione per tentare di circoscriverne i confini. Tanto più se si cerca di applicarli all’interno di culture e contesti diversi.
Esistono infatti ambiti diversi in cui esplorare teoricamente il concetto di “qualità della vita”. C’è chi interpreta il tema a partire da una prospettiva, e preoccupazione ambientalista/ecologista, chi privilegia le problematiche e gli aspetti più di carattere sociale, e chi si muove da un quadro più di carattere economico, e così via.
“ Chiedersi dove si vive meglio non è soltanto una perfetta conversazione da treno nel corso della quale emergono i classici: Milano nebbia lavoro, Napoli sole aria, Roma arrogante parassita burocratica, eccetera. E’ anche una domanda che in una società mobile richiede risposte sempre più precise” (Martinotti in Nuvolati, 1998, p.17).
Tradizionalmente, il concetto di “qualità della vita” viene definito come la buona combinazione di risorse materiali e non, di aspetti oggettivi e soggettivi, che caratterizzano la condizione umana (Allardt, 1976, 1981).
Con il passare del tempo tale concetto ha subito delle trasformazioni che hanno operato degli spostamenti di attenzione: dalla presenza e distribuzione delle risorse sul territorio si è passati alle modalità di accesso ed utilizzo di beni e servizi.
Tra le prospettive più recenti vi è quella tracciata dal pensiero dell’economista e Premio Nobel di origine bengalese Amartya Sen (1987; Nussbaum e Sen, 1993) che è il fautore principale di questo spostamento nel modo di interpretare il tema in questione.
Questo nuovo modo di interpretare il concetto di “qualità della vita” sta operando profonde modifiche nella formulazione delle politiche di intervento pubblico, i suoi obiettivi e finalità, al fine di migliorare la vita individuale e collettiva.
Questo approccio privilegia il rapporto tra la qualità della vita e le capabilities dei soggetti (possibilità di scelta).
Il concetto di “capabilities” formulato da Sen, pur riconoscendo l’esistenza di condizioni oggettive che caratterizzano le condizioni di vita dei soggetti – “condizioni statiche” (sociali, economiche, istituzionali, relazionali), insiste sulla possibilità di azione ed espressione degli individui, sulla capacità che questi hanno, o non hanno, (“condizioni dinamiche”) di accedere alle risorse disponibili e trasformarle.
Per Sen le condizioni di benessere non sono determinati in prima istanza né dal livello di soddisfazione espresso dai singoli individui, né dal possesso di beni minimi, ma dalla libertà concessa di esprimersi ed agire (le capabilities dei soggetti, appunto), in sintonia con valori etici e modelli culturali condivisi.
Questo approccio privilegia il legame tra la qualità della vita e la libertà degli individui, e mette al centro dell’azione i soggetti.
Se prima ci si chiedeva: “ quanti luoghi sono accessibili all’individuo?” ora la domanda è: “un individuo quanti luoghi può accedere?”
E’ questo un passaggio importante, che si colloca lontano da quel filone di studi che in questi anni ha lavorato sul concetto di qualità della vita delle città e non nelle città. L’obiettivo di tali studi è quello di puntare l’attenzione sulle dimensioni fisiche, infrastrutturali, socio-ecomiche che caratterizzano una collettività nel suo complesso, piuttosto che sulle componenti individuali di percezione soggettiva del benessere (Nuvolati, 1998, pp.38-39).
Lavorare sull’oggetto “città”, sulle “città come singoli attori” e non sui soggetti-cittadini indubbiamente riduce il grado di indeterminatezza che il lavorare a partire dai soggetti, dalla loro percezione della qualità e dal grado di soddisfazione da loro espresso, porta inevitabilmente con sé, rendendo problematico, per esempio, operazioni di carattere comparativo tra diverse realtà urbane.
Dall’idea di benessere, risultato della distribuzione delle risorse sul territorio e tra i diversi soggetti che abitano, si è dunque passati all’individuazione degli strumenti e delle condizioni che facilitano o rendono problematico l’accesso e l’utilizzo delle risorse stesse.
