Ingegneria

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Alcune citazioni per iniziare a ragionare di innovazione
“Non c’è niente di più difficile, di più pericoloso o di più incerto che assumere la responsabilità di un nuovo ordine di cose, perché l’inventore ha per nemici tutti coloro che si trovano bene nella situazione precedente e blandi sostenitori in tutti coloro che potrebbero fare bene nella nuova.
Questa resistenza deriva in parte dalla paura degli uomini che non credono prontamente nelle cose nuove fino a quando non ne divengono esperti.” (Niccolò Macchiavelli)
“Il profitto è strettamente connesso all’innovazione nella combinazione dei fattori, nelle tecnologie e nei prodotti. In una economia sana, il profitto aziendale su un dato prodotto è destinato a scomparire; la sopravvivenza dell’impresa è strettamente legata alla sua capacità di saper rigenerare, attraverso forme innovative, quel profitto che il mercato, attraverso la concorrenza, tende a far scomparire.“ (Guido Carli)
Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile. (San Francesco)
Le interazioni tra scienza, tecnologia, innovazione, economia hanno trasformato la società americana nel corso del XX secolo innalzando enormemente il livello di benessere. I dati contenuti in Stephen Moore, Julian L. Simon, The Greatest Century That Ever Was: 25 Miracolous Trends Of The Past 100 Years, Policy Analysis, No. 354, Dicembre 1999 danno la misura dell’entità dei cambiamenti. Lo studio ci fa anche capire come nelle economie avanzate la domanda di beni durevoli sia in gran parte motivata non dal bisogno primario di un bene specifico, bisogno spesso già soddisfatto, ma dal desiderio di sostituire quel bene che già si possiede con uno con caratteristiche “migliori”. Provate a fare degli esempi sulla base di vostre esperienze di acquisto e spiegate le ragioni che vi hanno indotto a sostituire un bene ancora funzionante con uno nuovo.
1. L’ingegneria e l’innovazione
1.1 Alcune considerazioni sul ruolo degli ingegneri nella società
L’ingegneria è un ponte tra le scienze e la società e riveste un ruolo cruciale nei processi di innovazione tecnologica. Il suo scopo primario è quello di rendere utilizzabile la conoscenza scientifica per il progresso della società e per il benessere di tutti. L’ingegneria ha contribuito, attraverso processi di miglioramento continuo, allo straordinario sviluppo della società moderna rendendo disponibili manufatti e sistemi per il miglioramento della qualità della vita. Il cambiamento tecnologico, su cui si basa buona parte della crescita economica, è in gran parte affidato alla capacità e alla creatività degli ingegneri. Nella storia industriale gli ingegneri hanno contribuito, nei più svariati ambiti, allo sviluppo ed alla diffusione di prodotti con prestazioni sempre più elevate e a costi reali sempre più bassi rendendone così possibile la loro adozione da fasce sempre più ampie di popolazione. Quei paesi che possono contare su una buona dotazione di ingegneri in termini sia qualitativi che quantitativi sono più competitivi sui mercati internazionali. Utilizzando i risultati scientifici, l’ingegneria, mediando tra rigore scientifico e approssimazione ragionata, è stata in grado di progettare, ingegnerizzare, fabbricare e distribuire prodotti che hanno contribuito in modo deciso alla crescita economica, alla creazione della ricchezza dei popoli e delle nazioni, alla diffusione di migliori condizioni di vita.
Il metodo e gli studi di ingegneria, orientati al raggiungimento di risultati concreti, basandosi su metodi di analisi rigorosi, sulla continua ricerca di misurazioni quantitative, su una struttura disciplinata del pensiero si sono rivelati strumenti fondamentali per soddisfare le aspettative crescenti della società. Come ha recentemente osservato il premio Nobel per l’economia Edmund S. Phelps: alla straordinaria crescita del XX secolo “hanno contribuito non poco anche gli ingegneri, ma il processo è stato guidato dagli imprenditori.”
Riquadro 1 – Sul ruolo dell’ingegnere nella società possiamo in qualche modo fare nostra la frase dello scrittore milanese Pietro Verri (1728 – 1797): “Tra il sapere teorico e il talento tecnico i nuovi problemi di efficienza nella produzione impongono una nuova figura di mediatori tra il dotto fisico e il meccanico operatore. A noi viene commessa la cura di rendere facili le verità utili, segregarle dalla nobile e architettata teoria e presentarle all’agricoltura e all’artigiano al livello della di lui capacità.” Tratto dal saggio introduttivo di Claudio M. Tartari, “La Fabrica del Mondo” p. 27 in “L’ingegno e le opere – Esperienze di produzione nel Milanese”, Jaca Book, 2005.
1.2 Le origini dell’ingegneria gestionale in Italia
Nella società è tuttora diffusa l’idea che l’ingegnere sia soprattutto un progettista trascurando due questioni fondamentali:
a) la fase della progettazione di un prodotto è solo una piccola parte della filiera che dalla utilizzazione della conoscenza porta alla diffusione del prodotto sul mercato;
b) numerose altre attività che contribuiscono a formare la catena del valore richiedono approcci e competenze di tipo ingegneristico. La formazione del valore del prodotto percepito dal cliente, la definizione del prezzo di vendita sul mercato, la struttura e i valori dei costi di produzione sono attività che richiedono specifiche competenze economiche e gestionali che, nei prodotti technology based, ricadono in prevalenza sotto la responsabilità degli ingegneri.
Meno coscienza esiste invece del fatto che un approccio di tipo ingegneristico, basato quindi su un pensiero disciplinato, caratterizzato da un forte orientamento ai risultati, da capacità di analisi e di misura, di attenzione ai rendimenti nell’uso delle risorse, sia in grado di fornire importanti contributi negli aspetti organizzativi, gestionali, economici e finanziari che caratterizzano la gestione dell’intera catena del valore di tutte le imprese di produzione di beni e servizi.
