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Il dibattito che intendiamo sviluppare in questo seminario nasce dalle numerose riflessioni e dagli spunti di analisi scaturiti dai risultati degli studi compiuti negli ultimi cinque anni di attività trascorsi ritenendo che possa offrire un prezioso strumento di arricchimento per le istituzioni e per i soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nei processi di sviluppo locale.
In questa ottica, il presente documento intende richiamare e portare a sintesi i principali risultati e elementi di analisi emersi.
In particolare, il primo paragrafo (Programmi di Sviluppo Locale: un quadro di sintesi) riassume i principali risultati derivanti dalle analisi svolte sulla totalità dei programmi di sviluppo locale considerati (Contratti d’Area, Patti Territoriali nelle varie forme generalista e specialistico, Patti Territoriali per l’Occupazione, Programmi di Iniziativa Comunitaria Leader e URBAN e Progetti Integrati Territoriali). Il secondo paragrafo illustra i risultati specifici riguardanti i Progetti Integrati territoriali, mentre il terzo paragrafo presenta alcuni esiti e riflessioni sull’integrazione delle politiche nei sistemi produttivi locali che derivano dalle attività sviluppate ed i conseguenti approfondimenti in corso.
Introduzione
Il tema dello sviluppo locale ha assunto in Italia un’importanza crescente negli ultimi decenni e in special modo a partire dalla riforma del 1992, che ha segnato l’abbandono delle politiche di intervento straordinario nel Mezzogiorno “calate dall’alto” e ha avviato, con l’istituzione della Programmazione Negoziata e dei Patti Territoriali in particolare, un nuovo approccio allo sviluppo territoriale basato sulla valorizzazione delle specificità e delle vocazioni locali.
Tale situazione ha visto parallelamente l’affermarsi, a seguito dell’avvio del processo decentramento funzioni in materia di lavoro e di formazione, di una crescente richiesta di riconoscimento di ruolo da parte degli attori a livello locale (Regioni, Province, ecc).
Il nuovo scenario che si è andato delineando a livello italiano si inseriva in un contesto più ampio, di dimensione europea, in cui si andava affermando un nuovo ruolo di indirizzo strategico dell’Unione Europea che si sostanziava nella definizione del principio di sussidiarietà e delle politiche di coesione economica e sociale finalizzate a favorire la solidarietà tra stati membri nell’agevolare uno sviluppo equilibrato e sostenibile, una progressiva riduzione del divario strutturale tra regioni e paesi e le pari opportunità tra le persone.
Tutto ciò ha fatto si che si concepisse un nuovo approccio alla programmazione e alla attuazione di processi di sviluppo territoriali basato su una maggiore e più attiva partecipazione delle istituzioni e dei diversi attori locali, attraverso la realizzazione di nuovi modelli di governance (sia verticale che orizzontale), nuove forme di negoziazione e di concertazione nonché la costituzione di reti che consentissero di concepire in maniera unitaria e organica interventi di una pluralità di soggetti pubblici e privati.
Lo sviluppo locale è diventato così un obiettivo strategico e, in quanto tale, pilastro delle politiche comunitarie, nazionali e regionali.
La nuova filosofia di intervento, si fondava sull’idea che il territorio rappresentasse l’ambito di riferimento per la lettura delle dinamiche economiche e sociali, luogo di ricerca e di sperimentazione di modelli innovativi di sviluppo, in grado di far fronte ai fenomeni di riorganizzazione produttiva e di globalizzazione.
A partire dal maggio 2003, l’ISFOL, nell’ambito dello svolgimento dei suoi compiti istituzionali, ha dato avvio, in maniera più strutturata e organica, a una serie di riflessioni e studi sullo Sviluppo Locale, con l’obiettivo di analizzare l’integrazione tra politiche di sviluppo e politiche del lavoro e della formazione, attraverso:
• l’osservazione dei differenti modelli regionali di programmazione, di governo e gestione delle politiche di sviluppo;
• l’analisi delle caratteristiche e delle modalità di integrazione attraverso i modelli di governance, i partenariati, le reti e le iniziative messe in atto a livello locale;
• l’analisi delle modalità con le quali gli strumenti disponibili per l’attuazione di politiche attive siano stati o meno integrati all’interno di politiche di sviluppo.
Inizialmente l’attenzione si è concentrata sull’analisi dei programmi, degli interventi e delle politiche di tipo esogeno, nati cioè da normative comunitarie, nazionali o regionali, rivolti alla promozione dello sviluppo territoriale in particolare nei territori “svantaggiati” individuati come in “ritardo di sviluppo” (Regioni Obiettivo 1) o in fase di riconversione economica e/o con problemi strutturali (Regioni ob. 2) .
A partire dalla fine del 2003 una attenzione particolare è stata dedicata ai Progetti Integrati Territoriali che, nel rispetto dei principi di concertazione e di sviluppo promosso dal basso, precedentemente evidenziati, hanno rappresentato, cronologicamente, l’ultimo esempio di strumento per l’individuazione e il finanziamento di progetti locali di sviluppo concepiti come attuazione degli obiettivi del Quadro comunitario di sostegno per le Regioni dell’Obiettivo 1, nel periodo di programmazione 2000-2006.
In particolare, considerato che il tema del rafforzamento delle componenti progettuali dei PIT dirette a fornire servizi alle persone ed allo sviluppo del capitale umano, era stato previsto specificamente nell’ambito del Comitato di Sorveglianza del QCS 2000/2006, come azione direttamente curata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (ora Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali) e che all’interno della misura II.1 del PON ATAS erano previste specifiche indicazioni dirette a “incrementare il rendimento economico e sociale degli investimenti nelle politiche del lavoro” e “promuovere ….l’integrazione tra SPI e politiche territoriali”, la Direzione Impiego del MPLS ha promosso una azione di affiancamento e accompagnamento alle amministrazioni regionali nell’attuazione dei PIT, con una focalizzazione specifica sulle connessioni con lo sviluppo occupazionale e con l’obiettivo di creare un maggiore coordinamento e integrazione tra le diverse attività finalizzate al rafforzamento dello sviluppo economico e produttivo e quelle attinenti allo sviluppo occupazionale. In funzione del perseguimento di tale obiettivo è stato istituito un Comitato di Pilotaggio con funzioni di consultazione, proposta, accompagnamento e monitoraggio, in ordine alla progettazione integrata territoriale a partire dalle tematiche dello sviluppo occupazionale locale. Ha inoltre deciso di avvalersi, sul piano operativo, di due task force costituite da ISFOL e Italia Lavoro cui è stato affidato il compito di aumentare il livello di attenzione della progettazione integrata relativamente al tema dell’occupazione e agli aspetti qualitativi ad essa connessi. In questa ottica è stato concepito e realizzatoli progetto denominato PIT LAVORO della durata triennale, nell’ambito del quale sono state affidate all’ISFOL la realizzazione di attività di rilevazione, di monitoraggio e di valutazione dei singoli progetti con l’obiettivo di fornire alle amministrazioni regionali strumenti e metodologie utili ad una successiva modellizzazione delle esperienze monitorate ai fini di un’analisi di raffronto/valutazione tra PIT e modelli di sviluppo locale.
A partire dalla fine del 2005 le analisi hanno sviluppato una maggiore attenzione al tema dell’integrazione tra politiche di sviluppo e politiche del lavoro e della formazione, anche all’interno dei sistemi produttivi locali e dei distretti produttivi, seguendo il medesimo criterio di osservazione rivolto alla ricostruzione delle strategie adottate dalle diverse regioni, in termini di obiettivi, strumenti e interventi, dei percorsi di programmazione e dei meccanismi di integrazione (verticale ed orizzontale) tra i diversi soggetti coinvolti.
