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CENNI STORICI
Le corti monastiche
La storia della Franciacorta è stata fortemente caratterizzata dalla presenza di grandi enti monastici che qui avevano, già prima dell’anno Mille, grandi possedimenti e che fecero una grande opera di dissodamento, bonifica e coltivazione del territorio. Tra i più attivi c’erano senz’altro i monasteri dell’ordine francese di Cluny e il monastero femminile di San Salvatore (intitolato successivamente a Santa Giulia di Brescia) fondato dal re Longobardo Desiderio e da sua moglie Ansa nel 753 le cui proprietà franciacortine sono documentate dal Polittico di Santa Giulia, un antico codice della seconda metà del IX sec.. Nella stessa epoca, tuttavia, erano presenti numerose altre corti monastiche, tra le quali quelle di Clusane (priorato cluniacense), Colombaro (cella di Santa Maria), Timoline (corte di Santa Giulia), Nigoline (corte di Sant’Eufemia), Borgonato (corte di Santa Giulia) e Torbiato (corte dei monasteri di Verona e di San Faustino di Brescia).
Il primo documento che ci dà notizia di proprietà in Franciacorta del monastero bresciano di San Salvatore, divenuto poi di Santa Giulia, risale al 766. Si tratta del diploma con cui Adelchi, figlio del re Desiderio, donava al monastero tutti i beni avuti dal nonno Verissimo e dagli zii Donnolo e Adelchi, fra cui anche dei possedimenti in questa zona.
Tra guelfi e ghibellini Dante si rifugiò a Paratico
Durante il periodo delle Signorie la Franciacorta era tutta guelfa, tranne due centri importanti alle sue porte (Palazzolo e Iseo) che erano nelle mani dei ghibellini. Vi trovò rifugio – alla corte dei Lantieri a Paratico e poi a Capriolo – l’esule Dante Alighieri. Furono anni assai cruenti, pieni di lotte e di intrighi, a cui pose fine la signoria di Pandolfo Malatesta: grazie a un prolungato periodo di stabilità si ripresero le attività agricole e rifiorì la produzione vitivinicola. Il passaggio del bresciano dal dominio visconteo a quello veneziano vede alla ribalta la Franciacorta. A Gussago, infatti, nel 1426 fu organizzata la congiura dei nobili guelfi che consegnarono la città di Brescia alla Repubblica Veneta. In questo periodo furono costruite le prime alte torri di avvistamento quadrate e merlate, che ancor oggi caratterizzano la zona. Il territorio franciacortino verso la fine del ‘400 era suddiviso nelle 3 quadre (sorta di distretti, con un proprio capoluogo) di Rovato, di Gussago e di Palazzolo.
Gli storiografi concordano nel far risalire la prima apparizione del nome “Franzacurta” al 1277 nello statuto municipale di Brescia, come riferimento all’area a sud del lago d’Iseo, tra i fiumi Oglio e Mella. La Franzacurta o Franzia Curta era allora una zona importante per il rifornimento di vino per la città di Brescia, ma anche per i borghi della Valcamonica e della Valtrompia e a sud per le città della valle padana.
La delimitazione geografica attuale della Franciacorta, invece, risale a un atto del 1429 di Francesco Foscari, Doge di Venezia, mentre la più antica mappa giunta fino a noi è del 1469: opera di un autore anonimo, è conservata nella biblioteca estense di Modena.
I vespri di Rovato
Il sedicesimo secolo si apre con i territori a sud delle Alpi contesi tra diverse potenze, che li considerano niente altro che una possibilità di espansione dei propri domini. La signoria di Venezia estende il controllo sulla terraferma su buona parte della Romagna e delle Marche, oltre che dominare il Triveneto e la Lombardia fino ai confini di Milano. Nel dicembre del 1508 a Cambrai (Francia) viene decisa la spartizione dei possedimenti veneziani attraverso la creazione di una Lega (detta Santa) che unisce contro il comune nemico papa Giulio II, l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, il re di Francia Luigi XII, quello di Spagna Ferdinando II d'Aragona e alcuni duchi, come Gianfrancesco Gonzaga di Mantova, Alfonso d'Este di Ferrara, Carlo II di Savoia, cui si accoda la Repubblica di Firenze.