Per contribuire a superare queste idee, per la verità oggi più sfumate che nel recente passato, all’inizio degli anni ottanta furono messe in campo nell’università italiana alcune innovazioni curriculari per disegnare un percorso formativo più adeguato alle esigenze delle imprese ed agli effettivi ruoli rivestiti dagli ingegneri nelle imprese. A questa idea lavorarono, quasi trenta anni fa, tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, non senza preoccupazioni per gli esiti delle scelte, alcuni docenti universitari italiani superando anche le perplessità di molti colleghi più propensi a considerare la professione dell’ingegnere prevalentemente orientata agli ambiti progettuali.
L’ingegneria gestionale nasce come risposta dell’università italiana ad una esigenza diffusa da parte dell’industria - pochi ingegneri progettano, molti di loro gestiscono persone, progetti, impianti, risorse economiche ecc. con una insufficiente preparazione economico-organizzativa. Questa risposta, in parte tardiva, arriva solo nei primi anni ottanta mentre nei paesi anglosassoni la figura dell’ industrial engineer già da alcuni decenni copriva questa esigenza (v. riquadro 2). Tuttavia l’esperimento del progetto formativo, avviato non senza timori e, come già detto con perplessità da parte di molti, si rivela da subito un successo.
Riquadro 2 – Negli Stati Uniti nel 1929, nella prima relazione sull’insegnamento dell’ingegneria, il direttore dello studio William Wickenden scriveva: “L’ascesa dell’ingegnere come organizzatore e dirigente è un processo naturale che ha riguardato l’ultimo mezzo secolo…. L’interesse dell’industria è passato dagli attrezzi e dalle lavorazioni isolate a una concezione organica della produzione e del lavoro nel suo insieme, all’interno del quale gli elementi di meccanica pura non possono venir separati dai problemi finanziari, legali, di marketing e di gestione del personale, in modo tale che l’ingegnere, quando progetta, si trova a fare i conti con il denaro e con gli uomini quasi altrettanto spesso di quanto accada con i materiali e con le macchine… Guardando al futuro è difficile pensare che le scuole di ingegneria possano limitare i loro interessi alle scienze matematiche e fisiche, ai problemi della progettazione e della fabbricazione e ai particolari specialistici dell’economia della progettazione. L’ingegneria finirà per includere tra i suoi attrezzi tutte le scienze, una per una, mano a mano che esse saranno diventate abbastanza affidabili da offrire dei risultati economicamente prevedibili.” Tratto da David P. Noble, Progettare l’America, Einaudi, 1987, p.349.
1.3 I mutamenti nello scenario dell’economia internazionale
Uno degli aspetti che contraddistingue l’economia di oggi è la violenta accelerazione dei fenomeni di globalizzazione economica che si è verificata negli ultimi dieci anni. Questa viene così definita in Jagdish Bhagwati, Elogio della globalizzazione, Laterza, 2005: “In sintesi, la globalizzazione economica consiste nella integrazione di economie nazionali nell’economia internazionale attraverso scambi commerciali, gli investimenti diretti esteri (da parte delle corporations e delle multinazionali), i flussi di capitale a breve termine, i flussi internazionali di lavoratori e di persone in genere e i flussi di tecnologia”.
Le economie dei singoli paesi presentano crescenti livelli di interconnessione con quelle di altri paesi. Le distanze tra le varie aree del mondo, misurate in termini economici anziché in termini geografici, si riducono progressivamente (Bernanke). Le barriere che erano di ostacolo al commercio mondiale cadono progressivamente. Cambia velocemente il peso nel commercio mondiale delle diverse aree del mondo (Brown). Paesi emergenti sullo scenario economico come Cina, India, Russia, Brasile (conosciuti come BRIC), prima esclusi dalla predominanza della triade USA, Europa, Giappone contribuiscono in modo deciso alla crescita del commercio mondiale e alla crescita economica. Da dieci anni a questa parte il PIL mondiale cresce ad un ritmo del 4%, un punto in più rispetto ai venti anni precedenti.
Riquadro 3 – La recente crisi finanziaria
Nel 2009, per gli effetti della crisi finanziaria che si è violentemente manifestata dalla fine del 2008 - uno degli eventi più devastanti per la tenuta dei mercati è stato il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers – la crescita del PIL mondiale ha subito un rallentamento. Tuttavia mentre i paesi tradizionalmente avanzati hanno visto nel 2009 una significativa flessione del PIL (Italia -5%) i processi di crescita economica dei paesi emergenti, per esempio nella Cina, hanno mantenuto ritmi sostenuti.
Sulle origini e le evoluzioni della crisi finanziaria sono interessanti alcuni capitoli del libro di Marco Panara, La malattia dell’Occidente, Laterza, 2010.
I fenomeni della globalizzazione economica inducono crescenti livelli di competizione tra le imprese. L’affermarsi di un mercato globale dei prodotti e delle tecnologie esaspera la concorrenza sui prezzi e sulla qualità dei prodotti e ciò impone una continua reingegnerizzazione dei modelli gestionali ed una ricalibrazione dei fattori della produzione.
Per operare in questo nuovo scenario le imprese adottano strategie di innovazione di prodotto, e strategie di delocalizzazione produttiva e di global sourcing. Nelle prime sono fondamentali le attività di ricerca e sviluppo e le capacità di tradurre conoscenza in prodotti e servizi con un valore commerciale. Nelle seconde è fondamentale la capacità di cogliere le migliori opportunità su scala planetaria in termini di reperimento dei fattori della produzione in funzione dello specifico settore in cui l’azienda opera (manodopera a costi più bassi, fonti di approvvigionamento competitive, eccellenze tecnologiche funzioni di specializzazioni produttive).