Il dibattito che intendiamo sviluppare in questo seminario nasce dalle numerose riflessioni e dagli spunti di analisi scaturiti dai risultati degli studi compiuti nei 5 anni di attività trascorsi ritenendo che possa offrire un prezioso strumento di arricchimento per le istituzioni e per i soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nei processi di sviluppo locale.
In questa ottica, il presente documento intende richiamare e portare a sintesi i principali risultati e elementi di analisi emersi.
In particolare, il primo paragrafo (Programmi di Sviluppo Locale: un quadro di sintesi) riassume i principali risultati derivanti dalle analisi svolte sulla totalità dei programmi di sviluppo locale considerati (Contratti d’Area, Patti Territoriali nelle varie forme generalista e specialistico, Patti Territoriali per l’Occupazione, Programmi di Iniziativa Comunitaria Leader e URBAN e Progetti Integrati Territoriali). Il secondo paragrafo illustra i risultati specifici riguardanti i Progetti Integrati territoriali, mentre il terzo paragrafo presenta alcuni esiti e riflessioni sull’integrazione delle politiche nei sistemi produttivi locali che derivano dalle attività sviluppate ed i conseguenti approfondimenti in corso.
PROGRAMMI DI SVILUPPO LOCALE: UN QUADRO DI SINTESI
Come evidenziato precedentemente, l’attenzione dell’ISFOL si è concentrata sull’analisi dei programmi di sviluppo locale di derivazione comunitaria, nazionale e regionale che presentassero quali elementi comuni caratteristici:
l’attivazione di processi di concertazione e di cooperazione e dunque l’attivazione di forme di sviluppo promosse dal basso attraverso la partecipazione di una pluralità di soggetti istituzionali e socio-economici rappresentativi delle esigenze di un determinato territorio,
la presenza, tra gli interventi individuati per la promozione dello sviluppo del territorio, di azioni di valorizzazione delle risorse umane attraverso l’utilizzo di strumenti e/o la definizione di politiche attive della formazione e del lavoro.
Tale approccio a portato a prender in considerazione la Programmazione Negoziata (Contratti d’Area, Patti Territoriali nelle varie forme generalista e specialistico), i Patti Territoriali per l’Occupazione, i Programmi di Iniziativa Comunitaria Leader (nella varie edizioni realizzate ) e URBAN e da ultimo la Progettazione Integrata Territoriale alla quale, come precedentemente evidenziato, è stato dedicato un approfondimento particolare.
Tali strumenti sono stati analizzati e osservati nelle loro modalità di programmazione e di attuazione nelle due fasi di programmazione 1994-1999 e 2000-2006.
Ne è emerso un universo di riferimento comprendente 920 iniziative di Sviluppo Locale, di cui il 54,5% nelle regioni del Sud e il restante pari al 45,5% nelle 13 regioni del Centro-Nord Italia.
Fonte: Elaborazione dati da banca Dati ISFOL sullo Sviluppo Locale
Modelli di programmazione, di governo e di gestione
In linea generale le analisi condotte hanno evidenziato che i Programmi di Sviluppo hanno ottenuto risultati migliori quando:
1. e’ risultato chiaro e ben definito il quadro di riferimento delle regole procedurali e delle indicazioni progettuali sia in fase di programmazione che in fase di implementazione e si è realizzato un efficace equilibrio tra le linee guida definite a livello di amministrazioni centrali/regionali e l’autonomia di implementazione e gestionale a livello locale. E’ questo il caso di iniziative come Leader, ma anche di quello dei Patti Territoriali per l’Occupazione (di tipo “europeo”) rispetto ai Patti “Nazionali”, spesso non accompagnati da chiare regole sia generali che di gestione con la conseguenza di difficoltà operative nelle attività e, in alcuni casi, con effetti negativi sul rendimento della spesa e sulla possibilità di innescare processi di sviluppo reale.
2. si è riusciti a mantenere un elevato livello di interconnessione tra la fase di concertazione e di definizione progettuale dell’intervento di sviluppo e la fase della gestione operativa. È un caso frequentissimo con i Gal (Gruppo di Azione Locale) dell’iniziativa Leader: anche proceduralmente, il Gruppo è esso stesso un primo risultato di animazione e concertazione locale, oltre ad essere il protagonista dell’animazione territoriale, della progettazione e della gestione operativa. Per quanto riguarda i Patti Territoriali, si è invece registrata una più netta separazione: nella fase di avvio si è spesso assistito a una promozione dello strumento e di discussione sulle ipotesi di sviluppo da parte di una vasta gamma di attori locali (parti sociali, associazioni imprenditoriali, ecc); nella seconda fase – il momento della gestione – si è di contro assistito molto di frequente al protagonismo di alcune élites locali le quali, in alcuni casi hanno operato (ri)orientando le azioni di intervento secondo i propri specifici interessi. Per quanto riguarda i PIT, la separazione è apparsa ancora più netta: nella la fase di attuazione, infatti, mentre le competenze per la realizzazione e la gestione delle operazioni relative agli interventi infrastrutturali sono state lasciate alle autorità locali, quelle relative ai regimi di aiuto ed alla valorizzazione delle risorse umane sono state mantenute a livello regionale. In generale questa scelta ha prodotto un minore approfondimento degli interventi relativi ai regimi di aiuto e alla promozione delle risorse umane con effetti sul loro livello di integrazione generale e sui loro esiti.
3. e’ stata prevista la possibilità di operare rimodulazioni e revisioni in un quadro definito proceduralmente e tipologicamente. Questa caratteristica di flessibilità rappresenta uno dei cardini di quella che viene definita "programmazione strategica" che individua quali elementi basilari per la realizzazione di sviluppo locale non solo le due tradizionali fasi di "individuazione degli obiettivi" e "realizzazione delle azioni", ma anche la possibilità di aggiustare/ridefinire strumenti e strategie sulla base dei risultati o dei non risultati che si ottengono dalla realizzazione delle azioni programmate e dal tempo che manca dall'obiettivo finale.
L’integrazione tra gli attori dello sviluppo: partenariati socio-economici e reti territoriali
Nella maggior parte dei progetti analizzati sia per le regioni dell’ob. 1 che per le regioni del centro nord, i partenariati che hanno dato origine alle iniziative risultano essere stati ben bilanciati tra la composizione di tipo istituzionale, socio economica e del terzo Settore (oltre il 50% delle iniziative analizzate).
Esaminando i programmi maggiormente diffusi sul territorio, anche in questo caso l’iniziativa comunitaria Leader, considerata complessivamente nelle sue varie edizioni, ha presentato un maggiore bilanciamento tra le componenti pubblico e private, rispetto ai Patti Territoriali e alla Progettazione Integrata, in cui si è evidenziato uno sbilanciamento in favore delle istituzioni.
Diversa la situazione rilevata per la fase di concertazione che ha visto la partecipazione di un ampio ventaglio di soggetti sia pubblici che privati. La composizione dei tavoli di concertazione ha visto la presenza di una ampia gamma di soggetti anche privati, la cui presenza sembra essere stata condizionata più dalle caratteristiche dell’economia locale e dal riconoscimento sul territorio di tali soggetti, che non dal contenuto specifico dell’ambito di intervento del progetto, sottolineando in questo modo la valenza quale “fattore di successo” del consenso degli attori locali. Le indagini di campo realizzate hanno evidenziato che il contributo del partenariato è risultato fondamentale in molti programmi, nella promozione di appositi organismi preposti a nuove attività di sviluppo. In particolare, si è osservato che nel 44% dei casi esaminati nelle regioni dell’ob. 1, i partenariati costituitisi hanno dato avvio o partecipato a nuove iniziative di sviluppo locale. Nelle regioni del centro-nord è emerso che quasi la metà dei programmi analizzati sono stati realizzati da partenariati che derivano da precedenti esperienze dello stesso genere, mentre il 30% circa da esperienze di tipo diverso.