A seguito della deliberazione di spartirsi i territori di Venezia con le altre potenze europee, il re di Francia Luigi XII cala in Lombardia e nel 1509 conquista "senza bota de sparo" il bergamasco ed il bresciano, ché i veneziani - dopo la gravissima sconfitta ad Agnadello del 14 maggio - si ritirano disordinatamente fino a Verona e le popolazioni locali non oppongono resistenza. Ma il dominio francese ben presto risulta insopportabile, perché esoso nella raccolta delle tasse, arbitrio nell'esercizio del potere e assai diffusa è la corruzione. Anche l'economia ne risente, dopo i fiorenti traffici con Venezia, e cresce perciò il malcontento.
Si verificano in provincia alcuni progetti e tentativi di rivolta, velocemente controllati dagli occupanti. La più celebre è quella di Rovato, avvenuta il 7 agosto 1509, e successivamente denominata "Vespri della Franciacorta" o appunto “Vespri di Rovato”. Il presidio militare francese di Rovato viene scacciato e ripiega a Brescia. La folla si esalta al grido di "Viva San Marco!": ancor oggi il leone della Serenissima compare nell'emblema comunale rovatese. Se pure Gigli aveva preso accordi coi veneziani prima di realizzare la rivolta, come alcuni storici suppongono, non riceve comunque alcun aiuto e i francesi dopo due giorni riprendono possesso del paese. Lorenzo Gigli viene catturato e condotto in catene a Brescia. Condannato a morte, viene decapitato il 21 settembre successivo in Piazza Grande (ora della Loggia). I suoi beni vengono confiscati. Anche altri sono processati per la rivolta (rei di morte i fratelli rovatesi Ercoliano e Agostino Dalaidi), il paese intero è multato pesantemente.
Quando Venezia riacquista il controllo di Brescia nel 1516, a seguito di un'alleanza con la Francia, restituisce i beni confiscati ai familiari di Gigli, che ricevono pure la bresciana cittadinanza e la veneta nobiltà.
La tradizione vitivinicola
Il ricco materiale archeologico di età preistorica rinvenuto, come ad esempio i resti di palafitte ritrovati nella zona delle Torbiere del Sebino, racconta come qui si stanziarono popolazioni primitive, a cui subentrarono via via i Galli Cenomani, i Romani e i Longobardi. Sulle colline della Franciacorta la coltivazione della vite ha dunque origini remote, come testimoniano i rinvenimenti di vinaccioli di epoca preistorica e gli scritti di autori classici, quali Plinio, Columella e Virgilio.
La coltivazione della vite fu una costante della zona dove dall’epoca romana, al periodo tardo-antico, al pieno medioevo crescevano vigneti anche grazie alle favorevoli condizioni climatiche e pedologiche. Con alti e bassi, la viticoltura in queste terre non si interruppe mai.
IL PAESAGGIO
In Franciacorta fitti boschi fanno da quinta ai filari di viti e alle coltivazioni di ulivi, parchi tutelano aree di particolare interesse paesaggistico e naturalistico, torrenti solcano col loro percorso tortuoso i fianchi delle colline. Per chi ama la natura, un vero Eden attraversato da una fitta rete di sentieri, in cui spiccano alcune perle:
ORTO BOTANICO DI OME
Dedicato alle conifere, di cui sono state piantate tutte le 7 famiglie esistenti, si trova nella valle del Fus. È un’oasi di pace, che muta aspetto col passare delle stagioni e che si estende attorno a un piccolo lago.
CASCATE DI MONTICELLI BRUSATI
Splendido e suggestivo sentiero che si addentra lungo un torrente nella Val Gaina. É possibile scegliere tra due itinerari, uno più semplice adatto a tutti e l’altro più impegnativo per la presenza di alcuni passaggi attrezzati.
PARCO DELLE COLLINE DI BRESCIA
Istituito nel 2000, si estende per 4.309 ettari nei dintorni di Brescia e abbraccia anche alcuni Comuni della Franciacorta (Rodengo Saiano, Cellatica).