L’Italia è stata particolarmente esposta alle forze della globalizzazione e risente, più di altri paesi europei e, in particolare, della Germania, della scarsa propensione all’innovazione del suo tessuto produttivo. Il modesto tasso di crescita economica del Paese, pur in un contesto economico internazionale che prima della crisi del 2008 era positivo, è segno di una risposta inadeguata del Paese alle sfide della globalizzazione economica.
Molte delle produzioni italiane mature e labour intensive sono state facile preda dei produttori dei paesi emergenti che presentano costi del lavoro di un ordine di grandezza inferiore a quelli europei (gli Aachen Colloquia del 2008 sono dedicati al Manufacturing in high wage countries). In questo quadro destabilizzante è necessario accelerare il cambiamento tecnologico nella produzione e virare su produzioni sempre più vicine alla frontiera tecnologica. Altri paesi e, in primo luogo gli Stati Uniti, e, per esempio in Europa, la Finlandia, hanno ridefinito la loro missione produttiva spostandosi su produzioni ad alto valore aggiunto che possono sostenere gli alti livelli retributivi delle economie occidentali.
Occorre puntare sull’innovazione, che, come ha osservato Pasquale Pistorio nella Lectio Magistralis tenuta a Palermo in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in Ingegneria gestionale, “permette di spostarsi continuamente su fasce più elevate di prodotto, che consentono di mantenere, attraverso margini più remunerativi, la competitività dell’azienda. Si tratta, è ovvio di una corsa continua per contrastare, attraverso l’arricchimento di valore di processi e produzioni, da un lato l’enorme differenziale nei costi del lavoro e, dall’altro, il vivacissimo progresso tecnologico dei paesi in via di rapido sviluppo”. Il tema ha assunto piena rilevanza in Europa dopo il Consiglio di Lisbona del marzo 2000 ed è al centro delle politiche economiche della UE.
Questo quadro presenta caratteristiche significativamente diverse rispetto allo scenario in cui trenta anni fa fu concepita la figura dell’ingegnere gestionale. L’Italia e l’Europa presentavano un livello di integrazione nell’economia mondiale molto più basso rispetto a quello di oggi e la competizione internazionale non presentava livelli di aggressività paragonabili a quelli di oggi. Il nuovo scenario certamente impone la necessità di un’approfondita riflessione sulla attribuzione di nuove competenze ma anche sulla necessità di nuovi metodi di insegnamento tesi ad esaltare la componente creativa della professione di ingegnere gestionale. Possiamo oggi affermare che i segnali del mercato e la nuova realtà della competizione internazionale hanno cambiato il paradigma dell’ingegneria gestionale, cioè quell’insieme stabilito di esempi, metodi, convinzioni e fenomeni che formano il nocciolo duro dell’area disciplinare.
Letture consigliate:
B.S. Bernanke, Global Economic Integration: What’s New and What’s Not? Jackson Hole, U.S.A., 25 agosto 2006, www.federalreserve.gov/boarddocs/speeches/2006/20060825/default.htm
G. Brown, Global Europe: full-employment Europe, 2005
P. Pistorio, Creazione di valore, shareholder e stakeholder: il nuovo modello di gestione dell’impresa responsabile nei confronti dell’ambiente e della comunità in cui opera, Lectio Magistralis tenuta presso l’Università di Palermo in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in Ingegneria gestionale il 12 giugno 2002
1.4 Implicazioni per il futuro dell’ingegneria gestionale
I cambiamenti nello scenario economico alimentano la domanda di nuovi profili professionali anche nel campo ingegneristico. In particolare, nel settore industriale, emergono come dominanti i temi di gestione dell’innovazione divenuti strategici per la sopravvivenza e la competitività dell’impresa. Alcuni aspetti sembrano particolarmente rilevanti:
a) la necessità di accelerare la traduzione delle nuove conoscenze scientifiche in nuovi prodotti o servizi da immettere sul mercato con profitti sufficienti a poter sostenere un costante impegno di ricerca e sviluppo per mantenere le produzioni sulla frontiera della tecnologia;
b) la capacità di cogliere le opportunità disponibili sui mercati globali attraverso una segmentazione e redistribuzione su base geografica della catena del valore del prodotto allocandone le attività là dove risulta più efficace per poi ricombinarla su basi informative e logistiche;
c) la necessità di sviluppare una visione imprenditoriale nell’impegno professionale adeguata alla velocità con cui minacce (innovazioni ostili, nuovi entranti, ecc.) e opportunità (nuovi mercati, nuovi partner, ecc.) si manifestano sui mercati internazionali;
d) la urgenza di guardare con una visione bilanciata e integrata agli aspetti tecnologici, economici e gestionali, anche nei settori delle tecnologie di punta, dove spesso prevale l’idea che detenere una tecnologia di frontiera sia di per sé una garanzia di successo sul mercato (infatti una tecnologia non si vende, si vende un prodotto o un servizio che soddisfa specifici bisogni o desideri dei clienti, poi i clienti non cercano i produttori ma, in un contesto sempre più competitivo, è piuttosto vero il contrario e quindi le vendite ed il marketing devono lavorare a stretto contatto con lo sviluppo prodotto. Infine gli aspetti organizzativi e la gestione delle operations e del servizio al cliente spesso fanno la differenza ai fini del successo di un prodotto/servizio e dell’impresa).