Non bisogna guardare soltanto ciò che abbiamo, né se le persone sono soddisfatte, ci suggerisce questo approccio, ma a ciò che le persone sono messe in condizione di fare (opportunità, opzioni di scelta)
L’esempio che viene sovente fatto per spigare questa posizione è quello che riguarda l’accesso ed uso delle nuove tecnologie dell’informazione, il cui ruolo è decisivo all’interno della nostra società basata sulla conoscenza e sulla capacità di “essere in rete”, e quanto queste siano inevitabilmente strumenti decisivi nel determinare condizioni di inclusione o esclusione sociale. Anche la mobilità rappresenta un altro importante fattore di definizione del livello qualitativo delle condizioni di vita.
“La possibilità, disponibilità e facilità degli individui di spostamento sul territorio determina di fatto un considerevole ampliamento delle occasioni di contatto, di informazioni, di crescita professionale e culturale delle persone e di utilizzo dei servizi. Anche in relazione a questo aspetto non pochi però sono gli elementi di attrito. Basti pensare ai tempi morti necessari per gli spostamenti, alle attese, alle cose, ai conflitti che riguardano le contrapposizioni tra popolazioni residenti, lavoratori, pendolari, city user nelle circostanze di fruizione di servizi congestionati, etc” Zajczyk (2000, p. 190);
In un contesto così articolato, un ruolo decisivo è giocato dal fattore tempo, dal grado di accessibilità in termini spazio-temporali ai servizi e strutture presenti in un territorio.
Per riprendere Nuvolati la qualità della vita in contesto urbano è determinata dallo sviluppo di un insieme di functioning (la possibilità di mettere in atto le risorse di cui si dispone) conseguenza di un azione di miglioramento dell’accessibilità spazio-temporale dei servizi e dei luoghi urbani ( risorse).
Le città presentano differenti capacità di trasformare le risorse in functioning: teoricamente, quelle di grandi dimensioni presentano un alto livello di risorse e, per quanto riguarda le capabilities, una più ampia gamma di scelta, ma un basso livello di functioning. Le piccole e medie città, invece, possono trasformare le risorse in functioning in modo più efficace.
Possono essere sviluppate molte politiche pubbliche per migliorare la qualità di vita urbana in termini di functioning attraverso modelli di accessibilità, è quanto si sostiene.
Le nuove forme di disuguaglianza urbana sono dunque basate sull’accessibilità spazio-temporale, e non sono più solo di carattere socio-economico.
Non solo l‘attenzione è posta sulla presenza di una risorsa (in questo caso un servizio della città) ma anche come raggiungo questa risorsa, come funziona e come posso dunque meglio utilizzarla per dare risposta alle mie necessità.
La “qualità del vivere” attraverso l’esperienza elle politiche temporali urbane. Slogan e metafore di alcuni Piani dei Tempi e degli Orari
Molti Piani dei Tempi e degli Orari redatti in questi quindici anni in Italia, sono caratterizzati da uno o più slogan e da metafore che tendono a restituire un’immagine della città “desiderata dai suoi cittadini” – come si legge nel Piano degli Orari per la città di Milano (1994) - e da un principio ispiratore per la costruzione della città del presente e del futuro.
Ogni slogan o metafora esprimono una precisa idea di qualità:
Nel caso di Milano, le metafore scelte sono state:
Milano città per vivere e lavorare
Milano città permanentemente attiva
Milano città ospitale
Milano città cosmopolita
Milano città amica.6
Anche le parole scelte per definire l’obiettivo delle politiche e dei programmi che costituiscono il Piano degli Orari della città di Milano, oltre ad avere un forte richiamo evocativo, spiegano bene la filosofia che li anima.
La politica “Code e attese” non ha bisogno di molti commenti, subito rimanda ai Settori che erogano servizi al pubblico e fanno attività di sportello; alla necessità di “allegerire i canali di comunicazione della domanda di servizi (sportelli, prenotazioni, etc.)”, e l’attesa dell’acquisizione del servizio, con l’obiettivo prioritario di trattare al meglio il cittadino-utente, aiutandolo a risparmiare tempo. “Far girare le carte e non i cittadini” è la felice espressione che ha accompagnato questa azione del Piano milanese. Ma si può anche citare la Politica: “Milano aperta d’agosto” i cui presupposti e finalità risultano ben evidenti già dal titolo.