Nel caso dei Progetti Integrati Territoriali è interessante notare come oltre il 90% dei casi esaminati nelle varie attività di monitoraggio realizzate dall’ISFOL sia stato realizzato da partenariati precedentemente o contemporaneamente impegnati nella realizzazione di altri programmi di sviluppo.
Questo dato evidenzia quanto le esperienze realizzate siano importanti per il futuro, creando un substrato di conoscenza e di know how in grado di sostenere la realizzazione di successivi programmi di sviluppo. In alcuni casi queste esperienze hanno creato specifiche strutture per la gestione delle politiche comunitarie di sviluppo locale che esistono ancora.
In linea generale le analisi condotte hanno evidenziato che:
1. i risultati dei processi di sviluppo non sembrano essere stati influenzati dal prevalere della presenza di alcuni soggetti rispetto ad altri, ma piuttosto dalla capacità di presidio dei processi di sviluppo del territorio e dalle capacità tecniche espresse da parte di ciascun partner;
2. la forza e la determinazione degli attori locali, la condivisione degli obiettivi da parte dei promotori e degli attuatori del progetto, la coerenza degli strumenti di attuazione con gli obiettivi, la chiara definizione dei ruoli dei diversi soggetti coinvolti, sembrano essere stati, nei diversi casi, i principali elementi non solo per il successo di un programma, ma per la realizzazione di effetti di lunga durata;
3. la partnership locale ha funzionato laddove è stato previsto un apporto significativo e specifico di ogni partner alle fasi di concertazione e di gestione (sia pure con diversi ruoli e diversi pesi nelle varie fasi). E' fondamentale, infatti, che tutto l'insieme degli attori sociali sia coinvolto nella governance territoriale, dalla fase di analisi del territorio, alla individuazione degli obiettivi strategici, alla progettazione, alla gestione delle azioni di sviluppo. Molto spesso, oltre alla perdita di ruolo nella fase di gestione da parte di attori che, eventualmente, avevano promosso le fasi concertative, si è ingenerata una prassi di “partecipazione passiva” ai tavoli di concertazione o, in generale, alla costruzione di partnership locali. Anche in questo caso, l’esperienza dei Gal del programma Leader mostra una migliore performance rispetto agli altri progetti, anche se quasi mai si assiste ad un apporto operativo di tutta la partnership.
Integrazione di strategie e di obiettivi: l’utilizzo delle politiche attive a sostegno delle politiche per lo sviluppo
Dalle analisi condotte è emerso che, quali interventi diretti alla valorizzazione del capitale umano, un ruolo centrale è stato svolto dalle azioni di formazione professionale ( prevalenti soprattutto nelle Regioni Ob. 1) volte alla professionalizzazione, all’aggiornamento e all’adeguamento delle competenze, al miglioramento della professionalità in senso lato e alla creazione di condizioni più favorevoli all’occupabilità.
Gli aiuti all’occupazione nella forma di creazione di nuova impresa e autoimpiego hanno interessato oltre la metà dei programmi esaminati (con una maggiore concentrazione nelle regioni del Centro Nord) e determinato effetti occupazionali tradottisi nelle diverse forme di nuova occupazione, consolidamento di iniziative già esistenti ed emersione da lavori irregolari. La presenza di azioni di orientamento è stata parimenti significativa e propedeutica all’individuazione di percorsi formativi o lavorativi che coniugassero le competenze dei soggetti coinvolti con i fabbisogni espressi dal territorio. Gli interventi a sostegno della qualificazione e dell’adeguamento delle competenze professionali alle esigenze del mercato del lavoro, risultano invece di entità minore.
Va però evidenziato che l’attenzione posta a stime dell’impatto occupazionali nei progetti di sviluppo locale nonché alla individuazione di metodologie che le rendessero affidabili, è risultata spesso carente, se non addirittura inesistente in molte delle esperienze analizzate, specie per quanto riguarda i Progetti Integrati Territoriali.
Dalle numerose esperienze di Sviluppo Locale realizzate emerge, un quadro generale caratterizzato da bassi livelli di integrazione tra politiche per lo sviluppo e politiche attive e nell’ambito di queste ultime, tra strumenti di crescita delle risorse umane e strumenti di promozione dell’occupazione e di politica attiva del lavoro, così come basso è il livello di integrazione tra programmazione e progettazione, tra processi decisionali e partecipazione reale dei soggetti sociali ed istituzionali,
Questo quadro, seppure evidenzi una volontà diffusa ad intraprendere l’esperienza di programmazione integrata per lo sviluppo locale, come dimostrano le tantissime azioni realizzate e l’enorme volume finanziario impiegato, fa emergere tuttavia un ritardo culturale, tecnico e metodologico in materia di programmazione integrata che occorre superare.
L’ESPERIENZA DELLA PROGETTAZIONE INTEGRATA TERRITORIALE NELLE REGIONI OB. 1
Introduzione
La progettazione integrata territoriale ha rappresentato una particolare modalità di attuazione dei Programmi Operativi Regionali per l’individuazione e il finanziamento di progetti locali di sviluppo ed è stata concepita come attuazione degli obiettivi del Quadro comunitario di sostegno per le Regioni dell’Obiettivo 1, nel periodo di programmazione 2000-2006. Come già sperimentato durante gli anni precedenti con i Patti Territoriali, la Progettazione Integrata ha rappresentato dunque, una strategia di sviluppo locale elaborata attorno all’opportunità di un finanziamento indirizzato alla trasformazione di un territorio ideata e gestita da un mix di attori istituzionali e socio-economici.
Nel complesso sono stati approvati 144 PIT (a fronte di circa 5000 interventi programmati suddivisi tra azioni infrastrutturali, azioni di sostegno al sistema socio-economico – i c.d regimi di aiuto – e azioni rivolte alla valorizzazione delle risorse umane e incentivazione dell’occupazione). Il numero elevato di progetti approvati è indicatore del ruolo di rilievo che la Progettazione Integrata ha assunto nell’ambito del ciclo di programmazione dei Fondi Strutturali nelle aree dell’Obiettivo 1. Malgrado se ne riconoscano le difficoltà, le carenze e le necessità di miglioramento, tale esperienza è stata comunque giudicata positivamente dalle Regioni che hanno utilizzato questa occasione per costruire “una modalità più diretta di dialogo con i soggetti locali mobilitando effettivamente le proprie strutture regionali e/o sperimentando forme più pregnanti di delega dell’attuazione verso raggruppamenti formali di Enti locali” .
La metodologia di analisi dell’ISFOL
Nell’ambito del progetto PIT LAVORO precedentemente richiamato, l’ISFOL ha avuto il compito di realizzare attività di rilevazione, di monitoraggio e di valutazione dei PIT approvati con l’obiettivo di fornire alle amministrazioni regionali strumenti e metodologie utili ad una successiva modellizzazione delle esperienze monitorate ai fini di un’analisi di raffronto/valutazione tra PIT e modelli di sviluppo locale.