Queste caratteristiche determinano un radicale cambio di prospettiva dell’ingegneria gestionale che prima doveva concentrarsi maggiormente sui temi dell’integrazione delle attività delle diverse funzioni aziendali all’interno dell’impresa mentre, oggi, dopo internet e nella attuale fase della globalizzazione, è costretta a guardare oltre (e talvolta molto oltre) i confini dell’impresa e con una prospettiva ancora più attenta alle intersezioni tra dimensioni economiche e tecnologiche dei fenomeni d’impresa.
In estrema sintesi possiamo dire che l’ingegnere gestionale impegnato in attività industriali ha come missione fondamentale quella di supportare i vertici aziendali nello studiare, prevedere e realizzare, quelle che potremmo definire, nuove forme di “congiunzione organica tra tecnologia, economia e mercato” alla base di tutte le innovazioni di successo. Essere in sostanza uno dei principali attori dell’innovazione. In Italia questa figura è ancora in fase di sviluppo attraverso un percorso, certamente difficile, che si sviluppa per approssimazioni successive e che vede impegnati allievi, laureati, docenti strutturati e non strutturati in molte delle università del Paese. Comune denominatore del curriculum è la ricerca di uno sviluppo equilibrato delle varie competenze che caratterizzano la catena del valore del prodotto e il percorso della “innovazione intesa come il trasferimento di idee nuove sul mercato con il giusto profitto” (Michellone).
Altro aspetto dominante, questo più legato alla dimensione tecnologica della gestione d’impresa, è lo sviluppo di competenze tese a innalzare costantemente i livelli di produttività dei fattori della produzione. Questo tema è oggi fortemente influenzato dalle applicazioni delle tecnologie informatiche aperte (dopo internet) sia alla gestione delle informazioni interne che a quelle di comunicazione con l’esterno (fornitori e clienti, singoli consumatori della supply-chain). Nel nostro Paese esistono margini per forti recuperi nella produttività grazie ad applicazioni di informatica gestionale (è questa una delle aree di maggior assorbimento dei laureati in ingegneria gestionale).
Gli scenari e le ricadute sulla formazione degli ingegneri gestionali sopra tratteggiati potrebbero essere analizzate nel settore dei servizi ed in particolari di quelli relativi alla pubblica amministrazione e alla sanità. Moltissimo c’è da fare in questo ambito e grande bisogno ne ha il Paese. Alcune incoraggianti sperimentazioni sono state avviate (Master in Ingegneria della Pubblica Amministrazione) in questi anni, anche a Palermo con una interessante interazione con la Prefettura.
Lettura consigliata:
G. Michellone, Economia e Management dell’Innovazione, in Ingegneria, azienda e società – Una riflessione sul ruolo dell’ingegnere a cura di G. Esposito, G. Pastore, M. Raffa, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007, p. 225
K. Keniston, La crisi dell’algoritmo degli ingegneri, Conferenza tenuta il 17 ottobre 1996 al Politecnico di Torino
2. Le relazioni tra scienza e tecnologia
Mentre il dominio delle attività dell’ingegnere è legato alla utilizzazione della conoscenza per fini di utilità pratica, il dominio delle attività dello scienziato si orienta verso la ricerca della verità sui fenomeni della natura. Nella prospettiva di una innovazione che si caratterizza sempre più come science-based è opportuno fare alcune considerazioni sui rapporti tra scienza e tecnologia.
La prima è prevalentemente stimolata dalla curiosità sui fenomeni della natura, la seconda dal desiderio di risolvere problemi pratici e dall’interesse nello sfruttamento commerciale delle opportunità individuate.
Il seguente brano è stato tratto e adattato da David N. Weil, Economic Growth, Pearson, 2005, p. 253.
La scienza è una forma di conoscenza orientata ad individuare le regolarità della natura, rappresenta la nostra comprensione su come funziona il mondo e cioè i processi chimici, fisici o biologici. La tecnologia invece rappresenta la conoscenza orientata alla soluzione di specifici problemi e allo sviluppo delle tecniche di produzione. Che relazioni esistono tra scienza e tecnologia ed è vero che la tecnologia è sempre scienza applicata ?
Per la maggior parte della storia dell’uomo gli avanzamenti nella tecnologia sono stati indipendenti dalla comprensione scientifica delle regole della natura. Le tecnologie di produzione furono scoperte attraverso innumerevoli tentativi, spesso casualmente, piuttosto che attraverso la comprensione del perché una certa procedura conducesse ad un dato risultato. Infatti, se c’era qualche connessione tra scienza e tecnologia questa era dovuta al fatto che gli avanzamenti tecnologici aprivano la strada ad una migliore comprensione dei fenomeni naturali.
Ci sono almeno due importanti modalità per cui avanzamenti nelle conoscenze scientifiche sono ottenuti grazie a miglioramenti tecnologici.
Primo, la tecnologia ha posto molti problemi che gli scienziati sono stati chiamati a risolvere. In uno dei casi più famosi, lo scienziato francese Sadi Carnot scoprì le leggi della termodinamica nel 1824 cercando di capire perché un motore a vapore ad alta pressione era più efficiente di un motore a bassa pressione. Allo stesso modo, il mistero per cui i cibi in scatola non si avariavano spinse Louis Pasteur ad avviare gli studi di microbiologia.
Secondo, i miglioramenti tecnologici hanno consentito di pervenire a scoperte scientifiche mettendo a disposizione degli scienziati strumenti per condurre esperimenti e osservazioni più accurati. Strumenti come il microscopio (inventato nel 1590) o il telescopio (inventato intorno al 1600) schiusero letteralmente un nuovo mondo per le indagini scientifiche. In un esempio recente la decodifica del genoma umano è stato largamente accelerato dalle macchine ad alta velocità per il sequenziamento del DNA.