PARCO DELLA SANTISSIMA A GUSSAGO
Edificata dai Domenicani nel ’300 sulla cima dell’omonimo colle scandito da terrazzamenti e vigneti, la Santissima è uno dei luoghi più panoramici della Franciacorta e simbolo stesso di Gussago. Nel parco si trovano punti di sosta attrezzati, pannelli didattici, belvedere ed un percorso vita ciclopedonale che ne fa il periplo.
PARCO DELL'OGLIO NORD
Si estende lungo il corso del fiume, che esce dal lago d’Iseo e scorre lento nella pianura lombarda. Comprende anche due Comuni della Franciacorta, Paratico e Capriolo, nel cui territorio si trovano interessanti percorsi. Molteplici le iniziative organizzate nel corso dell’anno per valorizzare ambiente, sapori, tradizioni.
PIRAMIDI DI ZONE
Questi altissimi pinnacoli formatisi con l’erosione delle acque si trovano a meno di un’ora di strada dalla Franciacorta, sopra il lago d’Iseo. Chiamate dalla gente del posto “Fate di pietra”, sono le piramidi di erosione più imponenti d’Europa.
VEDREMO…
TORBIERE DEL SEBINO
Si trovano ai margini della Franciacorta, dove le colline si innestano nel lago d’Iseo. Oasi naturalistica dichiarata di interesse internazionale, unica nel suo genere in Europa, Riserva Naturale della Regione Lombardia dal 1983, si estendono con i loro specchi d’acqua e la loro vegetazione palustre per circa 360 ettari: le si visita seguendo camminamenti e passerelle in legno che ben si integrano col paesaggio. Il luogo migliore per poterle ammirare con un solo colpo d’occhio è il cortile del monastero di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo. Le torbiere sono un ambiente particolarissimo che si è creato gradualmente dalla fine del 1700 alla metà del 1900, in seguito all’estrazione della torba, usata come combustibile. L’attività di scavo ha dato origine alle numerose vasche ancora oggi visibili, dove hanno trovato il loro habitat naturale centinaia di uccelli e di piante palustri. E così oggi le Torbiere sono circondate da fitti canneti con giunchi e tife, punteggiati da radi alberi, mentre gli specchi d’acqua sono ricoperti da ninfee (in piena fioritura da maggio a settembre) e nannufari. Fra i moltissimi uccelli che vi vivono indisturbati, vi nidificano ben 25 specie di palude, come l’airone cinerino, lo svasso maggiore, l’airone rosso, il cormorano, il mestolone, il falco di palude e il nibbio bruno.
LAGO D'ISEO
Il lago D’Iseo (detto anche Sebino, dall’antico nome romano), è il sesto per estensione fra i laghi italiani, ma ha il singolare primato dell’isola più grande d’Europa: Montisola. È stato formato dall’azione di scavo e dal successivo ritiro di un ghiacciaio alpino. Il paesaggio e la natura del Sebino sono il felice punto d’incontro fra Nord e Sud. Il Nord porta una corona di monti innevati, l’acqua copiosa di un fiume, le piogge che rendono le alture verdeggianti, la fresca brezza che attenua la calura estiva. Il Sud dona il clima mite, la luce brillante del cielo, la flora mediterranea, di cui l’ulivo è il simbolo. Il paesaggio è anche segnato dall’incontro tra terra ed acqua: incontro drammatico, quando alte pareti rocciose cadono a picco nel lago; incontro dolce, quando monti e colli digradano verso la costa.
Da millenni l’uomo abita questi luoghi, creando sovente un riuscito connubio tra natura ed architettura. La preistoria ha lasciato alcuni resti di insediamenti palafitticoli ed alcuni altri reperti. I romani costruirono presidi militari nei posti strategici, ma anche ville in quelli più ameni. Il Medioevo fu un’epoca inquieta e vide invasioni barbariche, guerre e frequenti lotte fratricide. La Repubblica di Venezia dalla metà del ‘400 garantì un lungo periodo di pace, sino alle soglie dell’800. Alcuni decenni dopo il Sebino divenne parte della nuova Italia unita.