Il lavoro svolto è stato articolato in due macro fasi di intervento:
• una prima fase, di rilevazione e censimento dei PIT approvati, è stata indirizzata al duplice obiettivo di acquisire informazioni e dati specifici relativi alle caratteristiche di ogni PIT approvato e ricostruire la mappa delle fonti informative/normative che fosse in grado di descrivere il complesso delle fasi di programmazione/attuazione dei PIT, con l’intento di evidenziare e analizzare i differenti modelli di programmazione e di gestione realizzati a livello regionale. Tale attività si è concretizzata in una lettura verticale, dalla quale si è evidenziato una elevata varietà e specificità di modelli e di soluzioni adottate a livello regionale, pur se in sostanziale coerenza con gli orientamenti elaborati a livello nazionale;
• una seconda fase (articolata in più sottofasi che hanno seguito l’iter attuativo dei PIT), di monitoraggio e valutazione, realizzata mediante indagini di campo e studi di caso. In particolare, il modello di monitoraggio implementato è stato basato su due livelli differenti, ma paralleli di analisi:
a) un livello di monitoraggio “diffuso” e rivolto all’intero universo dei PIT approvati che, in riferimento ai dati di programmazione dei singoli progetti e di successiva attuazione, privilegiasse gli aspetti quantitativi inerenti agli interventi programmati. Gli ambiti di questo tipo di monitoraggio sono stati definiti in funzione di due livelli in cui è articolato il Progetto Integrato: il livello di progetto generale, che contiene variabili esclusivamente di tipo statico (dati anagrafici ed identificativi, territorio di riferimento, partenariato, attori della concertazione, idea forza e strategia progettuale, modalità gestionali e dati finanziari, ecc.) ed il livello del singolo intervento del PIT, caratterizzato da variabili di tipo dinamico (in funzione del loro stato di attuazione).
b) un monitoraggio qualitativo che a livello di singolo PIT fosse in grado di individuare e rilevare informazioni riguardanti le variabili specifiche oggetto delle analisi dell’ISFOL (forme e composizione dei partenariati e modelli di governance, modalità e contenuti della progettazione, principi di integrazione e legami tra politiche di sviluppo e politiche attive del lavoro e della formazione; ecc). Tale monitoraggio è stato realizzato sia con riferimento ai dati e alle informazioni definite in sede di progettazione dei singoli PIT (I fase di monitoraggio) che con riferimento alla fase di attuazione (II e III monitoraggio) . A tali fini sono state utilizzate schede di intervista sottoposte ai responsabili del PIT.
Si è scelto di procedere lungo questo doppio binario per rispondere con efficacia ad una esigenza conoscitiva composita, finalizzata a far emergere elementi di valutazione sul funzionamento dello strumento e sulle sue prospettive di sviluppo al fine di tracciare una prima modellizzazione dei risultati relativi all’esperienza dei PIT, con particolare riferimento alla valorizzazione del capitale umano e alla crescita dell’occupazione.
Modelli di programmazione, di governo e di gestione
Per quanto riguarda il percorso di impostazione e di modalità di gestione dei PIT nell’interpretazione dei POR e dei Complementi di Programmazione delle varie Regioni, è risultata prevalere la logica di diffusione sul territorio dei progetti, con una forte propensione a coprire diffusamente il territorio con gli interventi della progettazione integrata, anziché applicare un principio di concentrazione e di selezione. Le Regioni hanno dunque teso prevalentemente a rispettare un principio fondamentale di equità territoriale, arricchendolo di contenuti diversificati, in quanto a seconda delle specifiche vocazioni territoriali, si è tenuto conto, per esempio, dell’esistenza di preesistenti sistemi produttivi locali, di ulteriori specificità territoriali di sviluppo omogenee che prescindevano dai territori di competenza di singoli enti locali.
Le dimensioni medie dei PIT, per estensione territoriale, sono risultate, pertanto, estremamente variabili (alcuni estremamente piccoli e/o hanno interessato una quantità limitata di popolazione, altri hanno coperto aree vaste e/o hanno interessato quote elevate di popolazione, come ad esempio il caso della Puglia) anche se sono risultati prevalenti, nel complesso, ambiti territoriali di dimensioni contenute. In ogni caso i PIT approvati hanno garantito una copertura territoriale e demografica molto alta, tendente alla copertura integrale dei territori delle Regioni ob. 1.
Dal punto di vista operativo, quindi, una delle prime evidenze emerse ha indicato che il punto di partenza non è stato l’elaborazione dell’ “idea forza”, indicata nel Quadro Comunitario di Sostegno quale elemento propulsivo della progettazione integrata, quanto piuttosto la scelta di territorializzazione dei progetti, operata sia attraverso un’impostazione tipica della programmazione di area (come nei casi della Basilicata, del Molise e della Puglia), sia attraverso il ricorso a modelli orientati a privilegiare la domanda locale e non necessariamente agganciati all’organizzazione istituzionale dei territori (come nei casi della Sardegna e della Sicilia), sia, infine, attraverso percorsi negoziati di capillarizzazione dei PIT sul territorio (come nei casi della Calabria e della Campania).
Relativamente ai modelli gestionali predisposti per l’attuazione dei PIT è possibile ricondurli a due principali impostazioni: la prima è volta ad assicurare il semplice coordinamento dei soggetti coinvolti nell’attuazione del PIT, la seconda tende a unificare le competenze in un unico modello a struttura competente unica.
Nel primo modello il soggetto incaricato del coordinamento ha continuato a svolgere il suo ruolo nell’ambito delle proprie attribuzioni, adoperandosi per risolvere i problemi e le difficoltà insorte, senza, tuttavia, avere alcun potere decisionale. Il secondo modello, invece, ha visto la definizione di poteri e responsabilità uniche d’attuazione, attraverso la costituzione di un ufficio unico al quale sono state attribuite le competenze necessarie allo svolgimento dei compiti di gestione del progetto.
L’integrazione tra gli attori dello sviluppo: partenariati socio-economici e reti territoriali
Un elemento strategico della progettazione integrata - come di tutti gli strumenti e politiche di sviluppo locale – è quello di incentivare la costruzione di reti e partenariati compositi, in grado di dare vita ad un processo di condivisione dell’intervento sul territorio; con l’ambizione inoltre di generare inoltre effetti nel medio-lungo periodo, che vadano oltre il tempo di vita dello specifico progetto. In questo senso, le evidenze dell’indagine non sono univoche.
Nell’esperienza della Progettazione Integrata il partenariato promotore del progetto, per quanto abbia visto in fase di concertazione e attivazione del territorio, la partecipazione di una significativa gamma di soggetti, è stato individuato prioritariamente nei soggetti istituzionali locali; in prevalenza si tratta di Comuni, talvolta di Province o di partnership locali istituzionali (Agenzie di Sviluppo istituite nell’ambito di Patti Territoriali, GAL, ecc.). meno frequenti sono i casi in cui i soggetti promotori sono stati istituzioni sovracomunali quali ad esempio Consorzi o Comunità Montane. Una diversa configurazione si è riscontrata nel caso della Campania dove alcuni PIT sono stati a titolarità regionale; La presenza di soggetti privati tra i partner si individua in meno della metà dei PIT e risulta particolarmente evidente in quelli della Sicilia.
La presenza dei privati, da intendersi come soggetti rappresentanti delle categorie economiche e sociali del territorio, è comunque numericamente rilevante all’interno del partenariato socio-economico anche se questo risultato presenta una forte caratterizzazione geografica essendo riconducibile prevalentemente al comportamento dei progetti delle Regioni Sicilia e Calabria.
La composizione del partenariato privato include una gamma molto ampia di soggetti, la cui presenza sembra essere più condizionata dalle caratteristiche dell’economia locale che non dal contenuto specifico dell’ambito di intervento e dell’idea/forza del progetto.