Durante la prima metà del XIX secolo gli scienziati incominciarono a ripagare il debito della scienza nei confronti della tecnologia. Le tecnologie della rivoluzione industriale (1760 – 1830), tra cui la filatura del cotone e l’energia dal vapore, non dipendevano da scoperte scientifiche ma soprattutto dalle capacità di trovare soluzioni pratiche da parte di persone creative che difficilmente potevano essere considerati scienziati. Ma le tecnologie della seconda rivoluzione industriale (1860 – 1900) tra cui le innovazioni nell’acciaio, nella chimica e nell’elettricità non sarebbero state possibili senza le nuove conoscenze scientifiche.
Si passa quindi da una situazione in cui l’invenzione e la sua diffusione sul mercato stimolano un successivo lavoro scientifico ad una situazione, che oggi si rafforza, in cui nuove conoscenze scientifiche sono alla base delle invenzioni (Colombo e altri, 1988).
Nel XX secolo, questa tendenza verso l’avanzamento tecnologico guidato dalla scienza è continuato ed anzi si è rafforzato. Innovazioni radicali come i semiconduttori, il laser e l’energia nucleare si basano fondamentalmente su nuove conoscenze scientifiche. Infatti il rapporto tra scienza e tecnologia cambia completamente nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (v. nel seguito V. Bush). Lo sfruttamento della fissione nucleare è dovuto essenzialmente alle ricerche sulla fisica nucleare che gettarono le fondamenta per la dimostrazione pratica delle reazioni di fissione. La stessa tesi può essere sostenuta per lo sviluppo del transistor, nato dopo anni di studio della fisica dello stato solido. Oggi molte nuove tecnologie sarebbero di certo irrealizzabili senza avere a disposizione le conoscenza scientifiche che ne stanno alla base (Colombo e altri, 1988).
Con questo non possiamo dire che la scienza si è tolta ogni debito con la tecnologia. Avanzamenti nella fisica dipendono in maniera significativa da dispositivi ad alta tecnologia come gli acceleratori di particelle. E ancora rimangono molti esempi di avanzamenti tecnologici che non derivano da nuove conoscenze scientifiche. Per esempio, il passaggio che consentì l’invenzione della stampante a getto di inchiostro – che usa fonti di calore miniaturizzate per spruzzare piccole bolle di inchiostro sulla carta – ebbe luogo nel 1977 quando un ricercatore toccò accidentalmente una siringa piena di inchiostro con un saldatore caldo.
Una delle caratteristiche fondamentali della scienza moderna è la sua dipendenza dalla tecnologia (ma è vero anche l’inverso).
Tuttavia in molti ambiti, come i nuovi materiali o le biotecnologie, i confini tra aspetti scientifici e tecnologici diventano sempre meno evidenti dando luogo ad esempi di spirale scientifico-tecnologica tipica dell’attuale ondata di progresso (Colombo e altri, 1988).
Lettura consigliata:
Umberto Colombo ed altri, Scienza e Tecnologia verso il XXI secolo, Edizioni comunità, 1988
Sebbene i confini tra scienza e tecnologia non siano netti, non bisogna però confondere la natura delle due attività: l’una attinge all’altra, ma ognuna segue i propri metodi ed è guidata dalle proprie verità. Se la scienza, in quanto ricerca di una verità riproducibile, è fine a se stessa, la tecnologia è invece il mezzo per un fine utile a soddisfare bisogni o desideri dell’uomo (comunicare, volare, spostarsi, avere energia disponibile, ecc.). La scienza osserva la natura, ne misura i fenomeni, astrae l’informazione essenziale, generalizza le sue scoperte sotto forme di teorie e controlla la verità di una teoria attraverso la validità delle predizioni che essa consente. La tecnologia invece opera con fini utilitaristici, spesso guidata da considerazioni di efficienza e di costi (irrilevanti invece per la scienza) e non può con altrettanta facilità controllare sperimentalmente le sue teorie né modificare i risultati. Tratto da George Bugliarello, alla voce Tecnologia, p. 386, Enciclopedia del Novecento, vol. VII, Istituto della Enciclopedia Italiana.
Sulla natura delle relazioni tra scienza e tecnologia si consiglia la lettura “In quale misura la scienza è esogena?” Cap.8 del libro di Nathan Rosenberg, Dentro la scatola nera: tecnologia ed economia, il Mulino, 2001. La tesi sostenuta dall’autore è che le questioni tecnologiche plasmano in vari modi l’iniziativa in campo scientifico (p.246, impulso alle ricerche nel campo dell’ottica originato dalle tecnologie laser e della fibra ottica).
3. Il sistema della ricerca ed il sistema industriale
Ad un diverso livello, il rapporto tra scienza e tecnologia ci porta a fare alcune considerazioni sul sistema della ricerca legato alle attività scientifiche e sul sistema industriale prevalentemente legato ai temi della tecnologia.
In una recente dichiarazione, Mario Moretti Polegato, presidente di Geox, ha affermato:
“L'Italia è un Paese di grande cultura, manca però della cultura per usarla.”.
Questa espressione può essere usata per sintetizzare in modo efficace lo stato dei rapporti tra sistema della ricerca e sistema produttivo a livello nazionale.
Mentre altri Paesi, e sicuramente per primi, gli Stati Uniti, hanno puntato sulla qualità delle relazioni tra sistema di generazione e diffusione della conoscenza e sistema produttivo per conseguire posizioni di vantaggio competitivo sui mercati internazionali, l’Europa (strategia di Lisbona – marzo 2000) e il nostro Paese (Piano Nazionale della Ricerca – aprile 2002 / 1° Giornata nazionale sulla Ricerca, Confindustria – ottobre 2002) riscoprono, solo in seguito a una oggettiva perdita di competitività delle loro produzioni, l’importanza di questo tema per il futuro (per inciso l’art. 9 della Costituzione Italiana recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”).