Delle varie epoche storiche rimangono imponenti testimonianze: castelli e torri, chiese e monasteri, ville e palazzi signorili, borghi antichi in pietra, opere d’arte. Del secolare lavoro dell’uomo testimoniano le pendici terrazzate dei monti, i pascoli, gli uliveti, i vigneti. Rimangono anche luoghi dove la natura è sovrana e protetta, dove nidificano rare e eleganti specie di uccelli.
ISEO
Capoluogo del lago, Iseo fu fin dal Medioevo un importante porto commerciale e sede di scambi tra Brescia e la Val Camonica. In seguito all’apertura della ferrovia Iseo-Edolo, il paese perse il suo ruolo strategico e la sua economia andò trasformandosi da commerciale a turistica. Oggi il porto è di nuovo protagonista dell’economia iseana e vede ogni giorno centinaia di turisti in arrivo o partenza da e verso altre località del lago. Il centro storico di origine medievale trova il suo fulcro in piazza Garibaldi, circondata da antichi edifici con portici che ricordano il fervore operoso di un tempo. Qui si trovano il primo monumento eretto in Italia a Garibaldi (1883), il municipio (1830), opera dell’architetto Vantini e, appena fuori la piazza, la chiesa di Santa Maria del Mercato fatta costruire dagli Oldofredi nel XIV secolo. A navata unica, conserva affreschi dei sec. XV e XVI. Poco distante si trova la Pieve di Sant’Andrea fondata nel VI secolo e riedificata nel XII sec. in
stile romanico lombardo; subì ampliamenti fino al XIX secolo quando lo stesso Vantini ne rifece l’interno. La facciata è caratterizzata da un particolare campanile inglobato centralmente. Sulla stessa piazzetta, quasi nascosta, si trova la chiesa di San Silvestro del XIII secolo; nell’abside è affrescata una “danza macabra”. In posizione elevata rispetto al centro, domina l’abitato il Castello Oldofredi (XIII secolo), attuale sede della biblioteca comunale. Il comune di Iseo comprende tre frazioni: Pilzone, Cremignane e Clusane.
In viale Repubblica si consiglia di assaggiare presso la gelateria sita accanto alla scuola materna comunale l’ottimo gelato al bergamotto.
L’ABBAZIA OLIVETANA DI SAN NICOLA
L’Abbazia di San Nicola, uno degli edifici religiosi più monumentali d’Italia, fondata nel X secolo e appartenente all’ordine dei monaci di Cluny prosperò nuovamente grazie agli Olivetani, che dal 1446 ottennero il possesso del priorato di Rodengo. Il complesso – proprietà del demanio dello Stato – è tornato nel 1969 in uso ai religiosi, che lo hanno restituito alla sua destinazione originaria. Ciò ha segnato l’inizio di un imponente restauro, che ha riportato agli antichi splendori la chiesa, il chiostro del tardo Cinquecento a colonne combinate, il chiostrino rustico quattrocentesco, il refettorio, la galleria monumentale e le diverse sale che ospitano capolavori dei massimi esponenti artistici del Bresciano specialmente dei secoli XVI e XVII.
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IL MONASTERO DI SAN PIETRO IN LAMOSA
Nei pressi di Provaglio d’Iseo sorge il monastero di San Pietro in Lamosa, dal quale si può godere di una vista splendida sulle Torbiere del Sebino, dichiarate Riserva Naturale nel 1983 e percorribili a piedi o in bicicletta. Il monastero prende il nome dalle Lame, le paludi che i Cluniacensi si impegnarono a bonificare con l’uso di nuove tecniche agricole, dopo aver ricevuto in dono il complesso da due feudatari longobardi nel 1083. Durante il Medioevo il monastero fu meta di pellegrinaggi ma anche luogo di sosta per mercanti e viandanti che percorrevano la strata de Franzacurta che da Brescia conduceva ad Iseo. Nel 1536 il monastero passò alle suore benedettine di Santa Giulia di Brescia fino alle soppressioni settecentesche; quindi divenne di proprietà della famiglia Bergomi-Bonini, che nel 1983 donò la chiesa alla parrocchia di Provaglio. Restaurato negli ultimi anni, grazie all’Associazione «Amici del Monastero» e all’Amministrazione comunale, il monastero di San Pietro ha riacquistato l’aspetto originario, con l’abside medioevale, il campanile e la vasta navata centrale, ampliata alla metà del XVI secolo. Sono stati in parte recuperati gli affreschi che ornano la chiesa, alcuni dei quali rivelano le influenze del Gambara, del Foppa e del Romanino. Le primitive forme romaniche si notano meglio dall’esterno, nelle absidi e nelle finestre strombate. Ben conservata è la cappella barocca sul piazzale antistante la chiesa, che sembra ergersi per incanto dalle Lame retrostanti.
IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA NEVE
Il Santuario è sorto in seguito all'apparizione della Madonna in questo luogo a un pastorello sordomuto l' 8 luglio 1519. Il messaggio della Madonna conteneva un richiamo ad una vita cristiana un po'... più cristiana, e la costruzione di un santuario. Il miracolo del sordomuto che ha cominciato a udire e a parlare ha fatto sorgere in tempo di record il santuarietto (1521). Di questo si conserva solo l'abside con l'affresco dell'apparizione a fianco dell'altare maggiore attuale. L'affresco è del 1550 circa. Il santuario fu visitato da San Carlo Borromeo nel 1581. Divenuto troppo piccolo per l'affluenza dei pellegrini, nel 1750 fu demolito per far posto a quello attuale. Fu costruito su disegno dell'architetto Gaspare Turbini e inaugurato nel 1776. La sua vita ha incominciato a rifiorire non appena ebbe un'appropriata assistenza con lo stabilirsi dei Carmelitani di Santa Teresa, che costruirono il convento qui accanto con il loro seminario. Sotto il profilo architettonico il santuario è veramente pregevole. Il centro spirituale, dopo il tabernacolo, è la Cripta (scuròlo) posta sotto l'altare maggiore. La statua attuale in legno dorato è dello scultore Poisa di Brescia e sostituisce la primitiva del Fantoni. Fu visitato da Giovanni XXIII e Paolo VI quand'erano cardinali. Accanto al Santuario un discreto parco ben ombreggiato, con tavoli e panchine offre gradito ristoro ai pellegrini.
L’ORDINE DEI CLUNIACENSI
L'Abbazia di Cluny fu fondata nell'omonimo paese della Borgogna il 2 settembre 909, quando il duca di Aquitania e Alvernia (nella Francia centrale), Guglielmo I detto il Pio, fece dono di un grande possesso fondiario a un abate, Bernone, che fu incaricato di costruirvi un monastero. Rinunciando a qualsiasi diritto personale sulla nuova istituzione, Guglielmo I mise il monastero sotto la diretta autorità del Papa. L'abbazia e la sua costellazione di dipendenze arrivarono presto ad esemplificare il tipo di vita religiosa nel cuore della pietà dell'XI secolo.
L'Abbazia di Cluny fece parte dell'Ordine benedettino. L'Ordine di San Benedetto fu una delle istituzioni della società europea di maggior rilievo nell'Alto Medioevo, tanto che, grazie anche alla fedele aderenza ad una rinnovata Regola benedettina, Cluny divenne la guida illuminata del monachesimo occidentale già a partire dal tardo X secolo.
Cluny non era nota per severità o ascetismo, né per l'adozione della povertà apostolica, ma gli abati di Cluny supportavano il ritorno in auge del papato e le riforme di Papa Gregorio VII che portarono ad un'autorità papale senza precedenti. La struttura cluniacense si trovò ad identificarsi profondamente con la curia romana, ricca, riconosciuta e universale. All'inizio del XII secolo l'ordine perse di influenza a causa della gestione inefficiente. Fu però rivitalizzato in seguito sotto l'abate Pietro il Venerabile (morto nel 1156), che riportò in linea i priorati più deboli e tornò ad una severa disciplina. Cluny raggiunse con Pietro i suoi ultimi giorni di potenza, con i suoi monaci che diventavano vescovi, legati e cardinali in tutta la Francia ed il Sacro Romano Impero. Al tempo della morte di Pietro però erano sorti nuovi e più austeri ordini, come quello Cistercense, che stavano generando una nuova ondata di riforme ecclesiastiche. Fuori dalle strutture ecclesiastiche poi, il crescere del nazionalismo in Francia ed Inghilterra creavano un clima poco favorevole all'esistenza di monasteri autocratici e rispondenti ad una sede unica in Borgogna. Lo Scisma d'Occidente del periodo 1378-1409 divise ulteriormente le lealtà: la Francia riconosceva il Papa avignonese, e l'Impero, gli stati italiani e l'Inghilterra quello romano, dividendo e confondendo le relazioni.