Tra le tipologie di soggetti privati si individuano prevalentemente associazioni di categoria, associazioni culturali e sociali. Mentre, così come era già stato evidenziato nelle indagini condotte su altri strumenti di sviluppo locale, permane l’assenza dei “grandi attori” (istituti di credito, università e centri di ricerca, grandi imprese) a conferma della difficoltà di coinvolgere in progetti di sviluppo territoriale soggetti forti che garantirebbero risorse fondamentali per il successo di iniziative di sviluppo - in termini di capacità di innovazione, di competenze, di credito - anche e soprattutto in un’ottica di lungo periodo.
Il coinvolgimento nell’ambito dei PIT, così come in altri progetti di sviluppo territoriale, dei grandi attori territoriali è importante, quindi, sia in termini di maggiori opportunità del sistema socioeconomico in cui lo strumento si inserisce, sia perché soggetti forti possono costituire il filtro attraverso il quale i territori si aprono verso l’esterno, superando la visione localistica a favore di un dialogo, di un confronto tra dimensione locale e dimensione globale.
In generale, va sottolineata la rilevanza del partenariato anche nella fase di gestione del PI che si concretizza nella formalizzazione di sedi di confronto permanenti per il coordinamento e l’indirizzo nella fase attuativa degli interventi. Non mancano esempi in cui al partenariato è stato affidato il ruolo di ulteriore specificazione delle strategie di intervento per il raggiungimento degli obiettivi del PI e di integrazione con altre iniziative, anche di programmazione negoziata, presenti nel territorio.
Tuttavia va evidenziato che a fronte della buona percezione degli attori locali riguardo il ruolo e le modalità di organizzazione e funzionamento del partenariato, il giudizio dei responsabili regionali e delle Autorità Centrali sulla capacità dei PIT di rafforzare la cooperazione tra soggetti e incidere sulla creazione di reti è stato più cauto e, in alcuni punti, critico. I partenariati costituiti nell’ambito dei PIT sono stati visti come reti episodiche, tese unicamente a gestire risorse ed opportunità. Indubbiamente, la propensione alla cooperazione ed alla creazione di reti è in parte effetto di una logica che vede nella partecipazione la maniera obbligata di cogliere in maggiore misura le opportunità di sviluppo e di reperimento delle risorse disponibili. Tuttavia, è comunque importante che questo avvenga, poiché pone le basi per una consuetudine che nel tempo tende a rafforzarsi e/o a formalizzarsi, generando una capacità stabile del territorio e dei suoi attori nei confronti dell’azione collettiva/cooperativa.
Integrazione di strategie e di obiettivi: l’utilizzo delle politiche attive a sostegno delle politiche per lo sviluppo
Per quanto attiene ai fattori dell’integrazione (tra fondi/interventi/politiche), si è inteso indagare, rispetto all’idea forza e agli obiettivi:
• in che modo fosse stato attuato il principio d’integrazione,
• quali siano state le eventuali integrazioni con altri programmi o esperienze di sviluppo locale e con altre politiche (in particolare quelle attive del lavoro e di promozione imprenditoriale promosse nel territorio),
• quali tipologie di politiche del lavoro e della formazione sono state individuate in relazione alle dinamiche del mercato del lavoro nel territorio di riferimento del PIT.
In generale, è stata favorita l’integrazione tra gli interventi collegandoli il più coerentemente possibile all’idea forza e agli obiettivi del PIT, anziché mirare ad un integrazione forte tra gli interventi stessi, resa peraltro difficile dalle diverse esigenze dei Comuni e da un debole approccio d’insieme.
Per quanto attiene all’integrazione tra programmi di sviluppo locale già attivati sui medesimi territori e PIT, vanno menzionati i Patti Territoriali, le cui carenze in termini di finanziamento di interventi per le risorse umane sono state in parte colmate con l’azione del FSE prevista proprio dai PIT e il programma LEADER che in alcune esperienze ha rappresentato la piattaforma di sviluppo di riferimento.
Nella maggioranza dei PIT analizzati non si sono però rilevate particolari modalità e attività di integrazione e laddove anche integrazione è stata dichiarata non ne sono risultati chiari gli elementi e le modalità.
In generale, va evidenziato che le politiche di sostegno alle risorse umane non sono state considerate quale obiettivo prioritario nella progettazione dei PIT, evidenziando ancora una volta che l’occupazione è considerata un effetto delle politiche di sviluppo e non una politica in quanto tale.
Alcuni elementi ci possono aiutare a inquadrare questa marginalità nel processo di costruzione dei PIT.
Nel complesso, difatti, il numero degli interventi individuati e destinati alle Risorse Umane sono risultati circa il 21% del totale degli interventi e si sono concentrati nell’ambito della categoria “flessibilità delle forze di lavoro” e “potenziamento dell’istruzione e della formazione professionale”, con un evidente, orientamento verso le politiche formative. Con riferimento alla dimensione finanziaria, è emerso che il peso percentuale delle risorse FSE è risultato essere circa il 12% sul totale: se rapportate al numero degli interventi, è parsa inizialmente evidente una frammentazione delle risorse in un ampio ventaglio di interventi il cui costo medio programmato è risultato essere di poco inferiore ai 500.000 euro.
Questo effetto è stato probabilmente in parte determinato da una bassa e non specifica conoscenza delle caratteristiche del mercato del lavoro locale e da una scarsa partecipazione, tra i partner, di soggetti in grado di individuare e programmare a livello locale interventi di politica attiva, formazione compresa.
Tuttavia, un esame più approfondito delle caratteristiche della programmazione associate alle analisi sullo stato di attuazione degli interventi, ha consentito di tratteggiare due differenti orientamenti in parte opposti, dal punto di vista della rilevanza assunta dagli interventi in risorse umane FSE, definite “orientamento aggregante” e “orientamento diffuso”.
La prima caratterizzazione, definita “orientamento aggregante”, è predominante all’interno dei progetti con una performance attuativa mediamente migliore rispetto al complesso dei PIT avviati, ed è connotata da:
• una limitata numerosità degli interventi specificamente rivolti alle risorse umane e che comunque vengono a rappresentare una percentuale apprezzabile sul complesso degli interventi previsti dal singolo progetto integrato. Dunque, si è in presenza di progetti integrati che hanno già dalla fase di programmazione dimostrato uno sforzo nella ricerca di equilibri dimensionali (fisici e finanziari) fra gli interventi in infrastrutture e regimi di aiuti con quelli in risorse umane;
• una dotazione finanziaria dei PIT medio alta con un peso del FSE sull’importo totale del PIT mediamente elevato rispetto alla media dei PIT (si attesta intorno al 10-20%). Questo aspetto determina un costo medio unitario per intervento più alto rispetto alla media rilevata (in media circa 600 mila euro), capace di produrre impatti sensibili sulle aree di riferimento;
La seconda caratterizzazione, definita “orientamento diffuso”, è meno frequente all’interno dei progetti che presentano le migliori performance attuative, ma è predominante fra i PIT complessivamente considerati (relativamente ad alcuni
aspetti). Essa è connotata da:
• una elevata numerosità degli interventi specificamente rivolti alle risorse umane (sia in termini di rilevanza sul totale degli interventi, sia in termini di ampiezza del raggio di azione) che rappresentano, in alcuni casi, una percentuale elevata sul complesso degli interventi previsti dal singolo PIT;
• una dotazione finanziaria complessiva del PIT medio alta, con un peso del FSE sull’importo totale di ciascun PIT, medio-basso (inferiore al 10%). Questo aspetto determina un costo medio unitario per intervento più basso rispetto all’orientamento aggregante. Questo elemento, nell’ambito dei PIT afferenti all’orientamento diffuso, è presente sia nei progetti che presentano le migliori performance attuative, sia nei PIT complessivamente considerati.