Basta dunque leggere semplicemente il titolo scelto per nominare le politiche e i progetti che costituiscono il Piano dei tempi di alcune città italiane per capire immediatamente di che cosa si sta parlando e a quale idea di qualità si fa riferimento.
Alcuni esempi:
Piano di Bolzano (1995- 1997)
- Progetto Pilota “Agio in Comune”7
- Progetto “Apertura cortili scolastici”
- Progetto “Patto della mobiltà”.
Piano di Roma (1996);
- le 4 Politiche:
- Roma facile, il tempo burocratico;
- Roma, scorrevole, il tempo della mobilità;
- Roma aperta, il tempo libero;
- Roma comunità, il tempo quotidiano.
Piano di Cremona (1998-99);
- Progetto “Cremona di domenica”;
- Progetto “La giornata del cittadino”;
- Progetto “Tempi della scuola”;
Piano di Pesaro (1999);
- Progetto “Percorsi sicuri per i bambini nella città”;
- Progetto “Accoglienza per cittadini e ospiti temporanei”;
Piano di Firenze (1999);
- Progetto “Dentro la scuola, fuori orario. Spazi aperti a mente aperte”;
Accoglienza, agio, sicurezza, mobilità, facilità, etc., sono solo alcune delle parole che ricorrono nei discorsi che raccontano i Piani e che rimandano ad un’idea di “buona giornata”, per usare un’espressione spesso usata da Sandra Bonfiglioli, e al desiderio di sentirsi nella città come a propria casa.
Una città che è vissuta da popolazioni diverse (residenti, city users, pendolari, businessmen) ognuna delle quali rivendica un proprio diritto di cittadinanza, un autonomo grado di libertà, opzioni di scelta, opportunità, per riprendere il pensiero di Sen.
L’idea di qualità portata dalle politiche temporali urbane si muove dunque su diverse scale, ognuna delle quali è intimamente connessa alle altre, e che sono così concepite:
1) La scala del tempo della conciliazione tra tempo per sé, tempi di vita e orari di lavoro;
2) la scala dei corpi: soggetti incarnati che appartengono a diverse fasi della vita;
3) la scala della vita quotidiana: la microfisica di ciò che facciamo ogni giorno.
Cultura femminile, politiche temporali urbane, progetto della città
“Qualità del tempo. Nel dibattito femminile vi è anche il rifiuto della pura razionalizzazione del tempo. Esso auspica ad un cambiamento più radicale che coinvolge il modo di vita, la qualità del tempo, l’immagine e la concezione che ne abbiamo” (Bonfiglioli, 1995, p. 172).
L’esperienza sviluppata dalle politiche temporali urbane in questi quindici anni è in grado di offrire un punto di vista interessante. Diversi sono i motivi che qui brevemente riprendo.
Le politiche temporali urbane hanno permesso l’entrata in scena di nuovi attori sociali, primi fra tutti le donne. Queste, non solo hanno per prime posto al centro delle loro azioni e riflessioni il tempo, ma hanno anche cercato di costruire un rinnovato pensiero sulla città, suggerendo linguaggi e pratiche innovative, con l’obiettivo di mettere in relazioni, in un circuito virtuoso, ciò che abitualmente stava separato. L’origine femminile delle politiche temporali urbane ha segnato e orientato fortemente l’approccio time oriented, il suo sviluppo, il suo radicamente nelle istituzioni, i temi e le questioni che hanno caratterizzato, e caratterizzano ancora, i progetti e le azioni messi in campo.8
a) Innanzi tutto, parlano il linguaggio delle differenze (di Genere, di cultura e di età). Ci ricordano che ogni soggetto è incarnato in un corpo e, dunque, tutt’altro che neutro e astratto. Così è anche il suo dire, il linguaggio che usa. “Parlare non è mai neutro” diceva negli anni Ottanta la filosofa francese Luce Irigaray.
Ogni soggetto informa di sé saperi e pratiche e influenza la costruzione sociale dei problemi e la loro soluzione.