Lo stemma dell'abbazia di Cluny è in rosso, a due chiavi d'oro a croce di Sant'Andrea, attraversate da una spada in palo a lama in argento ed elsa d'oro in punta. La chiave e la spada fanno riferimento rispettivamente a San Pietro e San Paolo, ai quali è consacrata l'abbazia. Le chiavi a croce di Sant'Andrea sarebbero un privilegio di concessione papale.
Diversi tra gli abati che si susseguirono a Cluny, molti dei quali estremamente dotti, divennero anche uomini di stato, noti a livello internazionale. Tra questi vi fu Ildebrando Da Soana, che divenne papa con il nome di Gregorio VII. Altri abati che salirono al soglio pontificio furono Urbano II, Pasquale II e Urbano V. Lo stesso monastero di Cluny divenne la più famosa, prestigiosa e sovvenzionata istituzione monastica d'Europa. La maggior influenza cluniacense si ebbe a partire dalla seconda metà del X secolo fino ai primi anni del XII.
L’abbazia di Cluny differiva per due motivi dagli altri centri e confederazioni benedettine: nella sua struttura organizzativa e nell'esecuzione della liturgia come sua principale forma di lavoro. Mentre, infatti, la maggior parte dei monasteri benedettini rimanevano autonomi e associati agli altri solo in maniera informale, Cluny creò una grande federazione in cui gli amministratori di sedi minori svolgevano la funzione di deputati dell'abate di Cluny e rispondevano di tutto ad esso. I responsabili dei monasteri cluniacensi, essendo sotto la diretta supervisione dell'abate della "casa madre", autocrata dell'ordine, erano chiamati quindi non abati ma priori. Questi, detti anche capi di prioria, si incontravano a Cluny una volta all'anno per trattare di questioni amministrative e fare rapporto. Le altre strutture benedettine, anche quelle di formazione più antica, riconobbero Cluny come la propria guida. Quando nel 1016 Papa Benedetto VIII decretò che i privilegi di Cluny si estendessero anche alle sue sedi minori, ciò rappresentò un ulteriore incentivo per le comunità benedettine ad entrar a far parte dell'ordine cluniacense.
I monaci ospiti di Cluny proposero, inoltre, una rivalutazione dell'originale ideale del monachesimo benedettino, inteso come entità produttiva ed autosufficiente, simile alle contemporanee "ville", tipiche delle zone ove l'influenza dell'Impero romano era ancora predominante, e dei manieri (manifestazione del feudalesimo), in cui ogni membro della comunità doveva offrire il lavoro manuale, oltre alla preghiera. San Benedetto di Aniane, il "secondo Benedetto", aveva raggiunto la consapevolezza che i "monaci neri" non potevano più supportare se stessi con il solo lavoro fisico: fu questo il carattere fondamentale delle costituzioni monastiche che egli compilò nell'817 per regolare tutti i monasteri carolingi, su richiesta di Luigi il Pio. In tale prospettiva, la decisione di Cluny di offrire esclusivamente delle preghiere perenni (laus perennis) era la testimonianza che la specializzazione vi aveva compiuto un passo ulteriore. In tutti i monasteri della rete, alla regola benedettina vennero aggiunte le consuetudines, le particolari norme elaborate a Cluny: quella detta "cluniacense" divenne pertanto una particolare "congregazione" all'interno dell'Ordine benedettino.
Fonte: http://www.uisp.it/parma/files/perlagrandeta/Guida%20Franciacorta.doc
Sito web da visitare: http://www.uisp.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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