Va inoltre evidenziato che, in fase di attuazione, la forte regia regionale degli interventi, ha prodotto una forma di delega da parte dei PIT nei confronti della regione. L’attuazione delle politiche formative e del lavoro è stata affidata nel contenuto e nell’articolazione alla pubblicazione di bandi regionali.
In molti casi, infatti, è emersa l’impossibilità da parte dei soggetti locali di poter incidere nella predisposizione dei bandi, nell’azione di sportello nei confronti degli interessati con una sensazione dichiaratamente espressa di esclusione dal “governo” dei regimi di aiuto e in alcuni casi anche da quello delle attività formative, ciò comportando una differente operatività tra interventi infrastrutturali e interventi relativi a regimi di aiuto e alle risorse umane.
Difatti, i regimi di aiuto e le azioni pubbliche (in cui rientrano quelle connesse alle politiche attive) sono stata attivate attraverso bandi regionali che non sempre hanno tenuto conto delle peculiarità del territorio né sono stati sincronizzati con l’avvio delle azioni infrastrutturali ad essi collegate. Per converso, a fronte di questo accentramento a livello regionale, è emersa la scarsa capacità, a livello centrale, di promuovere e supportare adeguatamente le strategie locali, operando come se il PIT fosse uno strumento “regionale” e non territoriale. A livello regionale, infatti, non si è acquisita consapevolezza dell’azione dei PIT, che da strumenti di concertazione ed integrazione iniziale, sono diventati, in fase attuativa, elementi puntuali di un progetto facente parte del Programma Operativo e come tali visti nella loro singolarità e non in maniera unitaria e, appunto, integrata. Il ritardo, inoltre, nell’attivazione dei bandi e della fase istruttoria ha spesso demotivato l’azione dei soggetti privati e la fiducia nell’efficacia del PIT.
I punti di forza e di debolezza
Con riferimento ai punti di forza dei PIT, le indicazioni raccolte dalle analisi condotte sono state numerose ed è stato possibile raggrupparle nelle seguenti macrocategorie:
sistema delle relazioni;
programmazione e pianificazione degli interventi;
legame e condivisione del progetto con il territorio;
modalità di gestione del PIT;
capacità di coordinamento dei soggetti coinvolti nell’attuazione del PIT.
La categoria “sistema delle relazioni” si compone di differenti elementi quali la concertazione, la cooperazione istituzionale, la creazione di reti, il partenariato. La concertazione e la cooperazione tra soggetti istituzionali è stata indicata come uno dei punti di forza più diffusi e condivisi: ad esse è stata attribuita la capacità di effettuare una programmazione “seria e coerente, rafforzata da una vivacità e forte partecipazione alla vita del PIT”.
L’aspetto concertativo è stato accompagnato e potenziato dall’esistenza di reti e sistemi di reti, in alcuni casi già attive, attraverso le quali è stato avviato un metodo di decisione collettiva sulle scelte future del territorio coinvolto dalla progettazione integrata, avviando un processo di cooperazione volontaria tra diversi soggetti, pubblici e privati, che ha permesso di definire in modo condiviso un progetto di sviluppo che individua obiettivi strategici e azioni da realizzare in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e in una dimensione territoriale di area vasta. Anche il partenariato economico e sociale viene indicato come un elemento vincente, anche se sembra avere meno rilevanza rispetto ai precedenti.
Con riferimento alla “programmazione e pianificazione degli interventi” le indicazioni sono differenti, sintetizzabili nei seguenti elementi di forza:
integrazione tra misure/interventi diversi, e conseguente integrazione anche di risorse finanziarie differenti. Ciò ha aumentato il grado di complessità della progettazione ma allo stesso tempo ha permesso di apportare una maggiore efficacia complessiva degli interventi programmati;
pianificazione bottom-up: lo strumento PIT ha rappresentato la possibilità per i piccoli o piccolissimi Comuni di emergere dall’individualismo, con la possibilità di realizzare una politica dal basso più attenta alle esigenze del territorio, e questo anche grazie al fatto che si è riscontrato un alto livello di aggregazione tra i comuni aderenti ai PIT;
collegamento funzionale con altri strumenti di programmazione attivi sul territorio, finalizzati allo sviluppo locale, economico e occupazionale.
A questi elementi si aggiunge il legame e la condivisione del progetto con il territorio e con gli attori locali, fattore che - attraverso il maggior consenso da parte delle comunità locali - concorre a potenziare la complessiva efficacia degli interventi programmati.
La categoria “modalità di gestione dei PIT” è stata costruita raggruppando le indicazioni relative alle modalità di programmazione e gestione degli interventi PIT. In particolare, con riferimento a tale aspetto, viene segnalato come elemento vincente il costituirsi di una cabina di regia unica che gestisce le attività di programmazione, monitoraggio e controllo - e, in alternativa, “il ruolo del soggetto responsabile quale momento di sintesi e quale attivo ‘controllore’ della fasi attuative”.
Infine, data la complessità dell’impianto della progettazione integrata, come ulteriore elemento di forza è emerso quello relativo all’attività di coordinamento tra soggetti, risorse e interventi, indispensabile non solo nella fase di programmazione ma anche in quella successiva di attuazione.
Passando ad analizzare gli elementi di criticità, ovvero ciò che secondo i referenti dei PIT ha indebolito le potenzialità dei PIT, molteplici e variegate sono state le indicazioni raccolte. In particolare le indicazioni emerse possono essere raggruppate nelle seguenti categorie:
Aspetti procedurali (procedure attuative troppo rigide, complesse e lente, tempi di realizzazione troppo lunghi o non sincronizzati, o viceversa scadenze troppo ravvicinate; eccessivo centralismo dell’Amministrazione regionale di riferimento; difficoltà nella collaborazione con i responsabili di misura a livello regionale;
Aspetti di progettazione e implementazione (scarsa strategicità nella programmazione; eccessiva frammentazione degli interventi e/o delle risorse; “scollamento”, non organicità nell’attuazione delle diverse tipologie di intervento; frammentazione degli strumenti di programmazione territoriale, scarsa dotazione finanziaria;
Aspetti legati ai soggetti (debole integrazione e partecipazione del partenariato economico-sociale; debolezza del soggetto gestore; risorse umane poco preparate o poco motivate; debolezza del raccordo istituzionale tra soggetti; scarsa comunicazione tra soggetti.)
Ancora in riferimento al ruolo dell’Amministrazione regionale, una proposta che è stata più volte avanzata è che la Regione, in qualità di soggetto coordinatore della programmazione negoziata, facesse ordine nei territori sui diversi strumenti di programmazione negoziata, individuando un unico soggetto responsabile della programmazione del territorio. Tale politica porterebbe sicuramente ad una maggiore efficacia degli interventi, una semplificazione nel controllo e monitoraggio ed una contemporanea riduzione dei costi di gestione.
Altri elementi che emergono dall’analisi segnalati come criticità sono riconducibili alla frammentazione delle risorse finanziarie su un numero eccessivo di interventi/progetti integrati sul territorio regionale, alla “settorializzazione” dei PIT - fattore che non ha consentito di programmare gli interventi in modo organico sul territorio - ed una eccessiva proliferazione di regolamenti, disciplinari, delibere attuative, che hanno comportato un irrigidimento del quadro amministrativo che di fatto ostacola l’attuazione del PIT. Passando ad analizzare le proposte che sono state indicate in riferimento al rafforzamento delle potenzialità dei PIT in termini di impatto economico, gli elementi rilevati ripercorrono quanto messo in evidenza relativamente alle debolezze della programmazione integrata. Tra le indicazioni che si rilevano con maggior frequenza, infatti, si segnalano la necessità di disporre di maggiori risorse finanziarie e di ripartirle in maniera diversa; la necessità di un miglioramento dell’impatto delle azioni di sistema, le cui dotazioni finanziarie dovrebbero essere percentualmente rapportato al volume dei finanziamenti; l’opportunità di creare una struttura fortemente specializzata, capace di interpretare le esigenze locali e di attuare le politiche di sviluppo approvate a livello regionale e di sostenere la creazione di “agenzie locali” in grado di promuovere e sollecitare l’iniziativa privata, spesso difficile da coinvolgere e motivare.