Il ruolo della soggettività nei processi di costruzione di saperi e pratiche è oggi questione largamente condivisa all’interno delle diverse discipline, e non solo fra le donne, che per prime nel corso degli anni Ottanta hanno iniziato a riflettere ed interrogarsi sul tema.
b) Le donne attraverso le politiche temporali urbane parlano di vita quotidiana, di come conciliare lavoro e famiglia, di cura, di tempo per sé e tempo per altri, di come rendere più ospitale la città. La misura è ciò che facciamo ogni giorno, come lo facciamo e come potremmo farlo meglio, con maggiore agio per tutte e tutti. Il tentativo è di mettere in relazione esperienza/linguaggio/pratiche.
Le problematiche legate al tempo e agli orari della città nascono dalla propria concretissima situazione di vita, dalle proprie ragioni, ma entrano subito, e questo è facilmente dimostrabile, nel gioco dei portatori d’interesse diventando ragioni d’interesse generale.
Quando hanno pensato “come vivere con maggior signoria le nostre città”, per riprendere una felice espressione del Gruppo di donne e uomini di Catania dal nome “La città felice“, non lo hanno pensato solo per sé e per i propri figli e figlie, ma per tutti e tutte, residenti e non.
c) I soggetti abitanti nelle politiche temporali urbane non sono mai stati pensati come entità neutre, astratte ed universali ma come soggetti incarnati in un corpo e dunque sessuati, che appartengono a culture diverse e a stagioni della vita differenti: sono donne e uomini, bambini/e, anziani/e, abitanti temporanei e residenti, immigrati/e, donne che lavorano, uomini in congedo parentale, etc..
Non sono politiche universaliste ma attente a quella che viene chiamata la “microfisica della vita quotidiana”. Non si parla di bambini e bambine genericamente intesi ma di quei bambini e di quelle bambine: di quella scuola, di quel quartiere, di quella città o paese, di quel territorio particolare, con la sua storia e il suo presente.
Al centro dunque viene posta la città abitata. Abitata da chi? Dove? come? quando? per fare cosa?
Se si parla di “accessibilità“, concetto largamente usato in diverse discipline e ambiti, lo si fa a partire dai soggetti, dalle loro reali condizioni. L’accessibilità a un luogo o a un servizio, in termini sia spaziali che temporali e orari, è cosa diversa se a volerla è un anziano oppure una giovane, se si parla del giorno o della notte.
Le parole si mettono in gioco, costruiscono il loro senso, diventano azione a partire dai soggetti, corpi viventi, questo ci suggerisce l’esperienza femminile.
Se le parole stanno vicino alle cose della vita, e questo l’esperienza delle politiche temporali urbane lo dimostrano, tendono a perdere il loro carattere super tecnico/specialistico, e un po’ dogmatico, per diventare parola viva, in grado di “mettere al mondo il mondo”, per citare il Gruppo di filosofe Diotima, dell’Univesità di Verona.
L’attenzione ai soggetti che abitano, alla microscala, alla misura dei corpi; l’utilizzo di un metodo generativo (i progetti generano i Piani, le azioni generano azioni); la costruzione di un sapere che parte dalla pratiche di vita, caratterizzato da un continuo apprendimento degli attori sociali coinvolti (learning by doing); il privilegiare la cultura politica della relazione, e non della separazione, dicono di una sapienza che, secondo Sandra Bonfiglioli, sta rivoluzionando la stessa urbanistica.
Alcune questioni aperte:
I riferimenti utilizzati nella prima parte di questa relazione, nel tentativo di definire il concetto di “qualità della vita” provengono prevalentemente dalla sociologia e dall’economia. Una questione emerge allora con evidenza e può essere sintetizzata in una semplice domanda: “cosa è la qualità urbana per la cultura progettuale?”
“Come misurarla?”…..
Riferenze bibliografiche
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- Bassanini G., 2005,
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La qualità della vita delle città. Metodi e risultati delle ricerche comparate, Franco Angeli.
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- Zajczyk F., 2000,
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Fonte: http://www.comune.bergamo.it/upload/bergamo_ecm8/gestionedocumentale/qualit%c3%a0%20della%20vita%20e%20politiche%20%20dei%20tempi_3584.doc
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