Non mancano in Europa, in Italia e nella nostra regione le risorse per generare nuova conoscenza. Siamo carenti soprattutto nella capacità di trasformare la conoscenza in innovazioni per sostenere la competitività del sistema industriale. Alla base di questi limiti è la ancora troppo marcata separazione tra sistema di generazione, sistema di utilizzazione della conoscenza, sistema imprenditoriale. Mondi paralleli che, nell’economia della conoscenza, devono intersecarsi per alimentarsi mutuamente.
Il rapporto tra sistema della ricerca e sistema industriale o più in particolare tra formazione, ricerca, innovazione e capacità competitiva dell’impresa è diventato cruciale nell’economia dei nostri giorni. Nei paesi avanzati il 30% della crescita economica è dovuta ai settori ad alta tecnologia, settori in cui cioè il ritardo tra scoperta scientifica e utilizzazione della conoscenza in chiave di mercato è basso. In tali settori l'occupazione cresce a tassi 4 volte superiori a quella nei settori tradizionali (v. anche Innovation Report del governo britannico).
Altro aspetto che conferma l’affermarsi del concetto di economia della conoscenza è il fatto che le regioni più dinamiche del pianeta, quelle che presentano i tassi di sviluppo economico maggiori, si addensano in prossimità dei più importanti centri di generazione della conoscenza in grado di alimentare con continuità i processi di innovazione delle imprese esistenti e la nascita di nuove imprese. La Silicon Valley (v. il filmato Silicon Mind sul sito www.consorzioarca.it) e la Route 128 sono casi emblematici a livello mondiale per la concentrazione di conoscenze scientifiche di frontiera, per il forte dinamismo imprenditoriale e per la disponibilità di capitali di rischio – i pilastri su cui si fonda oggi l’innovazione su base territoriale.
Questa circostanza è alla base di una rinnovata attenzione alle università e al loro ruolo nell’economia della conoscenza. La UE a partire dalla strategia di Lisbona sostiene il ruolo delle università nello sviluppo dei sistemi regionali, da un lato riconoscendo il ruolo propulsivo delle università nello sviluppo civile, economico e sociale, dall’altro cercando di finalizzare sulle specificità regionali le attività di gestione della conoscenza per una maggiore efficacia degli interventi.
Il rafforzamento della competitività delle imprese passa attraverso la capacità di gestione della conoscenza e infatti i guadagni di produttività e di competitività sono sempre più legati a:
a) l'impiego di tecnologie innovative di prodotto e di processo;
b) le innovazioni organizzative;
c) la disponibilità di capitale umano formato ai più alti livelli.
Le produzioni più standardizzate, quelle a maggior contenuto di lavoro, non possono più reggere in paesi come l’Italia dove i costi del lavoro sono elevati. La leadership di costo non è più perseguibile nei paesi avanzati e occorre puntare sulla leadership nell'innovazione per accrescere il valore intrinseco dei prodotti/servizi, posizionandoli quindi su fasce di prezzo più alte e più remunerative.
L' impresa basata sulla conoscenza è sempre più l’impresa del futuro. La conoscenza è lo strumento per aggiungere valore al prodotto/servizio percepito dal cliente e per conseguire vantaggio competitivo. La conoscenza è lo strumento per ottimizzare, per affinare le decisioni combinando in modo creativo e innovativo tecnologie e conoscenze che si rendono disponibili sul mercato a ritmi crescenti. L’innovazione diventa di tipo combinatorio e richiede una base di conoscenza sempre più ampia e specialistica.
D’altro canto una forte interazione scienza, tecnologia, economia diventa oggi un formidabile acceleratore di sviluppo che consente di raggiungere in tempi più brevi uno stato più avanzato della conoscenza scientifica e progressi tecnologici che servono ai bisogni della società.
La competizione in campo economico è uno stimolo ai processi di innovazione tecnologica. La tecnologia senza scienza non è in grado di sostenere processi di sviluppo di lungo termine. La tecnologia pone stimoli e nuovi obiettivi alla ricerca scientifica. Nello sviluppo economico dei paesi avanzati diventa dominante il modello di Pasteur citato da Stokes (v. in seguito).
La forte correlazione competitività-conoscenza e più esplicitamente formazione, ricerca, innovazione è ormai ampiamente accertata e accettata tanto che le istituzioni, ai massimi livelli, le imprese attraverso le associazioni più rappresentative non mancano occasione per sottolineare la importanza della relazione tra sistema delle imprese e sistema di generazione della conoscenza ogni qualvolta si delinea il futuro dell'economia italiana e del suo sistema industriale. Nonostante ciò permane nel nostro Paese e ancora di più nel Mezzogiorno e nella nostra regione uno scollamento tra ricerca scientifica e impresa, tra attività di pensiero ed economia, tra sapere e fare.
Italia 21° in Europa – La Repubblica 27 febbraio 2007
Gli analisti del CER (Center for European Reform) scrivono: “ L’Italia deve fare molto di più se vuole evitare un ulteriore declino nella prosperità” e ancora “Per un Paese con un largo settore manifatturiero la spesa in ricerca e sviluppo è bassa, appena l’1,1% del PIL.” Per la verità su questo punto andrebbero valutati i tassi di intensità di R&D nei settori industriali del Paese (un paese con una forte industria farmaceutica ha un’intensità di R&D molto maggiore di quella di un paese con una forte industria tessile).