Nell’ambito della programmazione degli interventi, emerge dal territorio anche che la definizione degli obiettivi e delle priorità di programmazione non può prescindere dalla costruzione di un quadro conoscitivo delle criticità e delle opportunità del territorio. Si evidenzia pertanto la necessità di uno sforzo comune nell’analisi dei problemi e dei fattori che contribuiscono a determinarli, nella prospettiva di operare un’inversione di tendenza e di trovare spazi concreti di miglioramento. Tutte le politiche in termini di creazione di impresa, infrastrutture, qualificazione delle risorse umane, ecc. dovrebbero essere più strettamente rispondenti alle esigenze espresse dal territorio. Molto spesso tale circostanza non si verifica a causa soprattutto di una scarsa conoscenza dei problemi da parte degli organi decisionali che decidono secondo logiche poco attente ai bisogni locali. Si evidenzia l’opportunità di un coinvolgimento diretto degli attori di sviluppo locale nella delicata fase di definizione dei documenti di programmazione, ossia prima dell'approvazione da parte degli organi competenti.
Il PIT, nelle proposte dei soggetti gestori, dovrebbe diventare l’elemento di raccordo per il territorio per tutte le iniziative di programmazione partecipata e di attuazione delle risorse POR, in modo da accrescere l’impatto economico e decisionale complessivo, ma anche da aumentare il grado di responsabilizzazione del territorio e del soggetto PIT che lo rappresenta verso un comune e continuativo obiettivo di sviluppo.
Parallelamente all’impatto economico, è stato indagato se e come il PIT può contribuire alla qualificazione delle risorse umane e alla crescita dell’occupazione.
Dall’analisi delle proposte dal territorio emerge che, al fine di ottenere migliori risultati in termini occupazionali, la leva più importante è quella della formazione professionale anche orientata alla creazione di nuove imprese. Emerge come prioritario, infatti, formalizzare il collegamento tra le attività formative, gli aiuti alle imprese e gli interventi infrastrutturali. Si rileva che spesso gli enti di formazione professionale accreditati non investono in nuove tecnologie o in nuove figure professionali, sono ampiamente politicizzati, spesso le certificazioni di qualità di cui dispongono sono solo nominali. Inoltre si rileva l’assenza di un’attività di valutazione dei risultati raggiunti, per trarne le più opportune conclusioni e riorientare la progettazione successiva. Tutti questi fattori diminuiscono l’impatto in termini di qualificazione delle risorse umane e di nascita di nuove imprese. È determinante, inoltre, la costruzione di reti e di relazioni tra i sistemi regionali della formazione professionale, della scuola, dell’Università e delle imprese e degli enti pubblici territoriali e non per rispondere ai bisogni di conoscenze e di competenze provenienti dal mondo del lavoro.
Si segnala, come già evidenziato nei passaggi precedenti, la necessità di assegnare direttamente ai PIT strumenti e risorse (professionali e finanziarie) per la gestione dei regimi di aiuto e delle attività formative d’interesse locale, al fine di garantire una maggiore coerenza (in termini di contenuti e tempi di emanazione dei bandi) di tali tipologie d’interventi con lo stato di avanzamento delle operazioni infrastrutturali ad esse strettamente correlate e di incentivare la partecipazione dei soggetti collettivi privati (associazioni di categoria, organizzazioni sindacali, consorzi di operatori, ordini professionali etc.) alla partnership concertativa locale. È necessario, in particolare, evitare la realizzazione di una miriade di piccoli corsi di formazione tradizionale, classica, spesso tra loro duplicati e sovrapposti, non coerenti con le necessità del territorio. È opportuno invece prediligere azioni di carattere più trasversale, come quelle di orientamento, counselling, voucher formativi individuali, stage e tirocini formativi, formazione a distanza, strumenti di jobmatching, ecc. che abbiano un filo logico ed un integrazione con gli interventi in regime di aiuto ed interventi infrastrutturali.
Dalle indagini condotte dall’area emergono alcune aree di miglioramento nel processo di attuazione dell’integrazione delle politiche del lavoro, della formazione e dell’occupazione all’interno delle attività progettuali realizzate su territori differenti.
Tali aree sono individuabili sia a livello programmatorio che operativo. Il primo rileva prevalentemente la rigidità di impostazione della logica di programma che mal si adatta alle esigenze di declinazione territoriale degli obiettivi. Il secondo rimanda invece, a problemi di interpretazione degli obiettivi programmatici e di difficoltà di traduzione degli stessi in strumenti operativi coerenti e funzionali.
Le analisi condotte hanno consentito di identificare alcune linee guida utili a migliorare l’utilizzo degli strumenti per la progettazione integrata esistenti . Tali linee che rappresentano il nodo centrale della funzione di assistenza tecnica che l’ISFOL intende rivestire in tema di sviluppo locale , possono essere riassunte nei seguenti punti:
• Definizione ex ante di criteri guida della progettazione in termini di contenuti, tipologie di intervento, caratteristiche degli strumenti di intervento sui destinatari finali e i loro target ed obiettivi (formativi, occupazionali, di integrazione e inclusione, ecc.).
• Utilizzo di modalità di progettazione progressiva e accompagnata consentendo la possibilità di intervenire anche in modo significativo sulla progettazione iniziale con il supporto di strutture tecniche istituzionali.
• Individuazione, all’interno del progetto generale di meccanismi di governo e coordinamento dei singoli interventi. Questa condizione riveste importanza strategica nei casi di progetti di sviluppo che dovessero rientrare nella tipologizzazione di “orientamento diffuso” così come individuata nell’ambito dei PIT (caratterizzata da un elevato numero di interventi di valorizzazione delle risorse umane con un costo di realizzazione medio-basso) in quanto rafforza la funzione ordinaria di coordinamento e garantisce i necessari elementi di equilibrio attuativo agli interventi.
• Nuove modalità di lettura dei fabbisogni formativi e occupazionali basati non più solo su classificazioni settoriali, ma su analisi delle dinamiche del territorio e delle trasformazioni in atto. Ciò implica anche la messa a punto di nuovi strumenti di rilevazione e di analisi e nuove modalità di rielaborazione dei dati e delle informazioni esistenti, in un’ottica che promuova e supporti approcci integrati utili alla definizione delle politiche e all’attuazione di processi di sviluppo.
• Definizione e adozione di modelli di valutazione delle proposte progettuali basate su criteri di maggiore selettività, in grado di premiare i progetti caratterizzati da rapporto ottimale tra risorse finanziarie e dimensioni progettuali, inclusa la numerosità degli interventi contemplati dal progetto.
• Attivazione di strumenti di valutazione intermedia e finale degli esiti dei progetti sui destinatari diretti ed indiretti
• Definizione di regole procedurali e di attuazione in grado di garantire tempistiche certe per singole fasi.
• Supporto allo sviluppo di competenze specifiche sul territorio.
• Coinvolgimento di expertise tematiche.
• Attrazione di nuovi soggetti nell’integrazione di reti preesistenti (istituti bancari, poli di ricerca, grandi imprese, ecc.).