Riquadro 4 – Ruolo delle istituzioni e rapporti tra sistema della ricerca e sistema industriale, brano tratto e adattato da Nicola Gullo, Il ruolo del CNR per la promozione dell’innovazione tecnologica, pp. 457 – 503, in G. Corso e A. La Spina, Il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Struttura e funzioni, il Mulino, 1994.
Durante il secolo scorso (XIX), quando ancora non si era manifestata in pieno quella continuità tra ricerca fondamentale, ricerca applicata ed innovazione che contraddistingue lo scenario tecnologico attuale, non si avvertiva la necessità di un controllo politico della scienza per sostenere la crescita economica dei paesi.
L’incorporazione di nuove soluzioni tecnologiche nelle attività produttive si presentava sostanzialmente come un fenomeno endogeno all’apparato industriale e consisteva in una modulazione tecnica delle conoscenze scientifiche realizzata quasi esclusivamente da laboratori privati. Nella concezione liberale “il progresso era l’opera della libera unione o della coincidenza armonica tra scienza e industria.”
La situazione attuale è profondamente mutata e agli stati è chiesto un ruolo attivo nelle politiche della scienza e dell’innovazione. Questo è importante soprattutto a livello locale per lo sviluppo di sistemi locali di innovazione.
Tuttavia, le correlazioni sempre più strette tra produzione del sapere scientifico e avanzamento tecnologico del sistema industriale – a tal punto che l’innovazione relativa a qualsiasi comparto produttivo si presenta sempre più spesso come il risultato della applicazione sistemica delle conoscenze generali della ricerca scientifica, anziché dell’empirismo e della intuizione inventiva – hanno sollecitato una ulteriore e qualificata presenza delle istituzioni pubbliche come soggetto regolatore dei rapporti tra sistema della ricerca e sistema industriale.
Tenuto conto che una considerevole quota parte dell’innovazione scaturisce da ambiti di ricerca extra industriali, specialmente nei settori science-based, le capacità innovative del sistema delle imprese risultano direttamente proporzionali alla efficacia/efficienza dei flussi informativi (diffusione) e delle azioni mirate alla conversione applicativa dei risultati della ricerca (trasferimento).
Non vi è dubbio che di fronte alle crescenti interazioni tra scienza e tecnologia, oramai tutti i paesi industrializzati presentano – pur con alcune rilevanti differenze – un approccio comune ai problemi dell’innovazione nel senso degli strumenti di promozione dello sviluppo tecnologico.
Il tema delle interazioni tra scienza e tecnologia deve far parte delle politiche industriali del Paese (per esempio occorre un legame più stretto tra i ministeri dello sviluppo economico e quello dell’università e della ricerca). Queste relazioni devono essere strutturate e non affidate alla casualità e alla volontà dei singoli ricercatori o degli imprenditori.
Accanto ai tradizionali interventi di carattere erogatorio, cioè agli incentivi a quelle imprese che svolgono ricerca o che gestiscono processi innovativi, viene incoraggiata sempre più frequentemente l’attivazione di forme di collegamento tra il sistema-ricerca che produce indagini tecnico-scientifiche e le strutture economiche chiamate a realizzare l’innovazione, in modo da innalzare il livello tecnologico delle imprese grazie ad un trasferimento diretto del saper fare tecnico da parte delle istituzioni scientifiche.
Questo aspetto è sempre più importante a livello locale dove sono più contigue le relazioni tra sistema di produzione della conoscenza e sistema produttivo.
Tre sono le soluzioni gestionali a cui è necessario guardare:
a) rapporto di coordinazione, forme di diffusione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche attraverso attività informativa;
b) cooperazione in senso stretto, cioè attività di ricerca svolta dalle istituzioni scientifiche per conto di privati;
c) l’integrazione, attività di ricerca gestita congiuntamente dagli organismi pubblici di ricerca e dagli operatori privati attraverso la creazione di strutture comuni come ad esempio i technology park.
Queste situazioni funzionano se esiste una simultanea motivazione degli attori che entrano in gioco nei processi di trasferimento tecnologico.
Le imprese sono portate a stabilire un collegamento con gli organismi di ricerca quando, non potendo più fare ricorso alle innovazioni di miglioramento - innovazioni di tipo incrementale- devono puntare sull’implementazione di innovazioni che cambiano radicalmente le basi tecnologiche di certi prodotti e processi di produzione.
A loro volta, le istituzioni di ricerca e le università tendono a intensificare le attività innovative nel momento in cui devono compensare la riduzione delle risorse finanziarie pubbliche destinate alla ricerca.
La via italiana allo sviluppo tecnologico - L’indagine ISTAT CNR del 1988 sulla diffusione dell’innovazione tecnologica rivela che i 4/5 delle innovazioni introdotte nell’industria italiana sono state di tipo imitativo o incrementativo e hanno rappresentato una novità solo dal punto di vista dell’impresa (concetto di innovation to the firm v. manuale di Oslo) e non certamente per il mercato.
Senza dubbio questa debole intensità di R&S non garantisce il mantenimento di adeguati ritmi di crescita economica e fa temere che il nostro modello di sviluppo non riesca ad adattarsi al nuovo contesto economico internazionale in cui la scienza risulta sempre più determinante per i processi innovativi, per la competitività e la crescita economica.
Letture consigliate:
P. Greco, S. Termini, Contro il declino, Codice edizioni, 2007
L. Gallino, L’Italia dal Novecento ad oggi: ricerca, tecnologie e sviluppo economico, relazione al convegno “Il futuro della ricerca in Italia, Milano, 30 settembre 2004
Statistiche Inno –metrics su European Innovation Scoreboard 2010
4. Invenzione, innovazione e processo imprenditoriale
“An innovation is always the estensive or significant adoption of some new practice in the society or in some community. It is never the invention of something that fails to be adopted.”
Edmund Phelps, Supporting Innovation: Why and How, intervento alla Camera dei Deputati, 2 febbraio 2011
L’invenzione è la creazione di qualcosa di nuovo.
L’innovazione è un’invenzione immessa sul mercato con profitto. Perché questo avvenga è necessario che qualcuno sia disposto a pagare un corrispettivo, l’invenzione deve perciò soddisfare un bisogno o un desiderio di qualcuno (chi saranno i clienti?).
Spesso molte invenzioni rimangono tali senza avere alcuno sbocco sul mercato. Talvolta ciò avviene e, spesso, con notevole ritardo una invenzione si traduce in innovazione. La natura della conoscenza sottostante un’invenzione è diversa da quella sottostante un’innovazione che si sostanzia nella capacità di tradurre idee in beni o servizi vendibili sul mercato con tutto il bagaglio di conoscenze che ciò comporta (progettazione di dettaglio, ingegnerizzazione, prototipazione, test di mercato, produzione, controllo di qualità, promozione, distribuzione, assistenza, rete di fornitura, rete di distribuzione, aspetti economici e finanziari). Dall’insieme di queste attività discende che l’innovazione è un processo complesso che richiede il coinvolgimento, la pianificazione, il coordinamento ed il controllo di molteplici risorse. Diverso è il caso dell’invenzione che talvolta è frutto di intuizione (ovviamente non sempre). In ogni caso il processo innovativo è un processo di conversione di conoscenza, attraverso altre conoscenze, in conoscenza economicamente utile.
Innovazione è trasferimento di idee nuove sul mercato con il giusto profitto (Michellone, 2006). Con questa definizione si intende che l’innovazione comprende l’invenzione, la realizza e la diffonde sul mercato. Inoltre essa ha valore solo in quanto è trasferita ai clienti che la utilizzano: conta l’innovazione_in_uso, quasi una parola sola.
Al cliente va dato un valore superiore al prezzo che paga e il prezzo deve essere superiore ai costi sostenuti V > P > C.
La traduzione di una invenzione in innovazione è il risultato di un processo imprenditoriale in cui risorse materiali e immateriali (conoscenza) vengono combinate dall’imprenditore, soggetto in grado di percepire i segnali deboli delle opportunità sul mercato, di vedere cioè quello che altri non vedono, di valutare il potenziale di successo ed eventualmente di assumersi rischi (sostenere costi certi oggi per ricavi incerti in futuro) per sfruttare l’opportunità per conseguire un giusto profitto. L’imprenditore è un soggetto solitamente distinto dall’inventore, ha diverse abilità e motivazioni. Il valore aggiunto della produzione genera occupazione e contribuisce alla crescita economica.
Lettura in aula:
Commentare le voci in grassetto con la lettura “Il genio che sogna l’elicottero” p. 31 – 37 in A. Galdo, Fabbriche, Einaudi, 2007.
Joseph Schumpeter (1883 – 1950), è l’economista austriaco che ha avviato gli studi dell’economia dell’innovazione indagando sulla natura della relazione tra imprenditorialità ed innovazione nella competizione tra le imprese. Egli evidenzia che chi sviluppa una innovazione di successo viene ricompensato con il controllo di un monopolio temporaneo su ciò che ha introdotto sul mercato. Questo controllo a sua volta è la leva che consente all’imprenditore-innovatore di guadagnare una posizione migliore sul mercato e di conseguire profitti temporanei o rendite economiche attraverso l’attività innovativa intrapresa. Questa posizione si mantiene finché i concorrenti non recuperano il ritardo tecnologico. Ciò innesca, in un mercato fortemente competitivo, processi innovativi di sistema che progressivamente innalzano il livello di soddisfazione dei consumatori trasferendo loro sempre maggior valore.
Gli imprenditori sono stati decisivi per la commercializzazione di importanti innovazioni del XX secolo si pensi all’automobile, all’aeroplano, all’aria condizionata, al personal computer (Bill Gates), agli odierni smart phones (Steve Jobs), alla gestione dell’informazione su internet Google (Sergey Brin e Larry Page). Gli imprenditori ci inducono a cavalcare le onde dell’innovazione in una direzione positiva (v. Understanding entrepreneurship, Kaufmann Foundation, 2005).
Schumpeter ha avuto il merito di considerare il cambiamento tecnologico e l’attività innovativa come una caratteristica endogena della dinamica della competizione tra le imprese e della crescita economica.
Uno dei contributi più noti di Schumpeter è relativo alla introduzione del “processo di distruzione creativa”.

Fonte:http://innovationmanagment.weebly.com/uploads/9/2/0/4/9204711/appunti_innovazione_rev._06062011.doc

 

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eccitazione derivata Motori asincroni trifase Motori automobili Motori diesel Motori endotermici alternativi Motori ibridi Motori passo passo stepper motor Multivibratori Nickelatura Nitrurazione Nitrurazione acciai e metalli Norme per il disegno tecnico Norme tecniche e qualità Nozioni di disegno tecnico industriale Oleodotti e gasdotti cosa sono Oscilloscopio Ottoni caratteristiche Pannelli solari fotovoltaici e termici Perdite di carico PLC funzionamento e programmazione Polimeri Pompe Pompe prevalenza Pompe volumetriche rotative e centrifughe Portata di vapore evaporazione e entalpia Porte logiche PP polipropilene materie plastiche Problemi dell' acqua di raffreddamento Processi di polimerizzazione Prodotti vernicianti Produzione dell' acciaio come si dice in inglese Produzione di energia oleodinamica Produzione industriale di materiali macromolecolari Progettare con gli adesivi Proiezioni ortogonali proiezioni ortografiche Project Management Prototipazione rapida Prove di 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