• Raccordo non solo formale ma anche sostanziale in particolare con soggetti istituzionalmente preposti al matching domanda offerta.
• Investimenti sulle capacità relazionali locali.
• Attività di assistenza procedurale e programmatoria permanente.
SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI E INTEGRAZIONE DELLE POLITICHE
Un elemento risultato evidente e che ha orientato l’attività di ricerca, rispetto ai sistemi produttivi locali e ai distretti produttivi, territori con elevati tassi di sviluppo, è che la problematica dell’integrazione non riguarda prevalentemente la sfera istituzionale e in particolare le due filiere delle politiche per le risorse umane e delle politiche per lo sviluppo, ma presuppone che, per non perdere di efficacia, le due politiche si combinino positivamente con le strategie di impresa.
L’integrazione in questo caso coinvolge le politiche per la formazione del capitale umano e l’allargamento delle competenze, le politiche attive del lavoro, le politiche per l’innovazione e la diffusione della conoscenza e le dinamiche spontanee del territorio e delle imprese.
Una rappresentazione della configurazione nel caso dei sistemi produttivi locali, è contenuta nello schema di seguito riportato.
La rappresentazione schematica distingue tre grandi aree, in cui operano una molteplicità di attori. Dall’alto verso il basso:
- la fascia delle programmazione, che va dall’Europa al livello nazionale alle istituzioni regionali e locali, se e quando coinvolte;
- la fascia dei “soggetti dell’intermediazione”: quelli qui considerati sono a livello regionale o locale: associazioni di rappresentanza, agenzie tecniche e formative. ecc.
- la fascia dei sistemi locali di imprese.
Dal punto di vista della finalizzazione, il terzo livello, quello dei sistemi territoriali, dovrebbe rappresentare il riferimento essenziale: tanto l’innovazione, quanto il capitale umano e il mercato del lavoro hanno a questo livello le loro dinamiche fondamentali.
Per perseguire l’obiettivo dell’integrazione si deve tenere presente che non tutti i soggetti indicati nello schema utilizzano lo stesso tipo di knowledge e razionalità. Rispetto ai diversi attori le razionalità
strategiche sono:
- formali, quelle delle amministrazioni e di lungo periodo (se si prende a metro il tempo della piccola azienda);
- ampiamente informali e di breve periodo, nelle imprese (con relazione alla dimensione e tipologia);
- del tutto fuori asse nelle associazioni (la razionalità associativa si basa su riferimenti ancora diversi da entrambi gli altri gruppi di soggetti).
Le analisi realizzate dall’Area, tenendo conto di questo approccio conoscitivo, si sono rivolte inizialmente ai sistemi territoriali ed in particolare ai distretti industriali con l’obiettivo :
- da un lato individuare all’interno dei Distretti attraverso quali meccanismi avviene l’acquisizione e/o il trasferimento delle competenze alle risorse umane impegnate a vario titolo nelle attività del Distretto;
- dall’altro quali siano le modalità di governance e di sviluppo dell’innovazione sia tecnica che organizzativa che hanno consentito alle realtà distrettuali di affermarsi e di contrastare fenomeni di decadenza e concorrenza.
Una delle attività realizzate, attraverso un’indagine diretta, ha interessato la rilevazione della presenza di strutture e di attività destinate a formare le competenze necessarie alla vita ed allo sviluppo del distretto. L’indagine è stata realizzata tramite l’invio e-mail di un questionario, ed un successivo colloquio telefonico con il responsabile dell’istituzione di rappresentanza del distretto. La rilevazione è stata condotta nei mesi di settembre ed ottobre 2006 ed ha coinvolto i 98 Distretti industriali manifatturieri censiti dalle Camere di Commercio presenti su tutto il territorio nazionale. Nel complesso le risposte sono state pari al 41% dell’universo di riferimento distribuite in modo quasi uniforme per ripartizione geografica.
Gli elementi interessanti emersi sono che in più di un terzo dei distretti sono presenti ed operano Centri di diretta emanazione o strettamente collegati al Distretto, in cui vengono formate le competenze chiave per le attività di tipo produttivo ed industriale, per l’innovazione di prodotto, per il marketing e per lo sviluppo delle strategie d’impresa. Nella maggioranza dei casi (85%) il Centro realizza anche attività di ricerca (produttiva, commerciale e di marketing) avvalendosi inoltre della collaborazione delle Università del territorio di riferimento.
E’ stato rilevata inoltre una correlazione tra distretti in fase di consolidamento ed espansione e presenza e funzionamento di questi Centri.
Presenza di specifiche strutture per la formazione delle competenze
nei distretti rispondenti (Fonte: ISFOL)
Sono altresì diffusi, nell’ambito territoriale di riferimento del distretto, gli enti di formazione professionale e gli istituti professionali statali. Interessante il dato relativo ai rapporti con le Università. Quasi il 60% dei distretti hanno rapporti con almeno una Facoltà universitaria attraverso la realizzazione di specifici corsi di laurea o master, talvolta dislocati presso i Centri formativi o di ricerca dello stesso distretto.
L’indagine, dunque, ha portato alla luce la presenza consistente di “soggetti dell’intermediazione” che realizzano un ampio ventaglio di attività, che in alcuni casi si spingono fino alla “intermediazione” (mediazione tra domanda ed offerta ai sensi dell’art. 6 della legge 30/03) ed alla realizzazione di politiche di conciliazione lavoro/ vita familiare, e che giocano un ruolo determinante nell’accompagnamento delle dinamiche spontanee del territorio e delle imprese favorendo un maggior dinamismo e capacità di contrasto dei fenomeni di concorrenza e di rilancio produttivo .
Questi Centri svolgono funzioni di intermediazione (analisi delle esigenze, organizzazione della domanda di servizi, “codifica della conoscenza localizzata”, “trasferimento della conoscenza codificata”, ecc.) e producono un “servizio di rappresentanza sociale” in quanto sono “molto vicini” agli associati, che ne percepiscono la funzione come produzione di servizi “in house”, e dispongono di competenze interne specializzate nelle attività di codifica del “quadro tecnologico” degli associati o delle esigenze di innovazione e miglioramento tecnico.
Certamente essi svolgono un ruolo centrale nei processi di integrazione delle politiche di sviluppo locale con quelle della formazione e conoscenza.
Questi primi risultati, anche nell’ottica di proporre strumenti e procedure che facilitino l’integrazione delle politiche, ci hanno indotto:
- ad ampliare la rilevazione di modelli ed esperienze di diffusione delle conoscenze, tramite l’invio di questionario e colloqui diretti ai 293 sistemi produttivi locali e distretti industriali censiti sull’intero territorio nazionale e ad approfondirla includendo fra i temi di rilevazione le caratteristiche del mercato del lavoro interno del distretto (con particolare riferimento alle figure professionali strategiche) e la presenza e le modalità con cui vengono realizzate attività di innovazione, ricerca e sviluppo;
- a rivolgere alla fascia della programmazione e dei sistemi locali di imprese le indagini sulle problematiche dell’integrazione tra politiche per la formazione del capitale umano e l’allargamento delle competenze, politiche attive del lavoro, politiche per l’innovazione e la diffusione della conoscenza e le più generali politiche di sviluppo.
Fonte: http://archivio.isfol.it/DocEditor/test/File/Isfol_Seminario_Integrazione_delle_politiche_per_lo_sviluppo_locale_18giugno2008_approfondimento.doc
Sito web da visitare: http://archivio.isfol.it
Autore del testo: Il documento è a cura di Claudio Tagliaferro
ISFOL - Area Sistemi Locali ed Integrazione delle politiche
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Valeria Iadevaia
Giovanna Zauli
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